venerdì 28 maggio 2021

Orrore Bianco - La campagna di Russia 1942-43

Il documentario "Orrore Bianco - La campagna di Russia 1942 1943".

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



Immagini, batteria antiaerea

Batteria antiaerea da 20/65 mm Breda con serventi posizionata sul Fronte Russo. Peso 72 kg, gittata 5500 metri, tiro utile 2500 metri.

MOVM - Gualdoni Fedele

Le Medaglie d'Oro al Valor Militare della Campagna di Russia, Sottotenente GUALDONI Fedele - 4° Reggimento Genio R.T.

Motivazione: "Comandante compagnia T.R.T. in un momento particolarmente difficile dava il valido volontario contributo del suo reparto per la costituzione di importante caposaldo, tosto investito da poderose forze nemiche. Su terreno ghiacciato e scoperto, durante 14 giorni di attacchi avversari, manteneva integra la linea affidatagli, trascinando più volte al contrattacco i suoi genieri. Il 15° giorno, ferito ad un braccio, mentre respingeva nuovi poderosi attacchi, continuava la lotta riuscendo ad impedire lo scardinamento della difesa e, sostituendosi al puntatore dell’unica mitragliatrice rimasta efficiente, infliggeva al nemico gravissime perdite. Ferito gravemente al petto, non desisteva e, con supremo sforzo, volgeva il suo fuoco su altre colonne avversarie tendenti ad aggirare la posizione. Impegnati i suoi eroici genieri in un cruento corpo a corpo, ne proteggeva ancora il ripiegamento; colpito a morte sull’arma, cadeva da purissimo eroe. - Tscherkowo (Russia), 19 dicembre 1942 - 4 gennaio 1943".

giovedì 27 maggio 2021

Ricompense - 8a Armata - Unità del Genio

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

8a ARMATA - UNITA' VARIE DEL GENIO

MOVM Sottotenente GUALDONI Fedele, alla memoria
MAVM Tenente Colonnello MASSARO Cino
MAVM Tenente MASSO Ottavio
MAVM Tenente MORETTI Pietro
MAVM caporal maggiore PEREGO Romeo
MAVM soldato POLLO Silvio, alla memoria
MBVM Maggiore D'AMICO Guido
MBVM Maggiore FERNE' Enzo
MBVM Capitano GHIGLIA Vincenzo
MBVM Tenente LOMBARDINI Giovanni
MBVM Sottotenente GAMBOGI Solitario
MBVM caporale VALENTI Teobaldo, alla memoria
MBVM soldato GULLI Francesco, alla memoria
CGVM Tenente DI GIULIO Antonio
CGVM Tenente FAGIOLI Duilio
CGVM Sottotenente AZZOLINI Erasmo
CGVM Sottotenente PERINI Teodoro
CGVM sergente maggiore BESSE' Roberto
CGVM sergente maggiore FOSCHI Filippo, alla memoria
CGVM caporal maggiore CINTI Luigi
CGVM caporal maggiore CORRADI Enrico
CGVM caporal maggiore PARISE Francesco
CGVM caporale RASTELLI Guido
CGVM caporale SACCHI Enea
CGVM caporale SECCHI Renato
CGVM soldato ARICCI Arnaldo
CGVM soldato CECCARELLI Giuseppe
CGVM soldato CLERICO Luigi
CGVM soldato CROCE Vito
CGVM soldato FERRINI Rodolfo
CGVM soldato MONTANO Francesco
CGVM soldato MORANDINI Francesco
CGVM soldato PAGLIOLICO Francesco
CGVM soldato PIERANTOZZI Giovanni
CGVM soldato PROPATO Carmelo

mercoledì 26 maggio 2021

Rievocazione 2018 a Rossosch, parte 1

Pubblico la prima serie di fotografie scattate il 14.01.2018 a Rossosch e dintorni, e segnalatemi dal Signor Pasquale Granata, relative alla rievocazione storico-militare dedicata al "75° anniversario della liberazione di Rossosh dagli invasori nazisti" con la partecipazione del "FORZA ITALIA! Italian reenactors group in Russia". Una manifestazione che ha visto protagonisti russi ed italiani insieme, ieri nemici e oggi amici, nel ricordo di tutti i caduti.





















La guerra sul fronte orientale, parte 7

Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo settimo video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.

Il processo D'Onofrio, parte 8

Il processo D'Onofrio, ottava parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA DODICESIMA UDIENZA.

8 giugno 1949 - A questo punto si comincia ad avere la sensazione che le parti si vadano mettendo d’accordo per ridurre il numero dei testi. Del resto ormai poche sono le cose nuove che si sentono dire dai reduci che s’avvicendano sulla pedana e, certamente, l'escussione di tutti i 130 testi indotti da una parte e dall'altra non potrebbe portare elementi nuovi in giudizio.

Il primo teste della udienza è il colonnello dei bersaglieri Luigi Longo, omonimo del deputato comunista, già comandante del 3° reggimento. Fu destinato al campo di Susdal e lì conobbe il primo fuoruscito italiano, un certo Roncato, il quale si presentò ai prigionieri parlando in rumeno. Il col. Longo volle conoscerlo personalmente ma sulle prime la cosa fu difficile perché il Roncato finse di non comprendere la lingua italiana. Poi si decise a parlare nella nostra lingua e finì addirittura per esprimersi in dialetto veneto. Il colonnello fu contento di aver trovato un italiano e sperò che potesse venire qualche vantaggio ai prigionieri. Si rivolse infatti al Roncato per ottenere che il comando del campo, tenuto fino allora dai rumeni, fosse affidato ad ufficiali italiani ma si senti rispondere dal fuoruscito che non lo seccasse con le sue chiacchiere.

Non migliore risultato sortì un’altra proposta del colonnello al fuoruscito: quella di ottenere da lui che ai prigionieri italiani venissero restituiti gli indumenti che i soldati russi e quelli croati avevano loro tolto dopo la cattura. Roncato gli rispose che si pretendeva una cosa che 'non era democratica'.

Nel mese di febbraio scoppiò una violenta epidemia di tifo petecchiale e oltre il cinquanta per cento degli ufficiali italiani prigionieri morirono. Anche il Roncato s’ammalò e per un certo periodo di tempo non si vide più. Ma prima di andarsene fece una ispezione alle latrine del campo che, naturalmente, essendo la maggior parte degli internati ammalati, non potevano essere pulite. Andò a cercare il col. Longo e gli disse: 'Colonnello, questa... se non la fai sparire subito, te la faccio mangiare...'.

Il teste subì un solo interrogatorio dal maggiore russo Nowicoff cui assistette il Roncalo che fungeva da interprete. Una volta sola il fuoruscito intervenne per accusare l'esercito italiano di atrocità e di ribalderie di ogni sorta commesse nel territorio occupato. Il teste ha poi ricordato che nell’aprile del 1943 il Roncato riunì tutti gli ufficiali prigionieri e tenne loro un discorso politico al termine del quale domandò quale fosse il nostro parere sugli avvenimenti italiani. I maggiori Massa e Russo, i quali fecero presentile loro idee contrarie a quelle del Roncato, si trovano tuttora in Russia.

Presidente: 'Lei ebbe occasione di vedere altri emigrati italiani durante il periodo della sua prigionia?'.

Longo: 'Sì. Conobbi il fuoruscito Rizzoli il quale svolgeva fra i prigionieri una attiva propaganda filosovietica. Ricordo con precisione che un giorno il comandante russo del campo, il colonnello Krastin, radunò tutti noi ufficiali per dirci che gli emigrati, nella loro qualità di commissari politici, erano funzionari del governo sovietico e che come tali andavano rispettati'.

Fra i prigionieri — ha raccontato — c'era un certo cap. Salvagno, che fu preso particolarmente di mira dal Roncato e sottoposto ad interrogatori estenuanti. Da un ultimo interrogatorio subito il Salvagno uscì talmente disfatto che dette segni di alienazione mentale e tre giorni dopo morì. A questo punto l'avv. Paone ha voluto sapere dal teste se fosse vero che dopo il 25 luglio egli firmò un appello rivolto al popolo italiano perché ponesse fine alla guerra.

Longo: 'È vero'.

Avv. Taddei: 'Sì, ma sarebbe anche bene che si sapesse come il col. Longo fosse indotto a firmarlo dopo quattro giorni di insistenti interrogatori'.

Viene chiamato successivamente a deporre il prof. Germano Mancini che durante la campagna in Russia fu ufficiale medico. Egli ha precisato quali fossero le condizioni sanitarie dei campi di concentramento e ricordato come avvenne la sua cattura. Il Mancini cadde in mano russa mentre si trovava in servizio presso l'ospedale italiano di Kantemirovka nel quale erano ricoverati 386 malati. A tutti fu imposto dai sovietici di firmare un documento in cui si attestava che il trattamento ricevuto dalle autorità russe era stato ottimo. Dovettero firmare anche alcuni moribondi in stato comatoso.

Mancini: 'In vero soltanto di una cosa dovevamo ringraziare i russi: di non essere stati fucilati. Infatti quando l'ospedale fu occupato, quattro dei nostri, fra i quali il cappellano, furono immediatamente fucilati. Quanto alla distinzione fisica che si dice i russi facessero fra i prigionieri per la distribuzione di differenti razioni di viveri, la cosa è vera, ma l'assegnazione alle diverse categorie veniva fatta soltanto in rapporto alla apparenza dei muscoli di ciascuno senza altro esame delle condizioni generali del prigioniero'.

Ai chiarimenti del prof. Mancini, interessanti anche dal punto di vista sanitario, è seguita la deposizione del capitano di fanteria Ferdinando De Ninni che ha spiegato quale fosse l'attività della scuola di antifascismo aggiungendo, a quanto era stato già detto dagli altri testi, che coloro che la frequentavano avevano diritto ad un supplemento di rancio. Personalmente la ritenne sempre una cosa molto poco seria.

