giovedì 30 dicembre 2021

Il viaggio del 2011, Nikitowka

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... Nikitowka.



Rapporto sui prigionieri, parte 11

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

LA VITA NEI CAMPI.

Con il passare dei mesi, la vita nei campi divenne più vivibile, il vitto aumentò in quantità e fu distribuito regolarmente. Tuttavia il trattamento risultò molto diverso da campo a campo, in relazione alle ruberie che, ad iniziare dal Comandante russo con i suoi ufficiali e soldati, per finire ai prigionieri addetti ai magazzini ed alle cucine, venivano perpetrate sulla pelle di tutti gli altri. Anche la disorganizzazione e gli intoppi della distribuzione esterna, determinarono periodi di vitto scarsissimo o pessimo. Vi sono esempi di campi alimentati in pieno inverno e durante più mesi, esclusivamente con zuppa di ortiche o con patate gelate. Ciascuna nazionalità, nello stesso lager, era riunita sotto il Comando di un ufficiale o di un sottufficiale del proprio esercito, che era responsabile nei confronti dei russi dell'ordine, della disciplina e dell'attività dei suoi uomini. Le trasgressioni venivano punite con il carcere a pane ed acqua ed in ambienti che, specialmente in inverno, erano micidiali. Molti decessi successivi alle grandi morie iniziali, sono da imputarsi alle conseguenze di una permanenza un po' più lunga in prigione.

Immancabile cerimonia di tutti i campi di concentramento del mondo è l'appello. Questo avveniva due volte al giorno all'aperto, a ranghi inquadrati, con qualsiasi tempo e qualsiasi temperatura. L'incombenza era affidata, di solito, a soldati russi che non sapevano contare e pertanto si protraeva per ore anche se c'era tormenta o c'erano -20°. Il lavoro era obbligatorio per i soldati: gli ufficiali erano obbligati a provvedere a tutti i servizi interni. Il lavoro era regolato da cottimi (norma) e solo il raggiungimento della misura stabilita, dava diritto ad un supplemento di vitto. Tale sistema, imposto del tutto in modo personale dai vari comandanti ed affidalo per il controllo a soldati o a civili russi, ed in ultimo anche a prigionieri armati, divenuti carcerieri dei loro connazionali, dava luogo ad ogni specie di soprusi, angherie ed ingiustizie.

Anche gli ufficiali furono costretti eccezionalmente a lavorare all'esterno del lager, per sgomberare le strade dalla neve, raccogliere d'urgenza patate minacciate da precoci gelate, trasportare legna per gli innumerevoli bisogni del campo e tutto questo sotto il ricatto di sospensione o di crisi nell'approvvigionamento dei viveri o la limitazione o sospensione del riscaldamento. Va detto però che a prescindere da queste chiamate generali, un buon numero di ufficiali è sempre andato a lavorare volontariamente per arrotondare il sempre magro pasto di spettanza e per molti, anche per spezzare l'infinita noia della vita di recluso. I lavori più comuni, nei quali furono impiegati i prigionieri, erano il taglio dei boschi, i lavori agricoli nei "Kolkos", la raccolta del cotone, la fabbricazione dei mattoni, i lavori di edilizia sia in legno che in muratura, in qualche caso anche il lavoro in miniera. All'interno dei campi, a seconda dei loro mestieri da borghesi, svolgevano attività di sarti, calzolai, falegnami, muratori, elettricisti. Di loro si avvaleva il personale del campo e non di rado anche la popolazione civile esterna ai lager.

Terminata l'epoca delle grandi morie (febbraio-maggio 1943) nei campi fu organizzata dai russi una rudimentale assistenza medica, alla quale partecipavano anche ufficiali medici prigionieri. Purtroppo la carenza cronica di medicine, medicamenti ed attrezzature limitava qualsiasi intervento efficace. Le periodiche visite effettuate da commissioni esterne avevano solo lo scopo di classificare i prigionieri ai fini della loro capacità lavorativa. Molti nostri ufficiali medici furono trasferiti, sin dal 1944 nei lager dei soldati o lager-ospedale - non necessariamente in quelli con i soldati italiani - per provvedere alla assistenza medica.

Nel lager di Suzdal, dove erano stati concentrati quasi tutti i nostri ufficiali, la presenza di numerosi cappellani, diede la possibilità di un'assistenza religiosa e spirituale di grande aiuto. Ostacolata e clandestina nei primi tempi, fu poi permessa dai russi tanto da consentire la celebrazione della Messa tutte le domeniche. Ogni tentativo dei cappellani di ottenere il trasferimento, come i medici, nei campi, a maggior concentrazione di nostri soldati, si infranse contro un ostinato, quanto comprensibile - dal loro punto di vista - "niet" dei russi. Nei campi fu permessa l'organizzazione di recite, spettacoli, cori e concerti eseguiti con strumenti forniti dal comando russo. A Suzdal, nell'ultimo anno, furono anche proiettati film russi di smaccato argomento propagandistico. Tra i prigionieri più in gamba si svolsero anche gare e tornei, chiamiamoli pseudo-sportivi, tenuto conto della mancanza assoluta di attrezzature e della prestanza fisica dei concorrenti.

Una restrizione che influì in modo pesante sul morale dei prigionieri, fu la totale mancanza di notizie dalla propria famiglia. I russi non distribuirono mai la corrispondenza che pur doveva arrivare copiosa dall'Italia. Solo alla fine del 1945 e solo agli ufficiali, sono state consegnate alcune lettere che erano state spedite un anno prima. Egualmente in senso contrario. Se si fa eccezione al centinaio di cartoline distribuite dai russi a Tambov, ancora nel febbraio 1943, perché dessero notizia a casa della loro cattura, non fu possibile scrivere se non dopo la fine della guerra. Anche questa tardiva concessione fu in pratica annullala da qualche comandante di lager, che non inoltrò a chi di dovere le cartoline scritte con tanta speranza e le lasciò marcire in qualche scantinato.

Ammesso che questo disinteresse sia dipeso dal fatto che presso i russi non esisteva nemmeno la posta militare e che sarebbe stato troppo pretenderla da un'amministrazione carceraria che faceva morire di fame i prigionieri, è evidente che la distribuzione di Tambov era stata fatta con chiari scopi propagandistici e che l'annullamento successivo fu dovuto all'imbarazzo di far conoscere che gli italiani superstiti erano solo diecimila. L'unica via per la quale i prigionieri poterono far sapere a casa d'essere ancora vivi fu la firma degli appelli al popolo italiano, che i commissari politici sollecitavano con interessata frequenza, appelli che venivano trasmessi da Radio Mosca. Anche in questo caso, ben pochi nomi di firmatari ebbero il privilegio di essere citati, era un privilegio che bisognava meritarsi.

Immagini, Arbusowka

Un camion-ambulanza Bussing-NAG 500 tedesco abbandonato nei pressi di Arbusowka nel dicembre 1942.

Immagini, Arbusowka

Un pezzo da 76 mm M1942, o ZiS-3, sovietico mimetizzato con delle canne nel villaggio di Arbusowka nel dicembre 1942.

mercoledì 22 dicembre 2021

Arbusowka, la valle della morte

Sono i giorni di Arbusowka, sono le ore di Arbusowka, la "valle della morte". Come forse molti di voi, all'inizio delle mie letture sulla Campagna di Russia non ne sapevo praticamente nulla; tutto focalizzato sugli Alpini, sulle loro gesta eroiche e sulla ritirata per uscire dalla sacca sovietica. Poi poco a poco scoprii questa vicenda, scoprii quello che accadde in quella località e ne rimasi talmente suggestionato da sentire proprio il bisogno di andare là un giorno, a vedere con i miei occhi. E finalmente nel 2016 durante il mio primo viaggio estivo in Russia organizzai con i corrispondenti russi in modo da poter dedicare almeno una mezza giornata alla visita di quei luoghi; ci tornai ancora nel 2019 ed ebbi modo di scoprire ulteriori dettagli che mi permisero di comprendere meglio quale tragedia si fosse consumata in questa località; Arbusowka, poche isbe che nessuno di noi avrebbe mai conosciuto se lì non si fosse verificata quella che a mio avviso fu la più tragica battaglia, avvenuta durante i ripiegamenti dei nostri soldati dal Don verso la salvezza.

