giovedì 31 agosto 2023

L'esercito perduto

Ritorno nella valle del Don, in Russia, alla ricerca dei dispersi dell'Armata italiana nella seconda guerra mondiale: reportage di Pino Scaccia per Tv7 (Raiuno).

Documenti relativi ai rapporti italo-tedeschi, 1

Eccomi con una nuova ricerca e con nuovi documenti relativi ai rapporti fra italiani e tedeschi sul Fronte Russo: diffidenze, collaborazioni, contrasti e modi totalmente differenti di condurre una guerra sono raccontati sia da parte tedesca che da parte italiana e danno un'idea abbastanza precisa della situazione.

Il PRIMO documento, riportato integralmente, è quello relativo a "Il servizio di collegamento con l'8ª Armata italiana in Russia nel 1942-43. Stralcio estratto dalla relazione dell'ex generale tedesco presso l'8ª Armata italiana - BA-MA, ZA 1/2028-2030: Burkbard Muller-Hillebrand et al., Die militarische Zusammenarbeit Deutschlands und seiner Verbundeten wahrend des Zweiten Weltkrieges, manoscritto inedito P-108 della Historical Division della U.S. Army, s.i.d. [1953], allegato F."

I. La creazione dell'ufficio.

Quando il Corpo di spedizione italiano ampliato e assunse le dimensioni di un'Armata di tre Corpi, al Comando d'Armata fu assegnato un nucleo di collegamento tedesco sotto la direzione di un maggiore di s.m. (Maggiore di s.m. von Gyldenfeldt). Nell'estate del 1942 l'Armata attraversò una grave crisi quando una Divisione italiana crollò sotto l'attacco russo e ripiegò precipitosamente. Per questo motivo il capo di stato maggiore dell’Esercito inviò all’Armata italiana un generale [generale d’Armata Franz Halder] come ufficiale di collegamento. L'idea era di avere, nel caso in cui si fossero verificate altre crisi, presso il Comando italiano, una personalità più autorevole grazie al suo grado, e di mettere inoltre a disposizione del Comando italiano un ufficiale che aveva fatto esperienza sul fronte orientale, come un comandante di truppa e poteva quindi fungere da consulente e influire sull’addestramento, trasmettendo l'esperienza delle truppe tedesche a quelle italiane. Il generale descrive così la propria attività: “A Millerovo venni accolto dal comandante italiano [Italo Gariboldi] con la cortesia tipica degli italiani, ma anche con l'evidente diffidenza nei confronti delle intenzioni tedesche che avrebbero potuto celarsi dietro l'invio di un ufficiale di grado così alto come ufficiale di collegamento. Per fugare la sua comprensibile diffidenza, quando mi presentai subito sottolineai che oltre all'attività finora svolta come organo di collegamento, avevo ricevuto il compito di assistere l’Armata italiana nella conduzione dei combattimenti sul fronte orientale, soprattutto durante l'inverno, servendomi della mia esperienza”.

II. L’organizzazione dell'ufficio, il suo allargamento e la sua attività.

A fine agosto del 1942, l'Armata si trovava sul Don con il seguente assetto difensivo: a destra Il XXXV Corpo d'Armata italiano (generale Messe), al centro un Corpo d'Armata tedesco sotto il comando del generale di Corpo d'Armata von Obstfelder con una Divisione di fanteria tedesca e una italiana, a sinistra il II° Corpo d'Armata italiano (generale Zanghieri), la cui ala sinistra si congiungeva con la 2a Armata ungherese. Alcuni reparti di una Divisione tedesca erano già inseriti nel XXXV Corpo d'Armata italiano fin dai tempi dei combattimenti sul Don. Il Corpo d'Armata alpino virgola, che inizialmente era stato destinato al Caucaso, alla fine di settembre fu dislocato per anticipare i tempi nell'ala sinistra, dove assunse il controllo di un settore della 2ª armata ungherese.

Ogni Corpo d'Armata aveva come ufficiale di collegamento un ufficiale di stato maggiore tedesco con un assistente (presso il Corpo d'Armata alpino un generale), mentre ogni Divisione italiana aveva un capitano o un tenente. Alcuni reparti di un Reggimento trasmissioni tedesco, sottoposti al nucleo di collegamento tedesco presso l'Armata, avevano creato una rete di comunicazione tedesca che arrivava fino ai Corpi d'Armata. In questo modo gli organi di collegamento tedeschi potevano comunicare via radio e con proprie linee telefoniche le vicende tattiche al nucleo di collegamento e trasmettere le consuete relazioni mattutine e serali. Questo sistema organizzativo rimase immutato fino al crollo dell'Armata italiana nel dicembre del 1942.

Fu invece notevolmente ampliato lo stato maggiore dell'ufficiale di collegamento presso l'Armata, il cui ufficio in seguito cambiò nome in “generale tedesco presso l'8ª Armata italiana”. Vi fu assegnato un capo di Stato maggiore, mentre il precedente ufficiale di collegamento divenne Ia. Allo stato maggiore si aggiunsero progressivamente, accanto al già esistente ufficiale Di Stato maggiore del reparto trasmissioni, anche un ufficiale di Stato maggiore dell'artiglieria, uno dei Genieri e uno della difesa controcarro con i loro piccoli stati maggiori. Al “generale tedesco” fu inoltre assegnato il reparto del Quartiermeister che aveva più o meno le dimensioni di un ufficio del Quartiermeister tedesco presso vuoi un Corpo d'Armata ciò che collaborava con l'intendente ai servizi italiano a Vorosilovgrad. L'ampliamento dello Stato maggiore derivava dall'aumento dei compiti che continuamente venivano assegnati all'ufficio. Essi possono essere suddivisi così: 1. Attività di collegamento, 2. Miglioramento dell'addestramento delle truppe italiane, 3. Rafforzamento delle opere difensive, 4. Collaborazione nella conduzione dei combattimenti.

