mercoledì 19 maggio 2021

Commissione speciale dell'ONU, parte 9

Pubblico la nona parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

Al termine dei lavori il Presidente della Commissione in una dichiarazione alla stampa, dopo avere sommariamente parlato della opera svolta e dei risultati conseguiti, comunicò di avere inviato al Segretario Generale dell'O.N.U. un rapporto nel quale si faceva il punto della situazione dei prigionieri e dispersi nell'ultimo conflitto mondiale, sulla base delle informazioni fornite dai Governi interessati. Rapporto che probabilmente, comunicava, sarebbe stato messo all'ordine del giorno dell'imminente riunione dell'Assemblea Generale dell'O.N.U. Il Presidente dichiarò infine d'essere convinto che, da qualche anno, l'aspetto umanitario del problema e la volontà di collaborazione venissero meglio sentiti e compresi - con probabile riferimento all'avvenuto rimpatrio del gruppo dei 34 prigionieri italiani trattenuti quali presunti criminali di guerra e del rimpatrio di altri prigionieri germanici e nipponici - e nutriva fiducia di potere accelerare la sua completa definizione.

Al termine della conferenza stampa, alla quale intervennero i giornalisti di varie nazionalità, il Delegato Italiano convocò i giornalisti italiani per far loro delle raccomandazioni in merito a notizie apparse su quotidiani italiani nel corso dei lavori della V Sessione della Commissione. Il Delegato Italiano invitò i giornalisti ad essere obiettivi sul problema dei prigionieri e dei dispersi, di astenersi dall'annunciare cifre che potessero dare adito ad errate interpretazioni, di non eccedere in notizie sensazionali che potessero illudere numerose famiglie senza peraltro demolire in alcune di esse la speranza e di portare, in sostanza, a conoscenza dell'opinione pubblica, con tutta serenità, la reale situazione venuta a risultare dalle informazioni degli organi responsabili del paese.

Nel 1955 la Commissione Speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra chiese ai Governi interessati un rapporto sulla situazione dei propri prigionieri e dispersi e decise di non tenere la sessione annuale, che rimandò ad altra data. Peraltro sulla base delle informazioni ricevute compilò un rapporto per il Segretario Generale dell'O.N.U. nel quale indicava brevemente il progresso che era stato fatto verso la soluzione del problema dei prigionieri di guerra, dopo quanto riferito nell'ultimo rapporto della V Sessione tenuta l'anno precedente. La Commissione notava con soddisfazione che durante l'anno decorso maggiori progressi erano stati fatti sul rimpatrio dei prigionieri di guerra e detenuti civili, attraverso negoziazioni condotte direttamente fra i Governi interessati o indirettamente attraverso la cooperazione della Società della Croce Rossa, con riferimento ai numerosi rimpatri di giapponesi della Repubblica Popolare Cinese, dell'U.R.S.S., della Mongolia Esterna e della Corea del Nord; al rimpatrio di alcune centinaia di austriaci di un migliaio di germanici dall'U.R.S.S., dalla Cecoslovacchia e dalla Polonia e col rimpatrio di qualche italiano dall'U.R.S.S. e dalla Polonia.

La Commissione concludeva il rapporto con un appello a tutti i Governi e a tutte le organizzazioni che partecipavano attivamente all'inchiesta di dare al problema dei prigionieri di guerra tutta la loro cooperazione al fine di conseguire i seguenti risultati: 1) rimpatrio di tutti i prigionieri di guerra che, secondo le convenzioni internazionali, dovevano essere restituiti; 2) conoscenza dei nomi, cause e condizioni di tutti i prigionieri di guerra ancora trattenuti; 3) utilizzazione di tutte le risorse per condurre le ricerche dei dispersi al fine di stabilire la sorte loro occorsa. Nel luglio dello stesso anno, in occasione della Conferenza di Ginevra dei "Quattro Grandi" l'osservatore italiano Ambasciatore Magistrati nel corso di un colloquio intrattenne il Ministro degli Esteri sovietico Sig. Molotov sul problema dei prigionieri e dei dispersi italiani nell'U.R.S.S., illustrandogli gli elementi umanitari e psicologici della questione e l'importanza di accertare, con ulteriori indagini, se e quali dispersi italiani si trovavano ancora in Russia.