I resti del XXXV Corpo d'Armata nelle Divisioni di Fanteria Pasubio e Torino, del Raggruppamento CC.NN. III gennaio composta dalla Legione Tagliamento e Montebello, della 298a Divisione di Fanteria germanica arrivarono nella conca di Arbusowka tra il 21 e il 22 dicembre e solo pochi, pochissimi di questi riuscirono a rompere l'assedio nella notte di Natale, appunto fra il 24 e il 25 e a sfuggire alla morsa sovietica, almeno momentaneamente. I numeri parlano di circa 5.000 fra italiani e tedeschi che riuscirono a sfuggire, e l'impressionante numero di circa 20.000 uomini che furono uccisi o feriti durante i combattimenti o presi prigionieri alla fine della battaglia.

Negli anni a furia di parlarne e di scriverne da parte di tanti, finalmente questo triste episodio divenne noto alla pari di tanti altri accaduti in Russia. Sul Web si trovano ormai diverse fonti in merito. Ma di quello che avvenne nella "valle della morte" io ve ne voglio parlare attraverso alcune fotografie scattate durante i miei due viaggi.

Fotografia 1: nei pressi della conca e prima di arrivare ad Arbusowka ci viene indicato questo avvallamento; sono i resti di una fossa comune nella quale furono sepolti i nostri caduti e negli anni recuperati e rientrati in Italia.
Fotografia 2: quello che resta delle isbe poste a nord dell'abitato; qui trovarono rifugio i nostri soldati durante i giorni dell'accerchiamento.
Fotografia 3: i resti di un elmetto italiano nei pressi delle isbe occupate dai nostri soldati.
Fotografia 4: vista della conca di Arbusowka; sulle alture circostanti erano posizionati i sovietici che bombardarono ripetutamente le nostre truppe accerchiate.
Fotografia 5: Arbusowka oggi; le isbe sono posizionate più a sud di quelle precedenti occupate dai nostri soldati.
Fotografia 6: la piana dove il Carabiniere Plado Mosca Giuseppe e il flammiere Mario Iacovitti guadagnarono la Medaglia d'Oro al Valor Militare.











Le fotografie di Mario Bagnasco, 11

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"13 marzo Klinzy".

martedì 21 dicembre 2021

Rapporto sui prigionieri, parte 10

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

GLI ALTRI CAMPI.

Non tutti i prigionieri conobbero i campi di smistamento di cui si è detto al capitolo precedente. Molti vennero inviati direttamente in numerosi altri campi. Tra quelli dove l'afflusso di soldati italiani fu più massiccio si possono citare quelli della Mordovia a 600 km a sud-est di Mosca; quelli delle repubbliche indipendenti dei Tatari e dei Mari al di la del Volga (1.000 km ad est di Mosca); quelli negli Urali nelle regioni di Perm e Sverdlovsk (1.800 km ad est di nella regione di Tashkent nel Kazakistan meridionale, al confine con la Cina e l'Afghanistan. Quasi tutti gli ufficiali sul fronte delle nostre Divisioni di Fanteria, nella seconda quindicina di dicembre '42, insieme ai loro soldati furono mandati a Suzdal, duecento chilometri a nord-est di Mosca.

In questi campi si verificò la stessa ecatombe dei campi di smistamento con l'aggravante che, a causa della lunghissima durata dei trasporti, la mortalità in treno fu molto più elevata e le condizioni di coloro che arrivarono vivi erano ormai disperate e senza possibilità di sopravvivenza. A peggiorare ulteriormente queste possibilità, arrivarono i superstiti dei campi di smistamento con i germi del tifo petecchiale che si diffuse ben facilmente anche perché i russi si preoccuparono - o lo fecero in ritardo - di prendere provvedimenti di isolamento e di disinfezione. Per cui alla grande moria dei primi mesi, dovuta soprattutto alla denutrizione, al gelo, agli esiti infausti delle ferite, si aggiunse la spaventosa mortalità dovuta al tifo che assottigliò, forse ancor più delle altre cause, la già ridottissima schiera dei prigionieri.

Questi campi avevano una rudimentale funzionalità. I prigionieri vivevano in baracche o edifici, dormivano su incastellature a due o tre piani con pagliericcio (non sempre) e coperta, esistevano cucine, impianti di disinfestazione, latrine e bagni. I prigionieri erano sottoposti ad un superficiale controllo sanitario da parte dei medici russi il cui scopo precipuo era la valutazione della loro capacità lavorativa. Un quadro complessivo del trattamento e delle condizioni di vita nei campi, non è possibile definirlo, in quanto - regola generale in Russia - vi erano differenze enormi tra un campo e l'altro e nello stesso campo, il funzionamento è cambiato nel corso del tempo e non sempre in maniera evolutiva.

Sorte diversa toccò a numerosissimi feriti e congelati, lasciati provvisoriamente in capannoni a Valuiki e Rossosc, al momento di formazione delle colonne, oppure scartati dalle colonne stesse durante le marce del "davaj" - nonché ai feriti trovati nei nostri ospedali da campo di Kantemirovka, Cerkovo, Podgornoje. Essi vennero, in seguito trasportati negli innumerevoli lager-ospedale situati nelle remote retrovie. Grandi concentramenti di soldati si ebbero negli ospedali della regione di Kirov (Pinjug, Belaja Koluniza, Fosforitnj, Bistriaghi), sul Volga tra Kuibiscev e Saratov (Volsk), tra gli Urali cd il Caspio (Ak Bulak), nel Kazakistan centrale (Borovoje).

Erano ospedali organizzati dove il trattamento alimentare era adeguato e l'assistenza medica era efficiente, assicurata da personale russo affiancato da ufficiali medici prigionieri. Tuttavia le condizioni e la durata dei trasporti resero vana questa sistemazione, meno primitiva di quella riservata agli altri prigionieri. Anche negli ospedali la mortalità è stata molto elevata. In base alle testimonianze dei rimpatriali ed alla documentazione recentemente fornita dagli archivi russi, i campi dove furono rinchiusi i nostri prigionieri sono circa duecento ed altrettanti gli ospedali.

Occorre tuttavia osservare che i prigionieri venivano con frequenza trasferiti da un campo all'altro; non c'è italiano che non abbia conosciuto meno di cinque o sei lager o lager-ospedale. Parecchi nostri prigionieri di guerra hanno conosciuto anche le prigioni sovietiche. I primi ufficiali catturati, come il Ten. pilota Nannini, abbattuto nel settembre 1941 o il Ten. medico Reginato, preso nel maggio 1942, nonché i nostri tre generali Battisti, Ricagno e Pascolini, catturati alla fine di gennaio 1943, furono subito trasportati a Mosca, rinchiusi alla "Lubianka" (la prigione dell'NKVD, la polizia politica) e sottoposti a snervanti, prolungati interrogatori preceduti da trattamenti di raffinata tortura psicologica.

Anche altri prigionieri subirono trattamenti analoghi, ma dopo esser stati prelevati improvvisamente dai campi di concentramento e per motivi che nemmeno gli stessi malcapitati hanno saputo spiegare. E' capitato poi, in varie occasioni, che prigionieri di guerra siano stati associati alle carceri di qualche città in attesa di chissà cosa, rinchiusi assieme a delinquenti comuni e prigionieri politici. Infine - ma di questo se ne parlerà in apposito capitolo - i prigionieri di guerra italiani che furono trattenuti in Russia sotto accuse false ed assurde, prima e dopo le lunghissime inchieste ed i processi, conobbero profondamente le galere staliniane.

Il viaggio del 2011, Nikitowka

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... Nikitowka.





Un viaggio dello spirito

Forse alla fine il perché dell'andare in Russia è tutto racchiuso in questa fotografia... un sole pallido, il gelo "appiccicato" agli alberi, il cielo e la terra che si uniscono senza capire quando finisce l'uno ed inizia l'altra e una traccia nella neve da seguire, come se fossero i solchi di una slitta alpina appena passata.