Il teste conobbe D'Onofrio nel campo di Skit e da lui fu sottoposto a numerosi interrogatori durante i quali, essendosi rifiutato di 'allinearsi ai nuovi tempi' si ebbe minacce e intimidazioni. Anticipando poi le dichiarazioni che dopo di lui farà lo stesso interessato, il cap. De Ninni ha riferito alcune battute che ebbe occasione di ascoltare, del colloquio svoltosi fra il D'Onofrio e il ten. Sandali. Egli ricorda che l'attuale querelante chiese al Sandali: 'Perché lei non si è iscritto al gruppo antifascista?'. Al che questi rispose: 'Io ho un regolamento da rispettare' avendosi come immediata replica dal D'Onofrio: 'Se lei non la finisce di fare il testardo, se ne pentirà'.

E finalmente, nell’aula, si è sentito parlare del famoso campo di Elabuga da uno che c'era stato: il ten. Rodolfo Sandali il quale fu compreso, come si ricorderà, nella lista nera di quelli che si opposero apertamente all’ordine del giorno proposto dal D'Onofrio dopo il 25 luglio 1943.

Sandali: 'Fui interrogato per la prima volta dal D'Onofrio, appena giunto nel campo convalescenziario di Skit. Nel periodo in cui subii gli interrogatori pesavo meno di 38 chili e anche le mie condizioni morali erano precarie perché da moltissimo tempo non avevo notizie della mia famiglia. Fummo chiamati nell’ufficio del commissario politico ed io fui interrogato per primo. Mi chiese per quale ragione non mi fossi ancora iscritto al gruppo antifascista e quale fosse la mia opinione intorno alla situazione creatasi in Italia dopo la caduta del fascismo. Risposi che la mia qualità di ufficiale mi impediva di pronunciarmi e che comunque avevo intenzione di rimanere fedele al nuovo governo che in Italia si era costituito. Pregai poi D'Onofrio di desistere dall'interrogarmi perché ero letteralmente estenuato. Fu questo a far andare su tutte le furie il commissario politico.

Con tono irato, D'Onofrio mi chiese se amavo la mia famiglia e se avessi il desiderio di rivederla e finì con voce minacciosa: 'Se lei vuol tornare in Italia a rivedere i suoi, deve cambiare le sue idee. Altrimenti se ne pentirà'. Fui terrorizzato dalla minaccia e ciò peggiorò ancora il mio stato di salute. Per tutto il periodo della prigionia quella minaccia mi perseguitò e non ebbi più pace. Il cap. Magnani, il capomanipolo Ferretti, il ten. Santoro, il ten. Ioli erano con me, quel giorno, e le stesse minacce furono fatte a tutti loro. Due giorni dopo l'interrogatorio fummo trasferiti in dieci al campo di Elabuga. Appena arrivammo ci isolarono da tutti gli altri prigionieri'.

Sandali: 'In quel campo vi erano due zone: in una di esse erano raccolti tutti i prigionieri che avevano manifestato tendenze filosovietiche, nell’altra coloro che venivano considerati reazionari. A noi fu vietato nel modo più assoluto di parlare con gli altri prigionieri italiani che si trovavano nell'una e nell'altra zona del campo'.

Presidente: 'Lei è mai stato interrogato in questo campo?'.

Sandali: 'Sì. Fui sottoposto ad interrogatori di carattere politico, ma da un ufficiale russo e da un fuoruscito tedesco. Mi fu chiesta la mia opinione politica e siccome io risposi che non potevo pronunciarmi essendo un militare, l'ufficiale che m'interrogava replicò: 'Questo lei lo ha già detto. Ora sia più preciso nelle sue risposte'. Erano le risposte che avevo dato al D'Onofrio. L'Italia aveva già dichiarato guerra alla Germania e in relazione a questo fatto mi fu chiesto se ero disposto a combattere contro i tedeschi. Risposi di sì e che non avevo mai avuto alcuna simpatia per Hitler. L’ufficiale sovietico mi propose allora di riferirgli i discorsi che i miei colleghi tenevano nella baracca che occupavamo. 'Ciò, aggiunse, migliorerebbe sensibilmente la sua posizione'. Naturalmente io opposi un netto rifiuto a questa proposta'.

Avv. Taddei: 'Il prigioniero aveva una sua cartella personale?'.

Sandali: 'Sì. Anzi io ebbi occasione di vedere la mia. C'erano la fotografia e le mie impronte digitali. Seppi che questa cartella accompagnava il prigioniero nelle sue peregrinazioni attraverso i vari campi'.

Avv. Taddei: 'Logico, eravate dei criminali di guerra...'.

LA TREDICESIMA UDIENZA.

10 giugno 1949. - La richiesta del Tribunale al Ministero della Difesa è stata soddisfatta e oggi si sono saputi, finalmente, i nomi degli ufficiali italiani accusati dalla Russia di crimini di guerra. Dei dodici indicati, dieci sono stati identificati e precisamente: i gen. Roberto Lerici e Paolo Torriassi, il ten. col. Raffaello Marconi, il ten. col. medico Bernardo Giannetti, il magg. Giovanni Biasotti, i cap. C.C. Dante Jovino e Mariano Piazza, il cap. Luigi Groppelli, il ten. Renato Barile, il ten. col. Romolo Romagnoli. Di questi dieci ufficiali tre sono deceduti e precisamente: il gen. Torriassi, i ten. col. Marconi e Romagnoli. Uno soltanto è trattenuto ancora in Russia: il cap. Dante Jovino. I due ufficiali non identificati sono un certo Plass, comandante la regione di Pisarevo e Franzi Piliz, comandante la guarnigione di Kantemirowka.

E questo è stato uno dei due argomenti più importanti della udienza. L’altro è costituito da un caratteristico ordine del giorno del maresciallo Stalin, il quale, evidentemente impressionato dalla alta percentuale di mortalità registrata nei campi di concentramento, avrebbe stabilito: proibito morire! Per il resto poche novità nelle deposizioni dei testi escussi nel corso dell’udienza; com’era prevedibile.

Il prof. Aldo Sandulli, ordinario di diritto amministrativo nell'Università di Trieste, il quale ha fatto la rivelazione sull'ordine di Stalin, ha confermato che nel campo di Krinovaia, dove fu internato subito dopo la cattura, la percentuale della mortalità fu spaventosa: di 400 ufficiali solo 270 sopravvissero. Il teste ha confermato ancora i casi di cannibalismo, citati da quanti lo hanno preceduto sulla pedana, aggiungendo che durante le marce di trasferimento ai prigionieri non veniva somministrato cibo di nessun genere e che nel campo di Krinovaia sola razione distribuita era una zuppa al giorno consistente in acqua calda e ossa.

P.M.: 'Quali erano le condizioni fisiche dei soldati al momento della cattura?'.

Sandulli: 'Non buone, ma ancora efficienti. Trasferito ad Oranki venni ricoverato al lazzaretto, dove unico mezzo di cura era un termometro per tutti gli ammalati, per misurare la febbre. Ai primi di maggio 1943 arrivò un generale sovietico il quale, con grande solennità annunciò a tutti i prigionieri che per 'ordine' (il teste riferisce con precisione la corrispondente parola in russo) delle autorità superiori 'nessun prigioniero doveva più morire'.

Avv. Taddei: '... E coloro che fossero morti sarebbero stati dei sabotatori...'.

Sandulli: 'Proprio così, purtroppo. Malgrado l'ordine però i prigionieri continuarono naturalmente a morire. Sopraggiunsero rifornimenti americani e le condizioni dei prigionieri andarono leggermente migliorando con una più abbondante distribuzione di viveri, ma, come ho detto, questo non eliminò la mortalità. Io fui uno dei pochi che ebbi la fortuna di salvarmi e fui così spedito al convalescenziario di Skit dove mi accorsi che per essere un luogo di cura, il trattamento non era affatto migliore, se non addirittura peggiore di quello usatoci negli altri campi. Fra l’altro eravamo letteralmente mangiati dagli insetti, tanto che il poter essere inviati al lavoro era considerato come una liberazione.

D'Onofrio arrivò poco prima del 25 luglio 1943. Radunò tutti i prigionieri italiani e si presentò con queste precise parole: 'Signori ufficiali italiani, permettetemi di fare la vostra conoscenza. Sono Edoardo D'Onofrio, di professione cospiratore', e, dopo questo esordio, illustrò ampiamente la situazione italiana. Tornò dopo un paio di mesi per far sottoscrivere il noto messaggio al popolo italiano. Vi furono notevoli pressioni di carattere morale perché il messaggio venisse firmato.

Fui in seguito trasferito al campo 27/2 e qui interrogato da ufficiali sovietici che mi trattarono con una delicatezza che era del tutto sconosciuta ai fuorusciti italiani. Fu in questo campo che vidi il sottotenente Melchionda (il quale depose alcuni giorni or sono come teste a favore del querelante e a carico degli imputati) e sembra svolgesse attività delatoria nei confronti dei colleghi. Infatti il cappellano Don Bertoldi trovò nello zaino di lui un taccuino per appunti nel quale erano scritte frasi come queste: 'Il tenente Tizio non ha applaudito alla conferenza su Garibaldi'; 'il sotto-tenente Caio ha dichiarato che l'Italia non può fare a meno delle sue colonie'.

Dal fuoruscito Rizzoli che mi interrogava nel campo di Susdal, ebbi questo avvertimento che mi lasciò molto turbato: 'Il ritorno in Italia bisogna meritarselo! Si ricordi che i nemici del popolo pagheranno il loro fio!'.

Avv. Taddei: 'È vero che, come ha asserito il D'Onofrio, alcuni ufficiali ostentavano nei campi camicie nere e fez fascisti?'.

Sandulli: 'Ciò era impossibile perché la camicia nera non la indossava neppure la milizia, quando era in linea e quindi non poteva essere ostentata nei campi. È vero piuttosto che i russi avevano distribuito ai prigionieri le giacche nere tolte alle SS tedesche'.