Il Ministro Molotov, premesso di non essere al corrente della presenza nell'U.R.S.S. di prigionieri e dispersi italiani, assicurò l'Ambasciatore Magistrati che il Governo sovietico avrebbe esaminato con ogni cura la situazione dei prigionieri italiani di cui fosse da noi resa nota l'esistenza nell'U.R.S.S. Egli ricordò che in seguito agli avvenimenti bellici non fu possibile trovare alcuna traccia neppure per milioni di cittadini sovietici dati come dispersi. Nel 1956, dopo vari contatti diplomatici fra il nostro Ministro degli Affari e l'Ambasciata dell'URSS in Roma, ebbero inizio gli incontri fra il Delegato Italiano e l'ambasciatore sovietico Bogomolov, nel corso dei quali si esaminò ampiamente il problema dei prigionieri e dispersi italiani in Russia da un punto di vista il più obiettivo ed umanitario al fine di pervenire, attraverso amichevole e sincera collaborazione, ad una soddisfacente soluzione per ambedue le parti.

Il 7 febbraio l'ambasciatore sovietico Bogomolov ed il Delegato Italiano On. Meda ebbero il primo colloquio nella sede dell'Ambasciata dell'URSS. Dopo una sommaria esposizione del problema dei prigionieri e dispersi italiani in Russia fatta dal Delegato Italiano, l'ambasciatore russo dichiarò che la parte sovietica, ispirata dal desiderio di trovare le vie per regolarizzare le principali questioni concernenti le relazioni italo-sovietiche, aveva ripetutamente espresso la propria disposizione a discutere tali questioni ad alto livello per trovare soddisfacenti soluzioni comuni. Per quanto riguardava la possibilità di rintracciare sul territorio dell'URSS ex appartenenti alle truppe italiane, le autorità sovietiche competenti e l'Ambasciata dell'URSS in Italia, avevano sempre dimostrato la debita comprensione e attenzione verso le lettere e le richieste dei cittadini italiani che avevano perso i loro congiunti nell'Unione Sovietica durante il periodo della seconda guerra mondiale. L'Ambasciata riteneva che, benché nel territorio dell'URSS non vi fossero più prigionieri di guerra italiani, le questioni interessanti gli italiani che avevano perduto i loro congiunti nell'URSS avrebbero potuto ugualmente essere affrontate nel corso di più larghe trattative sul miglioramento delle relazioni sovietico-italiane. Però ciò non avrebbe escluso il contatto dell'Ambasciata con l'On. Meda sulle questioni che lo interessavano.

A questo primo incontro ne seguirono altri durante l'anno, e nei colloqui svoltisi sempre in un clima di cordialità, si ebbe l'impressione che le autorità sovietiche fossero animate dal più vivo desiderio di aiutarci anche se ribadirono la dichiarazione del 28 dicembre 1953, secondo la quale cioè, non vi erano più prigionieri italiani nel territorio sovietico. Nei vari contatti si presentò un'ampia documentazione sui prigionieri italiani sicuramente rinchiusi in campi di concentramento dell'URSS e che non avevano fatto ritorno in patria e non si mancò di insistere sulla necessità di avere dalle autorità sovietiche gli elenchi dei prigionieri italiani catturati, quelli di essi deceduti in campi di prigionia e gli elenchi dei rimpatriati. Il rappresentante sovietico ebbe sempre a prendere atto delle nostre richieste e della documentazione, assicurando di passare il tutto all'esame degli Uffici competenti dell'URSS, riservandosi di far conoscere l'esito delle indagini svolte dalle autorità centrali.