Il pellegrinaggio invernale sulle orme delle divisioni alpine e della povera Divisione Vicenza è sempre e solo un viaggio dello spirito, è un viaggio durante il quale si abbandonano le comodità alle quali siamo abituati e si vestono i panni di un personaggio che non sappiamo neanche di essere e che non conosciamo fino a quando non affrontiamo il viaggio, con i nostri timori, i nostri desideri e i soprattutto con i nostri pensieri più reconditi.

domenica 19 dicembre 2021

Una via ad Aminto Caretto

Una via dedicata ad Aminto Caretto: scoprii questa via del tutto casualmente anni fa, vicino alla Stazione Centrale di Milano; immagino quante persone ci passino davanti ogni giorno senza sapere a che uomo è stata dedicata.

Medaglia d'oro al valor militare: «Soldato di tempra purissima e di indomito valore, veterano di tre campagne da lui vissute a capo di unità scelte e d’assalto, comandante abile ed audace che a carattere integerrimo univa le risorse più esaltatrici del sentimento, in ogni prova, in ogni rischio, in ogni evenienza di guerra, dava testimonianza delle sue doti inestimabili di comando e di azione. Alla testa di un reggimento bersaglieri, che all’impronta del suo personale ardimento ragguagliava ovunque i vertici di nobili tradizioni e di storia superba, si distingueva per sagace perizia ed elette qualità guerriere nelle operazioni sul fronte iugoslavo e su quello russo, dove la sua unità meritava una seconda medaglia d’oro. Dopo aver guidato per oltre un anno vittoriosamente sul fronte orientale i suoi battaglioni, avventandone con impeto leggendario le logore file contro nemico soverchiante che in impari lotta era ricacciato oltre il Don, soccombeva per ferita, consacrando col supremo sacrificio il suo destino di eroe. Balcania, 13 aprile - 30 giugno 1941; Fronte russo, 26 luglio 1941 - 5 agosto 1942.[7]» - Decreto Luogotenenziale 25 febbraio 1946.

Medaglia d'argento al valor militare: «Comandante di un reparto d’assalto, dopo l’irruzione del nemico in nostre importanti posizioni, lanciatosi al contrassalto, trascinava coll’esempio i suoi uomini, riconquistando nostre batterie e respingendo in un primo momento l’avversario. Ricevuto l’ordine di proteggere il ripiegamento, assolveva il suo compito, dando mirabile prova di ardimento, di avvedutezza e di abnegazione, rendendo così un segnalato servizio alla nostra insuperata difesa. Nervesa, 16-17 giugno 1918.»

Medaglia d’argento al valor militare: «Con sano criterio tattico e vero spirito di vecchio ardito, con fermezza, capacità e ardimento, primo fra i primi, guidava il proprio reggimento in una difficile azione di guerra, e vincendo forti resistenze del nemico superiore di numero ed infliggendogli gravi perdite, portava decisivo aiuto ad un reparto di altra divisione che trovavasi in grave momentanea difficoltà. Gorlowka (Ucraina), 12 novembre 1941.»

Medaglia d’argento al valor militare: «Comandante di un magnifico reggimento di bersaglieri, da lui preparato mirabilmente per ogni impresa di guerra, incaricato della difesa di importante settore, in occasione di un attacco condotto dal nemico con grande superiorità di forze e di mezzi, conduceva l’azione delle proprie truppe in modo brillante, ottenendo con l’esempio e con opportune disposizioni veramente positivi risultati. Assunto il comando di una colonna mista italo-tedesca per la riconquista di una località perduta, raggiungeva l’obiettivo assegnato con esemplare slancio e ne manteneva il saldo possesso. Confermava durante tutta la battaglia le sue solide qualità di capo e valoroso combattente. Fronte Russo, Rassjpanaja-Petropawlowka, 25-31 dicembre 1941.»

Medaglia di bronzo al valor militare: «Comandante di un reparto d’assalto, lo guidava all’assalto di forti posizioni con entusiasmo e slancio singolari. Ardito fra i suoi arditi, sempre pronto a piombare sul nemico nell’offesa, incaricato di proteggere un ripiegamento, dava bella prova di perizia e di fermezza, resistendo con pochi uomini all’avversario molto più numeroso, e dimostrando di possedere alte virtù militari. Boiacco (Piave), 16-17 giugno 1918.»

Medaglia di bronzo al valor militare: «Nelle operazioni di riconquista di territori invasi dal nemico, alla testa del proprio battaglione d’assalto, già noto per precedenti lodevoli imprese, confermava le sue distinte qualità di comandante e di singolare ardimento, sempre di esempio e di incitamento ai dipendenti. Grisolera-Palazzolo della Stella, 30 ottobre-4 novembre 1918.»

Medaglia di bronzo al valor militare: «Comandante di compagnia intelligente ed arditissimo durante l’intero ciclo di operazioni contro i ribelli, impiegò il suo reparto con singolare perizia e valore. Nelle giornate di Maraua, Belihusc, Bosco di Mteifla, Got el Haid (11-15-19 aprile), Uadi el Gill, (9 maggio) il più delle volte agendo d’iniziativa guidò la sua compagnia al successo con avvolgimenti ed attacchi alla baionetta. Altopiano Cirenaico, aprile-maggio 1924.»

Croce di guerra al valor militare: «Assunto il comando di due compagnie di assalto, le conduceva all’attacco con slancio ed ardimento, dando belle prove di valore e d’intelligente iniziativa. Monte Val Bella, 28-29 gennaio 1918.»



Le fotografie di Mario Bagnasco, 10

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"Passaggio obbligato".

sabato 18 dicembre 2021

I giorni della Julia

Dicembre 1942, sono i giorni del Battaglione L'Aquila, della Divisione Julia; sono i giorni del quadrivio di Selenyj Jar, di Komaroff, di Iwanowka e di Deresowka; sono i giorni in cui un'intera divisione si sacrificherà per tenere quel pezzo di fronte.

La zona di Selenyj Jar l'ho visitata più e più volte nei miei viaggi invernali e almeno nella mia testa ha sempre avuto un fascino tutto particolare, come se fosse una zona del fronte in cui entrare in punta di piedi per non disturbare chi ancora è lì sepolto. Soprattutto i primi anni ho trovato solo freddo e gelo, e queste alture sferzate dal vento, ma più di altre località attraversate nei giorni successivi, ho avuto la sensazione di essere veramente in un'altra dimensione, così lontana dalla mia vita di tutti i giorni.

Fotografia 1: l'esatto punto del quadrivio, oggi un incrocio nella steppa fra solo tre strade.

Fotografia 2: le posizioni esatte di quota 204 dove cadde la Medaglia d'Oro Enrico Rebeggiani.

Fotografia 3: le quote e la steppa ghiacciata intorno al quadrivio.

Fotografia 4: un piccolo monumento sito su una delle quote intorno al quadrivio a ricordo di tutti i caduti, italiani e russi.







giovedì 16 dicembre 2021

Cartine sovietiche

L'offensiva sovietica dell'inverno 1942-1943 e l'operazione Piccolo Saturno nelle cartine sovietiche, fonte gruppo Facebook "Stalingrad Battle".



16 dicembre 1942

E' il 16 dicembre 1942 quando scatta l'Operazione Piccolo Saturno contro l'8a Armata Italiana schierata sul Don; da "Le operazioni delle unità italiane al fronte russo (1941-1943)"... Ma attenzione... dietro a queste scarne indicazioni, a queste località che sarebbero rimaste a noi sconosciute se non furono teatro di queste vicende, si celano l'eroismo e il sacrificio dei nostri soldati. Esattamente 79 anni fa in queste ore, in queste giornate si consumò l'inizio di quella che fu la fine della nostra armata in Russia. Ricordiamo almeno in questi giorni il loro sacrificio, non dimentichiamolo e tramandiamolo alle nuove generazioni.

FRONTE DEL II CORPO D'ARMATA.

Divisione Cosseria e 385a Divisione tedesca.

