giovedì 28 luglio 2022

Ricompense - 8a Armata - Intendenza

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

8a Armata - Intendenza d'Armata

MAVM Colonnello DE BIASE Achille
MAVM Tenente Colonnello DE MICHELI Luigi
MAVM Tenente Colonnello POIDOMANI Giuseppe
MAVM Tenente Colonnello SIMONETTI Carlo
MAVM Tenente RISPOLI Giacomo, alla memoria
MAVM Sottotenente GRASSI Pasquale
MAVM Sottotenente MARCHINI Renzo
MAVM Sottotenente PIRONI Salvatore
MAVM caporal maggiore DAMIANI Cornelio, alla memoria
MAVM caporal maggiore D'INNOCENZO Bruno, alla memoria
MAVM soldato GIARDONI Mario
MAVM soldato POLETTO Oreste, alla memoria
MBVM Maggiore FORNARO Vincenzo
MBVM Maggiore PIACENTE Gaetano
MBVM Capitano MANFREDI COLELLI Franco
MBVM maresciallo BIHARY Federico
MBVM maresciallo INVERNIZZI Carlo
MBVM caporale D'AGNOLO Bruno
MBVM caporale DI FONSO Antonio
MBVM soldato FRACASSI Pasquale, alla memoria
MBVM soldato PEDUZZI Aldo
CGVM Capitano CRUCIANI Giovanni
CGVM Capitano GALLETTO Corrado
CGVM Tenente GAGLIONE BARBO Girolamo
CGVM Sottotenente CIFARELLI Francesco
CGVM Sottotenente NARO Carmelo
CGVM Sottotenente PALMA Salvatore
CGVM maresciallo BADIALI Sole
CGVM sergente maggiore D'AMATO Pietro
CGVM sergente maggiore NERI Gualtiero
CGVM sergente maggiore RESEMINI Franco
CGVM sergente CONTA Bruno
CGVM caporal maggiore FOSSI Sanzio
CGVM soldato BIANCO Secondo
CGVM soldato CECCARELLI Pietro

Il viaggio del 2011, Nikolajewka

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... l'arrivo a Nikolajewka.





Capitano Pilota Giorgio Iannicelli, 2

La storia del Capitano Pilota GIORGIO IANNICELLI, Medaglia d'Oro al Valor Militare, nelle parole del figlio GianLuigi, seconda parte.

Breve biografia.

Giorgio Iannicelli nasce a Roma il 26 giugno 1912, primo di tre figli, da Leone, funzionario del ministero delle Comunicazioni, e da Augusta Natalizi. Ha un'infanzia felice e spensierata in seno alla sua famiglia, ove un legame intenso lo lega anche al nonno materno Giovanni, l'amato "nonno Nino". Per una singolare coincidenza, il nonno lavora in un istituto di credito romano, con sede in via Piacenza, dove il giovane nipote si reca spesso a trovarlo e dove, tanti anni dopo, il figlio di Giorgio, ignaro di tale circostanza, verrà assunto, vi lavorerà per oltre trent'anni e vi troverà ancora memoria del bisnonno.

Giorgio è molto affezionato anche ai suoi fratelli minori, sui quali esercita un forte ascendente, Fiorenzo, nato nel 1920, anche lui poi ufficiale pilota e Rossana, la piccola, nata due anni dopo. Ama disegnare e vi riesce molto bene. Segue il normale corso di studi, conseguendo il diploma di maturità classica presso il Liceo Umberto I nel 1929, quindi a soli diciassette anni. Subito dopo, il 22 ottobre dello stesso anno, fatto singolare per un futuro pilota, è ammesso, con votazione lusinghiera, come allievo ufficiale di vascello nella terza classe della Regia Accademia Navale di Livorno, dove risulta essere il più giovane di età. Tra il 10 ed il 23 luglio 1930 effettua la crociera annuale, in Nord Africa, sulla nave Cristoforo Colombo. Risulta fra i migliori del suo corso ed è promosso alla seconda classe.

In famiglia rimane storico il testo del telegramma che Giorgio invia al padre per annunciargli l'esito dell'esame di ammissione all'Accademia: "Risultato primo fra tutti. Manda i soldi per le spese." Nonostante le brillanti prospettive e le insistenze per dissuaderlo dell'Ammiraglio Cavagnari, allora Comandante dell'Accademia, nel novembre del 1930, lascia la stessa ed è ammesso come allievo nella Regia Accademia Aeronautica di Caserta ed assegnato al Corso "IBIS". Uomo fatto, fisicamente è alto un metro e settanta, di corporatura normale e, a differenza del fratello e della sorella minori, un pochino tarchiato. E' un po' "stempiato", con occhi verdi piuttosto grandi e con qualche, problema a pronunciare la "r", che per lui non ha netti confini con la "v". Di carattere vivace, è un po' suscettibile, pieno di interessi e, si dice, un po' "sciupafemmine".