1. Attività di collegamento.

Il fulcro e le difficoltà dell'attività di collegamento consistevano principalmente nel trasmettere, far applicare e controllare gli ordini impartiti dai tedeschi all’Armata italiana, ma anche nell'eliminare gli attriti e le interferenze nei rifornimenti dell'Armata, fortemente dipendenti dall'aiuto tedesco. Una continua fonte di attrito era rappresentata sul piano tattico dall'organizzazione della difesa italiana. I tedeschi, infatti, imponevano all’Armata una serie di condizioni che essa non era in grado di soddisfare pienamente, ma che inoltre attuava solo con molta riluttanza. Si trattava di un ampio programma per la realizzazione di postazioni arretrate, per la costruzione di trincee controcarro con l’impiego della popolazione civile, per l’installazione di postazioni arretrate con una difesa a tutto raggio e altro ancora. A tutta questa organizzazione gli italiani non ci tenevano, perché non attribuivano alcun valore militare alle unità non combattenti e neanche potevano attribuirgliene, visto il loro scarso addestramento. Inoltre il tipo di popolamento in Ucraina (villaggi molto gradi ma molto lontani l’uno dall’altro) e la carenza di legno, che non bastava nemmeno per le necessità più immediate delle truppe, rendevano assai difficile, se non in parte impossibile, portare avanti le opere di ampliamento.

Nel campo dei rifornimenti era motivo di continui contrasti soprattutto la scarsa efficienza della rete ferroviaria. Il numero dei convogli concessi agli italiani non bastò mai a soddisfare le loro notevoli esigenze, e per un certo tempo diminuì al punto che il Comando Supremo italiano finì per minacciare “di ritirare la sua Armata”, visto che a suo parere non poteva approvvigionarla adeguatamente (già il 2/9/1942 il generale Gariboldi dichiarò che il potenziamento della postazione invernale era a rischio per la mancanza di carburante, e minacciò di “ritirarsi finché non avesse trovato dei centri abitati in cui far alloggiare le sue truppe, per impedire che i suoi uomini si congelassero”. Il 25/9/1942, durante una riunione sulle questioni controverse riguardanti il trasporto ferroviario, Gariboldi si espresse in maniera analoga: se gli alleati tedeschi avessero persistito nelle loro idee, avrebbe “inviato un Corpo d'Armata in Italia per impedire che i suoi uomini morissero di congelamento”. (BA-MA, MFB4 41403, f. 1025 e f.1034, diario storico del generale tedesco presso il Comando dell’8° Armata italiana). I difetti tecnici nel sistema di rifornimento degli italiani, la loro scarsa disponibilità a collaborare alla costruzione di un raccordo per decongestionare il traffico, i loro bisogni in parte eccessivi avranno senz'altro contribuito ad alimentare questi problemi; ma di sicuro le difficoltà nei rifornimenti non sono state un favore decisivo per il fallimento dell'Armata nel dicembre del 1942.

2. Miglioramento dell’attività di addestramento.

La crisi menzionata all'inizio e una di minori proporzioni a settembre (si allude probabilmente all'attacco sovietico dell'11/9/1942 contro le postazioni del II Corpo d'Armata italiano sull'ansa del Don presso V. Mamon, che poté essere respinto definitivamente soltanto il giorno dopo) nello stesso punto avevano evidenziato, più di quanto ci si aspettasse, le inadeguatezze del comando italiano nella difesa e nel rendimento delle truppe, che riguardavano da un lato i presupposti tattici e dall'altro il materiale difettoso. Colmare il più possibile entrambe le lacune divenne il compito principale del “generale tedesco”. Non aveva alcuna autorità di comando. L'armata collaborava solo con riluttanza, in quanto, a prescindere dalle difficoltà di modificare l'addestramento dell'armata di fronte al nemico, si rifiutava qualunque suggerimento, anche attuabile, data la fortissima suscettibilità degli italiani nei confronti di ogni forma di critica pur necessaria. L’Armata italiana aveva vari mali di fondo che non potevano essere eliminati: a) l'insufficiente addestramento tattico, b) il comando centralizzato e schematico, che certamente ne derivava, ma che era anche un tratto caratteristico degli italiani, c) l'equipaggiamento scadente.

Il cattivo addestramento si rivelava già nei gradi più bassi di comando. Gli italiani ne erano consapevoli e ritenevano che nella fanteria non ci fossero capisquadra in grado di guidare autonomamente il proprio gruppo e che un Comando Tattico fosse possibile soltanto a livello di plotone. Secondo loro, questo comando non poteva essere garantito da un sistema di trincee continue a causa dell'ampiezza del fronte, sicché dovevano riunire i loro plotoni in basi, detti capisaldi, respingendo semplicemente l'idea di una trincea continua. Ma in questo modo si lasciava campo libero alla tattica d’infiltrazione dei russi. Ogni irruzione russa veniva respinta non riguadagnando i singoli settori di trincea perduti, come facciamo noi, ma attaccando sul terreno aperto. Questo modo di procedere falli molto spesso e comunque causò perdite eccezionalmente alte, esaurendo tutte le riserve già il primo giorno dell’attacco russo.

Pur facendo uso di tutta la nostra forza di persuasione, non riuscimmo in alcun modo a cambiare la situazione. Nei colloqui al fronte i comandanti subalterni più ragionevoli mostrarono di comprendere il problema, ma le autorità superiori rimasero indifferenti. Inoltre questa forma di comando accentrato, che permeava tutti i livelli, lascia poca autonomia a tutti i gradi di comando - le rare volte in cui tendevano a prendere decisioni improprio - e faceva precedere ogni azione da interminabili telefonate. Questo accentramento - insieme all'equipaggiamento inadeguato - si manifestò con effetti devastanti anche nel comando dell'artiglieria.

Gli italiani non concepivano gli osservatori avanzati come organi che potessero dirigere il fuoco, dunque sparare. Erano solo “osservatori” che con le loro comunicazioni dovevano far aprire il fuoco. Non avevano neanche un apparecchio radio. I pochi apparecchi del reparto venivano utilizzati nel collegamento tra i principali posti di osservazione delle batterie e il reparto, dove si sarebbe forse potuto contare sul cavo. Non erano disponibili neanche cannocchiali a forbice.

Ogni manovra di concentrare il fuoco era diretta dall'alto in un modo centralizzato e veniva convertita troppo tardi, e in parte solo dal comandante d'artiglieria del Corpo d'Armata, in fuoco più o meno incontrollato. Di conseguenza non si riuscì mai a sbaragliare gli schieramenti nemici, a soffocare sul nascere gli attacchi e a bloccare gli sfondamenti. Gli uffici tedeschi superiori venivano sistematicamente informati sulle debolezze della difesa italiana e non tralasciavano di comunicarle anche alle autorità più elevate. Il rimedio si sarebbe trovato solo - a lungo termine - nel decisivo sostegno dell’addestramento e nel miglioramento dei principi di comando, a breve termine in un ulteriore restringimento dei settori di combattimento. Per la prima misura mancava il tempo, per la seconda difettavano le forze necessarie da parte tedesca.