Al limite di settore con la Ravenna, durante l'intera notte, il nemico aveva svolto continui tentativi d'infiltrazione tra il 318° tedesco ed il 38° fanteria. Per migliorare la situazione, dato il forte impegno della Divisione di destra, il Comandante del Corpo d'Armata ordinava l'attacco di un battaglione di polizia tedesco (sostenuto da una compagnia di carri L/6 del LXVII battaglione bersaglieri), agli ordini del Comandante del 318° tedesco. Alle ore 6 il Generale Gazzale, Comandante della Cosseria, aveva ceduto la responsabilità operativa del settore al Comandante della 385a Divisione tedesca. I due Comandi erano rimasti nella stessa sede di Krasni, per assicurare il ricupero delle unità italiane.

Alle ore 8 la situazione era ulteriormente aggravata: - lo schieramento del 318° era stato rotto in più punti e l'abitato di Deresovka veniva sgomberato dai tedeschi; - su q. 192, contro l'attacco italiano sostenuto dai carri della 27a Divisione, si sviluppava una fortissima reazione d'artiglieria ed un intervento di aerei sovietici; - Samodurovka era assoggettata a fortissima pressione nemica; - Gorohovka brulicava di carri armati avversari. Il richiesto intervento del XXXI gruppo da 149/40 non poteva avere luogo in quanto, data la distanza, la dispersione naturale del tiro avrebbe troppo ridotto l'efficacia dell'azione. Alle ore 9 l'azione aerea sovietica si estendeva in profondità su tutte le retrovie della Divisione, con diffusi mitragliamenti e spezzonamenti.

A metà della mattina: - il contrattacco su q. 192 era parzialmente riuscito; - il I/90°, molto provato, nella zona di Samodurovka era praticamente circondato e si riteneva non potesse resistere a lungo, mentre si cercava di sostenerlo dall'esterno con una compagnia italiana di formazione proveniente da Zapkovo; - il Comandante della 385a Divisione disponeva l'intervento di uno dei suoi battaglioni da Orobinski su Deresovka, per conservare la continuità della linea verso la Ravenna. Alle ore 12 la pressione nemica continuava fortissima su tutta la parte destra del settore e rendeva impossibile il ricupero di qualunque reparto italiano.

Entro la mezzanotte il Comando d'Armata metteva a disposizione del II Corpo la 27a Divisione corazzata, con il compito di mantenere il contatto tra i settori 385a - Cosseria e Ravenna. La linea da difendere avrebbe dovuto seguire il corso del Don da Deresovka fin dove fosse possibile, contornare la sacca formatasi e ricollegarsi a Gadjucce - Filonovo, raggiungendo a destra il XXXV Corpo d'Armata (298a Divisione). La 385a Divisione avrebbe dovuto difendere il fronte nord, dalla Cernaia Kalitva a Deresovka.

La Cosseria, ricuperando i propri reparti (i reparti organici della Divisione Cosseria, o ad essa assegnati in rinforzo, trattenuti dalla 385a Divisione in ogni punto del settore erano: - due battaglioni del 90° fanteria e l'intero gruppo CC.NN. Leonessa, uniti al 539° granatieri; - il "gruppo Colonnello Maggio" con il Comando dell'89° fanteria, il I ed il II/89° ed un battaglione del 90°; - III/89°, unito al 537° granatieri. L'artiglieria divisionale e di rinforzo sarebbe dovuta rimanere a cooperare con la 385a Divisione), rinforzata da quelli in affluenza (Battaglione alpini sciatori Monte Cervino e vari reparti di ogni specialità del genio, tranne che delle trasmissioni), era destinata a costituire una linea di sicurezza appoggiandosi agli abitati tra Dubovikof e Gadjucce, mentre la 27a corazzata doveva contrapporsi alle irruzioni dei mezzi corazzati nemici, compito di gran lunga superiore alle sue possibilità.

Per ristabilire la situazione era prevista un'azione della Cosseria in direzione di nord-est, partente dalla zona di Goly (dove terminavano le posizioni della 385a), effettuabile soltanto il giorno successivo, perché le forze della Divisione non erano state ancora svincolate e raccolte. Le Grandi Unità delle quali era annunciata l'assegnazione non erano ancora giunte nella zona destinata al loro impiego (si sarebbe trattato, orientativamente, della Divisione Julia, della 387a Divisione di fanteria tedesca, del gruppo corazzato SS Fegelein (l'una e l'altro in affluenza per ferrovia a Mitrofanovka), del gruppo Schuldt (due battaglioni di polizia SS, un gruppo controcarro ed altre quattro compagnie, due gruppi d'artiglieria leggera, una batteria un controaerei dell'aviazione) in affluenza ferrovia a Cercovo).

Divisione Ravenna.

Per l'intera notte era durato il combattimento al limite di settore con la 385a - Cosseria, con la quale la Ravenna non riusciva a collegarsi. La pressione nemica era in continuo aumento, tendendo al tergo delle posizioni di q. 158, mentre continuava la resistenza del caposaldi sulla riva del Don. Alle prime luci (ore 6,20) gli osservatori, posti alla base dell'ansa di Verhnij Mamon, udivano tra la nebbia carri armati sovietici scendere da q. 193,6 ed altri dirigersi da Ossetrovka su q. 218. Tutte le artiglierie della difesa concentravano su di essi il loro fuoco. Contemporaneamente il nemico attaccava in forze a nord di Krasno Orekovo sulla fronte di un chilometro, tra Krasno Orekovo e q. 217,6, mentre tutte le posizioni erano sottoposte a violentissime azioni di fuoco. Il gruppo semoventi Haempel era in allarme. I collegamenti telefonici con la linea erano interrotti.

Alle 7,15 due caposaldi del 38° fanteria ed uno del 318° granatieri, sulla linea di contatto, erano stati superati ed i carri armati da q. 193,0 ne avevano già infranto qualche altro. All'azione delle armi terrestri sovietiche, dalle ore 8, si sommava anche quella aerea contro il 38° fanteria, svolta anche se con visibilità scarsissima. Alle ore 9 le posizioni del lato occidentale dell'ansa di Verhnij Marnon erano infrante ed un'ondata di carri armati sovietici giungeva sugli abitati di Krasno Orekovo, Gadiucce e Filonovo. Per sopperire in qualche modo alle necessità della Ravenna, il Comandante del II Corpo assegnava alla Divisione il rinforzo del XLVII battaglione motociclisti, del LXVII battaglione corazzato (meno la compagnia data al 318°) e del XIII gruppo semoventi (entrambi con forza sensibilmente inferiore a quella organica).

La prima ondata di circa cinquanta carri era stata quasi completamente distrutta dal fuoco delle artiglierie e dei semoventi del gruppo tedesco Haempel. Alle ore 10,30 la Ravenna era attaccata: - dalla 195a Divisione, nella controansa di Krasno Orekovo, dove la linea era stata rotta ed i caposaldi venivano circondati e sopraffatti ad uno ad uno da unità carri o schiacciati sotto il peso di essi; - dalla Divisione Guardie, nella parte occidentale dell'ansa, sulla direttrice della strada da q. 193,6 a q. 150,2; - dalla 44a Divisione Guardie, nella parte orientale dell'ansa stessa, a cavallo di q. 218, dove quel saliente era stato perduto. I carri armati avevano eliminato il caposaldo difeso da una compagnia del CII battaglione mitraglieri autocarrato di Corpo d'Armata, che aveva procurato alle fanterie attaccanti gravissime perdite, falciandolo con il fuoco delle sue dodici mitragliatrici.

Contro la Ravenna erano già intervenuti i cento carri che i prigionieri avevano segnalato presenti ad Ossetrovka il giorno precedente. Il Comandante della Ravenna (Gen. Dupont) contava di portare la resistenza sulle posizioni di q. 204,2 - q. 217,6 (o pendici sud) - q. 196,3 (Solonzi) - Svinjuka, per coprire da nord gli abitati di Gadiucce e Filonovo, raccogliendo su di esse le forze ripiegate. Nella situazione descritta, il Comandante del Corpo d'Armata non aveva disponibilità di altre forze per intervenire nel combattimento. Alle ore 12: - l'aviazione sovietica era padrona del cielo della Ravenna; - il nemico stava procedendo ad allargare i varchi nei campi minati per dare più sicuro passaggio alle sue forze corazzate; - la 27a Divisione corazzata disponeva nel settore di soli venti semoventi.