Desiderio Ebene, tenente degli alpini, passò il periodo della prigionia nei campi di Tamboff, Oranki e Skit dove conobbe il D'Onofrio il quale tenne due conferenze. Al termine di esse propose il famoso messaggio cui, come è noto, si oppose, a nome di tutti, il cap. Magnani. Per l'ostilità dimostrata nei confronti del D'Onofrio, ha confermato il teste, il capitano venne trasferito al campo di punizione di Elabuga dove gli venne prospettata la possibilità di migliorare notevolmente la propria posizione. L'ufficiale sovietico che lo interrogava, gli sottopose, infatti, una dichiarazione con la quale si impegnava di fornire ai russi informazioni dettagliate sul comportamento dei compagni di prigionia. Il cap. Magnani oppose alla proposta un categorico rifiuto aggiungendo che quello non era un mestiere per lui e che avrebbe piuttosto preferito essere fucilato immediatamente. L’ufficiale russo non insistette.

Ultima deposizione della giornata, quella del tenente degli alpini Carlo Girometta il quale conferma tutti i punti esposti dai testi che lo hanno preceduto, per quanto riguarda gli interrogatori subiti e le condizioni di vita nei vari campi. Ma anche lui ha voluto portare qualche cosa di nuovo da aggiungere al materiale di giudizio. S'è diffuso, perciò, a parlare della situazione viveri nel campo di Oranki, nella sua qualità di addetto a quella cucina nello stesso periodo in cui il Fiammenghi se ne interessava direttamente. Ed ecco in sostanza la situazione: una zuppa di venti grammi di miglio, pane nero, venti grammi di zucchero e venticinque di burro, al mattino; una zuppa dì miglio, orzo, avena e pane nero alla sera.

Girometta: 'Il pane era tale però che, sono certo, nessuno di quanti si trovano oggi in quest'aula ne avrebbe mangiato neppure un boccone'.

Il Girometta ha poi detto qualche cosa anche della scuola di antifascismo che si trovò a frequentare di autorità. Materie di insegnamento: Storia del leninismo, Storia della Russia, Principi di marxismo e Storia d'Italia.

Avv. Taddei: 'Si è voluto far credere qui, che la scuola fosse una specie di seminario, che accoglieva anche i cattolici. Cosa risulta a lei?'.

Girometta: 'Veramente non tutti i frequentatori della scuola erano marxisti, ma è anche vero che manifestare idee non conformiste era tutt'altro che facile e poteva essere anzi pericoloso. L'indirizzo della scuola era perfettamente comunista. Non era proprio facile, né tanto meno conveniente, esprimere idee diverse. Un emigrato italiano vestito con la divisa russa, al quale ebbi a chiedere aiuto durante la permanenza a Krinovaia mi rispose con tono di sufficienza: 'Ma cosa volete!... È già tanto che non vi abbiamo fucilato!...'.

venerdì 21 maggio 2021

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



Commissione speciale dell'ONU, parte 10

Pubblico la decima e ultima parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

CAPITOLO IV.

A questa complessa attività degli organi nazionali ed internazionali nella trattazione del problema dei prigionieri e dispersi italiani hanno partecipato direttamente alla ricerca degli elementi necessari a sostenere e a dimostrare i termini della questione, vari uffici governativi. Progressivamente nella successione dei tempi i principali sono stati: Croce Rossa Italiana - Alto Commissariato per i prigionieri di guerra - Ufficio Prigionieri di guerra del Ministero Assistenza Post Bellica - Ufficio Autonomo Prigionieri e Reduci del Ministero della Difesa - Ufficio Prigionieri del Ministero Difesa Esercito - Ufficio Ricerche Dispersi e Stato Civile del Ministero Difesa Esercito, che nel 1948 raccolse tutta la documentazione dei precedenti uffici disciolti ed iniziò l'imponente lavoro, con circa 300 impiegati, di selezione del materiale, abbinamento dei fascicoli individuali, impianto dello schedario generale, sistemazione degli archivi, classificazione e un primo rilevamento statistico dei morti, feriti, dispersi e prigionieri. Detto Ufficio forni quindi la prima documentazione sui prigionieri e dispersi alla Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra.

Nel 1955 fu istituito l'Ufficio della Delegazione Italiana presso la predetta Commissione che senza soluzione di continuità nell'opera del predetto ufficio, si dedicò esclusivamente alla ricerca di notizie sui prigionieri e dispersi italiani, ad ampliare ed arricchire la documentazione per la Commissione dell'ONU e per le autorità sovietiche e a promuovere iniziative per la ricerca di ogni mezzo di collaborazione con gli enti nazionali ed internazionali, per reperire sempre più fonti di informazioni sul conto degli italiani in URSS. A dirigere detto ufficio fu chiamato lo stesso funzionario che aveva diretto l'Ufficio del M.D.E. In sintesi si accenna all'attività svolta e che svolge detto Ufficio della Delegazione Italiana presso la Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra, distaccato presso il Ministero Difesa Esercito, che ha messo a disposizione, per il suo funzionamento, locali e personale, e che è alle dirette dipendenze del Ministero degli Affari Esteri.

Il suo primo compito è quello di conoscere una e senza dubbio la più interessante delle incognite del problema; stabilire cioè attraverso un lungo e paziente lavoro, silenzioso e sconosciuto - di ricerche e di indagini - i nomi dei militari italiani catturati prigionieri dalle truppe russe e che vissero per qualche tempo nei campi di concentramento. Non sempre l'impresa è facile, perché spesse volte ha origine da vaghe informazioni raccolte da congiunti di dispersi, da reduci italiani e stranieri, da fonti informative nazionali ed estere, e solo dopo uno scrupoloso e minuzioso lavoro di successive e lunghe indagini, si giunge, quando l'informazione non è frutto di fantasia, a raccogliere la prova inconfutabile dell'esistenza, ad una determinata epoca, di alcuni militari italiani che hanno vissuto in campi di prigionia dell'URSS o Stati satelliti che di essi, non più tornati in patria, non si conosce la sorte. Per questi militari sicuramente caduti prigionieri per prova testimoniale resa in forma di legge da chi li ha visti e conosciuti, quando non esista addirittura lo scritto del prigioniero ai famigliari, vengono allestiti dei volumi e per ogni pagina riprodotti: l'immagine del prigioniero, i dati anagrafici e militari dello stesso, e una breve cronistoria sulla sua cattura e vita in prigionia, oppure la fotocopia della cartolina per prigionieri di guerra della Croce Rossa Sovietica e Mezza Luna Rossa dell'URSS che ebbe ad inviare dai campi di concentramento alla propria famiglia.

Questi casi documentati di prigionieri danno la possibilità di chiedere conto del loro mancato ritorno alle autorità sovietiche, alle quali vengono rimessi detti volumi, tramite l'Ambasciata dell'URSS in Italia. Sempre per raccogliere un maggior numero, che purtroppo è molto lontano dal totale dei dispersi, di nominativi di militari italiani prigionieri non rimpatriati, si è proceduto in questi ultimi tempi alla selezione di alcune decine di migliaia di messaggi di Radio Mosca captati dalla Radio Vaticana dal 1943 alla fine del 1945 e con senso di nobile solidarietà passati dalla S. Sede al nostro Delegato. Cosi come si è provveduto a selezionare alcune migliaia di nominativi di nostri prigionieri riportati sul giornaletto "Alba" distribuito nei campi di concentramento dell'URSS dal 1943 ai primi mesi dell'anno 1946. L'uno e l'altro lavoro hanno dato risultati positivi, ma non nella quantità che si sperava; anche per questi casi verranno avanzate richieste di notizie alle competenti autorità sovietiche.

Ai margini di questo ponderoso lavoro si provvede a rispondere alle decine di migliaia di lettere dei familiari di dispersi, a mantenere continuo contatto epistolare con gli uffici nazionali ed internazionali che collaborano alle ricerche, particolarmente col Servizio Italiano del Comitato Internazionale della Croce Rossa di Ginevra e con l'Ufficio Ricerche della Croce Rossa germanica di Monaco di Baviera. Ancora nel decorso anno si è provveduto ad un nuovo censimento di dispersi attraverso elenchi inviati all'Ufficio del Delegato Italiano da tutti i Comuni d'Italia, tramite le Prefetture. Si è trattato di un lavoro imponente attraverso il quale si sono potute chiarire incertezze e correggere errori. Per quanto gli elementi preposti a tale compito siano ritenuti degli esperti, per aver trattato già in precedenza la materia, non si può disconoscere la mole del lavoro che è stato necessario compiere e che continua ad essere svolta, perché nulla venga trascurato al fine di reperire il maggior numero possibile di nomi di nostri prigionieri nell'URSS che nessuno ha saputo o voluto mai dirci.

Naturalmente non si riuscirà mai ad elencarli tutti o in gran parte, possibilità questa che può avere solo l'autorità sovietica. Di essi si è giunti finora a reperirne oltre un migliaio e mezzo, dei quali per un terzo si è avuta dolorosamente notizia del decesso in prigionia per malattia e per i rimanenti riserva di informazioni appena ultimate le indagini da parte delle autorità sovietiche. Collateralmente all'azione della Commissione dell'O.N.U che peraltro non riusciva a far luce sull'oscura questione, si decise di attuare una propria diretta, nell'intento di pervenire in parte alla conoscenza dei dati e della situazione dei prigionieri e dispersi. Si presero diretti contatti con l'Ufficio Ricerche della Croce Rossa Germanica e si addivenne ad un reciproco accordo di collaborazione per lo scambio di notizie raccolte dai reduci italiani e tedeschi rimpatriati dall'URSS.