3. Rafforzamento delle opere difensive.

Per rafforzare la difesa, dunque, non restava che dotare le truppe di armi migliori. Accanto a insufficienti forniture dirette agli italiani, si tentava di raggiungere lo scopo inserendo delle unità tedesche controcarro e contraeree (per la difesa da terra) nella difesa italiana. Gli ufficiali di queste unità presso il nucleo di collegamento tedesco dovevano disporre e controllare l'impiego appropriato degli armamenti, nonché trasmettere agli italiani le regole per il loro utilizzo in battaglia. L'ufficiale di stato maggiore dei Generi svolgeva un'attività analoga nell’installazione di basi arretrate e nel posizionamento delle mine. Che con tutta questa attività non si riuscisse a creare dei solidi presupposti per respingere un attacco russo su vasta scala, era fuor di dubbio.

4. Collaborazione nella conduzione dei combattimenti.

Il “generale tedesco” e i suoi organi cominciarono a collaborare attivamente alla conduzione dei combattimenti con lo sfondamento russo del 16 dicembre 1942. Inizialmente, all'incirca nella prima settimana, si trattava soprattutto di avere un quadro chiaro e preciso della situazione tramite gli ufficiali di collegamento nei Corpi e nelle Divisioni e di trasmetterlo ai Comandi Superiori tedeschi. Gli ufficiali di collegamento tedeschi contribuirono inoltre a rafforzare la volontà di resistenza dei Comandi italiani. Ciò si manifestò chiaramente nei due ufficiali di collegamento molto energici presso i Corpi di fanteria italiani, ma sarà avvenuto anche nelle Divisioni. Alla fine si riuscì a stabilire un contatto permanente con i due Corpi tramite i mezzi di trasmissione tedeschi e a comunicare loro preziose informazioni sul nemico dove sfondamento.

Qui va notato che due Divisioni italiane sotto l'energico comando del generale von Obstfelder si sono battute molto meglio (al momento dell'attacco sovietico dell'11/12/1942 erano assegnate al XXIX Corpo d'Armata tedesco solo grandi unità italiane ovvero le due Divisioni di fanteria “Torino” e “Sforzesca” e la 3° Divisione celere “Principe Amedeo Duca d'Aosta) delle Divisioni guidate dai generali italiani. Ciò conferma non solo la vecchia idea di quanto fosse importante un capo carismatico in guerra, ma dimostra anche - come In Africa - la fiducia che si nutriva verso il comando tedesco, e dimostra infine che un apparato di collegamento relativamente piccolo (dal Corpo d'Armata alle Divisioni) può essere sufficiente in situazioni critiche. Che in questo periodo il “generale tedesco” cercasse continuamente, sia di propria iniziativa, sia su disposizione del gruppo di Armate tedesco superiore, di spingere l'Armata italiana a una maggiore resistenza, è evidente.

Intorno al 25 dicembre, nella zona di irruzione combattevano ormai praticamente solo frammenti di unità tedesche, in parte insieme a deboli resti italiani sotto il loro comando, mentre la massa degli italiani, nella misura in cui non erano stati accerchiati, si dava alla fuga disperata in direzione del Donets (escluso il Corpo d'Armata alpino che non era stato attaccato) e stavano arrivando i primi rinforzi tedeschi (19ª Divisione corazzata). Il comandante italiano non vedeva alcuna possibilità di ricostituire una qualche unità combattente dalle sue formazioni in fuga e dai reparti in servizio nelle retrovie.

Da quel momento in poi fino al 1° febbraio 1943, data l'urgenza con la quale le decisioni dovevano essere comunicate all'unità tedesche, solo occasionalmente fu possibile orientare il Comando italiano prima di ogni disposizione e lasciare che prendesse le decisioni e impartisce gli ordini in modo autonomo, cosa che formalmente gli competeva. Fino al 14 gennaio 1943 il Corpo d'Armata alpino, che fino a quel momento non aveva subito attacchi, rimase indipendente dal comando tedesco, ma non molto dopo il 14 gennaio anche qui fu possibile mantenere il collegamento unicamente tramite le stazioni radio tedesche. Così, anche in questo caso, il comando passò ben presto nelle mani di un colonnello di stato maggiore tedesco che casualmente era a disposizione in quel momento e aveva assunto il comando del servizio di collegamento nel Corpo d'Armata.

III. Ammaestramenti fondamentali.

Come risulta dalle precedenti considerazioni, il male di fondo nella collaborazione tra tedeschi e italiani era rappresentato dal fatto che l'Armata italiana non era all'altezza del suo compito e del resto non poteva esserlo - come si sapeva già prima del suo crollo. A causa di tale constatazione o presentimento erano stati assegnati al nucleo di collegamento dei compiti che in circostanze normali non avrebbe mai dovuto assumere. In linea generale si può constatare come il sistema di collegamento abbia adempiuto bene alla propria funzione originaria, cioè quella di mantenere i collegamenti, senza mostrare sostanziali difetti strutturali. Tuttavia esso finì per andare ben oltre le sue normali funzioni, fino allo stato maggiore del Quartiermaister. La stessa attività di comunicazione tattica degli ufficiali di collegamento presso gli stati maggiori subalterni (Corpi d'Armata e Divisioni) andava oltre la normale attività di collegamento e implicava fino ad un certo grado la sorveglianza degli italiani che come tale la vivevano. Avrebbero dovuto limitarsi a garantire il collegamento con le unità tedesche superiori e la trasmissione dei loro ordini e a curare, all'occorrenza, il collegamento con l'unità tedesche vicine.

Per concludere vorrei osservare che la presenza di principi uniformi di addestramento e di comando, oltre a un livello omogeneo di armamento, sono decisivi per una proficua collaborazione tra unità di diversa nazionalità. Date queste premesse, gli organi di collegamento devono prima di tutto fungere da interpreti addestrati sul piano tattico e capaci di immedesimarsi nell'interlocutore, che conoscano la mentalità di entrambe le nazioni e sappiano superare abilmente gli eventuali contrasti e attriti.

Il viaggio del 2013, da Postojalyi a N.Karcowka

Trekking 2013 lungo il percorso della ritirata del Corpo d'Armata Alpino in Russia nel gennaio 1943, dal Don a Nikolajewka; da Postojalyi a Nova Karcowka.