E' nominato s. tenente pilota in servizio permanente effettivo, ruolo navigante, nel settembre 1933 e diventa tenente pilota nel luglio 1934. In quell'anno frequenta la Scuola Caccia a Castiglione del Lago e quella di Osservazione aerea, ove segue il corso di osservazione lontana, e poi viene assegnato al 1° Stormo C.T. Si legge in un "rapporto informativo" sul tenente Iannicelli, redatto il 16 febbraio 1935 dal comandante la 72a squadriglia, capitano pilota Alfredo Reglieri: "E' di sana e robusta costituzione. Non ha notevole attitudine per lo sport, al quale si dedica poco. E' un ufficiale intelligente. Ha buona cultura generale e professionale. E' chiaro nel ragionamento e dimostra di avere molto buon senso. Si esprime con e proprietà di linguaggio. Ha notevole spirito di osservazione e sviluppate qualità artistiche. Ha carattere forte e volitivo. E' leale, sincero, buon camerata. Possiede elevati sentimenti dell'onore e del decoro. E' molto sensibile ai richiami. E' rispettoso, disciplinato. Ottima condotta anche fuori servizio.

Ha molta vocazione per la carriera aeronautica. Sa istruire i dipendenti. Ha sufficiente iniziativa. Alla sua inesperienza del funzionamento del reparto, supplisce con la volontà ed anche con lo zelo. Con le sue buone qualità di carattere, di mente e di cuore, se saranno ben curate ed indirizzate, diventerà certamente un buon ufficiale. Ha grande passione per il volo. Il desiderio di progredire in esso lo porla ad accelerare i tempi e a fare ciò che la sua non ancora formata esperienza gli consente. Va perciò frenato e guidato. Ha in complesso notevoli qualità di pilotaggio e molta resistenza al volo.

Il giudizio finale è di "buon pilota" con punti 17/20 e "buon tenente" con punti 3, confermato il primo e ridotto a punti 2 il secondo, dal comandante del XVII gruppo e confermato dal comandante il 1° stormo caccia, evidentemente un po' più severi. Al di là del linguaggio usato, caratteristico delle "note di qualifica" redatte in ambienti gerarchicamente organizzati, le parole riportate sembrano delineare abbastanza bene la personalità e le capacità del giovanissimo tenente pilota Iannicelli, da poco uscito dall' Accademia Aeronautica.

Scoppiato, nell'ottobre 1935, il conflitto italo-etiopico, il suo gruppo viene trasferito a Catania, ma non è chiamato a partecipare alle operazioni. Fra il 1936 ed il 1937 torna prima all'Accademia come istruttore professionale del Corso "REX' e del corso dei Sottotenenti di Amministrazione e poi, nel luglio del 1937 va al 52° Stormo C.T., comandato dal colonnello Tessore, di base a Ghedi (Brescia), dove lo raggiunge la nomina a capitano pilota.

E' un periodo di tranquillità, di normale attività di volo. Conosce allora quella che sarà sua moglie, che all'epoca abitava a Brescia, nella centralissima piazza della Vittoria, al decimo piano dell'edificio, recente opera dell'architetto Piacentini, da tutti chiamato "il grattacielo" per la sua altezza notevole per i tempi. Su quel fabbricato il comandante Iannicelli manifesta il suo interesse per la signora con ardite puntate effettuate con il suo caccia, spesso in compagnia degli amici Pocar e Raoul Zucconi, fra lo sconcerto degli altri inquilini e con grande compiacimento della stessa, compiacimento ancora vivo ed evidente nei suoi racconti di tanti anni dopo. Dall'estate del 1938, però, per il capitano Iannicelli tale tranquillità finisce e per lui la parola "pace", tranne l'intervallo tra l'autunno del 1939 ed il giugno del 1940, non ha significato, coinvolto com'è nei conflitti che caratterizzano quel periodo.



giovedì 21 luglio 2022

Una proposta per El Alamein

El Alamein nell'80° Anniversario della battaglia.

Su richiesta del Circolo Culturale Tricolore di Sesto San Giovanni abbiamo ideato una proposta che con la Campagna di Russia è poco attinente ma ci consentirà di onorare e ricordare tutti quei ragazzi che presero parte all'ultima battaglia di El Alamein dal 23 ottobre 1942 all'11 novembre 1942; e grazie al permesso del Circolo Culturale Tricolore possiamo estendere questa proposta a chiunque fosse interessato.

Venerdì 21.10 partenza da Milano Malpensa; arrivo a Il Cairo; trasferimento in pullman ad El Alamein; cena e pernottamento in hotel.

Sabato 22.10 prima colazione in hotel; partenza per la visita al bunker di Rommel (Rommel Cave Museum) a Marsa Matrouh; visita alla spiaggia di Aghiba, le “Maldive dell’ Egitto"; pranzo in un ristorante locale; rientro in hotel; cena e pernottamento.

Domenica 23.10 prima colazione in hotel; partenza per il Sacrario Italiano di El Alamein (dove riposano i resti mortali di circa 5.200 caduti) e Quota 33 (altura in cui il 52° Gruppo Cannoni da 152/37 fu distrutto); visita al cippo "Mancò la fortuna non il valore"; visita al Sacrario tedesco (dove riposano circa 4.000 caduti tedeschi) e al Cimitero del Commonwealth (dove riposano circa 6.500 caduti britannici); visita al Museo Militare di El Alamein (ricco di testimonianze del conflitto); pranzo in un ristorante locale; rientro in hotel; cena e pernottamento.