Dall'analisi di questa situazione si poteva dedurre che in breve la Ravenna si sarebbe ridotta a Filonovo - Gadjucce, lasciando la via ad un'irruzione a tergo dello schieramento, non direttamente attaccato, della 298a Divisione tedesca. Il Generale Zanghieri, anche d'intesa con l'Ufficiale di collegamento tedesco, esponendo al Comando di Armata la grave situazione nella quale versava l'intera Grande Unità, proponeva di continuare la resistenza sulla linea Zapkovo - Orobinski - Dubovikof - Goly - q. 179,2 - Lufitzkaja, che avrebbe coperto la valle Boguciar. Il Comando del Gruppo di Armate B rispondeva alle ore 14,25 che nessun ripiegamento avrebbe potuto essere autorizzato e che la Divisione Ravenna sarebbe dovuta rimanere in posto.

Alle ore 17 la Divisione aveva fatto fronte sulla linea q. 217,6 - Filonovo - balka di Gruscevo - q. 159, dove si collegava alla 298a tedesca, ritirando su di essa i fanti disponibili, schierati intorno alle artiglierie ed ai pochi carri armati tedeschi. Era un sottile velo di circa tremila uomini, stremati da sei giorni di combattimenti e frammischiati fuori dei vincoli organici, in quanto l'incalzare degli avvenimenti non ne aveva consentito il riordinamento. Quelle forze non erano in grado di disimpegnare un'apprezzabile azione difensiva, data l'estensione del fronte in rapporto alla loro consistenza numerica ed alla mancanza di ogni apprestamento, che il terreno profondamente gelato non permetteva di incominciare nemmeno in forma rudimentale.

Una valida azione di comando su quei soldati era praticamente impossibile, anche per la quasi totale mancanza di mezzi di collegamento con i reparti schierati. La situazione era fatta ancor più difficile dalla violentissima azione dei lanciarazzi e dei numerosi aerei sovietici che procuravano continue perdite. Difettavano anche le munizioni per le armi della fanteria. Alle ore 18 il Capo di Stato Maggiore dell'Armata comunicava al Comando del II Corpo che nel settore sarebbe giunta la prima aliquota del gruppo d'intervento della Julia, seguita in breve dall'intera Divisione. Giungeva anche il battaglione alpini sciatori Monte Cervino. Alla mezzanotte il Comando d'Armata: - ribadiva il concetto generale della difesa ad oltranza; - definiva essenziale che la 298a Divisione mantenesse le proprie posizioni, per altro non attaccate direttamente; - passava alle dipendenze della Ravenna il gruppo Haempel; - metteva alla temporanea dipendenza del II Corpo d'Armata la 298a Divisione, disponendo che questa e la Ravenna dovessero "collaborare in stretta cooperazlone"; - affidava al II Corpo la determinazione delle responsabilità e delle linee di contatto tra le due Grandi Unità.

FRONTE DEL XXXV CORPO D'ARMATA - CSIR.

Divisione Pasubio.

Alle ore 6, senza preparazione di artiglieria e di lanciarazzi, sostenuto soprattutto con mortai di ogni calibro, aveva inizio l'attacco diretto contro tutto il settore divisionale, particolarmente nel tratto Krasnogorovka - Abrossimova - Monastirscina. Le forze della 38a Divisione Guardie, infiltratesi nelle balke, tra le ore 9 e le 10, irrompevano nelle posizioni tenute dall'80a fanteria a sud-est di Abrossimova e costringevano i difensori a ripiegare su di una linea più arretrata, quasi coincidente con quella della seconda posizione. L'attacco dilagava, faceva cadere Abrossimova e si dirigeva verso le q. 187,9 e 206,3 e più a sud, tagliando il vallone di Monastirscina ed isolando quell'abitato dalle posizioni retrostanti. La Ia batteria controcarro da 75/32 del I/201° che si opponeva all'avanzata nemica veniva interamente distrutta sui pezzi, dal comandante all'ultimo artigliere.

Dopo avere invano svolto alcuni contrassalti, i fanti del II/80° e gli artiglieri di una sezione del I/201°, attraverso il vallone di Artykulny Schlucht, ripiegavano sulle batterie del III/8°, ormai esse stesse minacciate e costrette a difendersi sparando a zero. Dopo la fanteria ripiegava il personale degli osservatori di artiglieria. Ultimi tra di essi quelli della 7a e della 9a batteria che, con i loro comandanti, dovevano aprirsi ripetutamente il varco tra i nemici che già li avevano superati ed isolati. Il nuovo e più arretrato schieramento della fanteria determinava l'esigenza di adeguare ad esso quello del III/8°. I movimenti retrogradi erano compiuti in perfetto ordine a scaglioni di batteria, ultima che, prima di ripiegare, infliggeva forti al nemico che si affacciava al costone di q. 175,5. Il III/80° tentava una resistenza su q. 206,3.

I caposaldi della zona dell'ansa del "berretto frigio", investiti frontalmente resistevano ancora sul posto. I difensori del caposaldo Olimpo cadevano tutti nell'estrema difesa. La perdita di esso comprometteva la situazione del I/8°, schierato nel vallone sottostante, minacciato frontalmente e sul fianco destro. Il gruppo riceveva l'ordine di spostarsi su posizione arretrata, ma, sotto il fuoco delle armi automatiche dell'attaccante, l'intera linea dei pezzi e quasi tutto il personale andavano insieme ad una sezione della 309a batteria controaerei e ad una sezione della 73a batteria controcarro divisionale. Il gruppo CC.NN. Montebello contrattaccava il nemico sulle posizioni di q. 187,9 - q. 178,3 - q. 175,1, sovrastanti il vallone Artykulny Schlucht.

Il Comando d'Armata ordinava che la Pasubio fosse sostenuta dalla 298a Divisione, con il 526° reggimento granatieri e dal XXIX Corpo d'Armata tedesco, con tutte le forze disponibili. Nel pomeriggio si presentava al Comando della Pasubio il gruppo d'intervento della 298a Divisione tedesca (un battaglione 526° granatieri ed un gruppo d'artiglieria da 150), che veniva riunito al battaglione del 525° già schierato a sbarramento della base dell'ansa, da q. 201,1 a q. 156,0. Alla sera, la difesa della Divisione Pasubio si concretava: - a sinistra, sulla linea del 79° fanteria, intatta fino al margine sud di Krasnohorovka; - al centro, da q. 156,0 a q. 201,1, affidata alle unità tedesche; - a destra, su di una linea tenuta dal raggruppamento CC.NN. 3 Gennaio, da elementi superstiti dell'80° fanteria, che aveva subito perdite del 50-60% degli effettivi, e da un battaglione di formazione (sciatori, carabinieri, personale delle basi e del Quartier Generale).

Il fronte tra questo battaglione ed il paese di Monastirscina rimaneva scoperto. A Monastirscina resisteva, asserragliato nella chiesa, il I/80°, non potuto raggiungere dal I/81°, che aveva dovuto ritirarsi con notevoli perdite, lasciando una più ampia falla tra le due Divisioni. A rinforzo del XXXV Corpo d'Armata, a tarda sera, giungevano, inviati dal Comando dell'8a Armata, un battaglione di ferrovieri, uno di pontieri, uno di artieri (su due compagnie), da impiegare come fanteria, ma scarsamente dotati di armi di reparto.

mercoledì 15 dicembre 2021

lunedì 13 dicembre 2021

La Russia che non vedrò...

La Russia che non vedrò neanche questo inverno... sono i giorni dell'operazione Piccolo Saturno e sono i giorni in cui vorresti essere lì, solo perché chi è stato lì anche solo una volta può capire un poco di più. Sono i giorni del mal di Russia e sono i giorni in cui vorresti lasciare tutto per tornare nel freddo e nella neve, anche per portarti a casa un poco di loro.

domenica 12 dicembre 2021

Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 16

Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - La battaglia di Chazepetowka (Le operazioni dal 7 al 14 dicembre 1941).

Il viaggio del 2011, Nikitowka

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... arrivo a Nikitowka.



Rapporto sui prigionieri, parte 9

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

LA GRANDE FAME.