Ricompense - 2° Corpo d'A. - 15° Btg. Genio

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

2° Corpo d'Armata - 15° Btg. Genio di C.A.

MBVM Capitano BOSISIO Pietro
MBVM Tenente FRANCHINI Claudio
MBVM Tenente PEDROTTI Mario
MBVM Sottotenente MILANESE Clemente
MBVM sergente maggiore TARABELLA Dino
MBVM sergente MARTIGNONI Gerolamo
MBVM caporale DE FERRARI Carlo
CGVM Colonnello MONTANARI Mario
CGVM Sottotenente BOSCAINI Giuseppe
CGVM Sottotenente PERELLI Enrico
CGVM sergente CAVALLARO Paolo
CGVM sergente DURANTE Ernesto
CGVM sergente INTROZZI Bruno
CGVM sergente NORENT Giacomo
CGVM sergente SANTOLI Renzo
CGVM caporal maggiore RICCI Pietro
CGVM caporal maggiore TOSCHI Guido
CGVM caporale BACHIOCCHI Getullio
CGVM caporale GENERALI Triestino
CGVM caporale MACCAFERRI Mario
CGVM caporale OPPICINI Virgilio
CGVM soldato BULDRINI Pompeo
CGVM soldato CANDIRACCI Terzo
CGVM soldato CARAMALLI Massimo
CGVM soldato CERUTTI Settìmio
CGVM soldato COACCI Bruno
CGVM soldato DI GIACOMO Vincenzo
CGVM soldato FOSSATI Carlo
CGVM soldato LORENZINI Gilberto
CGVM soldato MAGGIORA Domenico
CGVM soldato MANCIN Danilo
CGVM soldato MARELLI Aurelio
CGVM soldato MASPERO Dono
CGVM soldato MAZZOLINI Egidio
CGVM soldato MERONI Costante

sabato 26 agosto 2023

Il viaggio del 2013, da Postojalyi a N.Karcowka

Immagini del mio primo trekking effettuato nel 2013... Domenica 20 gennaio - 2a tappa Km.17: da Postojalyi a Nova Karcowka. Il meritato riposo nell'isba a Nova Karcowka.







Le fotografie di Mario Bagnasco, 37

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"Ricoveri".

MOVM - Vitale Vincenzo

Le Medaglie d'Oro al Valor Militare della Campagna di Russia, Caporale VITALE Vincenzo.

Motivazione: "Vicecomandante di squadra lanciafiamme, si lanciava animosamente contro il nemico incalzante ricacciandolo col getto della sua arma. Esaurito il lancio sostituiva il suo apparecchio con un altro tolto ad un compagno ferito e si portava di nuovo arditamente e decisamente al contrassalto infliggendo notevoli perdite dell’avversario. A lancio finito si toglieva di dosso l’apparecchio e spintosi davanti a tutti teneva testa ad un numero soverchiante di nemici, prima con la pistola e poi a colpi di bombe a mano. Mentre a voce alta incitava i campagni a seguirlo nell’azione destando l’ammirazione dei superstiti, rimaneva ucciso da una granata avversaria. Già distintosi in azioni precedenti. Chiaro esempio di elevato senso del dovere spinto sino al sacrificio. – Fronte russo (Don Deresowka), 15 dicembre 1942".

Ricompense - 2° Corpo d'A. - 2° Btg. Guastatori

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

2° Corpo d'Armata - 2° Btg. Guastatori di C.A.

MOVM caporale VITALE Vincenzo, alla memoria
MAVM Tenente CASADEI Pierluigi
MAVM Tenente DE GIOVANNINI Romeo
MAVM Tenente LAFRAGOLA Vincenzo
MBVM Tenente Colonnello VECCIA Alfredo
MBVM Capitano PEIRANO Agostino
MBVM Capitano SAVINI Emilio
MBVM Capitano SPINA Ettore
MBVM Tenente TOGNOLATTI Mario
MBVM Sottotenente SIMONETTI Salvatore
CGVM sergente maggiore DI MINIELLO Ezio
CGVM caporal maggiore CANDELANI Livio
CGVM caporale GUALAZZI Francesco
CGVM soldato DI GIUSEPPE Giuseppe
CGVM soldato LISI Domenico
CGVM soldato NOCITO Vincenzo
CGVM soldato PORRO Enrico
CGVM soldato SIGNORINI Angelo

venerdì 18 agosto 2023

Intervista a Chiara Pietro

Intervista all'Alpino Chiara Pietro, classe 1920.

A seguito della serata organizzata al Teatro Sterna di Quarona, il Presidente Gianni Mora, il gentilissimo Valter Stragiotti e tutto il Consiglio Sezionale, in occasione del 100° anniversario della Sezione Valsesiana hanno aderito alla mia richiesta di diffondere il contenuto del dvd "Ciau Pais", 34 storie di Alpini che sono tornati; obiettivo come sempre quello di fare tesoro e memoria dei nostri soldati e raccontare alle nuove generazioni la loro storia ed il loro sacrificio. Dal bel dvd prodotto dalla Sezione Valsesiana sono state estratte le singole interviste. Un grosso grazie a tutta la sezione per il permesso accordatomi.

Il viaggio del 2013, da Postojalyi a N.Karcowka

Immagini del mio primo trekking effettuato nel 2013... Domenica 20 gennaio - 2a tappa Km.17: da Postojalyi a Nova Karcowka. Finalmente arriviamo a Nova Karcowka all'imbrunire.



Il viaggio del 2013, da Postojalyi a N.Karcowka

Immagini del mio primo trekking effettuato nel 2013... Domenica 20 gennaio - 2a tappa Km.17: da Postojalyi a Nova Karcowka. Da qualche parte nella steppa.

Italiani brava gente, parte 6

PREMESSA.

Questo nuovo studio che ho voluto intraprendere e successivamente pubblicare, non vuole gettare discredito sui nostri soldati (e 7 anni di pubblicazioni a ricordo e in loro onore ne sono la prova), ma esclusivamente raccontare una pagina di storia che li riguarda e che, penso volutamente, è stata in parte accantonata. Se questa è la verità, qualsiasi essa sia deve essere raccontata. Erano uomini e come tali soggetti anche ad azioni che oggi riteniamo riprovevoli, ma che vissute direttamente e sulla propria pelle, hanno un senso diverso e come tali vanno prese e non giudicate senza minimamente avere vissuto analoghe e così drammatiche esperienze. Anche tutto questo è raccontare la loro storia e le sofferenze provate.

