giovedì 31 agosto 2023

Documenti relativi ai rapporti italo-tedeschi, 1

Eccomi con una nuova ricerca e con nuovi documenti relativi ai rapporti fra italiani e tedeschi sul Fronte Russo: diffidenze, collaborazioni, contrasti e modi totalmente differenti di condurre una guerra sono raccontati sia da parte tedesca che da parte italiana e danno un'idea abbastanza precisa della situazione.

Il PRIMO documento, riportato integralmente, è quello relativo a "Il servizio di collegamento con l'8ª Armata italiana in Russia nel 1942-43. Stralcio estratto dalla relazione dell'ex generale tedesco presso l'8ª Armata italiana - BA-MA, ZA 1/2028-2030: Burkbard Muller-Hillebrand et al., Die militarische Zusammenarbeit Deutschlands und seiner Verbundeten wahrend des Zweiten Weltkrieges, manoscritto inedito P-108 della Historical Division della U.S. Army, s.i.d. [1953], allegato F."

I. La creazione dell'ufficio.

Quando il Corpo di spedizione italiano ampliato e assunse le dimensioni di un'Armata di tre Corpi, al Comando d'Armata fu assegnato un nucleo di collegamento tedesco sotto la direzione di un maggiore di s.m. (Maggiore di s.m. von Gyldenfeldt). Nell'estate del 1942 l'Armata attraversò una grave crisi quando una Divisione italiana crollò sotto l'attacco russo e ripiegò precipitosamente. Per questo motivo il capo di stato maggiore dell’Esercito inviò all’Armata italiana un generale [generale d’Armata Franz Halder] come ufficiale di collegamento. L'idea era di avere, nel caso in cui si fossero verificate altre crisi, presso il Comando italiano, una personalità più autorevole grazie al suo grado, e di mettere inoltre a disposizione del Comando italiano un ufficiale che aveva fatto esperienza sul fronte orientale, come un comandante di truppa e poteva quindi fungere da consulente e influire sull’addestramento, trasmettendo l'esperienza delle truppe tedesche a quelle italiane. Il generale descrive così la propria attività: “A Millerovo venni accolto dal comandante italiano [Italo Gariboldi] con la cortesia tipica degli italiani, ma anche con l'evidente diffidenza nei confronti delle intenzioni tedesche che avrebbero potuto celarsi dietro l'invio di un ufficiale di grado così alto come ufficiale di collegamento. Per fugare la sua comprensibile diffidenza, quando mi presentai subito sottolineai che oltre all'attività finora svolta come organo di collegamento, avevo ricevuto il compito di assistere l’Armata italiana nella conduzione dei combattimenti sul fronte orientale, soprattutto durante l'inverno, servendomi della mia esperienza”.

II. L’organizzazione dell'ufficio, il suo allargamento e la sua attività.

A fine agosto del 1942, l'Armata si trovava sul Don con il seguente assetto difensivo: a destra Il XXXV Corpo d'Armata italiano (generale Messe), al centro un Corpo d'Armata tedesco sotto il comando del generale di Corpo d'Armata von Obstfelder con una Divisione di fanteria tedesca e una italiana, a sinistra il II° Corpo d'Armata italiano (generale Zanghieri), la cui ala sinistra si congiungeva con la 2a Armata ungherese. Alcuni reparti di una Divisione tedesca erano già inseriti nel XXXV Corpo d'Armata italiano fin dai tempi dei combattimenti sul Don. Il Corpo d'Armata alpino virgola, che inizialmente era stato destinato al Caucaso, alla fine di settembre fu dislocato per anticipare i tempi nell'ala sinistra, dove assunse il controllo di un settore della 2ª armata ungherese.

Ogni Corpo d'Armata aveva come ufficiale di collegamento un ufficiale di stato maggiore tedesco con un assistente (presso il Corpo d'Armata alpino un generale), mentre ogni Divisione italiana aveva un capitano o un tenente. Alcuni reparti di un Reggimento trasmissioni tedesco, sottoposti al nucleo di collegamento tedesco presso l'Armata, avevano creato una rete di comunicazione tedesca che arrivava fino ai Corpi d'Armata. In questo modo gli organi di collegamento tedeschi potevano comunicare via radio e con proprie linee telefoniche le vicende tattiche al nucleo di collegamento e trasmettere le consuete relazioni mattutine e serali. Questo sistema organizzativo rimase immutato fino al crollo dell'Armata italiana nel dicembre del 1942.