La causa prima, quella che in assoluto ha la maggior responsabilità nel grande genocidio dei prigionieri in mano ai russi è stata la totale assenza di alimentazione nella prima settimana della cattura, la distribuzione molto saltuaria del vitto esclusivamente freddo (pane e pesce crudo) durante le marce ed i trasporti in ferrovia, per continuare con risibili razioni di vitto a scarsissimo contenuto energetico per circa altri tre mesi. Questo in pieno inverno russo e per individui costretti a vivere e dormire pressoché all'aperto. E' stato il digiuno che ha fiaccato i più deboli impedendo loro di sostenere il ritmo e la lunghezza delle marce del davaj e di resistere alla morsa del gelo nelle notti all'addiaccio. E' stato il digiuno a diminuire le difese dell'organismo ed a facilitare congelamenti. Si devono imputare all'estremo stato di denutrizione, il propagarsi fulmineo delle epidemie di tifo e di dissenteria ed il loro immancabile esito letale. Fu la fame a condurre alcuni disgraziati a nutrirsi di carne umana.

Il pane che veniva distribuito era nero, mal cotto, acido ed in quantità tale - una fetta larga e spessa quanto il palmo di una mano - da non permettere certo la sopravvivenza in quelle condizioni. Durante le marce, tutti tentarono, con alterne fortune, di arrangiarsi: frugando nei rifiuti, mangiando carcasse di muli, rubando nei villaggi; la popolazione, se poteva, dava l'elemosina di qualche patata, ma questi bocconi clandestini non potevano bilanciare le energie e le calorie consumate nelle marce e nel gelo. Quando, nei campi di smistamento si iniziò a distribuire una zuppa calda - un mestolo al giorno! - essa consisteva in un liquido in cui erano immersi brandelli di cavolo o di patate o chicchi di grano, interi e cotti sufficientemente. Un liquido senza l'ombra di condimenti e senza sale.

In un registro dei decessi del lager 1773 - Bistriaghi nella regione di Kirov - potuto consultare da incaricati di ONORCADUTI negli Archivi di Stato di Mosca, accanto al nome ed alla data di morte del prigioniero vi è indicata la causa del decesso. Ebbene nei mesi di marzo e aprile 1943 per centinaia e centinaia di casi, monotona, vi è l'annotazione: distrofia di II° grado, che nella terminologia medica russa significa denutrizione. Tutti i prigionieri che riuscirono a sopravvivere ed a raggiungere campi più organizzati, erano ridotti a scheletri, avevano perso la metà del loro peso. Tutti i rimpatriati tuttora viventi potranno testimoniale che le raccapriccianti riprese televisive che mostrano lo stato di denutrizione di alcune popolazioni del terzo mondo, possono rappresentare lo stato dei loro corpi alla fine di quel tragico periodo. ln seguito il vitto migliorò e le razioni, integrate dai supplementi di pane o zuppa, guadagnati con il lavoro, divennero meno magre. Tuttavia il nutrimento rimase ancora al di sotto di un livello che consentisse il ricupero delle energie in tempi ragionevoli e la fame rimase una costante nella vita del prigioniero per altri due anni.

Le fotografie di Mario Bagnasco, 08

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"Finalmente anche per noi la grande giornata".

sabato 11 dicembre 2021

11 dicembre 1942

Da "Le operazioni delle unità italiane al fronte russo (1941-1943)" - 11 DICEMBRE 1942.

Fronte del II Corpo d'Armata - Divisione Ravenna.

Alle prime luci del mattino, in una balka scendente al Don presso Krasno Orekovo (lato occidentale dell'ansa di Verhnij Mamon), veniva notato un rilevante movimento di forze nemiche, indicante la preparazione di un attacco. Alle 6.40 l'aviazione sovietica interveniva contro i caposaldi del 38° fanteria dislocati in quella zona, che venivano subito attaccati, si di un fronte di circa due chilometri, da due battaglioni del 604° fucilieri (195a Divisione). Altro contemporaneo attacco era condotto da un battaglione del 128° fucilieri (44a Divisione Guardie) contro la quota 218.0 (lato orientale dell'ansa), mentre un battaglione del 412° fucilieri (1a Divisione) passava il Don in corrispondenza della piana di Svinjuka.

Alle ore 8.30, su richiesta del Comando del II Corpo, una formazione di otto aerei tedeschi mitragliava e bombardava gli attaccanti, ripetendo l'azione alle 10.30. Non appena di era delineato l'attacco sul fronte della Ravenna, fatto con un prudente calcolo delle forze che si presumeva il nemico potesse impiegare nello sviluppo dell'azione, il Comandante del II Corpo d'Armata aveva valutato la pesantezza del compito da assolvere. Egli proponeva, perciò, al Comando dell'Armata che dal fronte del Corpo d'Armata Alpino fosse effettuata una puntata di alleggerimento, avente come base di partenza la zona tra Staro Kalitva e Novo Kalitva, per tendere al rovescio di Gorohovka. L'artiglieria della Cosseria, schierata a fronte nord, avrebbe potuto prestare efficace concorso.

Il Comandante dell'Armata, pure valutando la proposta atta a conferire carattere di manovra alla difesa, non l'accoglieva in considerazione anche della consistenza delle forze nemiche contrapposte (dotate di riserve pronte ad ostacolare ogni iniziativa avversaria), dell'indisponibilità di reparti italiani e dell'insufficienza di tempo per organizzare l'operazione. Nelle ore pomeridiane il nemico tentava l'aggiramento del paese di Krasno Orekovo e continuava ad attaccare il caposaldo di quota 218.0, mantenendo la minaccia sulla piana di Svinjuka. La riserva divisionale di due battaglioni, non completi, era stata interamente impiegata. Il Comandante del Corpo d'Armata assegnava alla Ravenna, in temporanea rinforzo, i due gruppi tattici Valle Scrivia, perché fossero impiegati il I in zona di Krasno Orekovo, il II in zona di quota 217.6 ed il Leonessa II su Svinjuka, raccomandandone il pronto ricupero dopo l'azione.

Il Comando d'Armata non poteva accedere alla richiesta di spostamento in avanti della 27a Divisione corazzata, mentre accoglieva quella di spostare ad est elementi della 385a Divisione nelle retrovie della Cosseria, per sostituirvi il gruppo Leonessa II. Le perdite della Divisione erano state di 50 morti (6 ufficiali), 175 feriti (11 ufficiali), 126 dispersi (4 ufficiali). I dispersi erano da considerare per la maggior parte caduti. Le perdite del nemico erano state ingenti. Prigionieri russi catturati dalla contigua 298a Divisione tedesca avevano rivelato che alcune compagnie della 1a Divisione erano ridotte ad una decina d'uomini. La Divisione Cosseria non era stata direttamente attaccata, ma le sue artiglierie ed i mortai avevano prestato il loro concorso alle azioni della Ravenna.

FRONTE del XXXV Corpo d'Armata CSIR - Divisione Pasubio.

Gli attacchi della 38a Divisione Guardie venivano ripresi con due battaglioni presso Ogalev, contro il I/79°, subito estesi a tutto il fronte dell'ansa, tenuto dallo stesso reggimento. L'impiego del gruppo CC.NN. Tagliamento e del XXX battaglione del gruppo Montebello determinava entro la giornata il ristabilimento della situazione. La Divisione aveva ricevuto in rinforzo 10 cannoni controcarro tedeschi da 75 mm, 1 pezzo controaereo da 88 mm e 2 pezzi da 20 mm pure tedeschi.

Questa la cruda cronaca... esattamente 79 anni fa nello stesso momento in cui scrivo questo post i nostri soldati probabilmente tiravano il fiato dopo una giornata di combattimenti, senza sapere esattamente cosa ancora avrebbero dovuto sopportare nei giorni a venire, fra morte, fame e freddo. Era l'inizio della fine per l'Armata Italiana in Russia. Nei miei precedenti sei viaggi in Russia, con umiltà, ho voluto vedere per cercare di capire. Volevo vedere quei posti e volevo vederli d'inverno quando le condizioni climatiche erano le più possibili simili a quelle in cui si trovarono i nostri soldati durante le fasi più critiche dalla Campagna di Russia. Non sono ancora stato nella zona dell'ansa di Verhnij Mamon (se questa estate sarà possibile viaggiare andrò sicuramente a visitarla insieme a chi vorrà venire con me), ma sono stato due volte dov'era schierata la Pasubio, la Tagliamento e la Montebello presso l'ansa del "cappello frigio"; ho visto i resti di Ogalev, ormai sparita totalmente e ho visitato le nostre postazioni dalle quali partivano gli attacchi per riconquistare una posizione persa in precedenza. Ho visto tutto questo d'estate dove tutto sembra essere più sopportabile... ma in quei viaggi ho compreso meglio le sensazioni che devono avere vissuto i nostri soldati, in particolare quella che definisco l'angoscia del nulla, il nulla intorno a te.