Lo stesso accordo fu in seguito convenuto con la Croce Rosse Austriaca, mentre per gli altri paesi, aventi pure prigionieri in Russia, fu dato incarico alle nostre autorità consolari di raccogliere le notizie relative a nostri connazionali visti nell'URSS o nei paesi oltre cortina. Verso la fine del 1955, in occasione del rimpatrio dall'URSS di circa diecimila prigionieri germanici, su proposta del Delegato Italiano fu inviata in Germania una Commissione, alla quale presero parte due genitori di dispersi ed esponenti delle Associazioni delle famiglie dei dispersi, per l'interrogatorio dei reduci. La commissione si trattenne per circa due mesi nel campo di raccolta di Friedland, ove affluivano i reduci e ne avvicinò migliaia chiedendo ansiosamente notizie degli italiani. Nello stesso periodo un'altra commissione si recava in Austria per ricercare notizie dai reduci austriaci. L'una e l'altra missione, se pure non hanno dato specifici e tangibili risultati hanno fornito elementi positivi sulla presenza in URSS di prigionieri italiani dei quali purtroppo i reduci non ricordavano che qualche nominativo di militare e civile, dei quali chiese e ottenne poi la restituzione.

La Direzione del Settimanale "Settimo Giorno", sempre su richiesta del Delegato Italiano offri una squisita, ammirevole e disinteressata collaborazione nella ricerca di notizie. Settimanalmente una pagina del suo giornale riportava fotografie di nostri militari dispersi e per ognuno un appello bilingue ai reduci italiani e tedeschi esortandoli a fornire eventuali notizie conosciute o apprese da altri sul conto di essi. Un certo numero di copie di detto giornale, per accordi intercorsi fra l'Ufficio del Delegato Italiano e gli Uffici Ricerche della Croce Rossa Germanica e Austriaca, vennero date in visione ai reduci dei due paesi. Anche questo tentativo dette qualche risultato, ma limitatamente a casi sporadici. Si dette inoltre incarico al Servizio Italiano della Croce Rossa Internazionale, al quale furono forniti gli elenchi nominativi dei militari italiani prigionieri e dispersi, di fare per proprio conto delle indagini attraverso i Comitati della Croce Rossa dell'URSS e d'oltre Cortina al fine di concorrere nell'azione di ricerche.

Ed infine, come si è detto in altra parte, il Delegato Italiano nel febbraio 1956, prese diretti contatti con l'Ambasciatore della URSS a Roma nel tentativo di avere il massimo contributo nella chiarificazione del problema. Nei vari incontri fra i rappresentanti dei due paesi, la questione dei prigionieri italiani fu ampiamente trattata, illustrata e documentata e non si può non riconoscere che essa sia stata presa in buona considerazione dal diplomatico sovietico il quale, pur facendo note le difficoltà che si sarebbero presentate alle competenti autorità sovietiche nel reperire gli elementi necessari a chiarirla, dava ampia assicurazione del suo interessamento e della sua collaborazione che avrebbero, nel quadro più ampio delle altre relazioni, anche in questo delicato problema, dimostrato l'intenzione di ristabilire sempre migliori rapporti fra i due popoli.

I primi risultati sono stati ottenuti, anche se per la maggior parte dolorosi. Si è verificato poi un rallentamento delle notizie che nei futuri prossimi incontri non si mancherà di sollecitare. Uguali contatti e allo stesso scopo, in scala più ridotta, il Delegato Italiano ha stabilito con l'Ambasciatore di Polonia in Italia. Anche da questo paese si è ottenuta la restituzione di qualche nostro prigioniero e l'assicurazione di indagare sull'effettiva esistenza di altri. L'azione sarà continuata ed estesa anche con i rappresentanti diplomatici di altri paesi nei quali si ha notizia di presenza di italiani ex prigionieri, trattenuti o rimasti volontariamente e tuttora considerati dispersi. L'Ufficio continua il suo lavoro confortato dall'appoggio morale e materiale che, Governo, Parlamento e Paese, Associazioni ed Enti, famiglie di dispersi e reduci, gli accordano per una causa cosi altamente sociale ed umana.

CONCLUSIONE.

Dalla breve sintesi dei fatti fin qui esposti si debbono necessariamente trarre delle considerazioni che non possono e non debbono essere ignorate, allo scopo di chiarire all'opinione pubblica l'angoscioso problema dei prigionieri e dispersi italiani, le insormontabili incontrate nel trattarlo e risolverlo nel modo più soddisfacente, nonostante continuo ed appassionato interessamento degli organi competenti del Governo, delle maggiori personalità politiche e diplomatiche italiane, e dagli sforzi compiuti dalla massima Organizzazione Internazionale, che, sua nobile, umanitaria e sociale azione non ha potuto dissipare in tutte le famiglie dei prigionieri e dispersi l'atroce dubbio sulla sorte dei loro cari.

Che in Russia non vi siano più prigionieri italiani, considerati tali nel vero termine della parola, può essere esatto, però non si può tassativamente escludere che non vi siano più italiani, già prigionieri di guerra. Sarà bene ricordare a tal proposito come : 1 - Nel 1946 il Governo dell'URSS DICHIARO' che il rimpatrio dei prigionieri di guerra italiani era ultimato. 2 - Successivamente segnalò di trattenere un numero non precisato di italiani detenuti per presunti crimini di guerra. 3 - Dal 1947 al 1951 rimpatriarono 26 prigionieri italiani, per alcuni dei quali non si aveva nessuna notizia di esistenza in vita. 4 - Il Governo sovietico trasmise un elenco di 34 prigionieri italiani trattenuti in attesa del procedimento giudiziario a loro carico per presunte atrocità commesse ai danni della popolazione civile russa durante la guerra. 5 - Nel 1954 il predetto gruppo di presunti criminali di guerra veniva rimpatriato e PER LA SECONDA VOLTA dichiarava di non detenere più alcun prigioniero italiano. 6 - Dal 1954 al 1957 rimpatriarono ancora 4 prigionieri, considerati dispersi e per i quali le famiglie beneficiavano già della pensione di guerra e 4 civili italiani.

Non si può pertanto placare l'ansia e far tacere il dolore di migliaia di famiglie con l'affermazione generica, già dimostrata inesatta, di non detenere più alcun italiano, oppure dire che se si pensa che ancora ne esistono in territorio sovietico le Autorità locali si adopereranno per rintracciarli e rimpatriarli, purché si indichino loro i nomi dei prigionieri e le località ove si trovano. Chi siano, ove si trovino e che fine abbiano fatto i prigionieri non rimpatriati lo possono sapere solo le autorità sovietiche. E' pertanto a loro che si è chiesto e si rinnova continuamente la domanda di una collaborazione fattiva. Il governo italiano ha formulato anche recentemente precise richieste invitando le autorità sovietiche a diffondere nel territorio appelli radiofonici sollecitanti gli eventuali italiani già prigionieri di guerra e ancora residenti in Russia a prendere contatto colle rappresentanze diplomatiche italiane. Ancora è stata chiesta l'autorizzazione all'invio in Russia di una Commissione Italiana composta di competenti alfine di svolgere, di intesa colle autorità sovietiche, ricerche laddove si ritiene possano esservi elementi atti a chiarire la sorte di taluni prigionieri. Tale Commissione dovrebbe anche visitare i cimiteri di guerra dove sono sepolti i caduti italiani cercando, nei limiti del possibile, di fare un censimento delle tombe, disponendo anche per la riesumazione, sempre nei limiti del possibile, dei resti delle salme da collocare in ossari che verrebbero costruiti a spese del Governo italiano.

Come si vede si tratta di realizzare un programma improntato unicamente ad un senso di profonda umanità e di rispetto per l'ancor insanabile dolore dei congiunti dei prigionieri non più ritornati. Definito in tali limiti, dai quali d'altra parte mai si scostato anche nel passato, il problema dei militari italiani dispersi sul fronte di guerra russo assume un carattere tale per cui il non considerarlo e il non cercare di risolverlo non può che essere definito come azione antidemocratica, antiumana e antisociale. Coloro che chiedono senza tregua che si chiarisca questo angoscioso dramma sono nella grande maggioranza cittadini italiani di umili condizioni, operai, contadini che vivono nel culto della memoria del loro congiunto e che non sono disposti a rinunciare alle estreme speranze fintanto che le autorità competenti non abbiano dimostrato di aver esaurito ogni possibilità di indagine assumendosi conseguentemente la responsabilità di dichiarare che il disperso è da considerarsi ormai deceduto. La Delegazione italiano della Commissione speciale per i prigionieri di guerra ha svolto e continuerà a svolgere la sua opera nell'ambito delle sue possibilità, mossa unicamente da tali motivi e considerazione di questa penosa e drammatica realtà.

giovedì 20 maggio 2021

Auguri Colonnello

Oggi il Colonnello Antonio Andrioli avrebbe compiuto 104 anni... lo ricordo sempre con tanto affetto, soprattutto ripensando a quando alla domenica con Silvia Ostinelli II passavamo ore a farci raccontare la Sua Campagna di Russia. Per me era il nonno, lo zio, il padre che aveva fatto la "guerra in Russia", quello che nella realtà non ho avuto. Il Colonnello stendeva una delle sue cartine e iniziava a spiegarci, a raccontare; la sua voce non era rotta dall'emozione quando parlava, ma bastava guardarlo negli occhi per capire. All'epoca Tenente del Genio Alpino della Divisione Julia, visse i giorni di Selenyj Jar, quelli della ritirata fino a Valujki, quelli delle marce del davai e quelli dei campi di prigionia, dove vide i suoi fratelli morire uno ad uno di malattie e stenti.

Sopravvisse... ogni volta che torno in Russia penso a lui, ogni volta che torno a Selenyj Jar mi guardo intorno e mi chiedo dove fosse lui in quel lontano inverno del '42-'43.



mercoledì 19 maggio 2021

Rievocazione 2018 a Rossosch

Pubblico alcune fotografie scattate il 14.01.2018 a Rossosch e segnalatemi dal Signor Pasquale Granata della manifestazione congiunta fra rievocatori russi ed italiani del "FORZA ITALIA! Italian reenactors group in Russia". Un altro bel modo per ricordare i nostri caduti in Russia e tutti i caduti di quel conflitto. Le fotografie riprendono i rievocatori presso il monumento dedicato ai caduti italiani nei pressi del cimitero cittadino.



