Fu invece notevolmente ampliato lo stato maggiore dell'ufficiale di collegamento presso l'Armata, il cui ufficio in seguito cambiò nome in “generale tedesco presso l'8ª Armata italiana”. Vi fu assegnato un capo di Stato maggiore, mentre il precedente ufficiale di collegamento divenne Ia. Allo stato maggiore si aggiunsero progressivamente, accanto al già esistente ufficiale Di Stato maggiore del reparto trasmissioni, anche un ufficiale di Stato maggiore dell'artiglieria, uno dei Genieri e uno della difesa controcarro con i loro piccoli stati maggiori. Al “generale tedesco” fu inoltre assegnato il reparto del Quartiermeister che aveva più o meno le dimensioni di un ufficio del Quartiermeister tedesco presso vuoi un Corpo d'Armata ciò che collaborava con l'intendente ai servizi italiano a Vorosilovgrad. L'ampliamento dello Stato maggiore derivava dall'aumento dei compiti che continuamente venivano assegnati all'ufficio. Essi possono essere suddivisi così: 1. Attività di collegamento, 2. Miglioramento dell'addestramento delle truppe italiane, 3. Rafforzamento delle opere difensive, 4. Collaborazione nella conduzione dei combattimenti.

1. Attività di collegamento.

Il fulcro e le difficoltà dell'attività di collegamento consistevano principalmente nel trasmettere, far applicare e controllare gli ordini impartiti dai tedeschi all’Armata italiana, ma anche nell'eliminare gli attriti e le interferenze nei rifornimenti dell'Armata, fortemente dipendenti dall'aiuto tedesco. Una continua fonte di attrito era rappresentata sul piano tattico dall'organizzazione della difesa italiana. I tedeschi, infatti, imponevano all’Armata una serie di condizioni che essa non era in grado di soddisfare pienamente, ma che inoltre attuava solo con molta riluttanza. Si trattava di un ampio programma per la realizzazione di postazioni arretrate, per la costruzione di trincee controcarro con l’impiego della popolazione civile, per l’installazione di postazioni arretrate con una difesa a tutto raggio e altro ancora. A tutta questa organizzazione gli italiani non ci tenevano, perché non attribuivano alcun valore militare alle unità non combattenti e neanche potevano attribuirgliene, visto il loro scarso addestramento. Inoltre il tipo di popolamento in Ucraina (villaggi molto gradi ma molto lontani l’uno dall’altro) e la carenza di legno, che non bastava nemmeno per le necessità più immediate delle truppe, rendevano assai difficile, se non in parte impossibile, portare avanti le opere di ampliamento.

Nel campo dei rifornimenti era motivo di continui contrasti soprattutto la scarsa efficienza della rete ferroviaria. Il numero dei convogli concessi agli italiani non bastò mai a soddisfare le loro notevoli esigenze, e per un certo tempo diminuì al punto che il Comando Supremo italiano finì per minacciare “di ritirare la sua Armata”, visto che a suo parere non poteva approvvigionarla adeguatamente (già il 2/9/1942 il generale Gariboldi dichiarò che il potenziamento della postazione invernale era a rischio per la mancanza di carburante, e minacciò di “ritirarsi finché non avesse trovato dei centri abitati in cui far alloggiare le sue truppe, per impedire che i suoi uomini si congelassero”. Il 25/9/1942, durante una riunione sulle questioni controverse riguardanti il trasporto ferroviario, Gariboldi si espresse in maniera analoga: se gli alleati tedeschi avessero persistito nelle loro idee, avrebbe “inviato un Corpo d'Armata in Italia per impedire che i suoi uomini morissero di congelamento”. (BA-MA, MFB4 41403, f. 1025 e f.1034, diario storico del generale tedesco presso il Comando dell’8° Armata italiana). I difetti tecnici nel sistema di rifornimento degli italiani, la loro scarsa disponibilità a collaborare alla costruzione di un raccordo per decongestionare il traffico, i loro bisogni in parte eccessivi avranno senz'altro contribuito ad alimentare questi problemi; ma di sicuro le difficoltà nei rifornimenti non sono state un favore decisivo per il fallimento dell'Armata nel dicembre del 1942.

2. Miglioramento dell’attività di addestramento.

La crisi menzionata all'inizio e una di minori proporzioni a settembre (si allude probabilmente all'attacco sovietico dell'11/9/1942 contro le postazioni del II Corpo d'Armata italiano sull'ansa del Don presso V. Mamon, che poté essere respinto definitivamente soltanto il giorno dopo) nello stesso punto avevano evidenziato, più di quanto ci si aspettasse, le inadeguatezze del comando italiano nella difesa e nel rendimento delle truppe, che riguardavano da un lato i presupposti tattici e dall'altro il materiale difettoso. Colmare il più possibile entrambe le lacune divenne il compito principale del “generale tedesco”. Non aveva alcuna autorità di comando. L'armata collaborava solo con riluttanza, in quanto, a prescindere dalle difficoltà di modificare l'addestramento dell'armata di fronte al nemico, si rifiutava qualunque suggerimento, anche attuabile, data la fortissima suscettibilità degli italiani nei confronti di ogni forma di critica pur necessaria. L’Armata italiana aveva vari mali di fondo che non potevano essere eliminati: a) l'insufficiente addestramento tattico, b) il comando centralizzato e schematico, che certamente ne derivava, ma che era anche un tratto caratteristico degli italiani, c) l'equipaggiamento scadente.