Ho scelto per questo post, che vuole solo ricordarli tutti in modo particolare da oggi fino agli ultimi giorni di gennaio, una fotografia scattata si d'inverno ma nella zona della ritirata degli Alpini; è una fotografia che "racconta" di serenità, scattata in uno dei più bei giorni che ho trascorso in Russia. Ho scelto questa fotografia perché voglio ricordare tutti i nostri soldati nel modo migliore possibile e vorrei che voi che leggerete queste righe e avete perso un padre, un nonno, uno zio in Russia potete pensare a lui con queste parole di Mario Rigoni Stern: "... ma ora so che laggiù, quello tra il Donetz e il Don, è diventato il posto più tranquillo del mondo. C’è una grande pace, un grande silenzio, un’infinita dolcezza. La finestra della mia stanza inquadra boschi e montagne, ma lontano, oltre le Alpi, le pianure, i grandi fiumi, vedo sempre quei villaggi e quelle pianure dove dormono nella loro pace i nostri compagni che non sono tornati a baita".

mercoledì 8 dicembre 2021

Il viaggio del 2011, Garbusowo

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... Garbusowo e la steppa circostante.





Rapporto sui prigionieri, parte 8

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

I CAMPI DI SMISTAMENTO.

Finiti i trasporti in treno, i sopravvissuti si illusero che il peggio fosse passato. Nella mente dei prigionieri, campo di concentramento voleva dire baracche, dormire finalmente al caldo, mangiare regolarmente, potersi finalmente lavare e sbarbare. Li attendeva una tremenda, tragica realtà. I dieci, quindici giorni di treno non li avevano portati molto lontano: furono scaricati nella provincia di Voronesc - non più di 200 km a nord di quello che era stato il fronte dell'ARMIR - in lager che rimarranno nella storia della prigionia in Russia, una ignominia incancellabile. Erano quelli di Khrinovoje, di Tambov e di Miciurinsk.

Khrinovoje o Krinovaja come è stata ricordata da tutti quelli che vi sono stati, era una vecchia, cadente caserma della cavalleria cosacca zarista. I prigionieri vennero ammassati nelle scuderie, senza porte né vetri alle finestre, costretti a dormire sul nudo pavimento. Il lager di Tambov si trovava in un bosco diviso in più sezioni; i prigionieri erano sistemati in rudimentali ricoveri interrati che avevano all'interno delle incastellature per dormire fatte di radi rami contorti, naturalmente non esistevano pagliericci e coperte. A Miciurinsk - veramente il campo si trovava a Uciostoje, una trentina di km a nord di detta città - il campo era ugualmente situato in un bosco, con ricoveri interrati che all'interno non avevano assolutamente nulla; i prigionieri dormivano sulla terra gelata. Nei suddetti campi non esisteva nessuna organizzazione materiale, anche la più logica ed indispensabile. La distribuzione del vitto era fatta a casaccio ogni tre o quattro giorni ed in misura assolutamente insufficiente.

Le rare distribuzioni consistevano in una fetta di pessimo pane ed un mestolo di brodaglia senza nessuna sostanza. Moltissimi che erano riusciti a sopportare i disagi ed i digiuni delle marce e dei trasporti in treno, erano arrivati al limite della loro resistenza fisica ed il cedimento avvenne improvviso: a centinaia ogni giorno si spegnevano per inedia. Inoltre, l'inesistenza di qualsiasi assistenza medica, rendeva letali congelamenti di primo grado, ferite non gravi, enteriti ricuperabili. Infine, l'assoluta mancanza d'igiene - in quei campi non esistevano latrine, non c'era acqua per potersi lavare, si dissetavano con neve sporca, gli uomini indossavano indumenti luridi, pieni di pidocchi - fu il naturale focolaio dell'epidemia di tipo petecchiale che sarebbe esplosa qualche settimana più tardi e che, su individui indeboliti e denutriti, avrebbe avuto effetti devastanti.

La vita in quei campi fu resa ancora più difficile dalla mancanza di solidarietà, anzi, dal manifestarsi sempre più violento dell'egoismo e della lotta per la sopravvivenza. Procurarsi da mangiare era diventato un imperativo e tutti i mezzi erano buoni: la frode, l'astuzia, la violenza, financo il delitto. Per molti si aggiunse la pazzia, perché solo lo smarrimento totale può portare l'individuo a cibarsi della carne di cadavere. Qualsiasi altra nota su questi campi non riuscirebbe a descrivere quello che vi avvenne...

Le fotografie di Mario Bagnasco, 07

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"Nostre salmerie in attesa del passaggio del Donetz".

Racconti di Russia, nella piana di Opyt

Un'altra testimonianza tratta dal libro "Nikolajewka: c'ero anche io" a cura di Giulio Bedeschi. Capitano Luigi Collo, II Battaglione Misto Genio, 6° Reggimento Alpini.

Il 20 Gennaio 1943 la Divisione Tridentina ha lasciato da tre giorni le sue postazioni sul Don per tentare di aprirsi una strada attraverso i paesi già occupati alle sue spalle dai russi, e il II Battaglione Genio Alpino è arrivato la sera precedente nella piana di Opyt con la colonna del 6° Alpini. Ordini e contrordini si sono susseguiti nella notte per assegnare un compito operativo a questo reparto che si è trasformato in reparto di prima linea. Me ne è stato assegnato il comando e con me sono venti tenenti e sottotenenti che hanno fede in questi ragazzi che non hanno avuto alcuna esitazione ad abbandonare i propri attrezzi tecnici per impugnare il moschetto.

Il nemico non è riuscito a mantenere il contatto con la nostra retroguardia ma la situazione è molto incerta. [..] Alle sette del mattino la colonna che procede in silenzio è in fondo alla piana di Opyt e sta filtrando tra una massa di slittoni ungheresi in sosta. Le armi pesanti sono state caricate su slitte e avvolte in coperte per proteggerle dal gelo e consentirne l'impiego quando il reparto avrà raggiunto il 6° Alpini.

All'improvviso, quando i primi uomini sono usciti dal groviglio delle slitte ungheresi, si scatena sul reparto un fuoco d'inferno. Cannoni e mortai hanno aggiustato il tiro sulla nostra colonna e non è subito chiaro da dove provenga il fuoco; un attimo di incertezza coglie il reparto che è scaglionato su notevole profondità e non ha possibilità di schierarsi perché invischiato in mezzo ai reparti ungheresi. Ma la situazione si chiarisce subito; alle spalle dei genieri, dalle posizioni appena lasciate, escono dalla bruma che riduce il campo visivo 12 carri T34 scortati da ingenti forze di fanteria sovietica.

Il fuoco che si scatena sul reparto è micidiale e gli ungheresi che sono attorno a noi, buttando le armi e arrendendosi al nemico, ritardano il nostro movimento e la nostra reazione, e le perdite sono gravissime da parte nostra. Ma non è dell'insieme di questa azione, condotta in modo brillante da tutti i genieri del II battaglione che riuscirono a fermare a Opyt le avanguardie russe, che voglio parlare; ma del comportamento di alcuni valorosi genieri dal cui sacrificio è dipeso il risultato del combattimento. Siamo ancora al momento della sorpresa iniziale. Le armi pesanti del reparto sono caricate sulle slitte e non è facile raggiungerle in mezzo al caos creato dalle slitte ungheresi. La loro utilizzazione è però indispensabile per contrapporre alle armi del nemico la loro massa di fuoco, e i due mitraglieri della compagnia trasmissioni, caporale Caregnato e geniere Ragazzoni non hanno un attimo di esitazione.