Commissione speciale dell'ONU, parte 9

Pubblico la nona parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

Al termine dei lavori il Presidente della Commissione in una dichiarazione alla stampa, dopo avere sommariamente parlato della opera svolta e dei risultati conseguiti, comunicò di avere inviato al Segretario Generale dell'O.N.U. un rapporto nel quale si faceva il punto della situazione dei prigionieri e dispersi nell'ultimo conflitto mondiale, sulla base delle informazioni fornite dai Governi interessati. Rapporto che probabilmente, comunicava, sarebbe stato messo all'ordine del giorno dell'imminente riunione dell'Assemblea Generale dell'O.N.U. Il Presidente dichiarò infine d'essere convinto che, da qualche anno, l'aspetto umanitario del problema e la volontà di collaborazione venissero meglio sentiti e compresi - con probabile riferimento all'avvenuto rimpatrio del gruppo dei 34 prigionieri italiani trattenuti quali presunti criminali di guerra e del rimpatrio di altri prigionieri germanici e nipponici - e nutriva fiducia di potere accelerare la sua completa definizione.

Al termine della conferenza stampa, alla quale intervennero i giornalisti di varie nazionalità, il Delegato Italiano convocò i giornalisti italiani per far loro delle raccomandazioni in merito a notizie apparse su quotidiani italiani nel corso dei lavori della V Sessione della Commissione. Il Delegato Italiano invitò i giornalisti ad essere obiettivi sul problema dei prigionieri e dei dispersi, di astenersi dall'annunciare cifre che potessero dare adito ad errate interpretazioni, di non eccedere in notizie sensazionali che potessero illudere numerose famiglie senza peraltro demolire in alcune di esse la speranza e di portare, in sostanza, a conoscenza dell'opinione pubblica, con tutta serenità, la reale situazione venuta a risultare dalle informazioni degli organi responsabili del paese.

Nel 1955 la Commissione Speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra chiese ai Governi interessati un rapporto sulla situazione dei propri prigionieri e dispersi e decise di non tenere la sessione annuale, che rimandò ad altra data. Peraltro sulla base delle informazioni ricevute compilò un rapporto per il Segretario Generale dell'O.N.U. nel quale indicava brevemente il progresso che era stato fatto verso la soluzione del problema dei prigionieri di guerra, dopo quanto riferito nell'ultimo rapporto della V Sessione tenuta l'anno precedente. La Commissione notava con soddisfazione che durante l'anno decorso maggiori progressi erano stati fatti sul rimpatrio dei prigionieri di guerra e detenuti civili, attraverso negoziazioni condotte direttamente fra i Governi interessati o indirettamente attraverso la cooperazione della Società della Croce Rossa, con riferimento ai numerosi rimpatri di giapponesi della Repubblica Popolare Cinese, dell'U.R.S.S., della Mongolia Esterna e della Corea del Nord; al rimpatrio di alcune centinaia di austriaci di un migliaio di germanici dall'U.R.S.S., dalla Cecoslovacchia e dalla Polonia e col rimpatrio di qualche italiano dall'U.R.S.S. e dalla Polonia.

La Commissione concludeva il rapporto con un appello a tutti i Governi e a tutte le organizzazioni che partecipavano attivamente all'inchiesta di dare al problema dei prigionieri di guerra tutta la loro cooperazione al fine di conseguire i seguenti risultati: 1) rimpatrio di tutti i prigionieri di guerra che, secondo le convenzioni internazionali, dovevano essere restituiti; 2) conoscenza dei nomi, cause e condizioni di tutti i prigionieri di guerra ancora trattenuti; 3) utilizzazione di tutte le risorse per condurre le ricerche dei dispersi al fine di stabilire la sorte loro occorsa. Nel luglio dello stesso anno, in occasione della Conferenza di Ginevra dei "Quattro Grandi" l'osservatore italiano Ambasciatore Magistrati nel corso di un colloquio intrattenne il Ministro degli Esteri sovietico Sig. Molotov sul problema dei prigionieri e dei dispersi italiani nell'U.R.S.S., illustrandogli gli elementi umanitari e psicologici della questione e l'importanza di accertare, con ulteriori indagini, se e quali dispersi italiani si trovavano ancora in Russia.

Il Ministro Molotov, premesso di non essere al corrente della presenza nell'U.R.S.S. di prigionieri e dispersi italiani, assicurò l'Ambasciatore Magistrati che il Governo sovietico avrebbe esaminato con ogni cura la situazione dei prigionieri italiani di cui fosse da noi resa nota l'esistenza nell'U.R.S.S. Egli ricordò che in seguito agli avvenimenti bellici non fu possibile trovare alcuna traccia neppure per milioni di cittadini sovietici dati come dispersi. Nel 1956, dopo vari contatti diplomatici fra il nostro Ministro degli Affari e l'Ambasciata dell'URSS in Roma, ebbero inizio gli incontri fra il Delegato Italiano e l'ambasciatore sovietico Bogomolov, nel corso dei quali si esaminò ampiamente il problema dei prigionieri e dispersi italiani in Russia da un punto di vista il più obiettivo ed umanitario al fine di pervenire, attraverso amichevole e sincera collaborazione, ad una soddisfacente soluzione per ambedue le parti.

Il 7 febbraio l'ambasciatore sovietico Bogomolov ed il Delegato Italiano On. Meda ebbero il primo colloquio nella sede dell'Ambasciata dell'URSS. Dopo una sommaria esposizione del problema dei prigionieri e dispersi italiani in Russia fatta dal Delegato Italiano, l'ambasciatore russo dichiarò che la parte sovietica, ispirata dal desiderio di trovare le vie per regolarizzare le principali questioni concernenti le relazioni italo-sovietiche, aveva ripetutamente espresso la propria disposizione a discutere tali questioni ad alto livello per trovare soddisfacenti soluzioni comuni. Per quanto riguardava la possibilità di rintracciare sul territorio dell'URSS ex appartenenti alle truppe italiane, le autorità sovietiche competenti e l'Ambasciata dell'URSS in Italia, avevano sempre dimostrato la debita comprensione e attenzione verso le lettere e le richieste dei cittadini italiani che avevano perso i loro congiunti nell'Unione Sovietica durante il periodo della seconda guerra mondiale. L'Ambasciata riteneva che, benché nel territorio dell'URSS non vi fossero più prigionieri di guerra italiani, le questioni interessanti gli italiani che avevano perduto i loro congiunti nell'URSS avrebbero potuto ugualmente essere affrontate nel corso di più larghe trattative sul miglioramento delle relazioni sovietico-italiane. Però ciò non avrebbe escluso il contatto dell'Ambasciata con l'On. Meda sulle questioni che lo interessavano.

A questo primo incontro ne seguirono altri durante l'anno, e nei colloqui svoltisi sempre in un clima di cordialità, si ebbe l'impressione che le autorità sovietiche fossero animate dal più vivo desiderio di aiutarci anche se ribadirono la dichiarazione del 28 dicembre 1953, secondo la quale cioè, non vi erano più prigionieri italiani nel territorio sovietico. Nei vari contatti si presentò un'ampia documentazione sui prigionieri italiani sicuramente rinchiusi in campi di concentramento dell'URSS e che non avevano fatto ritorno in patria e non si mancò di insistere sulla necessità di avere dalle autorità sovietiche gli elenchi dei prigionieri italiani catturati, quelli di essi deceduti in campi di prigionia e gli elenchi dei rimpatriati. Il rappresentante sovietico ebbe sempre a prendere atto delle nostre richieste e della documentazione, assicurando di passare il tutto all'esame degli Uffici competenti dell'URSS, riservandosi di far conoscere l'esito delle indagini svolte dalle autorità centrali.

Infatti seguirono, come in altra parte detto, le notizie, che dolorosamente furono per circa 300 ex prigionieri la comunicazione di morte, avvenuta per malattia nei campi di concentramento, per altrettanti le indagini non fruttarono alcun esito e per i rimanenti si ebbe la comunicazione di riserva di notizie ad ultimate ricerche. L'esito dell'azione intrapresa, se pure sotto un punto di vista poté considerarsi in parte positivo, fu molto limitato e deluse le nostre aspettative. La richiesta degli elenchi rimase inevasa ed ogni successiva insistenza non ebbe migliore risultato. La promessa collaborazione non trovò corrispondenza nei fatti e ci si trovò ancora una volta di fronte all'intransigenza nel chiarire il doloroso problema sul quale l'opinione pubblica si attendeva, a seguito di quest'altro tentativo, più tangibili risultati. Le speranze dei congiunti dei prigionieri e dei dispersi italiani furono ancora una volta fugate dall'atteggiamento delle autorità sovietiche.

Intanto la Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra decideva di non tenere anche per l'anno in corso la sessione annuale dei lavori di Ginevra con la partecipazione delle Delegazioni dei Paesi interessati e chiese quindi ai Governi le relazioni aggiornate sulla situazione dei rispettivi prigionieri e dispersi, dalle quali avrebbe tratto gli elementi per il rituale rapporto al Segretario Generale dell'ONU. Il Delegato Italiano prospettò alla nostra Rappresentanza Diplomatica presso le Nazioni Unite l'opportunità di un passo presso il Segretario Generale circa la necessità di una Sessione della Commissione a Ginevra e ciò in considerazione degli allora apparenti sintomi di distensione, che, per il mutato clima, lasciavano sperare nella partecipazione di una Delegazione russa. La nostra Rappresentanza Diplomatica presso le Nazioni Unite, che ebbe modo di avvicinare i componenti la Commissione e di accennare alla proposta avanzata, manifestò l'impressione che la detta Commissione non ravvisava più una importanza preminente alla continuazione dei suoi lavori ed anzi aveva in animo di esporre tale punto di vista al Segretario Generale col proponimento di redigere un rapporto finale sull'attività svolta, da presentare alla prossima Assemblea Generale, la quale, prendendone nota, avrebbe potuto sanzionare la cessazione della Commissione stessa.