Estratti dal libro "Invasori, non vittime - La campagna italiana di Russia 1941-1943" di Thomas Schlemmer; libro che invito a leggere per intero per inquadrare al meglio il tema affrontato, anche considerando l'ampia referenza di archivi consultati e citati per intero nella trattazione.

La volontà di combattere i partigiani non venne meno neanche dopo i drammatici avvenimenti dell'inverno del 1942-43, anzi, in alcuni casi la sete di vendetta spinse gli italiani a intensificare le operazioni antipartigiane. Il 20 gennaio 1943 il diario storico del 38° Reggimento fanteria della Divisione "Ravenna", che dopo la ritirata del II Corpo d'Armata dal Don era stata chiamata sul Donets, riferiva che in due località si erano verificate azioni di partigiani, alcuni dei quali erano stati catturati e immediatamente fucilati. (fonte AUSSME, DS II 1330, DS 38° Reggimento di fanteria, gennaio-febbraio 1943, nota del 20/1/1943).

Tra gennaio e febbraio del 1943 il gruppo di combattimento del colonnello Mario Carloni, comandante del 6° Reggimento Bersaglieri, si distinse per la sua brutalità. Carloni era stato nominato comandante delle truppe alleate nella città di Pavlograd a est di Dnepropetrovsk, dove all'avvicinarsi dell'Armata Rossa si verificò una vera e propria insurrezione, partita non da ultimo dalla polizia ucraina e da altri ausiliari locali presenti negli uffici tedeschi. Gli scontri si svolsero soprattutto all'interno di una fabbrica che fu poi circondata e incendiata. Carloni prosegue nella sua relazione sui combattimenti: "Italiani e tedeschi penetrano nell'interno della fabbrica ed incomincia il lavoro di sterminio degli insorti; alcuni, approfittando della notte, cercano di fuggire ma sono passati per le armi dopo una lotta serrata nei sotterranei della fabbrica. Soltanto nell'interno delle mura di cinta vengono contati 47 cadaveri, quasi tutti vestiti con uniforme tedesca ed appartenenti alle varie stazioni polizia ausiliaria dell'organizzazione agricola. Tra i morti vi è anche il capo dei partigiani di Pavlograd - ex tenente dell'esercito sovietico ed in atto comandante polizia ausiliaria della città. [...] Allo scopo di completare l'efficacia dell'esempio dato viene decisa l'esecuzione capitale di 5 fra gli arrestati nella fabbrica, eseguita per impiccagione il giorno successivo nella piana principale della città. (fonte AuSSME, L 14/87-1, Comando 6° Reggimento Bersaglieri (f.to Mario Carloni): Relazione sul ciclo operativo 22/1-22/2/1943).

Sulla base di queste accuse, già nell'ottobre del 1944 il governo sovietico aveva chiesto all'Italia l'estradizione di vari ufficiali, ma senza alcun successo. Il rappresentante sovietico a Roma, Michail Kostylev, aveva consegnato una lista di 12 nomi all'alto commissario per le sanzioni contro il fascismo, il conte Carlo Sforza. Erano incriminati per i saccheggi e le devastazioni nella città di Rykovo il generale Roberto Lerici, comandante della "Torino", il capitano Luigi Grappelli, capo dell'Ufficio Affari Civili della stessa Divisione e il tenente colonnello Bernardo Giannetti, ufficiale responsabile per il servizio sanità della "Torino". Il generale di Brigata Paolo Tarnassi e un non meglio identificato colonnello Fransi Piliz furono accusati di aver ordinato la fucilazione di civili nella zona di Kantemirovka. Cinque ufficiali furono accusati di aver giustiziato civili e prigionieri di guerra nella zona di Bogucar e di aver arrestato, seviziato e trasferito nei campi di concentramento un numero imprecisato di cittadini russi. Erano il capitano Mariano Piazza (comandante dei Carabinieri della "Cosseria"), il maggiore Luigi Giovanni Biasotti (ufficiale nel Comando del 38° Reggimento fanteria della Divisione "Ravenna" e comandante della piazza di Bogucar), il maggiore Romolo Romagnoli (comandante del 3° Battaglione mortai della "Ravenna" e comandante della piazza di Filonovo), il tenente Renato Barile (capo della compagnia Comando del 3° Battaglione mortai e addetto all'Ufficio Affari Civili nel Comando di Filonovo) e un certo capitano Plass, che forse corrisponde a Mariano Piazza. Inoltre il tenente colonnello Raffaele Marconi (responsabile per l'Ufficio Affari Civili nel Comando di Rossos) e il capitano Dante Iovino (comandante dei Carabinieri della Divisione alpina "Cuneense" e nel novembre-dicembre del 1942 sostituto comandante dei Carabinieri del Corpo d'Armata alpino) furono accusati della fucilazione di 31 prigionieri nella prigione comunale di Rossos. (fonte ASD, Rapp. Dip. - Russia 1861-1950, 320/3, Giorgio Liuzzi (Ufficio Informazioni, stato maggiore Regio Esercito - n° 97364/3/7 di prot.) al ministero degli Esteri (Direzione Generale Affari Politici) del 11/5/1946 - "Oggetto: Criminali di guerra italiani secondo i russi").

A metà agosto del 1942 un Bersagliere del 6° Reggimento, dove ovviamente si trovavano degli accaniti bolscevichi, descrisse quanto accadde a due prigionieri catturati dopo un duro scontro dalla sua compagnia: "Il nervosismo del giorno trascorso e dei precedenti che aveva dato luogo anche a qualche incidente era passato. Tutti sorridevano. Prendemmo il rancio con soddisfazione. Dei due prigionieri non si sapeva cosa farne. Uno disse di ucciderli. Assieme a molti altri protestai e mi offersi di accompagnarli al comando come avevo fatto ancora con altri. La nostra opinione non fu accettata. I nostri sono inferociti perché i russi martoriano i nostri prigionieri. I due furono condotti a 10 metri nel prato e si udi un colpo secco di moschetto. Uno cadde senza lamento. Un altro colpo. Il secondo non colpito bene prese ad urlare da far pietà. Un terzo colpo e tutto ritornò al silenzio primitivo. Rimasi disgustato". (fonte AUSSME, L13/161, diario di Quinto Ascione, nota del 13/8/1942). Questo nuovo studio che ho voluto intraprendere e successivamente pubblicare, non vuole gettare discredito sui nostri soldati (e 7 anni di pubblicazioni a ricordo e in loro onore ne sono la prova), ma esclusivamente raccontare una pagina di storia che li riguarda e che, penso volutamente, è stata in parte accantonata. Se questa è la verità, qualsiasi essa sia deve essere raccontata. Erano uomini e come tali soggetti anche ad azioni che oggi riteniamo riprovevoli, ma che vissute direttamente e sulla propria pelle, hanno un senso diverso e come tali vanno prese e non giudicate senza minimamente avere vissuto analoghe e così drammatiche esperienze. Anche tutto questo è raccontare la loro storia e le sofferenze provate.

