martedì 3 gennaio 2023

Ritorno sul Don, parte 8

Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".

Di notte, stando sulla riva alta di questo fiume, vedevamo lontano delle luci che parevano un altro firmamento; ed è da qui che sono partiti per liberare la loro patria e l'umanità dal nazismo. Si fermarono quando raggiunsero Berlino. Sul ponte di barche, nel mezzo del fiume, un vecchio è assorto a pescare e mi fermo con lui in silenzio. Dopo un poco gli chiedo in russo: - Kak dielà? - Nicevò, - mi risponde girando appena la testa. E sorride con gli occhi, non stupendosi del mio essere straniero. Con tutto il cuore avrei voluto sostare a lungo su quel ponte a pescare con il vecchio, a sentire l'acqua frusciare contro i legni mentre il sole incendiava di colori il bosco autunnale. [...]

Allora, in quella notte del 18 gennaio 1943, questa pista che va a ovest era gremita di muli, di automezzi, di battaglioni di alpini della Tridentina che avevano lasciato il Don con troppo ritardo per obbedire a un ordine dell'OKW di Hitler; era stato lui che aveva ordinato al comando dell'VIII Armata italiana che il Corpo d'Armata Alpino non lasciasse il fiume. Da Rossoch saliva la Julia che per un mese in aperta steppa aveva fermato la fanteria e i carri armati russi che avevano rotto il fronte nell'ansa di Verk Mamon e che avevano tentato di aggirarci. Dalla zona di Karavut veniva il 1° reggimento alpini e da Staraia Kalitva il 2° e i gruppi del 4° artiglieria alpina. Dal Nord, dove la 23a divisione ungherese aveva abbandonato la linea di propria iniziativa, le masse degli sbandati ungheresi e tedeschi intasavano villaggi e piste da Judino a Podgornje.

I soldati russi dei reggimenti della Guardia e i carri armati stavano chiudendoci nella sacca. I villaggi bruciavano, negli ospedali gli ufficiali medici più giovani tiravano a sorte chi doveva restare per assistere i feriti che non potevano andarsene con le proprie gambe. [...]

Noi si restava dentro la bufera; ancora reparto per reparto, squadra per squadra. Fino a quando abbiamo trovato i magazzini abbandonati dove i pochi civili rimasti nei villaggi e i partigiani cercavano di salvare dalle fiamme quanto potevano. Allora incominciarono a staccarsi i primi; e di quelli che trovarono il cognac nelle botti forse non si è salvato nessuno. Le notti e i giorni del 19 e del 20: incursioni di carri armati, mitragliamenti aerei, i primi morti assiderati ai lati delle piste, i primi bruciati dentro le isbe. La prima grande fame di sonno e di baita. [...]

Che notti in quel dicembre del 1942! E don Carlo Gnocchi con gli alpini dell'Edolo preparava il presepio in una tana sopra il fiume gelato. Ricordo le postazioni, le pattuglie di collegamento con il Morbegno, le ore nei ricoveri e l'odore e la macina del grano e la polenta di segale e i semi di girasole; e le armi che non volevano sparare e l'alpino Lombardi che stava sempre silenzioso e staccato, indifferente nel suo grande coraggio perché la morte era già in lui. Giuanin: - Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?

Vorrei dire a Boris di fermare la macchina per farmi scendere, a Larissa di accompagnare mia moglie a Charkov e farla ripartire per l'Italia e io restarmene qui solo, per tutto l'inverno in questi villaggi, e camminare dall'uno all'altro. In silenzio, sulla neve. Fino a primavera, fino al disgelo, e dopo riprendere il treno per casa. [...]

E' per questo che prima, guardando in cielo, non vedevo più le stelle. Le foglie di betulla che il vento strappa dai rami vengono ad illuminarsi davanti ai fari della macchina come balenanti farfalle: «Se venisse ora a nevicare, - penso, - forse saremmo costretti a fermarci, a cercare un'isba per chiedere ospitalità e ripartire domani». Ora desidero questa neve che ho tanto maledetto, che mi ha ossessionato per anni; la desidero per passare una notte sopra la stufa di un'isba, perché troverei ad aspettarmi tutti gli amici e i compagni che non sono arrivati a baita.

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