Infatti seguirono, come in altra parte detto, le notizie, che dolorosamente furono per circa 300 ex prigionieri la comunicazione di morte, avvenuta per malattia nei campi di concentramento, per altrettanti le indagini non fruttarono alcun esito e per i rimanenti si ebbe la comunicazione di riserva di notizie ad ultimate ricerche. L'esito dell'azione intrapresa, se pure sotto un punto di vista poté considerarsi in parte positivo, fu molto limitato e deluse le nostre aspettative. La richiesta degli elenchi rimase inevasa ed ogni successiva insistenza non ebbe migliore risultato. La promessa collaborazione non trovò corrispondenza nei fatti e ci si trovò ancora una volta di fronte all'intransigenza nel chiarire il doloroso problema sul quale l'opinione pubblica si attendeva, a seguito di quest'altro tentativo, più tangibili risultati. Le speranze dei congiunti dei prigionieri e dei dispersi italiani furono ancora una volta fugate dall'atteggiamento delle autorità sovietiche.

Intanto la Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra decideva di non tenere anche per l'anno in corso la sessione annuale dei lavori di Ginevra con la partecipazione delle Delegazioni dei Paesi interessati e chiese quindi ai Governi le relazioni aggiornate sulla situazione dei rispettivi prigionieri e dispersi, dalle quali avrebbe tratto gli elementi per il rituale rapporto al Segretario Generale dell'ONU. Il Delegato Italiano prospettò alla nostra Rappresentanza Diplomatica presso le Nazioni Unite l'opportunità di un passo presso il Segretario Generale circa la necessità di una Sessione della Commissione a Ginevra e ciò in considerazione degli allora apparenti sintomi di distensione, che, per il mutato clima, lasciavano sperare nella partecipazione di una Delegazione russa. La nostra Rappresentanza Diplomatica presso le Nazioni Unite, che ebbe modo di avvicinare i componenti la Commissione e di accennare alla proposta avanzata, manifestò l'impressione che la detta Commissione non ravvisava più una importanza preminente alla continuazione dei suoi lavori ed anzi aveva in animo di esporre tale punto di vista al Segretario Generale col proponimento di redigere un rapporto finale sull'attività svolta, da presentare alla prossima Assemblea Generale, la quale, prendendone nota, avrebbe potuto sanzionare la cessazione della Commissione stessa.

In conseguenza non rimase che trasmettere la richiesta relazione per la Commissione e continuare nei contatti con l'Ambasciata dell'URSS in Roma, nel tentativo di chiarire l'annoso problema dei nostri prigionieri dispersi. Nel 1957 a seguito delle relazioni allacciate con l'ambasciatore sovietico Bogomolov al quale fu consegnata una ampia documentazione sui nostri prigionieri in Russia e che lo stesso Ambasciatore inoltrò al suo Governo con le note verbali del Delegato Italiano, cominciarono a giungere le notizie sui risultati delle ricerche svolte dalle organizzazioni competenti sovietiche e dalla Croce Rossa e Mezzaluna Rossa di Mosca. Notizie positive ma dolorose, riferite a prigionieri deceduti in campi di concentramento; qualche notizia di avvenuto rimpatrio di prigioniero che non giunse mai in Italia; per molti informazioni deludenti a seguito dell'esito negativo delle indagini, per altri nessuna risposta o riserva di comunicazione ad ultimate ricerche.

I risultati quindi della promessa collaborazione da parte della autorità diplomatica sovietica, in qualche modo dimostrato e mantenuta per un limitato periodo di tempo, furono considerati poco soddisfacenti e comunque delusero le aspettative di quanti ritenevano che si fosse trovata la via per giungere ad una completa chiarificazione del problema. Poi con l'avvenuto cambio dell'Ambasciatore dell'URSS in Roma, i contatti del Delegato Italiano si diradarono sino a cessare con l'assunzione della carica da parte del nuovo Ambasciatore Kozyrev, il quale si mostrò meno condiscendente sulla questione dei prigionieri italiani in Russia. A tal riguardo si mantenne rigidamente alle dichiarazioni del suo Governo della non esistenza del problema già risolto col rimpatrio di tutti gli italiani. Ciò indusse il Delegato Italiano ad avanzare tramite la nostra Rappresentanza Diplomatica alle Nazioni Unite nuovamente la proposta di una Sessione della Commissione a Ginevra con la partecipazione delle Delegazioni dei Paesi maggiormente interessati alla questione, argomentando la richiesta pressappoco nei seguenti termini.

La Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra, che dal 1951 sta svolgendo un'ammirevole azione umanitaria e che aveva già ottenuto dei lusinghieri risultati, non poteva abbandonare la sua attività anche se da qualche anno il problema dei prigionieri e dispersi veniva trattato dai paesi interessati direttamente con l'URSS. Trattative di tal genere avrebbero potuto dare indubbiamente dei risultati, ma in misura diversa da paese a paese in relazione a particolari riflessi di natura politico-economica che ognuno di essi manteneva con l'URSS. L'azione svolta invece dalla Commissione dell'ONU garantiva una unità di indirizzo, tendente alla soluzione del complesso problema comune a tutti i Paesi e sotto l'egida delle Nazioni Unite avrebbe potuto maggiormente pesare sull'atteggiamento sovietico; il fatto stesso poi dell'esistenza e della funzionalità di detta Commissione avrebbe esercitato una pressione psicologica sull'URSS. Si era inoltre indotti a ritenere che da parte sovietica per quelli che erano i più recenti atteggiamenti del Governo di Mosca in ordine alla soluzione dei più importanti problemi internazionali e della stabilizzazione di rapporti con paesi dell'Occidente Europeo e gli Stati Uniti d'America, si sarebbe considerato attentamente la inopportunità di un nuovo rifiuto a partecipare ad una seduta della Speciale commissione dell'ONU.

Non andava infine dimenticato come dal febbraio dello scorso anno si fossero stabiliti rapporti fra l'Ambasciata Sovietica presso il Governo Italiano ed il Delegato Italiano presso la predetta Commissione e che quindi praticamente l'autorità diplomatica russa aveva riconosciuto l'esistenza della Commissione e la validità giuridica dei suoi rappresentanti. Le raccomandazioni del Delegato Italiano fatte proprie dalla nostra Rappresentanza Diplomatica presso le Nazioni Unite e prospettate al Segretario Generale, venivano accolte con la maggiore considerazione. Infatti nel mese di luglio pervenne la comunicazione che la Commissione avrebbe tenuto la sua VII Sessione a Ginevra, nella prima decade di settembre, nel corso della quale avrebbe deciso di tenere delle riunioni pubbliche con la partecipazione delle Delegazioni dei Paesi interessati.

Decisione che la Commissione prese nella sua prima seduta diramando telegraficamente gli inviti ai Rappresentanti dei Governi e il 5 settembre 1957 iniziò i suoi lavori con la partecipazione: dell'Italia - Germania - Giappone - Gran Bretagna - Belgio - Olanda - Austria - Francia e Stati Uniti d'America; mancava, per causa di forza maggiore, la rappresentanza del Lussemburgo il cui Governo aveva fatto pervenire la propria adesione e la dichiarazione. L'URSS come per gli anni precedenti non aveva accolto l'invito. Nelle sedute private il Delegato Italiano riferì alla Commissione sui contatti avuti con l'autorità diplomatica sovietica a Roma, e sui risultati potuti conseguire con tali trattive dirette, riepilogò ed illustrò la situazione aggiornata dei prigionieri e dispersi italiani e presento la seguente altra documentazione suppletiva: - quattro volumi nei quali veniva riportata la «Cronistoria individuale» di circa quattrocento militari italiani catturati prigionieri dalle truppe sovietiche internati in campi di concentramento dell'URSS, non rimpatriati e per i quali non si conosceva la sorte loro toccata; - un volume riepilogativo dei prigionieri italiani in Russia - numerico e nominativo - con le notizie potute avere dalle autorità sovietiche.

E mise in risalto le difficoltà che ancora si incontravano per una completa chiarificazione del problema. Nella seduta pubblica il Delegato Italiano, in tono non aggressivo per evitare eventuali reazioni sfavorevoli da parte sovietica, dopo aver ringraziato la Commissione per l'opera svolta, pronunciò la seguente dichiarazione: "Signor Presidente, allorché nel febbraio 1952 noi ci siamo riuniti per la prima volta a Ginevra, voi avete dichiarato che l'iniziativa delle Nazioni Unite e il compito della Commissione dovevano ispirarsi profondamente ed unicamente a principii e a uno spirito di umanità. Ed è rispettando queste direttive che si è svolta la nostra azione in questi cinque anni, nella speranza che le nostre domande fossero state accolte e di conseguenza si potessero attendere i fini che l'ONU ha fissato alla nostra Commissione: dirimere il dramma che costituisce la sorte dei prigionieri, far ritornare alle loro famiglie i prigionieri che risultano ancora trattenuti dal nemico di ieri.