Il cattivo addestramento si rivelava già nei gradi più bassi di comando. Gli italiani ne erano consapevoli e ritenevano che nella fanteria non ci fossero capisquadra in grado di guidare autonomamente il proprio gruppo e che un Comando Tattico fosse possibile soltanto a livello di plotone. Secondo loro, questo comando non poteva essere garantito da un sistema di trincee continue a causa dell'ampiezza del fronte, sicché dovevano riunire i loro plotoni in basi, detti capisaldi, respingendo semplicemente l'idea di una trincea continua. Ma in questo modo si lasciava campo libero alla tattica d’infiltrazione dei russi. Ogni irruzione russa veniva respinta non riguadagnando i singoli settori di trincea perduti, come facciamo noi, ma attaccando sul terreno aperto. Questo modo di procedere falli molto spesso e comunque causò perdite eccezionalmente alte, esaurendo tutte le riserve già il primo giorno dell’attacco russo.

Pur facendo uso di tutta la nostra forza di persuasione, non riuscimmo in alcun modo a cambiare la situazione. Nei colloqui al fronte i comandanti subalterni più ragionevoli mostrarono di comprendere il problema, ma le autorità superiori rimasero indifferenti. Inoltre questa forma di comando accentrato, che permeava tutti i livelli, lascia poca autonomia a tutti i gradi di comando - le rare volte in cui tendevano a prendere decisioni improprio - e faceva precedere ogni azione da interminabili telefonate. Questo accentramento - insieme all'equipaggiamento inadeguato - si manifestò con effetti devastanti anche nel comando dell'artiglieria.

Gli italiani non concepivano gli osservatori avanzati come organi che potessero dirigere il fuoco, dunque sparare. Erano solo “osservatori” che con le loro comunicazioni dovevano far aprire il fuoco. Non avevano neanche un apparecchio radio. I pochi apparecchi del reparto venivano utilizzati nel collegamento tra i principali posti di osservazione delle batterie e il reparto, dove si sarebbe forse potuto contare sul cavo. Non erano disponibili neanche cannocchiali a forbice.

Ogni manovra di concentrare il fuoco era diretta dall'alto in un modo centralizzato e veniva convertita troppo tardi, e in parte solo dal comandante d'artiglieria del Corpo d'Armata, in fuoco più o meno incontrollato. Di conseguenza non si riuscì mai a sbaragliare gli schieramenti nemici, a soffocare sul nascere gli attacchi e a bloccare gli sfondamenti. Gli uffici tedeschi superiori venivano sistematicamente informati sulle debolezze della difesa italiana e non tralasciavano di comunicarle anche alle autorità più elevate. Il rimedio si sarebbe trovato solo - a lungo termine - nel decisivo sostegno dell’addestramento e nel miglioramento dei principi di comando, a breve termine in un ulteriore restringimento dei settori di combattimento. Per la prima misura mancava il tempo, per la seconda difettavano le forze necessarie da parte tedesca.

3. Rafforzamento delle opere difensive.

Per rafforzare la difesa, dunque, non restava che dotare le truppe di armi migliori. Accanto a insufficienti forniture dirette agli italiani, si tentava di raggiungere lo scopo inserendo delle unità tedesche controcarro e contraeree (per la difesa da terra) nella difesa italiana. Gli ufficiali di queste unità presso il nucleo di collegamento tedesco dovevano disporre e controllare l'impiego appropriato degli armamenti, nonché trasmettere agli italiani le regole per il loro utilizzo in battaglia. L'ufficiale di stato maggiore dei Generi svolgeva un'attività analoga nell’installazione di basi arretrate e nel posizionamento delle mine. Che con tutta questa attività non si riuscisse a creare dei solidi presupposti per respingere un attacco russo su vasta scala, era fuor di dubbio.

4. Collaborazione nella conduzione dei combattimenti.

Il “generale tedesco” e i suoi organi cominciarono a collaborare attivamente alla conduzione dei combattimenti con lo sfondamento russo del 16 dicembre 1942. Inizialmente, all'incirca nella prima settimana, si trattava soprattutto di avere un quadro chiaro e preciso della situazione tramite gli ufficiali di collegamento nei Corpi e nelle Divisioni e di trasmetterlo ai Comandi Superiori tedeschi. Gli ufficiali di collegamento tedeschi contribuirono inoltre a rafforzare la volontà di resistenza dei Comandi italiani. Ciò si manifestò chiaramente nei due ufficiali di collegamento molto energici presso i Corpi di fanteria italiani, ma sarà avvenuto anche nelle Divisioni. Alla fine si riuscì a stabilire un contatto permanente con i due Corpi tramite i mezzi di trasmissione tedeschi e a comunicare loro preziose informazioni sul nemico dove sfondamento.