Lunedì 24.10 prima colazione in hotel; partenza per Il Cairo; arrivo in aeroporto e rientro a Milano Malpensa.

TARIFFE: Euro 780,00 inclusa polizza sanitaria base.

LA QUOTA COMPRENDE:
- 3 notti con trattamento di camera e colazione presso Rhactus Hotel NewAlamein (5*) o struttura di pari livello,
- trasferimenti aeroporto - hotel e viceversa,
- accompagnatore dall’Italia,
- visite come da programma, ingressi nei siti archeologici indicati,
- assistenza e guida locale parlante italiano,
- polizza assistenza medica + garanzia bagaglio.

LA QUOTA NON COMPRENDE:
- volo Egyptair Milano - Il Cairo - Milano e diritti emissione biglietteria Euro 25,00,
- visto d’ingresso Egitto + assistenza in italiano Euro 35,00,
- assicurazione annullamento viaggio e copertura Covid pari al 5% della quota,
- mance, bevande, spese personali, eventuali tasse locali e tutto quanto nonindicato ne “La quota comprende”.

OPERATIVO VOLI EGYPTAIR.:
- 21/10 partenza da Milano Malpensa 14.30 - arrivo a Il Cairo 18.10
- 24/10 partenza da Il Cairo 12.55 - arrivo a Milano Malpensa 16.50
- tariffe da Euro 450,00 incluso tasse e bagaglio (le tariffe potrebbero subirevariazioni e adeguamenti carburante).

Supplemento camera singola: euro 270,00.

Tutti i servizi sono su riconferma e la quota è riferita ad un minimo di 15 partecipanti; al momento dell’adesione è richiesto acconto pari al 30%, interamente da restituirsi se non verrà confermato il viaggio.

Per informazioni e prenotazioni potete chiamare o scrivere con WhatsApp al numero 349.6472823

mercoledì 20 luglio 2022

Siamo noi, puntata del 19.01.2016

Siamo noi - Puntata del 19 gennaio 2016 con la partecipazione dello scomparso giornalista Pino Scaccia, Marco Revelli figlio di Nuto Revelli, GianLuigi Iannicelli figlio del Capitano Pilota Giorgio Iannicelli e Giuseppe Bassi, uno dei pochi reduci della Campagna di Russia ancora in vita.

martedì 19 luglio 2022

Capitano Pilota Giorgio Iannicelli, 1

Questa è una di quelle storie, quelle belle storie da raccontare che danno un ulteriore senso a questa pagina e al sito collegato. Prima dell'inizio della guerra in Ucraina e della mia conseguente pausa di riflessione, ricevo un'email dal Signor GianLuigi Iannicelli, figlio del Capitano Pilota GIORGIO IANNICELLI, Medaglia d'Oro al Valor Militare, caduto il 29 dicembre del 1941 nei cieli di Russia, presidente dell'U.N.I.R.R. di Roma. Dell'esistenza di questa mia pagina ne è venuto a conoscenza dalla figlia.

L'email contiene parole di apprezzamento e la richiesta di poter entrare in contatto con me. Ovviamente non me lo faccio ripetere due volte e una domenica lo chiamo al suo numero di cellulare. Mi risponde un signore gentilissimo e che naturalmente mi ispira tantissima simpatia; a tutti i costi vuole che gli dia del tu... e inizia a raccontarmi del suo povero papà, uno dei tanti papà mai più tornati, inghiottiti da quella guerra. Di Giorgio Iannicelli conoscevo il nome e sapevo della Medaglia d'Oro, ma ovviamente non tutti i dettagli di questa ennesima triste storia.

Ho parlato per oltre mezz'ora con GianLuigi e mi ha trasmesso un profondissimo sentimento per il padre "conosciuto" a pochi mesi d'età e poi mai più visto; dalle sue parole ho "sentito" tutto quello che un figlio può nutrire per un padre caduto in guerra. Questi rari momenti che ho il piacere di poter vivere davvero danno una carica a continuare e non mollare mai, per loro... per loro che non sono tornati e per voi che a casa li avete aspettati per anni e che ancor oggi cercate informazioni, seppur ad 80 anni di distanza.

GianLuigi mi ha fatto dono di un suo bellissimo lavoro in memoria del padre e soprattutto mi ha dato il permesso di pubblicarlo, in modo che tutti ne possano essere a conoscenza. Ora non mi resta che lasciare a lui la parola, in ricordo del papà Giorgio e in ricordo di tutti quei papà, mariti, fratelli, nonni mai più tornati dalla Russia. Mi auguro che le parole che leggerete possano anche a voi fare lo stesso effetto che hanno fatto a me... e un profondo grazie a GianLuigi per aver condiviso con me la sua storia.

A Benedetta, con profondo affetto.

Queste poche e semplici pagine vogliono essere un atto d'amore nei confronti di un padre tanto amato, ma del quale non conservo un'immagine diretta; non ho la percezione della sua voce, delle sue inflessioni, dell'espressione dei suoi occhi, del suo gestire, insomma del suo modo di essere. Il mio rapporto diretto con lui rimane fissato solo in alcune fotografie. Ho avvertito la sua mancanza, talvolta in maniera lancinante, specialmente durante l'adolescenza, ma anche dopo, quando scelte e responsabilità erano rimesse unicamente a me.