In questa azione noi abbiamo sempre agito con la massima lealtà e la più profonda comprensione della delicatezza e delle difficoltà delle situazioni che ci si presentavano. Io stesso, a nome del mio Governo, in occasione della sessione del 1953, ho dichiarato - quando facevo appello al senso di solidarietà del Governo dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche - che noi eravamo disposti a dimenticare tutti i disaccordi, tutta l'incomprensione esistente nel passato e che eravamo disposti a collaborare su un piano di perfetta uguaglianza, escludendo il carattere di speculazione politica con chiunque sarebbe venuto verso di noi con la stessa cordialità e con la stessa nobiltà di intenzioni. Noi non possiamo, oggi, che rinnovare questa dichiarazione, sottolineando che il problema dei dispersi, invece che diminuire di importanza, con gli anni, si fa, al contrario, urgente e doloroso. Fino a ieri le spose e le madri facevano appello a noi per avere notizie, assicurandoci nello stesso tempo che esse erano pronte ad apprendere qualsiasi risposta, anche negativa.

Oggi, al contrario, le madri, divenute vecchie e le spose, che hanno visto i loro figli diventare grandi, esigono, dalle autorità responsabili, che sia loro detto quale sia la sorte dei militari fatti prigionieri e non più tornati. E ciò perché se oggi si ammettesse una difficoltà di ricerca dovuta all'incompleta normalità di rapporti, tra Italia e URSS, oggi questa normalità è perfetta e non si può comprendere come, dopo la ripresa dei rapporti commerciali, culturali, sportivi, turistici, non ci si decida, una volta, per tutte, a risolvere il problema dei prigionieri e dei dispersi. Se noi insistiamo in questa domanda di ricerche e continuiamo ad agitare il problema è perché noi siamo convinti che i motivi di tale ricerca hanno una base sicura, come lo dimostra il fatto del rimpatrio di prigionieri, rimpatrio che si è verificato dopo le dichiarazioni ufficiali del Governo di Mosca sull'inesistenza di altri cittadini italiani prigionieri di guerra in territorio sovietico.

Con ciò noi non vogliamo formulare un'accusa o una lagnanza al Governo di Mosca, ma solo constatare come, grazie a delle circostanze e a degli elementi che forse il Governo sovietico stesso non è in grado di controllare, sono rientrati in Italia dei militari che Mosca affermava che non esistevano. In questa Commissione, che è l'espressione della solidarietà di tutti i popoli civili, noi domandiamo ancora una volta al Governo sovietico e a quello degli altri paesi verso i quali è agitato in minore misura, il problema della ricerca dei prigionieri di guerra, che essi facciano un ulteriore sforzo per soddisfare le nostre richieste. Che essi sappiano che un atto di tale livello, procurerebbe loro la riconoscenza e la gratitudine di più di 60.000 famiglie che sono interessate al problema della ricerca dei dispersi. Senza alcun dubbio molto cammino è stato fatto dopo il 1952, ma il fine è ancora lontano. D'altra parte io credo che si tratti di una questione di umanità e per questa ragione la questione stessa è sempre di attualità, nella sua ampiezza, il suo valore, il suo aspetto drammatico.

