domenica 12 dicembre 2021

Rapporto sui prigionieri, parte 9

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

LA GRANDE FAME.

La causa prima, quella che in assoluto ha la maggior responsabilità nel grande genocidio dei prigionieri in mano ai russi è stata la totale assenza di alimentazione nella prima settimana della cattura, la distribuzione molto saltuaria del vitto esclusivamente freddo (pane e pesce crudo) durante le marce ed i trasporti in ferrovia, per continuare con risibili razioni di vitto a scarsissimo contenuto energetico per circa altri tre mesi. Questo in pieno inverno russo e per individui costretti a vivere e dormire pressoché all'aperto. E' stato il digiuno che ha fiaccato i più deboli impedendo loro di sostenere il ritmo e la lunghezza delle marce del davaj e di resistere alla morsa del gelo nelle notti all'addiaccio. E' stato il digiuno a diminuire le difese dell'organismo ed a facilitare congelamenti. Si devono imputare all'estremo stato di denutrizione, il propagarsi fulmineo delle epidemie di tifo e di dissenteria ed il loro immancabile esito letale. Fu la fame a condurre alcuni disgraziati a nutrirsi di carne umana.

Il pane che veniva distribuito era nero, mal cotto, acido ed in quantità tale - una fetta larga e spessa quanto il palmo di una mano - da non permettere certo la sopravvivenza in quelle condizioni. Durante le marce, tutti tentarono, con alterne fortune, di arrangiarsi: frugando nei rifiuti, mangiando carcasse di muli, rubando nei villaggi; la popolazione, se poteva, dava l'elemosina di qualche patata, ma questi bocconi clandestini non potevano bilanciare le energie e le calorie consumate nelle marce e nel gelo. Quando, nei campi di smistamento si iniziò a distribuire una zuppa calda - un mestolo al giorno! - essa consisteva in un liquido in cui erano immersi brandelli di cavolo o di patate o chicchi di grano, interi e cotti sufficientemente. Un liquido senza l'ombra di condimenti e senza sale.

In un registro dei decessi del lager 1773 - Bistriaghi nella regione di Kirov - potuto consultare da incaricati di ONORCADUTI negli Archivi di Stato di Mosca, accanto al nome ed alla data di morte del prigioniero vi è indicata la causa del decesso. Ebbene nei mesi di marzo e aprile 1943 per centinaia e centinaia di casi, monotona, vi è l'annotazione: distrofia di II° grado, che nella terminologia medica russa significa denutrizione. Tutti i prigionieri che riuscirono a sopravvivere ed a raggiungere campi più organizzati, erano ridotti a scheletri, avevano perso la metà del loro peso. Tutti i rimpatriati tuttora viventi potranno testimoniale che le raccapriccianti riprese televisive che mostrano lo stato di denutrizione di alcune popolazioni del terzo mondo, possono rappresentare lo stato dei loro corpi alla fine di quel tragico periodo. ln seguito il vitto migliorò e le razioni, integrate dai supplementi di pane o zuppa, guadagnati con il lavoro, divennero meno magre. Tuttavia il nutrimento rimase ancora al di sotto di un livello che consentisse il ricupero delle energie in tempi ragionevoli e la fame rimase una costante nella vita del prigioniero per altri due anni.

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