In conseguenza non rimase che trasmettere la richiesta relazione per la Commissione e continuare nei contatti con l'Ambasciata dell'URSS in Roma, nel tentativo di chiarire l'annoso problema dei nostri prigionieri dispersi. Nel 1957 a seguito delle relazioni allacciate con l'ambasciatore sovietico Bogomolov al quale fu consegnata una ampia documentazione sui nostri prigionieri in Russia e che lo stesso Ambasciatore inoltrò al suo Governo con le note verbali del Delegato Italiano, cominciarono a giungere le notizie sui risultati delle ricerche svolte dalle organizzazioni competenti sovietiche e dalla Croce Rossa e Mezzaluna Rossa di Mosca. Notizie positive ma dolorose, riferite a prigionieri deceduti in campi di concentramento; qualche notizia di avvenuto rimpatrio di prigioniero che non giunse mai in Italia; per molti informazioni deludenti a seguito dell'esito negativo delle indagini, per altri nessuna risposta o riserva di comunicazione ad ultimate ricerche.

I risultati quindi della promessa collaborazione da parte della autorità diplomatica sovietica, in qualche modo dimostrato e mantenuta per un limitato periodo di tempo, furono considerati poco soddisfacenti e comunque delusero le aspettative di quanti ritenevano che si fosse trovata la via per giungere ad una completa chiarificazione del problema. Poi con l'avvenuto cambio dell'Ambasciatore dell'URSS in Roma, i contatti del Delegato Italiano si diradarono sino a cessare con l'assunzione della carica da parte del nuovo Ambasciatore Kozyrev, il quale si mostrò meno condiscendente sulla questione dei prigionieri italiani in Russia. A tal riguardo si mantenne rigidamente alle dichiarazioni del suo Governo della non esistenza del problema già risolto col rimpatrio di tutti gli italiani. Ciò indusse il Delegato Italiano ad avanzare tramite la nostra Rappresentanza Diplomatica alle Nazioni Unite nuovamente la proposta di una Sessione della Commissione a Ginevra con la partecipazione delle Delegazioni dei Paesi maggiormente interessati alla questione, argomentando la richiesta pressappoco nei seguenti termini.

La Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra, che dal 1951 sta svolgendo un'ammirevole azione umanitaria e che aveva già ottenuto dei lusinghieri risultati, non poteva abbandonare la sua attività anche se da qualche anno il problema dei prigionieri e dispersi veniva trattato dai paesi interessati direttamente con l'URSS. Trattative di tal genere avrebbero potuto dare indubbiamente dei risultati, ma in misura diversa da paese a paese in relazione a particolari riflessi di natura politico-economica che ognuno di essi manteneva con l'URSS. L'azione svolta invece dalla Commissione dell'ONU garantiva una unità di indirizzo, tendente alla soluzione del complesso problema comune a tutti i Paesi e sotto l'egida delle Nazioni Unite avrebbe potuto maggiormente pesare sull'atteggiamento sovietico; il fatto stesso poi dell'esistenza e della funzionalità di detta Commissione avrebbe esercitato una pressione psicologica sull'URSS. Si era inoltre indotti a ritenere che da parte sovietica per quelli che erano i più recenti atteggiamenti del Governo di Mosca in ordine alla soluzione dei più importanti problemi internazionali e della stabilizzazione di rapporti con paesi dell'Occidente Europeo e gli Stati Uniti d'America, si sarebbe considerato attentamente la inopportunità di un nuovo rifiuto a partecipare ad una seduta della Speciale commissione dell'ONU.

Non andava infine dimenticato come dal febbraio dello scorso anno si fossero stabiliti rapporti fra l'Ambasciata Sovietica presso il Governo Italiano ed il Delegato Italiano presso la predetta Commissione e che quindi praticamente l'autorità diplomatica russa aveva riconosciuto l'esistenza della Commissione e la validità giuridica dei suoi rappresentanti. Le raccomandazioni del Delegato Italiano fatte proprie dalla nostra Rappresentanza Diplomatica presso le Nazioni Unite e prospettate al Segretario Generale, venivano accolte con la maggiore considerazione. Infatti nel mese di luglio pervenne la comunicazione che la Commissione avrebbe tenuto la sua VII Sessione a Ginevra, nella prima decade di settembre, nel corso della quale avrebbe deciso di tenere delle riunioni pubbliche con la partecipazione delle Delegazioni dei Paesi interessati.

Decisione che la Commissione prese nella sua prima seduta diramando telegraficamente gli inviti ai Rappresentanti dei Governi e il 5 settembre 1957 iniziò i suoi lavori con la partecipazione: dell'Italia - Germania - Giappone - Gran Bretagna - Belgio - Olanda - Austria - Francia e Stati Uniti d'America; mancava, per causa di forza maggiore, la rappresentanza del Lussemburgo il cui Governo aveva fatto pervenire la propria adesione e la dichiarazione. L'URSS come per gli anni precedenti non aveva accolto l'invito. Nelle sedute private il Delegato Italiano riferì alla Commissione sui contatti avuti con l'autorità diplomatica sovietica a Roma, e sui risultati potuti conseguire con tali trattive dirette, riepilogò ed illustrò la situazione aggiornata dei prigionieri e dispersi italiani e presento la seguente altra documentazione suppletiva: - quattro volumi nei quali veniva riportata la «Cronistoria individuale» di circa quattrocento militari italiani catturati prigionieri dalle truppe sovietiche internati in campi di concentramento dell'URSS, non rimpatriati e per i quali non si conosceva la sorte loro toccata; - un volume riepilogativo dei prigionieri italiani in Russia - numerico e nominativo - con le notizie potute avere dalle autorità sovietiche.

E mise in risalto le difficoltà che ancora si incontravano per una completa chiarificazione del problema. Nella seduta pubblica il Delegato Italiano, in tono non aggressivo per evitare eventuali reazioni sfavorevoli da parte sovietica, dopo aver ringraziato la Commissione per l'opera svolta, pronunciò la seguente dichiarazione: "Signor Presidente, allorché nel febbraio 1952 noi ci siamo riuniti per la prima volta a Ginevra, voi avete dichiarato che l'iniziativa delle Nazioni Unite e il compito della Commissione dovevano ispirarsi profondamente ed unicamente a principii e a uno spirito di umanità. Ed è rispettando queste direttive che si è svolta la nostra azione in questi cinque anni, nella speranza che le nostre domande fossero state accolte e di conseguenza si potessero attendere i fini che l'ONU ha fissato alla nostra Commissione: dirimere il dramma che costituisce la sorte dei prigionieri, far ritornare alle loro famiglie i prigionieri che risultano ancora trattenuti dal nemico di ieri.

In questa azione noi abbiamo sempre agito con la massima lealtà e la più profonda comprensione della delicatezza e delle difficoltà delle situazioni che ci si presentavano. Io stesso, a nome del mio Governo, in occasione della sessione del 1953, ho dichiarato - quando facevo appello al senso di solidarietà del Governo dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche - che noi eravamo disposti a dimenticare tutti i disaccordi, tutta l'incomprensione esistente nel passato e che eravamo disposti a collaborare su un piano di perfetta uguaglianza, escludendo il carattere di speculazione politica con chiunque sarebbe venuto verso di noi con la stessa cordialità e con la stessa nobiltà di intenzioni. Noi non possiamo, oggi, che rinnovare questa dichiarazione, sottolineando che il problema dei dispersi, invece che diminuire di importanza, con gli anni, si fa, al contrario, urgente e doloroso. Fino a ieri le spose e le madri facevano appello a noi per avere notizie, assicurandoci nello stesso tempo che esse erano pronte ad apprendere qualsiasi risposta, anche negativa.

Oggi, al contrario, le madri, divenute vecchie e le spose, che hanno visto i loro figli diventare grandi, esigono, dalle autorità responsabili, che sia loro detto quale sia la sorte dei militari fatti prigionieri e non più tornati. E ciò perché se oggi si ammettesse una difficoltà di ricerca dovuta all'incompleta normalità di rapporti, tra Italia e URSS, oggi questa normalità è perfetta e non si può comprendere come, dopo la ripresa dei rapporti commerciali, culturali, sportivi, turistici, non ci si decida, una volta, per tutte, a risolvere il problema dei prigionieri e dei dispersi. Se noi insistiamo in questa domanda di ricerche e continuiamo ad agitare il problema è perché noi siamo convinti che i motivi di tale ricerca hanno una base sicura, come lo dimostra il fatto del rimpatrio di prigionieri, rimpatrio che si è verificato dopo le dichiarazioni ufficiali del Governo di Mosca sull'inesistenza di altri cittadini italiani prigionieri di guerra in territorio sovietico.

Con ciò noi non vogliamo formulare un'accusa o una lagnanza al Governo di Mosca, ma solo constatare come, grazie a delle circostanze e a degli elementi che forse il Governo sovietico stesso non è in grado di controllare, sono rientrati in Italia dei militari che Mosca affermava che non esistevano. In questa Commissione, che è l'espressione della solidarietà di tutti i popoli civili, noi domandiamo ancora una volta al Governo sovietico e a quello degli altri paesi verso i quali è agitato in minore misura, il problema della ricerca dei prigionieri di guerra, che essi facciano un ulteriore sforzo per soddisfare le nostre richieste. Che essi sappiano che un atto di tale livello, procurerebbe loro la riconoscenza e la gratitudine di più di 60.000 famiglie che sono interessate al problema della ricerca dei dispersi. Senza alcun dubbio molto cammino è stato fatto dopo il 1952, ma il fine è ancora lontano. D'altra parte io credo che si tratti di una questione di umanità e per questa ragione la questione stessa è sempre di attualità, nella sua ampiezza, il suo valore, il suo aspetto drammatico.