Il suo ricordo, però, ha svolto un ruolo importante nella mia vita, la sua personalità, delineatami dai familiari cosi bene e in maniera gioiosa e completa, lo ha reso quasi presente e ha infuso in me un senso di orgoglio e di profonda fierezza di essere suo figlio. L'ho tanto cercato anche nella memoria degli altri, nelle sue lettere, fino nei luoghi che hanno visto le sue imprese e il suo sacrificio. Lo sento profondamente vicino, anche se non mi è stata neppure concessa la consolazione di ritrovare le sue spoglie e cosi la possibilità di poter onorare con un fiore la sua tomba.

L'andare degli anni, lui fermo nella pienezza della gioventù, nell'attimo in cui la morte l'ha colto, e io ormai avanti nella vita, me lo fanno ora sentire quasi come un figlio, oggetto di commossa tenerezza. Il pensiero struggente e riconoscente va a mia madre Elisabetta, alla quale devo tutto, anche l'amore con il quale ha saputo instillare e coltivare in me la memoria di papà. A mia moglie Patrizia devo la profonda e tenera solidarietà di cui mi ha circondato in tutti questi anni della mia ricerca di papà, accompagnandomi anche in luoghi lontani e standomi vicino in tanti momenti di profonda emozione.

A mia figlia Benedetta, anche lei partecipe commossa e affettuosa di questa mia personale vicenda e alla quale tanto ho pensato nello scrivere queste righe, affido la memoria del nonno e la continuazione di quanto sto facendo. A tutti quelli che mi hanno aiutato e mi sono stati vicini va la mia profonda riconoscenza. In particolare, ai cari amici, gli impareggiabili Franco e Giuliana Martini, lui reduce di Russia e coetaneo di mio padre, instancabili e appassionali cultori della memoria dei nostri Caduti in quella campagna, al generale di squadra aerea Stelio Nardini, protagonista di eventi decisivi che hanno consentilo l'apertura delle ricerche dei nostri Caduti di Russia, custode geloso e appassionato di tante memorie dell'Aeronautica Militare Italiana e a Silvano Zitti, Presidente della Sezione Marche dell'Unione Nazionale Reduci di Russia, anche lui orfano di un Caduto di laggiù, che condivide la stessa mia storia, artefice e protagonista paziente di tanti viaggi, di pellegrinaggi dolenti, di innumerevoli incontri, tutti dedicati alla ricerca e al ricordo dei nostri soldati finiti in quelle terre lontane e che tanto mi è vicino e tanto ha fatto e fa anche per me. Un ricordo affettuoso ai compagni d'Accademia di mio padre che ho conosciuto (Ciccio Sforza, Roberto Fassi, Sandrino Cerulli, Duilio Fanali, Raoul Zucconi, Gianni Macorig), ormai tutti scomparsi e ai "suoi ragazzi" (in particolare Bepi Biron) che con il mio caro hanno diviso tante vicende e tanti sacrifici e, in qualche caso, anche la morte in combattimento. Infine, un pensiero reverente e commosso e una preghiera per tutti coloro che da laggiù, dal fronte russo, non sono tornati.

Roma, giugno 2005.

Le fotografie di Mario Bagnasco, 21

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"Reclutamento civili per industrie germaniche".

Osvaldo Bartolomei è andato avanti

Osvaldo Bartolomei ha raggiunto i suoi compagni d'arme; probabilmente l'ultimo reduce del Battaglione Monte Cervino in vita si è spento oggi dopo aver compito da poco i 100 anni. Con lui un'altra parte della nostra storia che se ne va per sempre.

A questi link la sua partecipazione ad un incontro che avevamo organizzato a Firenze in ricordo della Campagna di Russia:
https://www.unitalianoinrussia.it/2019/05/osvaldo-bartolomei-1.html
https://www.unitalianoinrussia.it/2019/05/osvaldo-bartolomei-2.html
https://www.unitalianoinrussia.it/2019/05/osvaldo-bartolomei-3.html
https://www.unitalianoinrussia.it/2019/05/osvaldo-bartolomei-4.html
https://www.unitalianoinrussia.it/2019/05/osvaldo-bartolomei-5.html

lunedì 18 luglio 2022

Storia Illustrata 1967, parte 5

Storia Illustrata del Dicembre 1967, speciale 1941-1943 la Campagna di Russia, quinta ed ultima parte.































sabato 16 luglio 2022

Il Corpo d'Armata Alpino non si arrende, 3

Il Corpo d'Armata Alpino non si arrende, di Julius Bogatasvo - terza parte.

Erano ormai le tre di notte; fra poco sarebbe sorta l'alba e forse sarebbe stato già troppo tardi; bisognava tornar fuori ad ogni costo, ributtarsi sulla neve ghiacciata, sulle fantomatiche tracce di un battaglione che era scomparso nel buio, volatilizzato nella notte fonda, fra quelle tenebre ingannatrici. Russi... alpini... alpini... Russi; chissà dov'erano gli uni e dove stavano cercando riparo gli altri... Un'occhiata alla bussola; un balzo fuori, lui, Damini, e Sanguinetti alle calcagna. La linea... ma chissà dov'è la linea. Occorre prudenza, cautela per non finire in bocca al nemico; certo l'esperienza di quella pattuglia dev'essere stata tragica; credere di trovare degli amici e imbattersi a faccia a faccia con il nemico!