Signor Presidente, come ho già avuto occasione di affermare, il mio Governo è dell'avviso che la Commissione debba continuare ed anche - nella misura del possibile - intensificare la sua attività. Da parte nostra io vi posso assicurare che noi non avremo un momento di respiro, nel compito che si effettua da tanti anni. Noi abbiamo presentato a suo tempo una serie di documentazioni per appoggiare le richieste che abbiamo formulato; oggi le completiamo con altri documenti, con altre prove che non possono essere contestate. Sulla base di questa documentazione noi speriamo che la Commissione Speciale dirigerà la sua attività futura, ma nello stesso tempo pensiamo che altri documenti, altre prove, potranno pervenire prossimamente dalle autorità sovietiche, grazie alla consultazione e alla coordinazione dei loro archivi. Abbiamo fiducia, lo ripeto ancora una volta, in questa manifestazione di solidarietà umana di un popolo verso un altro che formula questa domanda in nome di una sofferenza terribile che dura da più di 10 anni.

Il mio Governo ha preso impegno solenne verso il popolo italiano ed in particolare verso le famiglie dei prigionieri di guerra e dispersi, di fare tutto ciò che sarà necessario, di sopportare qualsiasi sacrificio, per arrivare ad una conclusione degna e soddisfacente. Non intendiamo cambiare la realtà, ne creare l'illusione di risultati impossibili, vogliamo solo che ciò che è possibile sia realizzato. E noi non pensiamo che questo fine sia difficile a raggiungere. E' in questo spirito e ringraziandovi, Signor Presidente, con i vostri collaboratori diretti, per l'opera fin qui effettuata, che noi formuliamo il voto di incontrarvi in una prossima sessione nel corso della quale noi saremo in grado di dire che i nostri appelli sono stati ascoltati là dove sono particolarmente diretti e che noi abbiamo avuto la prova che la solidarietà vive tuttora, che lo spirito di umanità anima ancora il cuore di tutti i popoli. Speriamo di potervi comunicare che il mistero che ancora oggi circonda la sorte dei nostri militari dispersi, è stato finalmente chiarito, che il dubbio, la incertezza sono state sostituite dalla gioia o dalla rassegnazione nei cuori che soffrono nell'attesa di una notizia alla quale essi hanno umanamente diritto. Ginevra 9 settembre 1957".

Tutti i Delegati degli altri paesi intervenuti si espressero in termini analoghi appoggiando la nostra richiesta sull'utilità della continuazione dei lavori della Commissione, che, al termine della Sessione, assicurò di pronunciarsi in tal senso nel suo rapporto al Segretario Generale dell'ONU. Dall'ultimo rapporto della Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra fatto al Segretario Generale delle Nazioni Unite al termine della VII Sessione di Ginevra si sono tratti alcuni dati, che possono dare la sensazione dei risultati conseguiti e quanto ancora rimane da conoscere sui prigionieri e dispersi dei tre paesi maggiormente interessati. I dati si riferiscono al periodo 1950-1957 e cioè dalla istituzione della Commissione fino alla VII Sessione della stessa - secondo le segnalazioni fatte dai Governi: - Militari e civili della Germania Occidentale rimpatriati dall'URSS, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Romania, ed altri paesi N. 30.000 (circa). - Militari e civili del Giappone, rimpatriati dalla URSS, Cina, Australia, Filippine ed altri paesi N. 34.000 (circa). - Militari e civili dell'Italia, rimpatriati dalla URSS, Polonia, Albania, Jugoslavia ed altri paesi N. 101.

Prigionieri detenuti in URSS: Germania 68, Giappone 1.300, Italia n.d. Prigionieri dei quali è stata provata la cattività in URSS, non rimpatriati e dei quali si ignora la sorte: Germania 100.000 (circa), Giappone 8.000, Italia 1.396. Dispersi in URSS: Germania 1.200.000 (circa), Giappone 370.000, Italia 63.654. Dopo le segnalazioni di tali dati e a conclusione del suo rapporto, la Commissione fa rilevare ancora una volta il rifiuto del Governo dell'URSS di cooperare con la Commissione, la quale provvide a precisare sempre nei rapporti all'Assemblea Generale dell'ONU i termini della questione dei prigionieri di guerra fatti durante la seconda guerra mondiale e cioè che essa fosse risolta d'accordo in uno spirito di pura umanità ed in termini accettabili da tutti i Governi interessati. Rinnovava infine l'appello a questi Governi ed alle varie Organizzazioni di continuare i loro sforzi perché il problema dei prigionieri di guerra non era stato ancora completamente risolto.

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