Signor Presidente, come ho già avuto occasione di affermare, il mio Governo è dell'avviso che la Commissione debba continuare ed anche - nella misura del possibile - intensificare la sua attività. Da parte nostra io vi posso assicurare che noi non avremo un momento di respiro, nel compito che si effettua da tanti anni. Noi abbiamo presentato a suo tempo una serie di documentazioni per appoggiare le richieste che abbiamo formulato; oggi le completiamo con altri documenti, con altre prove che non possono essere contestate. Sulla base di questa documentazione noi speriamo che la Commissione Speciale dirigerà la sua attività futura, ma nello stesso tempo pensiamo che altri documenti, altre prove, potranno pervenire prossimamente dalle autorità sovietiche, grazie alla consultazione e alla coordinazione dei loro archivi. Abbiamo fiducia, lo ripeto ancora una volta, in questa manifestazione di solidarietà umana di un popolo verso un altro che formula questa domanda in nome di una sofferenza terribile che dura da più di 10 anni.

Il mio Governo ha preso impegno solenne verso il popolo italiano ed in particolare verso le famiglie dei prigionieri di guerra e dispersi, di fare tutto ciò che sarà necessario, di sopportare qualsiasi sacrificio, per arrivare ad una conclusione degna e soddisfacente. Non intendiamo cambiare la realtà, ne creare l'illusione di risultati impossibili, vogliamo solo che ciò che è possibile sia realizzato. E noi non pensiamo che questo fine sia difficile a raggiungere. E' in questo spirito e ringraziandovi, Signor Presidente, con i vostri collaboratori diretti, per l'opera fin qui effettuata, che noi formuliamo il voto di incontrarvi in una prossima sessione nel corso della quale noi saremo in grado di dire che i nostri appelli sono stati ascoltati là dove sono particolarmente diretti e che noi abbiamo avuto la prova che la solidarietà vive tuttora, che lo spirito di umanità anima ancora il cuore di tutti i popoli. Speriamo di potervi comunicare che il mistero che ancora oggi circonda la sorte dei nostri militari dispersi, è stato finalmente chiarito, che il dubbio, la incertezza sono state sostituite dalla gioia o dalla rassegnazione nei cuori che soffrono nell'attesa di una notizia alla quale essi hanno umanamente diritto. Ginevra 9 settembre 1957".

Tutti i Delegati degli altri paesi intervenuti si espressero in termini analoghi appoggiando la nostra richiesta sull'utilità della continuazione dei lavori della Commissione, che, al termine della Sessione, assicurò di pronunciarsi in tal senso nel suo rapporto al Segretario Generale dell'ONU. Dall'ultimo rapporto della Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra fatto al Segretario Generale delle Nazioni Unite al termine della VII Sessione di Ginevra si sono tratti alcuni dati, che possono dare la sensazione dei risultati conseguiti e quanto ancora rimane da conoscere sui prigionieri e dispersi dei tre paesi maggiormente interessati. I dati si riferiscono al periodo 1950-1957 e cioè dalla istituzione della Commissione fino alla VII Sessione della stessa - secondo le segnalazioni fatte dai Governi: - Militari e civili della Germania Occidentale rimpatriati dall'URSS, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Romania, ed altri paesi N. 30.000 (circa). - Militari e civili del Giappone, rimpatriati dalla URSS, Cina, Australia, Filippine ed altri paesi N. 34.000 (circa). - Militari e civili dell'Italia, rimpatriati dalla URSS, Polonia, Albania, Jugoslavia ed altri paesi N. 101.

Prigionieri detenuti in URSS: Germania 68, Giappone 1.300, Italia n.d. Prigionieri dei quali è stata provata la cattività in URSS, non rimpatriati e dei quali si ignora la sorte: Germania 100.000 (circa), Giappone 8.000, Italia 1.396. Dispersi in URSS: Germania 1.200.000 (circa), Giappone 370.000, Italia 63.654. Dopo le segnalazioni di tali dati e a conclusione del suo rapporto, la Commissione fa rilevare ancora una volta il rifiuto del Governo dell'URSS di cooperare con la Commissione, la quale provvide a precisare sempre nei rapporti all'Assemblea Generale dell'ONU i termini della questione dei prigionieri di guerra fatti durante la seconda guerra mondiale e cioè che essa fosse risolta d'accordo in uno spirito di pura umanità ed in termini accettabili da tutti i Governi interessati. Rinnovava infine l'appello a questi Governi ed alle varie Organizzazioni di continuare i loro sforzi perché il problema dei prigionieri di guerra non era stato ancora completamente risolto.

lunedì 17 maggio 2021

Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 11

Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - Le operazioni per la conquista del bacino industriale del Donez e l'occupazione della stazione di Stalino (13-29 ottobre 1941).

domenica 16 maggio 2021

sabato 15 maggio 2021

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



Il processo D'Onofrio, parte 7

Il processo D'Onofrio, settima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA DECIMA UDIENZA.

6 giugno 1949. - Ancora quattro testi d’accusa, tra oggi e domani, e poi sarà la volta del secondo gruppo di quelli a discarico e le accuse cominceranno a piovere nuovamente sul capo del querelante. La tempesta, dopo una settimana di bel tempo, commentava il pubblico in attesa che il tribunale facesse il suo ingresso nell’aula. Il primo a deporre è un ex sergente maggiore di fanteria, Orlando Galli, catturato nel 1942 e portato nel campo di Tamboff. La prima persona che sentisse parlare, in quei luoghi, in lingua italiana fu la signora Torre la quale rivolse parole di incoraggiamento e si adoperò, in seguito, a che il rancio venisse distribuito regolarmente e con la massima puntualità. Il teste narra poi dell'epidemia di tifo petecchiale scoppiata nel campo a causa del traffico di pane organizzalo da alcuni prigionieri con i malati ricoverati nel lazzaretto. L’epidemia mieté molte vittime e lo stesso teste ne fu contagiato. Appena guarito chiese di essere iscritto alla scuola di antifascismo di Juge.

Presidente: 'Da chi era diretta quella scuola?'.

Galli: 'Da un ufficiale russo. Come istruttori però c'erano alcuni fuorusciti italiani, ad esempio, il Robotti. Il corso durò tre mesi durante i quali fu illustrata agli allievi la costituzione russa e abbondantemente spiegato il perché il fascismo non avrebbe mai potuto vincere la guerra. I licenziati dal corso dovevano, per gli altri prigionieri, costituire un esempio e pertanto furono destinati a svolgere la loro attività nei vari campi. Dovevano anche spiegare ai russi che popolo italiano e fascismo erano due cose completamente diverse.

Io fui destinato al campo 165 dove incontrai spesso il Fiammenghi. Un giorno Fiammenghi, riuniti i prigionieri, fece un discorso e, parlando contro Mussolini ebbe a definirlo un 'traditore venduto ai tedeschi'. A queste parole la camicia nera Salvatore Fichera, gridò rivolto al Fiammenghi: 'Ma voi siete i traditori, siete voi, gli emigrati, i fuorusciti!'. Il Fichera fu immediatamente allontanato dalla riunione ma non mi risulta che contro di lui sia stato preso alcun provvedimento. D'Onofrio, che conobbi nel marzo 1944, si interessò moltissimo alle nostre condizioni, non ci parlò solo di politica ma anche dei nostri bisogni. D'Onofrio era stimato e benvoluto da tutti noi, tanto che quando partì fu organizzata in suo onore una grande festa alla quale presero parte tutti i prigionieri'.

Il sottotenente di fanteria Vincenzo Vitello, altro teste ascoltato, fu ben lieto di aderire alle idee che venivano propagandate nei campi di concentramento. Fu tra i primi collaboratori de 'L'Alba' e al campo 27 discusse con gli altri scrittori l'indirizzo da dare al settimanale a carattere informativo e democratico.

Vitello: 'Fu una tribuna democratica dalla quale espressero le loro opinioni anche alcuni democristiani'.

Avv. Taddei: 'Ma se quel partito ancora doveva nascere...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Allora su quel foglio si potevano scrivere articoli anche di intonazione antimarxista...'.

Vitello: 'Sì. Certamente'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Bene. Allora si metta a verbale. Voglio leggerli, io, quegli articoli...'.

A questo punto il Presidente ha voluto sapere se il teste avesse mai scritto a casa.

Vitello: 'Sì. Quattro o cinque volte in tutto'.

Presidente: 'E quante di queste lettere sono giunte alla sua famiglia?'.

Vitello: 'Una sola. Ma quando tornai in Patria seppi che i miei avevano ricevuto notizie direttamente da D'Onofrio'.

Avv. Mastino Del Rio: 'E dai suoi ha mai ricevuto posta?'.

Vitello: 'Mai'.

Avv. Taddei: 'È vero che il maggiore russo Terescenko elogiò il contegno delle truppe italiane sul fronte russo dicendo che era stato quello più umano?'.

Vitello: 'No. Non mi risulta'.

D'Onofrio: 'Sì. La circostanza è esatta. Il maggiore Terescenko parlando del comportamento degli italiani che combattevano al fronte russo disse appunto che la condotta di quelle truppe era stata la più umana'.

Ripresa la sua deposizione, il teste anch’egli allievo della scuola di antifascismo, parla a lungo dell’indirizzo che a quei corsi veniva dato, niente affatto 'marxista'. Il programma comprendeva: storia d'Italia, storia del movimento democratico mondiale, elementi di economia politica, politica sovietica, notizie sui danni che il fascismo aveva provocato in Italia. Il teste fu 'assistente' al corso e si dice ora 'lieto' di aver dato la sua opera allo scopo di contribuire 'a sviluppare nei prigionieri i concetti e le idee antifasciste'..

Avv. Taddei: 'Vuol dirci quali erano i libri di testo usati in questa scuola?'.

Vitello: 'Pochi testi italiani' risponde deciso, dopo un momentaneo imbarazzo.

Avv. Taddei: 'Per esempio?'.