Le mani erano contratte sul mitra, la cui canna fendeva il buio come un sinistro braccio metallico che sporgeva dal curioso giubbone senza maniche col pelo all'interno. Ogni tanto la mano correva anche al tascapane, per vedere se le bombe a mano fossero ancora lì, al sicuro. Tascapane e mitra erano gli unici oggetti neri a sporgere dalla tuta mimetica che avvolgeva il corpo come un bianco sudario. All'improvviso Damini fece un cenno a Sanguinetti. Delle ombre bianche s'erano mosse nell'oscurità. Ombre con tute mimetiche, identiche a quelle portate dagli alpini... Alpini o Russi? Anche i Russi (erano, infatti, loro) s'arrestarono di colpo, colti dal medesimo dubbio: Nostri o nemici? Sarebbe bastato un comando secco: "Stoi!" e una raffica, perché a quella distanza la morte degli avversari fosse Sicura. Ma l'apparizione era stata troppo improvvisa e subitanea per poter reagire. E quando Damini aprì bocca disse proprio quello che non doveva dire; gli usci, chissà perché: "Alpini, di che compagnia siete?".

Ma i Russi non risposero; s'erano già dileguati, preferendo non ingaggiare battaglia, per non attirare l'attenzione di altri Italiani, forse, su truppe assai maggiori impegnate in ben altre incombenze che non quelle del pattugliamento... Oppure no... Chi lo sapeva... Veniva da piangere e Damini si morse le labbra in silenzio. Il cammino ripreselento, circospetto. In quell'istante una raffica vicinissima sibilò attorno ai due. I Russi s'erano appostati poco distante, pronti a cogliere gli Italiani in una trappola mortale. In quel momento la steppa appariva pullulante di bianchi fantasmi. No, non era possibile, doveva essere un'allucinazione. Eppure si stava sparando; quella raffica ne aveva attirate altre; ma erano colpi inconfondibili di armi russe... e allora? Allora niente, non bisognava rispondere; meglio filare alla svelta; ma dov'era il Val Cismon? Dov'erano gli alpini?

Quattro puntini bianchi: due ufficiali e due alpini, tutti in tuta mimetica, quattro vite sospese a un filo; quello erano in quel preciso istante Damini, Sanguinetti e i due "bocia". Ecco una balka; meglio infilarsi lì vicino, cercare di raggiungerla, ma carponi stavolta, con il passo del gattino, scivolando sulla coltre rilucente. Si udivano dei rumori, come un parlottare sommesso. Damini tese le orecchie, cercando di distinguere se si trattasse di Italiani o di Russi. No, niente da fare: erano Russi e molti anche, tanti. Ma com'era possibile? Quello non era più uno sfondamento, era un dilagare... come un fiume che avesse rotto gli argini, come la piena di un torrente gonfiato dalle acque primaverili fino a scoppiare, a invadere i campi circostanti. Bisogna ancora cambiare direzione, allontanarsi anche da lì. Ma dove andare? Come non perdere l'orientamento in mezzo a quella distesa bianca senza segni di riconoscimento, senza confini? Meglio tornare indietro, cercare di riprendere collegamento con le linee. Altrimenti si rischiava di essere inghiottiti da quel nulla.

Ancora altri sforzi, un lasciare, in silenzio perfetto, dietro le spalle quel luogo pericoloso: poi, quando la distanza di sicurezza era stata raggiunta, un mettersi in piedi di colpo, un gettarsi a camminare talmente di fretta da correre, quasi, guardando qua e là, cercando di fendere quel buio, quella caligine, agitando dinanzi a sè il mitragliatore silenzioso come uno spauracchio; per farsi coraggio, anche. Si camminava da un'ora, ormai. Le lancette fosforescenti dell'orologio venivano consultate a ogni piè sospinto, ma parevano immobili tanto il tempo scorreva lentamente; eppure non s'era smesso un solo secondo di camminare, agitando le braccia in segno di via libera, non dicendo una parola per non attirare qualche nemico in agguato. Fu in quell'istante che si udi un grido nell'oscurità: "Alt!". ...seguito poco dopo da un rassicurante "Chi va là?". Erano proprio loro, quelli del Val Cismon. Ridotti allo stremo, con l'umore a terra, ma ancora vigili.

Si trattava di dieci uomini sprofondati nella neve accanto a un piccolo ponticello di legno. L'unica arma, una mitragliatrice pesante, sembrava poca cosa di fronte a infiltrazione nemica in quella direzione. "Come mai vieni da quella parte?", urlò un alpino dopo il "chi va là"; "non ti hanno preso i Russi?". Damini involontariamente sorrise; la calma di cui dava prova quell'uomo era ammirevole; eppure quegli alpini da tre ore erano immobili e silenziosi nei pressi dell'arma ed era dalla mattina presto che non toccavano cibo. Damini si affrettò a chiedere notizie del battaglione Val Cismon: "Dovevamo prendere posizione più avanti", risposero quelli, "ma abbiamo trovato i Russi: un nostro plotone che si era fatto più in là e si era impegnato ha avuto la peggio. Il nostro comandante, il capitano Valente, ha tentato invano un attacco con la compagnia; ma i Russi erano ormai troppo saldi nella posizione, possedevano dei cannoncini e l'azione è stata impossibile. Adesso siamo schierati lungo la balka, della quale noi siamo la punta. Abbiamo avuto molte perdite e prigionieri anche, a causa delle posizioni del nemico, sconosciute. I Russi si sono cacciati tra di noi silenziosamente, all'improvviso. Ogni tanto ci prendevano a raffiche di mitragliatrice. C'è mancato un pelo che il battaglione non si disfacesse. Ma il capitano Valente è riuscito a tenerci in pugno e ci ha schierato qua. Come va negli altri settori?".