Estratti dal libro "Invasori, non vittime - La campagna italiana di Russia 1941-1943" di Thomas Schlemmer; libro che invito a leggere per intero per inquadrare al meglio il tema affrontato, anche considerando l'ampia referenza di archivi consultati e citati per intero nella trattazione.

Nell'estate del 1942 la situazione non era cambiata sostanzialmente e continuava a regnare una forte diffidenza. Cosi scriveva il generale Zanghieri in una circolare del 13 luglio 1942 alle unità del suo II Corpo d'Armata: "Continuo a notare che molte donne, ragazze e ragazzi ucraini circolano nelle adiacenze degli accantonamenti ed accampamenti; alcuni si introducono perfino tra i reparti e familiarizzano con i militari. Ciò che apparentemente sembra innocuo ai nostri militari invece molto pericoloso, in quanto i borghesi hanno costituito e costituiscono tuttora una fonte attiva di informazioni per le spie russe di cui le retrovie del fronte pullulano. Pertanto ordino che abbia cessare tale stato di cose; nessun borghese, uomo o donna, adulto o minorenne che sia, deve avvicinarsi agli accampamenti" (fonte AUSSME, DS II 785, DS II Corpo d'Armata, luglio-agosto 1942, Comando II Corpo d'Armata, Ufficio I (n° 512/04 di prot. - f.to Giovanni Zanghieri), ai reparti sottoposti del 13/7/1942).

Il generale Barbò ordinò ai Reggimenti del suo Raggruppamento a cavallo di non essere troppo indulgenti con il nemico durante i rastrellamenti nella zona di Orlovo Ivanovka: "Il raggruppamento ha il compito di liberare la zona dai partigiani e da soldati sbandati nemici. E' indispensabile quindi agire con la maggiore energia e senza false pietà" (fonte AUSSME, DS II 882, DS Raggruppamento artiglieria a cavallo, luglio-agosto 1942, allegato: Comando Raggruppamento truppe a cavallo (n° 405/Op. di prot. - f.to Guglielmo Barbò) ai Reggimenti "Savoia Cavalleria" e "Lancieri di Novara" nonché al II gruppo del Reggimento d'artiglieria a cavallo del 15/7/1942".

Il generale Malaguti, capo di stato maggiore dell'ARMIR, comunicò al gruppo di Armate B che tra il 1° agosto e il 7 settembre era stato ucciso in uno scontro un partigiano ed erano stati arrestati 27 tra partigiani e spie, di cui 14 erano già stati fucilati o attendevano l'esecuzione. Il 18 settembre il Comando d'Armata informò il gruppo di Armate di aver catturato 30 "banditi", 4 spie e una paracadutista, 13 dei quali erano già stati giustiziati. Dieci giorni più tardi arrivò la comunicazione che tra il 16 e il 25 settembre erano stati uccisi 27 "banditi" e catturati altri 114; inoltre durante i rastrellamenti le truppe italiane avevano arrestato e trasferito nei campi di concentramento 200 persone sospette (fonte I documenti qui citati sono pubblicati in Gentile, Alle spalle, pp. 170 sgg.). In linea di massima possiamo affermare che le azioni dei tedeschi e degli italiani contro i partigiani "erano potenzialmente dirette contro l'intera popolazione civile (fonte Klinkhammer, Partisanenkrieg, p.818) e più gli occupanti si sentivano minacciati, più questo aspetto diventava evidente.

Ad esempio nel novembre del 1941 vennero lanciate alcune molotov contro gli alloggiamenti delle truppe della "Pasubio" e il comandante della Divisione, il generale Vittorio Giovanelli, ordinò di catturare e fucilare i responsabili (fonte AUSSME DS II 628, DS Divisione "Pasubio", novembre-dicembre 1941, allegato 108: Comando Divisione "Pasubio" (n° 7082 di prot. op. - f.to Vittorio Giovannelli) ai reparti sottoposti del 22/11/1941) per evitare che simili attentati si ripetessero in futuro.

[...] come mostra una relazione sull'attività svolta dai Carabinieri della 3a Divisione celere per l'anno 1941-42. Stando a questo questo documento, furono arrestati e trasferiti nei campi di concentrarnento 874 civili sospetti; 74 persone vennero consegnate alla GFP, 180 alle SS. Nel corso di tre operazioni contro i partigiani, i Carabinieri avevano arrestato 29 persone di cui due furono fucilate immediatamente, 6 trasferite in campi di lavoro e 13 consegnate alla GFP; quattro "propagandisti comunisti" consegnati alla GFP furono fucilati immediatamente. (fonte AUSSME, DS II 877, 3a Divisione celere - Comando dei Carabinieri (n° 5/3 di prot. R.P.) del 20/9/1942: Relazione sull'attività svolta per il periodo da luglio 1941 a luglio 1942).

Secondo una relazione del Comando dei Carabinieri Reali dell'8a Armata, dei più di 5.300 civili arrestati tra luglio e settembre del 1942 solo nel settore della 3a Divisione celere, otto furono subito fucilati come partigiani o spie e cinque vennero consegnati al proprio servizio di controspionaggio; 1.576 furono trasferiti nei campi di concentramento e 254 consegnati ai colleghi tedeschi della GFP. (fonte AUSSME, L 14/85-5, Comando dei Carabinieri Reali dell'8a Armata: Relazione sull'attività svolta per il periodo 10/5-30/9/1942).