Qui va notato che due Divisioni italiane sotto l'energico comando del generale von Obstfelder si sono battute molto meglio (al momento dell'attacco sovietico dell'11/12/1942 erano assegnate al XXIX Corpo d'Armata tedesco solo grandi unità italiane ovvero le due Divisioni di fanteria “Torino” e “Sforzesca” e la 3° Divisione celere “Principe Amedeo Duca d'Aosta) delle Divisioni guidate dai generali italiani. Ciò conferma non solo la vecchia idea di quanto fosse importante un capo carismatico in guerra, ma dimostra anche - come In Africa - la fiducia che si nutriva verso il comando tedesco, e dimostra infine che un apparato di collegamento relativamente piccolo (dal Corpo d'Armata alle Divisioni) può essere sufficiente in situazioni critiche. Che in questo periodo il “generale tedesco” cercasse continuamente, sia di propria iniziativa, sia su disposizione del gruppo di Armate tedesco superiore, di spingere l'Armata italiana a una maggiore resistenza, è evidente.

Intorno al 25 dicembre, nella zona di irruzione combattevano ormai praticamente solo frammenti di unità tedesche, in parte insieme a deboli resti italiani sotto il loro comando, mentre la massa degli italiani, nella misura in cui non erano stati accerchiati, si dava alla fuga disperata in direzione del Donets (escluso il Corpo d'Armata alpino che non era stato attaccato) e stavano arrivando i primi rinforzi tedeschi (19ª Divisione corazzata). Il comandante italiano non vedeva alcuna possibilità di ricostituire una qualche unità combattente dalle sue formazioni in fuga e dai reparti in servizio nelle retrovie.

Da quel momento in poi fino al 1° febbraio 1943, data l'urgenza con la quale le decisioni dovevano essere comunicate all'unità tedesche, solo occasionalmente fu possibile orientare il Comando italiano prima di ogni disposizione e lasciare che prendesse le decisioni e impartisce gli ordini in modo autonomo, cosa che formalmente gli competeva. Fino al 14 gennaio 1943 il Corpo d'Armata alpino, che fino a quel momento non aveva subito attacchi, rimase indipendente dal comando tedesco, ma non molto dopo il 14 gennaio anche qui fu possibile mantenere il collegamento unicamente tramite le stazioni radio tedesche. Così, anche in questo caso, il comando passò ben presto nelle mani di un colonnello di stato maggiore tedesco che casualmente era a disposizione in quel momento e aveva assunto il comando del servizio di collegamento nel Corpo d'Armata.

III. Ammaestramenti fondamentali.

Come risulta dalle precedenti considerazioni, il male di fondo nella collaborazione tra tedeschi e italiani era rappresentato dal fatto che l'Armata italiana non era all'altezza del suo compito e del resto non poteva esserlo - come si sapeva già prima del suo crollo. A causa di tale constatazione o presentimento erano stati assegnati al nucleo di collegamento dei compiti che in circostanze normali non avrebbe mai dovuto assumere. In linea generale si può constatare come il sistema di collegamento abbia adempiuto bene alla propria funzione originaria, cioè quella di mantenere i collegamenti, senza mostrare sostanziali difetti strutturali. Tuttavia esso finì per andare ben oltre le sue normali funzioni, fino allo stato maggiore del Quartiermaister. La stessa attività di comunicazione tattica degli ufficiali di collegamento presso gli stati maggiori subalterni (Corpi d'Armata e Divisioni) andava oltre la normale attività di collegamento e implicava fino ad un certo grado la sorveglianza degli italiani che come tale la vivevano. Avrebbero dovuto limitarsi a garantire il collegamento con le unità tedesche superiori e la trasmissione dei loro ordini e a curare, all'occorrenza, il collegamento con l'unità tedesche vicine.

Per concludere vorrei osservare che la presenza di principi uniformi di addestramento e di comando, oltre a un livello omogeneo di armamento, sono decisivi per una proficua collaborazione tra unità di diversa nazionalità. Date queste premesse, gli organi di collegamento devono prima di tutto fungere da interpreti addestrati sul piano tattico e capaci di immedesimarsi nell'interlocutore, che conoscano la mentalità di entrambe le nazioni e sappiano superare abilmente gli eventuali contrasti e attriti.

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