Damini era confuso di fronte a quella esposizione, cosi precisa, cosi pacata. Ma in fondo era anche contento di aver trovato degli uomini che in quei frangenti non avevano perso il controllo dei propri nervi. Perciò, per infondere un po' di coraggio, Damini spiegò alle dieci penne nere del Val Cismon che tutto, sul fronte, andava bene e che solo lì si stava verificando un tentativo di penetrazione da parte russa. Pensò poi a quanto avrebbero potuto resistere quegli uomini sdraiati neve senza un riparo nè una buca nel terreno nè il calore di una fiamma cui esporre le membra intirizzite e prossime al congelamento. Loro e i loro compagni, (un centinaio di uomini in tutto) se ne stavano in silenzio attendendo il momento della verità.

La voce del Damini aveva intanto attirato l'attenzione di uno che lo bene; si trattava proprio del Capitano Valente: "Damini, sei tu?". "Si, sono io...". "Ma che cosa fai qui... come hai fatto...". Valente era meravigliato; come aveva potuto Damini giungere fino al Val Cismon completamente isolato? Ma lo sapeva che i Russi avevano sfondato proprio nel punto di congiunzione fra il Val Cismon e il Cividale e che i collegamenti con i reparti tedeschi sulla destra del battaglione erano completamente interrotti? Possibile che con il Sanguinetti e i due alpini fosse riuscito a passare indenne attraverso la breccia russa colma di truppe? Eppure era proprio accaduto questo; un miracolo. Ma era successo. E adesso Damini si trovava in carne ed ossa davanti a lui. Valente era sconvolto. Parlava di fretta, agitatissimo. Avrebbe voluto andarsene via subito da quel mattatoio senza scampo... ma c'era il dovere; era un ufficiale che aveva giurato e avrebbe rispettato il proprio grado, il proprio onore; avrebbe resistito sino alla fine.

Le parole gli uscivano una dietro l'altra senza interruzione; era l'effetto della tensione nervosa che cercava sfogo, della stanchezza mortale che gli si leggeva in volto, di tutte quelle ore insonni e febbrili. "I due apparecchi radio non funzionano... i telefonisti sono scomparsi con tutto il materiale... Damini, è un disastro ti dico... la situazione è disperata, disperata... prevedo che moriremo tutti senza che il nostro sacrificio giovi al momento... capisci Damini?". Damini non sapeva che cosa dire. Il suo pensiero era altrove. Doveva raggiungere al più presto il comando del Cividale, dove aveva lasciato la macchina, doveva riattraversare quella fascia di Russi... Cosi Damini si congedò da Valente e si ricacciò nel buio lasciando presso il Val Cismon Sanguinetti e due alpini. Il tenente si trovò quindi solo nell'immensità delle tenebre popolate a tratti dalle ombre furtive dei Russi.

Si dice Che quando un uomo è in pericolo, dentro di lui si risvegli l'istinto animale, quello che dovette indubbiamente possedere il suo primitivo antenato delle caverne. Certo è che quella sera Damini riuscì, per virtù di quest'istinto, a ritrovare, chissà come, la pista battuta che portava a Krinitsknaja, la località che gli alpini, al primo vederla, avevano soprannominato "Crist-che naja". Damini era soddisfatto di sé; finalmente poteva informare il comandante del Cividale, raccontandogli per filo e per segno quello che era successo. Ancora un balzo nella notte e sarebbe stato ben presto fra i suoi, a riferire.

È in questo modo, proprio come l'abbiamo narrato sulla scorta della testimonianza di un uomo, che ha inizio l'ultimo atto del Corpo d'Armata Alpino, la più tragica delle ritirate che mai storia di Russia ricordi, superiore, come perdite e come drammaticità, perfino a quella napoleonica. In questo quadro dalle tinte fosche, non c'è possibilità di scorgere sprazzi di luce o tinte ottimistiche. Nulla di nulla. La storia del Corpo d' Armata Alpino è amara, dal principio alla fine, è la vicenda di un valore senza fortuna e senza speranza. Eppure era cominciata quasi allegramente, con la presenza in terra russa di un solo battaglione, giunto nei primi mesi del 1942, al tempo del disgelo.