Vitello: 'Per esempio 'I Promessi Sposi'...'.

Avv. Taddei: 'Già, 'I Promessi Sposi» visti da un marxista!'...'.

Vitello: 'Ringrazio ancora il fuoruscito Robotti perché mi aiutò ad acquistare coscienza antifascista'.

Avv. Taddei: 'Lei vuoi ringraziare troppa gente. Lasci andare...'.

Ultimo teste Giovanni Melchionda, sottotenente di fanteria. Al momento della cattura i sovietici gli trovarono nelle tasche alcune cartoline di propaganda antisovietica nelle quali il soldato russo veniva raffigurato come un orso dai lunghi artigli. Un ufficiale russo si impadronì delle cartoline e gli chiese se avesse notato qualche differenza fisica fra loro russi e gli italiani. Il teste rispose negativamente.

Melchionda: 'Espressi a quell'ufficiale la mia paura di essere fucilato, ma quello mi rassicurò dicendo che i russi non odiavano i soldati italiani perché sapevano bene che erano venuti a combattere soltanto per ordine di Mussolini. Chiesi allora se saremmo stati mandati in Siberia e l’ufficiale mi rispose che in fondo la Siberia non era poi quell'inferno che si diceva e che la propaganda ci dipingeva...'.

Avv. Taddei: 'È una questione di punti di vista'.

Melchionda: 'Al campo di Oranki, trovammo le baracche riscaldate...'.

Avv. Taddei: 'Ma davvero?...'.

Melchionda: 'Sì. Riscaldate. Eravamo vicino alle cucine'.

La deposizione si chiude con l'arrivo qualche giorno prima del 25 luglio del solito D'Onofrio e del famigerato Fiammenghi.

L'UNDICESIMA UDIENZA.

7 giugno 1949 - A metà dell’udienza, quando già era stato ascoltato l'ultimo teste d’accusa, e prima che si presentasse ai giudici il primo della seconda serie di quelli a discarico, si è scatenato un grosso ennesimo incidente. L'avv. Taddei ha annunciato al Tribunale che, allo scopo di vagliare l'attendibilità di certi testimoni, aveva intenzione di esibire una lettera pervenutagli. La parte civile, sempre in preallarme per le uscite improvvise della difesa, si è opposta alla lettura invocando la irregolarità della procedura, ma il P. M. ha dato lo stesso lettura dello scritto che ci piace riprodurre integralmente.

P.M.: 'Avendo appreso dai giornali la deposizione fatta nel processo D'Onofrio dal sergente maggiore Giovanni Troia, dichiaro che il Troia nel periodo delle elezioni del 2 giugno fece una offerta di L. 10.000 a mia madre se gli cedeva il certificato elettorale di mio fratello Vito Buccellato, disperso in Russia, come era a conoscenza del Troia. La lettera è firmata da Nicoletta Buccellato abitante in Roma, viale delle Provinole, 2'.

C'è mancato poco che la baruffa verbale si trasformasse in un pugilato. L'avv. Paone, rosso di collera, è scattato in piedi e ha fatto atto di lanciarsi contro l'avv. Taddei, gridando che questa non era altro che una mossa politica per tentare di ristabilire l'equilibrio spezzato dalla presentazione, da parte dell’accusa, di una circolare che l’Unione dei Reduci dalla Russia inviò, a suo tempo, ai suoi iscritti per raccogliere deposizioni. L’avv. Taddei ha gridato qualche cosa che, nella confusione sfugge alle orecchie degli ascoltatori, ma deve essere bene inteso dal suo avversario che prontamente lo ha rimbeccato.

Avv. Paone: 'Sei un fascista. Tu cerchi così di rifarti una verginità. Tu fai il gioco dei democristiani...'.

Avv. Taddei: 'Ma stai zitto! Voialtri avete fatto votare anche i morti!...'.

Avv. Paone: 'Smettetela. Questo non è un giuoco leale...'.

P.M.: 'Ora basta, avv. Paone'.

Avv. Paone: 'Ma io sono stato provocato'.

Il Presidente tronca l'incidente sospendendo la seduta. Paone e Taddei si allontanano insieme dall'aula per rifare la pace davanti ad una tazzina di caffè. Quale ultimo teste d’accusa, depone il sottotenente di fanteria Esterino Montanari.

Montanari: 'La marcia dal luogo della cattura al campo di concentramento fu estenuante, ma arrivati a destinazione le condizioni di vita migliorarono. Il vitto sarebbe stato sufficiente se la salute dei prigionieri fosse stata buona. Scoppiò una epidemia di tifo petecchiale e l'assistenza medica non fu delle migliori tanto che quasi tutti i malati morirono'.

A domanda dell’avv. Mastino del Rio circa l'assistenza medica, il Presidente chiede se nel campo c'erano ufficiali medici italiani.

Montanari: 'Nei primi tempi dell’epidemia non fu dato ai malati alcun medicinale, poi, in seguito, vennero distribuite delle pasticche di permanganato. Quanto ai medici italiani, nel campo ce ne erano sei ma erano tutti contagiati. Funzionava una infermeria dove prestavano servizio un infermiere croato e una infermiera russa.

Fui poi trasferito in un campo degli Urali dove trovai condizioni di vita ancora migliori. I prigionieri erano trattati così bene che non appena giunsero fecero fare loro un bagno di disinfezione. Trasferito nel campo di Susdal, conobbi il fuoruscito Roncato e seppi da lui che era stata costituita una scuola di antifascismo nel vicino campo n. 2; chiesi di frequentarla e fui ammesso ai corsi. Istruttori erano due italiani: Robotti e Carato. Qui feci la conoscenza con il D'Onofrio, il quale venne per l'inaugurazione del corso e lasciò in tutti una favorevole impressione: era riuscito a guadagnarsi le simpatie di tutti.

D'Onofrio tornò poi al campo-scuola e prima di partire per l'Italia, ci chiese l'indirizzo delle nostre famiglie per poter far loro giungere nostre notizie. Noi continuammo il corso al quale potevano partecipare tutti coloro che professassero idee antifasciste. È assolutamente falso che dalla scuola si uscisse comunisti; tanto è vero che la frequentavano anche antifascisti cattolici...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Infatti, si trattava di un seminario dove si insegnava il dogma cattolico...'.

Montanari: 'Io, ad esempio, sono uscito dalla scuola con idee socialiste'.

Ma il teste non specifica se si tratti di idee socialdemocratiche o socialfusioniste. Una nuova battuta dell’avv. Mastino del Rio provoca il primo violento battibecco fra i patroni delle due parti.

Avv. Mastino Del Rio: 'Ieri ci avete detto che si studiavano 'I Promessi Sposi', oggi ci dite quasi che si studiava il dogma cattolico. Ma insomma tutto ciò è perlomeno umoristico: cercate di salvare il pudore'.

È stata questa la frase che ha fatto andare su tutte le furie l'avv. Paone il quale, rivoltosi eccitatissimo al collegio di difesa, ha pronunciato violenti parole dalle quali è nato il tumulto.

Avv. Mastino Del Rio: 'Voi vi vergognate di dire che era tutta propaganda comunista; nient'altro che propaganda comunista!'.

Ristabilita la calma, il teste ha voluto ribadire al Tribunale come D'Onofrio si fosse vivamente interessato perché ai suoi familiari giungessero notizie del congiunto prigioniero.

Montanari: 'I miei, infatti, ricevettero una lettera, credo del D'Onofrio, in cui si davano notizie della mia salute'.

Avv. Taddei: 'La conosco. Era una circolare ciclostilata. Anche i miei la ricevettero'.

È evidente che anche i testi a carico non riescono a celare la tremenda tragedia dei prigionieri italiani, malgrado gli sperticati elogi e i non richiesti ringraziamenti per D'Onofrio. Salvatore Pontieri, tenente dei bersaglieri in servizio permanente, ha aperto la seconda sfilata dei testi a discarico.

Pontieri: 'Al campo di Tamboff, dove trascorsi i primi tempi della prigionia, conobbi la signora Torre. Molti internati si rivolgevano a lei per avere qualche indumento pesante che li riparasse dal freddo intensissimo di quella zona. Ma la fuoruscita ad ogni richiesta del genere rispondeva invariabilmente: 'Avete battuto tanto le mani fino a ieri, ora abituatevi a battere i piedi'.

Questo lo spirito satanico delle donne italiane in Russia, se pur il nome di donne e di italiane si conviene a queste male femmine comuniste. Nel luglio 1943 il querelante tenne due conferenze al campo di Skit.

Presidente: 'Venne mai interrogato, lei, dal D'Onofrio?'.

Pontieri: 'Sì. Fu la sera stessa della seconda conferenza. Appena entrato nel suo ufficio, mi chiese per quale ragione non mi fossi iscritto alla scuola antifascista e aggiunse, senza aspettare risposta, che era stata proprio la mentalità come la mia a spingere i soldati italiani a venire a far la guerra contro la Russia. Io risposi che avevo fatto soltanto il mio dovere di ufficiale, al che D'Onofrio replicò: 'Altro che dovere. Voi siete venuti in Russia per rubare e per commettere delle atrocità e state attenti perché il vostro atteggiamento può portare a gravi conseguenze'. Le stesse minacce il querelante rivolse al cap. Magnani e al ten. Ioli, i quali due giorni dopo furono trasferiti in un campo di punizione'.

A proposito del Magnani il teste, su richiesta del tribunale, ha detto che era una bella figura di ufficiale, di cui tutti avevano la massima stima. Dopo l'interrogatorio del capitano, il teste ha poi dichiarato di aver inteso il D'Onofrio che diceva: 'A Magnani ci penso io'.

Presidente: 'Ma lei è sicuro che fosse proprio D'Onofrio?'.

Pontieri: 'Sicurissimo: ne riconobbi la voce. E del resto quando lo rividi, Magnani mi disse che la responsabilità del suo trasferimento era tutta di D'Onofrio'.