mercoledì 8 dicembre 2021

Racconti di Russia, nella piana di Opyt

Un'altra testimonianza tratta dal libro "Nikolajewka: c'ero anche io" a cura di Giulio Bedeschi. Capitano Luigi Collo, II Battaglione Misto Genio, 6° Reggimento Alpini.

Il 20 Gennaio 1943 la Divisione Tridentina ha lasciato da tre giorni le sue postazioni sul Don per tentare di aprirsi una strada attraverso i paesi già occupati alle sue spalle dai russi, e il II Battaglione Genio Alpino è arrivato la sera precedente nella piana di Opyt con la colonna del 6° Alpini. Ordini e contrordini si sono susseguiti nella notte per assegnare un compito operativo a questo reparto che si è trasformato in reparto di prima linea. Me ne è stato assegnato il comando e con me sono venti tenenti e sottotenenti che hanno fede in questi ragazzi che non hanno avuto alcuna esitazione ad abbandonare i propri attrezzi tecnici per impugnare il moschetto.

Il nemico non è riuscito a mantenere il contatto con la nostra retroguardia ma la situazione è molto incerta. [..] Alle sette del mattino la colonna che procede in silenzio è in fondo alla piana di Opyt e sta filtrando tra una massa di slittoni ungheresi in sosta. Le armi pesanti sono state caricate su slitte e avvolte in coperte per proteggerle dal gelo e consentirne l'impiego quando il reparto avrà raggiunto il 6° Alpini.

All'improvviso, quando i primi uomini sono usciti dal groviglio delle slitte ungheresi, si scatena sul reparto un fuoco d'inferno. Cannoni e mortai hanno aggiustato il tiro sulla nostra colonna e non è subito chiaro da dove provenga il fuoco; un attimo di incertezza coglie il reparto che è scaglionato su notevole profondità e non ha possibilità di schierarsi perché invischiato in mezzo ai reparti ungheresi. Ma la situazione si chiarisce subito; alle spalle dei genieri, dalle posizioni appena lasciate, escono dalla bruma che riduce il campo visivo 12 carri T34 scortati da ingenti forze di fanteria sovietica.

Il fuoco che si scatena sul reparto è micidiale e gli ungheresi che sono attorno a noi, buttando le armi e arrendendosi al nemico, ritardano il nostro movimento e la nostra reazione, e le perdite sono gravissime da parte nostra. Ma non è dell'insieme di questa azione, condotta in modo brillante da tutti i genieri del II battaglione che riuscirono a fermare a Opyt le avanguardie russe, che voglio parlare; ma del comportamento di alcuni valorosi genieri dal cui sacrificio è dipeso il risultato del combattimento. Siamo ancora al momento della sorpresa iniziale. Le armi pesanti del reparto sono caricate sulle slitte e non è facile raggiungerle in mezzo al caos creato dalle slitte ungheresi. La loro utilizzazione è però indispensabile per contrapporre alle armi del nemico la loro massa di fuoco, e i due mitraglieri della compagnia trasmissioni, caporale Caregnato e geniere Ragazzoni non hanno un attimo di esitazione.

Mentre il tenente Fabiani con il suo plotone che dispone di pochi mitragliatori, si schiera a ridosso delle slitte ungheresi, in un'impresa che non ha alcuna possibilità di scampo Ragazzoni e Caregnato buttano il pesante cappotto e si slanciano di corsa verso le salmerie che più indietro arrancano faticosamente tra le slitte ungheresi. In pochi istanti le loro armi sono scaricate e vengono piazzate in un punto dominante; i conducenti stessi animati dal loro esempio li aiutano a portare le cassette di munizioni.

Mentre il grosso del reparto pur subendo gravi perdite riesce a sottrarsi all'incalzare dei russi e a schierarsi a difesa in posizione favorevole, i due mitraglieri rimangono al loro posto e con il tiro rabbioso delle loro armi seminano la morte tra le file dei russi che avanzano. Nessuno potrà fermare questi due magnifici soldati; solo il destino che, purtroppo, per loro è già segnato. Caregnato è il primo a cadere, colpito da una scheggia di mortaio e si accascia sull'arma rovente mentre Ragazzoni spara ancora. Intorno a lui molti russi cadono e pare che il loro fuoco non possa nulla contro questo magnifico soldato. Infine è un T34 che si profila davanti alla sua arma; ma Ragazzoni non desiste e non cerca scampo; sul carro numerosi tiratori russi sparano su di lui e sul reparto ancora in movimento ma Ragazzoni impavido li abbatte; poi cerca ancora di opporsi al carro e rabbiosamente spara contro i cingoli e contro la massa d'acciaio che incombe su di lui. Non può far nulla contro il mezzo corazzato, ma il geniere non si arrende. Fino a quando il carro non lo travolge, Angelo Ragazzoni non cessa di sparare; la sua forza, il suo coraggio e il suo eroismo nulla hanno potuto contro la massa d'acciaio.

RICCARDO

La fotografia è stata scattata nel 2013 in quella che fu la piana di Opyt dove si verificarono gli episodi descritti nel testo.

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