L'avevano detto tutti: il disgelo, a volte, è peggio del ghiaccio; state dunque attenti. Ma nessuno, di quelli del CSIR, aveva mostrato di credervi. La fine del freddo, il volger dell'anno verso temperature più sopportabili, era un avvenimento cosi fausto che ciascuno si sentiva rinascere; si aveva insomma la sensazione che il cuore si allargasse, che il petto respirasse meglio, che una nuova vita nascesse dentro un corpo stanco e logorato dalle battaglie sostenute nell'inverno. Una sorta di euforia, una voglia di fare, aveva contagiato ognuno, dal capitano all'ultima recluta, piovuta, per disgrazia o... fatalità, in quel fronte impossibile, dalla morte facile.

Il viaggio del 2011, Nikolajewka

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la discesa verso Nikolajewka.







martedì 12 luglio 2022

Rapporto sui prigionieri, parte 18

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

I TRATTENUTI.

I modesti risultati della pur martellante propaganda tra gli ufficiali, aveva indispettito le autorità russe ed i comunisti italiani incaricati di svolgerla. Minacce e lusinghe, trattamenti di favore per chi aderiva, stretto controllo del comportamento e dei discorsi dei renitenti, loro torchiamento con reiterati interrogatori diurni e notturni, avevano fatto poca presa sulla massa degli ufficiali. Non solo, ma quasi tutti si rifiutavano di firmare appelli ed indirizzi giacobini al popolo italiano, ringraziamenti alle autorità russe per il trattamento cui erano oggetto, plausi e glorificazioni all'eroica Armata Rossa, "apportatrice di libertà ai popoli d'Europa".

Nella loro contorta mentalità poliziesca gli ufficiali della NKVD ammettevano che gli italiani fossero cosi tetragoni a verità lampanti come il marxismo ed il leninismo, erano stupefatti che mettessero molto in dubbio tutte le stupefacenti conquiste sociali, economiche e politiche sbandierate dai loro libri, dai loro conferenzieri, dagli articoli de "L'ALBA". Secondo loro i casi erano due: o tutti gli ufficiali erano rimasti pervicacemente fascisti o erano subornati da alcuni elementi che sabotavano l'opera dei loro propagandisti. Non prendevano in considerazione la probabilità che i prigionieri avessero occhi e cervello, che prima della cattura, nelle zone occupate ed anche dopo, nei loro contatti con la realtà russa in occasione dei lavori all'esterno del lager, avessero potuto vedere e giudicare a sufficienza cosa fosse veramente il comunismo.

I russi, dunque, ritennero che il modo giusto per convincere i tiepidi e gli agnostici fosse quello di individuare ed isolare quelli che, secondo loro, mal consigliavano i colleghi ed intimorire quest'ultimi, non più con blande minacce ma con un concreto ed esemplare provvedimento punitivo. Il compito fu facilitato da un gruppo di prigionieri onestamente, a viso aperto, sbugiardavano e controbattevano i commissari, li mettevano in difficoltà o li ridicolizzavano durante le riunioni o conferenze. Questi prigionieri, agli interrogatori dei russi della NKVD, non si facevano scrupolo di rinfacciare loro l'infame trattamento subito dopo la cattura e la responsabilità della morte di migliaia di prigionieri; nelle discussioni tra colleghi, non avevano peli sulla lingua nel mettere in evidenza le idiozie e le infamie di chi scriveva su "L'ALBA" e sul giornale murale ed il comportamento indegno ed anti italiano di chi firmava certi appelli. Erano sentimenti e ragionamenti che quasi tutti condividevano, ma non era saggio proclamarli ai quattro venti in un ambiente dove la libertà di parola e di pensiero era considerata un delitto e tutto era da permeato da menzogne, inganno, spionaggio e delazione.

Il provvedimento, maturato lungo tempo, fu preso gennaio del 1945. Tredici ufficiali ed un sergente (quest'ultimo un infiltrato con funzioni di spia) furono trasferiti dal campo degli ufficiali di Suzdal nel campo di punizione di Susslongher nella Repubblica Autonoma dei Mari, una regione oltre il Volga. Contemporaneamente anche il tenente medico Reginato, che nel frattempo era stato inviato, come parecchi altri medici italiani, in lager dei soldati a svolgervi assistenza sanitaria, fu prelevato e mandato a Susslongher. Nel nuovo campo la disciplina era durissima, le angherie. le percosse e le perquisizioni continue; per ogni nonnulla i prigionieri venivano messi in carcere in un bunker interrato senza riscaldamento.

Quando nel giugno del 1946, tutti gli altri ufficiali italiani rinchiusi a Suzdal furono mandati ad Odessa per il rimpatrio, anche una parte di quelli isolati a Susslongher, li raggiunsero, ma quale non fu la loro sorpresa quando, invece di partire con gli altri per l'Italia, furono mandati a Kiev dove trovarono quelli dai quali si erano separati qualche settimana prima nel campo di punizione. Nel nuovo campo i nostri "reazionari" (cosi erano stati bollati dai russi) trovarono quindici soldati italiani provenienti dal campo di Pakta Aral. Anche loro erano stati trattenuti quando gli altri loro compagni erano partiti per l'Italia, sei mesi prima. La ragione del mancato rimpatrio era la stessa che per gli ufficiali: nessuna concessione alla propaganda, rifiuto di firmare appelli e false dichiarazioni, ma anche scarso rendimento al lavoro, tentativi di fuga, vendette di capi brigata, prigionieri italiani come loro.