Oltre ai pattugliamenti e ai rastrellamenti per individuare partigiani, spie e sabotatori, i Comandi italiani davano grande importanza all'attività di spionaggio e controspionaggio svolta soprattutto dagli Uffici Informazioni negli stati maggiori delle grandi unità e dai reparti controspionaggio. Come mostra la relazione del sottotenente Leonardo d'Aloia, comandante del 6° reparto controspionaggio impiegato nel settore del II Corpo d'Armata, questa attività si rivelò molto efficace e diede non pochi problemi ai russi. Tra agosto e settembre del 1942 vennero scoperti e fucilati 21 informatori dei servizi segreti sovietici, grazie anche alla collaborazione degli uffici controspionaggio tedeschi; inoltre furono individuati, dispersi o scacciati gruppi di partigiani nelle zone di Kantemirovka, Mitrofanovka e Bogucar. Il reparto controspionaggio arrestò in totale 73 persone, 58 delle quali vennero fucilate. Inoltre, stando al apporto, nella zona di Mitrofanovka furono "arrestate molte note personalità russe che erano sfuggite all'arresto e numerosi propagandisti comunisti" che avevano cercato "di incitare alla rivolta i prigionieri di guerra russi che si trovavano" nei kolchozy. Tutti furono consegnati all'SD tedesco a Millerovo. (fonte BA-MA, RH 31 IX/35, ff. 138-146, traduzione di una relazione sull'attività di controspionaggio presso i Comandi italiani tra agosto e dicembre 1942).

giovedì 10 agosto 2023

Ricompense - 2° Corpo d'A. - 2° Btg. Mitraglieri

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

2° Corpo d'Armata - 2° Btg. Mitraglieri di C.A.

MAVM Sottotenente LANZA Michele
MAVM caporal maggiore TOMMASONI Battista
MAVM soldato SUPERINA Giordano
MBVM Tenente PASQUALI Osvego
MBVM Sottotenente DE COLLE Tiberio
MBVM Sottotenente RELLA Ennio
MBVM sergente REATI Ottaviano
MBVM soldato DE MICHELIS Libero
MBVM soldato SPAGGIARI Ildebrando
CGVM Tenente LANERO Luigi
CGVM Tenente ORIGONE Mario
CGVM Sottotenente MORGAGNI Alvaro
CGVM Sottotenente TESTA Giovanni
CGVM caporal maggiore SERRATI Giovanni
CGVM soldato MARGINI Ireneo
CGVM soldato MARONI Carlo
CGVM soldato ZICCHIN Antonio

Gli ungheresi in Russia

Un mio piccolo contributo a questo articolo apparso su una rivista ungherese in merito alla Campagna di Russia con qualche fotografia e qualche notizia sui miei viaggi.



























lunedì 7 agosto 2023

Italiani brava gente, parte 5

PREMESSA.

Questo nuovo studio che ho voluto intraprendere e successivamente pubblicare, non vuole gettare discredito sui nostri soldati (e 7 anni di pubblicazioni a ricordo e in loro onore ne sono la prova), ma esclusivamente raccontare una pagina di storia che li riguarda e che, penso volutamente, è stata in parte accantonata. Se questa è la verità, qualsiasi essa sia deve essere raccontata. Erano uomini e come tali soggetti anche ad azioni che oggi riteniamo riprovevoli, ma che vissute direttamente e sulla propria pelle, hanno un senso diverso e come tali vanno prese e non giudicate senza minimamente avere vissuto analoghe e così drammatiche esperienze. Anche tutto questo è raccontare la loro storia e le sofferenze provate.

Estratti dal libro "Invasori, non vittime - La campagna italiana di Russia 1941-1943" di Thomas Schlemmer; libro che invito a leggere per intero per inquadrare al meglio il tema affrontato, anche considerando l'ampia referenza di archivi consultati e citati per intero nella trattazione.

Nell'estate del 1942 la situazione non era cambiata sostanzialmente e continuava a regnare una forte diffidenza. Cosi scriveva il generale Zanghieri in una circolare del 13 luglio 1942 alle unità del suo II Corpo d'Armata: "Continuo a notare che molte donne, ragazze e ragazzi ucraini circolano nelle adiacenze degli accantonamenti ed accampamenti; alcuni si introducono perfino tra i reparti e familiarizzano con i militari. Ciò che apparentemente sembra innocuo ai nostri militari invece molto pericoloso, in quanto i borghesi hanno costituito e costituiscono tuttora una fonte attiva di informazioni per le spie russe di cui le retrovie del fronte pullulano. Pertanto ordino che abbia cessare tale stato di cose; nessun borghese, uomo o donna, adulto o minorenne che sia, deve avvicinarsi agli accampamenti" (fonte AUSSME, DS II 785, DS II Corpo d'Armata, luglio-agosto 1942, Comando II Corpo d'Armata, Ufficio I (n° 512/04 di prot. - f.to Giovanni Zanghieri), ai reparti sottoposti del 13/7/1942).

Il generale Barbò ordinò ai Reggimenti del suo Raggruppamento a cavallo di non essere troppo indulgenti con il nemico durante i rastrellamenti nella zona di Orlovo Ivanovka: "Il raggruppamento ha il compito di liberare la zona dai partigiani e da soldati sbandati nemici. E' indispensabile quindi agire con la maggiore energia e senza false pietà" (fonte AUSSME, DS II 882, DS Raggruppamento artiglieria a cavallo, luglio-agosto 1942, allegato: Comando Raggruppamento truppe a cavallo (n° 405/Op. di prot. - f.to Guglielmo Barbò) ai Reggimenti "Savoia Cavalleria" e "Lancieri di Novara" nonché al II gruppo del Reggimento d'artiglieria a cavallo del 15/7/1942".

Il generale Malaguti, capo di stato maggiore dell'ARMIR, comunicò al gruppo di Armate B che tra il 1° agosto e il 7 settembre era stato ucciso in uno scontro un partigiano ed erano stati arrestati 27 tra partigiani e spie, di cui 14 erano già stati fucilati o attendevano l'esecuzione. Il 18 settembre il Comando d'Armata informò il gruppo di Armate di aver catturato 30 "banditi", 4 spie e una paracadutista, 13 dei quali erano già stati giustiziati. Dieci giorni più tardi arrivò la comunicazione che tra il 16 e il 25 settembre erano stati uccisi 27 "banditi" e catturati altri 114; inoltre durante i rastrellamenti le truppe italiane avevano arrestato e trasferito nei campi di concentramento 200 persone sospette (fonte I documenti qui citati sono pubblicati in Gentile, Alle spalle, pp. 170 sgg.). In linea di massima possiamo affermare che le azioni dei tedeschi e degli italiani contro i partigiani "erano potenzialmente dirette contro l'intera popolazione civile (fonte Klinkhammer, Partisanenkrieg, p.818) e più gli occupanti si sentivano minacciati, più questo aspetto diventava evidente.