Mentre il tenente Fabiani con il suo plotone che dispone di pochi mitragliatori, si schiera a ridosso delle slitte ungheresi, in un'impresa che non ha alcuna possibilità di scampo Ragazzoni e Caregnato buttano il pesante cappotto e si slanciano di corsa verso le salmerie che più indietro arrancano faticosamente tra le slitte ungheresi. In pochi istanti le loro armi sono scaricate e vengono piazzate in un punto dominante; i conducenti stessi animati dal loro esempio li aiutano a portare le cassette di munizioni.

Mentre il grosso del reparto pur subendo gravi perdite riesce a sottrarsi all'incalzare dei russi e a schierarsi a difesa in posizione favorevole, i due mitraglieri rimangono al loro posto e con il tiro rabbioso delle loro armi seminano la morte tra le file dei russi che avanzano. Nessuno potrà fermare questi due magnifici soldati; solo il destino che, purtroppo, per loro è già segnato. Caregnato è il primo a cadere, colpito da una scheggia di mortaio e si accascia sull'arma rovente mentre Ragazzoni spara ancora. Intorno a lui molti russi cadono e pare che il loro fuoco non possa nulla contro questo magnifico soldato. Infine è un T34 che si profila davanti alla sua arma; ma Ragazzoni non desiste e non cerca scampo; sul carro numerosi tiratori russi sparano su di lui e sul reparto ancora in movimento ma Ragazzoni impavido li abbatte; poi cerca ancora di opporsi al carro e rabbiosamente spara contro i cingoli e contro la massa d'acciaio che incombe su di lui. Non può far nulla contro il mezzo corazzato, ma il geniere non si arrende. Fino a quando il carro non lo travolge, Angelo Ragazzoni non cessa di sparare; la sua forza, il suo coraggio e il suo eroismo nulla hanno potuto contro la massa d'acciaio.

RICCARDO

La fotografia è stata scattata nel 2013 in quella che fu la piana di Opyt dove si verificarono gli episodi descritti nel testo.

Bassil'ora per Natale

Quest'anno fai un regalo di Natale diverso, regala la memoria, regala una storia emozionante che ebbe inizio la vigilia di Natale di 79 anni fa, una storia in tempo di guerra ma piena di amore per la vita... il DVD di BASSIL'ORA!

Il DVD è acquistabile a questo link https://www.runshop.it/prodotti/Bassil_ora.

Oltre 6.000 persone seguono questa pagina; abbiamo e avete la possibilità concreta di fare un regalo differente dal solito, un regalo che possa ancor più di 1000 altri dare un differente valore a questo Natale e infine ma non ultima la possibilità di aiutare Emera Film che ha coraggiosamente (a mio avviso) girato questo docufilm dedicato ad uno degli ultimi reduci di Russia ancora in vita.



martedì 30 novembre 2021

Le fotografie di Mario Bagnasco, 06

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"E' grosso ma gli stukas lo hanno fregato".

domenica 28 novembre 2021

Rapporto sui prigionieri, parte 7

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

I TRASPORTI FERROVIARI.

II modo nel quale i prigionieri vennero trasferiti in treno può dare la misura di come la Russia staliniana fosse lontana da quello che l'Occidente chiama civiltà. Anche perché, non solo ai prigionieri di guerra veniva usato tale trattamento, ma milioni di cittadini sovietici, uomini, donne. vecchi e bambini furono deportati con lo stesso sistema. Lo furono i "Kulak" all'epoca della collettivizzazione delle terre, i cittadini delle repubbliche baltiche quando i sovietici se le incamerarono, i tedeschi del Volga appena iniziata la guerra, la popolazione della Crimea a guerra finita, i soldati russi prigionieri dei tedeschi quando dai lager nazisti furono trasferiti in quelli della NKVD per la rieducazione socialista per far dimenticare loro cosa avevano visto.

I prigionieri vennero caricati su carri merci che all'interno non avevano nessuna atttrezzatura e, poiché vi immettevano dai settanta ai cento uomini, lo spazio disponibile permetteva a ciascuno di stare a malapena in piedi, pigiato ed immobile. Cosa sopportabile per una corsa in tram, ma non per i 15 o 20 giorni che in genere duravano i viaggi. Le percorrenze dei primi trasferimenti non furono lunghissimi - da Kalac a Khrinovoje ci sono 200 km.; da Kalac a Tambov 500 - ma le tradotte dei prigionieri sostavano giorni e giorni negli scali per poi viaggiare solo qualche ora. I vagoni erano bloccati dall'esterno ed in qualche caso, anche i piccoli sportelli, in alto vicino al tetto, erano sbarrati con tavole inchiodate. La sola luce che filtrava era quella delle fessure. I vagoni non venivano aperti con regolarità. Passavano anche due o più giorni prima che scorta si decidesse ad aprire, comunque non era ammesso scendere. E' evidente che in simili condizioni, i vagoni erano diventati dei letamai.

Di solito gli uomini, anche quando sono prigionieri, hanno bisogno di mangiare, ma i russi non davano nessunissima importanza a tale esigenza. Ci pensavano un giorno e poi per altri cinque nulla, poi un paio di distribuzioni e di nuovo giorni e giorni senza. Oltre alla ben nota disorganiualione russa in fatto di distribuzione dei viveri (non è cambiata granché nemmeno oggi) ed alla resistenza dei Comandi a concedere viveri ai "fascisti invasori", la scorta del treno faceva palesi intrallazzi con accaparratori civili. Il vitto, quando veniva distribuito, consisteva in galletta militare nerissima e da pesce conservato intero. Raramente era concessa la distribuzione di acqua. Il sistema era quello usato per dare il magime ai polli: il pane o il pesce veniva lancialo da terra, attraverso il portello aperto, all'interno del vagone. Nella lotta furibonda che seguiva, il cibo finiva sul pavimento, calpestato, sbriciolato, insozzato.

Come nelle marce, anche sul treno prosegui lo stillicidio dei morti, di coloro che pur avendo resistito fino allora, avevano ormai esaurita l'ultima riserva, ma anche la dissenteria, le ferite non curate, i congelamenti arrivati alla setticemia, le polmoniti, i cuori indeboliti, esigevano le loro vittime. La frequenza e la percentuale dei morti aumentava col passare dei giorni. I cadaveri rimanevano nei vagoni accanto ai vivi, finché i russi non decidevano di farli scaricare nelle scarpate o farli trasferire in appositi vagoni in coda al treno, non prima che i compagni li avessero completanlente spogliati per coprire meglio i sopravvissuti o farne fagotti per quelli rimasti senza scarpe. La mortalità durante i trasporti in treno fu elevatissima come è confermato dalle numerose testimonianze.

Questo sistema di far viaggiare i prigionieri fu quello adottato il grande esodo dal fronte fino ai primi campi di smistamento tra il dicembre del '42 ed il gennaio, febbraio 1943. Nello stesso periodo tradotte con feriti e congelati furono avviate verso gli ospedali delle lontanissime retrovie tra il Volga e gli Urali, tra gli Urali ed il Caspio - in condizioni meno disastrose, ma con tempi ben più lunghi, si parla di venti. venticinque giorni di viaggio, e di conseguenza con una mortalità analoga a quella dei trasporti citati prima.

Trasferimenti in treno continuarono ad essere effettuati durante tutti i quattro anni che durò la prigionia, perché i prigionieri venivano sovente spostati da un campo all'altro. Gli ufficiali cambiarono tre volte campo, ma i soldati italiani conobbero cinque o sei campi prima di essere mandati negli ultimi due anni nel Kazakistan. Questi viaggi successivi avvennero con carri bestiame aventi delle plance a mezz'aria in modo che la quarantina di occupanti potesse coricarsi, avevano una stufetta al centro anche se raramente era fornita di legna; la distribuzione del vitto avveniva con una certa regolarità. Molti prigionieri raccontano di aver viaggiato in carri cellulari insieme a deportati civili o a delinquenti comuni e vi sono stati casi di prigionieri isolati che hanno viaggiato scortati, sui treni ordinari in meno alla gente comune.

sabato 27 novembre 2021

Le fotografie di Mario Bagnasco, 05

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"Finalmente Stalino".