I russi erano furibondi con questi ufficiali italiani che anziché piegarsi, diventavano sempre più refrattari, insolenti, motivo di disordine e cattivo esempio per i prigionieri delle altre nazionalità egualmente isolati nello stesso campo di punizione. Gli italiani reagivano con scioperi della fame alle angherie, continuavano a scrivere istanze e proteste alle autorità del campo ed a quelle centrali, si rifiutavano di lavorare, davano risposte sprezzanti agli interrogatori, rifiutavano di sottoscrivere qualsiasi verbale. Così imbastirono contro di essi una serie di processi farsa, accusandoli delle cose più assurde. Processi che si concludevano nel giro di poche ore, dove sfilavano testimoni civili russi terrorizzati e dove il difensore d'ufficio era più ostile del pubblico accusatore.

Tra la fine del 1948 ed i primi del 1949, tutti gli ufficiali italiani trattenuti, vennero condannati a pene variabili dai 10 ai 25 anni di lavori forzati per "attività antisovietica". Da allora, ognuno di essi ebbe storie differenti, perché sparpagliati in campi e carceri diversi che, oltretutto venivano cambiate con frequenza. Nel 1950 si ritrovarono quasi tutti nelle carceri di Kiev mentre i tre generali Battisti, Ricagno e Pascolini, "ospiti" del lager 7062/11 di Kiev, stavano per essere rimpatriati. Nel novembre 1950, tutti gli italiani condannati furono raggruppati nel campo di lavoro di Providanka, vicino a Stalino, dove rimasero fino al giugno 1953. In questi tre anni, malgrado la gravosità del lavoro, la vita migliorò sensibilmente anche perché era stato loro concesso di ricevere pacchi dall'Italia. Dopo altri trasferimenti, finalmente nel gennaio del 1954, gli ultimi dodici prigionieri dell'ARMIR varcarono il confine e rientravano in Patria, dopo dodici anni di assenza.

Qualche caso merita un accenno a parte. I tre generali furono catturati a Valuiki il 27 gennaio 1943. Con un piccolo aereo vennero trasferiti a Bobrov, sede del Comando di Vassilievski, dove subirono un primo interrogatorio da parte di questi. In seguito vennero trasferiti a Mosca nel carcere della Butiskaja dove rimasero fino al maggio 1943 sottoposti estenuanti interrogatori. Dopo un breve periodo nel campo di Suzdal insieme a tutti gli altri ufficiali italiani, vennero trasferiti al lager 7048 di Vojkovo e poi al 7062/11 con la maggior parte dei generali tedeschi. Il capitano dei carabinieri, Dante Jovino, catturato a Valuiki fu trasferito in un campo dell'Asia, poi alla Lubianka di Mosca (la prigione del NKVD) indi al campo 27 nei dintorni della capitale. Condannato ai lavori forzati ritornò in Siberia fino al 1950. Dopo fu portato a Stalingrado ed infine riunito agli altri italiani nel 1951.

Il marinaio Riccò fu preso dai tedeschi nel Dodecaneso ed internato in Polonia dove nel 1945 fu liberato dai russi che lo mandarono prima a Tambov, poi a Stalingrado per finire a Kiev ed essere condannato ai lavori forzati come gli ufficiali. Analoga sorte quella del sottotenente Boletti del 5° Alpini. Catturato dai tedeschi in Alto Adige l'otto settembre '43, fu deportato in Germania. Fuggì dal lager nazista ed andò a combattere con i partigiani polacchi. Arrivati i russi, lo arrestarono, lo accusarono di spionaggio e fu condannato a venti anni di campo di lavoro. Trascorse un lungo periodo nel lager di Vorkuta, non lontano dal Mar Glaciale Artico. Dopo essere passato per altri campi fu rinchiuso a Kiev con gli altri ufficiali italiani trattenuti, ma poi fatto girovagare ancora. Ritornò in Patria solo nel settembre del 1954.

Un breve supplemento di prigionia venne inflitto anche ad un folto gruppo di ufficiali, al momento del rimpatrio. Quando la tradotta con tutti gli ufficiali giunse in Romania, cinquanta di loro furono trattenuti, evidentemente in ostaggio, in attesa delle reazioni che si sarebbero prodotte in Italia al rientro del gruppo principale. La scelta fu fatta da Robotti, appositamente giunto da Mosca, con la collaborazione degli ufficiali italiani comunisti. Rientrarono circa un mese dopo.

Le fotografie di Mario Bagnasco, 20

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

Questa è una delle fotografie più interessanti della serie: "Guardia civile".

lunedì 11 luglio 2022

I caduti di Pasturo

Qualche settimana fa durante uno dei miei giri solitari in montagna, mentre salivo verso la vetta della Grigna, partendo da Pasturo, ho trovato questa piccola cappella degli Alpini, dedicata a tutti i caduti in guerra. In particolare mi soffermo sui caduti di Russia, come sempre... 16 ragazzi, in maggioranza Alpini, mai più tornati a casa. 16 ragazzi morti in prigionia o dispersi per sempre in quelle terre lontane.

Ho verificato tutti quanti sul database di UNIRR e li ho raffrontati alla popolazione del paese nel censimento del 1936, quello più vicino a quei tragici eventi. Grazie agli Alpini che li hanno così ricordati.