Ad esempio nel novembre del 1941 vennero lanciate alcune molotov contro gli alloggiamenti delle truppe della "Pasubio" e il comandante della Divisione, il generale Vittorio Giovanelli, ordinò di catturare e fucilare i responsabili (fonte AUSSME DS II 628, DS Divisione "Pasubio", novembre-dicembre 1941, allegato 108: Comando Divisione "Pasubio" (n° 7082 di prot. op. - f.to Vittorio Giovannelli) ai reparti sottoposti del 22/11/1941) per evitare che simili attentati si ripetessero in futuro.

[...] come mostra una relazione sull'attività svolta dai Carabinieri della 3a Divisione celere per l'anno 1941-42. Stando a questo questo documento, furono arrestati e trasferiti nei campi di concentrarnento 874 civili sospetti; 74 persone vennero consegnate alla GFP, 180 alle SS. Nel corso di tre operazioni contro i partigiani, i Carabinieri avevano arrestato 29 persone di cui due furono fucilate immediatamente, 6 trasferite in campi di lavoro e 13 consegnate alla GFP; quattro "propagandisti comunisti" consegnati alla GFP furono fucilati immediatamente. (fonte AUSSME, DS II 877, 3a Divisione celere - Comando dei Carabinieri (n° 5/3 di prot. R.P.) del 20/9/1942: Relazione sull'attività svolta per il periodo da luglio 1941 a luglio 1942).

Secondo una relazione del Comando dei Carabinieri Reali dell'8a Armata, dei più di 5.300 civili arrestati tra luglio e settembre del 1942 solo nel settore della 3a Divisione celere, otto furono subito fucilati come partigiani o spie e cinque vennero consegnati al proprio servizio di controspionaggio; 1.576 furono trasferiti nei campi di concentramento e 254 consegnati ai colleghi tedeschi della GFP. (fonte AUSSME, L 14/85-5, Comando dei Carabinieri Reali dell'8a Armata: Relazione sull'attività svolta per il periodo 10/5-30/9/1942).

Oltre ai pattugliamenti e ai rastrellamenti per individuare partigiani, spie e sabotatori, i Comandi italiani davano grande importanza all'attività di spionaggio e controspionaggio svolta soprattutto dagli Uffici Informazioni negli stati maggiori delle grandi unità e dai reparti controspionaggio. Come mostra la relazione del sottotenente Leonardo d'Aloia, comandante del 6° reparto controspionaggio impiegato nel settore del II Corpo d'Armata, questa attività si rivelò molto efficace e diede non pochi problemi ai russi. Tra agosto e settembre del 1942 vennero scoperti e fucilati 21 informatori dei servizi segreti sovietici, grazie anche alla collaborazione degli uffici controspionaggio tedeschi; inoltre furono individuati, dispersi o scacciati gruppi di partigiani nelle zone di Kantemirovka, Mitrofanovka e Bogucar. Il reparto controspionaggio arrestò in totale 73 persone, 58 delle quali vennero fucilate. Inoltre, stando al apporto, nella zona di Mitrofanovka furono "arrestate molte note personalità russe che erano sfuggite all'arresto e numerosi propagandisti comunisti" che avevano cercato "di incitare alla rivolta i prigionieri di guerra russi che si trovavano" nei kolchozy. Tutti furono consegnati all'SD tedesco a Millerovo. (fonte BA-MA, RH 31 IX/35, ff. 138-146, traduzione di una relazione sull'attività di controspionaggio presso i Comandi italiani tra agosto e dicembre 1942).

Libri: "AVANTI VERONA!"

Avanti Verona!: Con il Battaglione Alpini "Verona" sul fronte russo 1942-1943.

Senza alcun dubbio la notevole capacità narrativa degli Alpini ha permesso loro di tramandare efficacemente e massivamente le proprie imprese, forse meglio di qualsiasi altra specialità militare d'Italia. Tanti sono gli scritti che trattano la loro storiografia, in special modo quelli riguardanti le due guerre mondiali.

Relativamente al Battaglione alpini "Verona", per agli anni che vanno dal 1939 al 1943, è doveroso citare l'imprescindibile libro di Vittorio Cristofoletti, aiutante maggiore in seconda del battaglione, intitolato Battaglione Verona - "Cimì", opera che raccoglie le sue memorie e quelle di altri reduci. Ferma restando l'insostituibilità di tale scritto, che costituisce preziosissima raccolta testimoniale, nelle pagine che vi apprestate a leggere si vuole più semplicemente tracciare una cronistoria del battaglione stesso nell'arco di tempo che va dal suo addestramento preparatorio in Piemonte fino al ciclo operativo all’interno della campagna italiana di Russia.

Da alcuni definita la guerra del sangue contro l'oro, la Seconda Guerra Mondiale fu essenzialmente uno scontro di ideologie che vide fronteggiarsi due opposte visioni della società incentrate una sull'uomo, l'altra sul mercato. Come è noto, si è trattato del conflitto più sanguinoso mai conosciuto dal genere umano e, all'interno di esso, si trovarono schierati loro malgrado anche gli alpini del Verona.

Quegli alpini erano contadini, operai, meccanici, sarti, medici, insegnanti, parroci, studenti universitari ed artigiani, per la maggior parte veronesi del Garda, del Baldo e della Lessinia, di ogni estrazione sociale, alcuni militari di carriera, altri sotto il servizio di leva obbligatorio, altri ancora volontari. Avevano vent'anni o poco più e, coinvolti in eventi enormemente più grandi di loro, si dimostrarono nonostante tutto e tutti sempre all'altezza della situazione, scrivendo gloriose pagine di puro eroismo.

Erano i figli di chi aveva combattuto sul Piave, sull'Ortigara e sull'Isonzo e, quando le lancette della storia segnarono nuovamente l'ora fatidica, combatterono a loro volta rispettando quell'idem sentire proprio di una comunità alla quale sentivano fortissimamente di appartenere.

Ecco, questo libro vuole essere semplicemente un omaggio alla memoria di quei ragazzi che sacrificarono la loro giovinezza e la loro vita per la Patria, combattendo nel battaglione alpini della loro città: Verona.

Il libro dell'amico Ermanno Brussani è acquistabile direttamente al link https://www.amazon.it/dp/B0CDNM8NGP?ref_=cm_sw_r_apan_dp_D875JPSGS17PHA2Z4NTX&fbclid=IwAR01AQoILcSI80JBGrQwS5xlFxkwaUyWSgyvmqliL_8OaCx4kDCaKzV8QTY.