domenica 29 agosto 2021

Rapporto sui prigionieri, parte 2

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

I CADUTI ED I DISPERSI.

La tabella della pagina precedente è intitolata "Caduti e Dispersi", ma occorre dare un significato più preciso alle cifre cui è stata attribuita tale intestazione: è necessario analizzarne le possibili componenti. A grandi linee, la sorte di chi non ha fatto ritorno nel 1943, può essere attribuita ai seguenti tre gruppi di cause: a) - Caduti in combattimento nella fase di rottura del fronte o in seguito, nella ritirata; b) - Morti nella ritirata per il logoramento fisico dovuto alla fatica, al freddo, alla mancanza di riposo notturno, ad alimentazione insufficiente. Morti per ferite non potute Curare. Morti per crollo psicologico; c) - Catturati dal nemico.

a) - Caduti in combattimento.

La relazione ufficiale dello Stato Maggiore indica come prima causa dell'elevato numero di perdite "... la resistenza sul posto che impose il sacrificio totale di capisaldi, di reparti, di intere Unità...". Questa considerazione può valere, semmai, solo per alcune Divisioni come la "Cosseria", la "Ravenna", la "Celere" e la "Julia", perché le altre non furono investite dall'offensiva russa, al massimo subirono azioni di alleggerimento e lasciarono il fronte pressoché a ranghi completi. Non si hanno dati certi sui Caduti in combattimento nella fase di resistenza della "Cosseria", della "Ravenna" e della "Celere". Per la "Julia". che tra il 17 dicembre 1942 ed il 17 gennaio 1943, sostenne asprissimi combattimenti per contenere la continua pressione dei russi, tanto da meritare la citazione sul bollettino di guerra tedesco, si hanno dati sicuri. Ebbe circa 500 Caduti, un centinaio di Dispersi e più di mille feriti. Anche ammettendo la diversa virulenza dell'offensiva russa contro le prime tre Divisioni, si deve convenire che le loro perdite per la breve resistenza in posto (circa 4 giorni) non devono esser state molto superiori a quelle subite dalla "Julia" durante un intero mese. Si deve concludere, dunque, che i combattimenti per arginare la rottura del fronte non furono la causa principale del grande numero di perdite.

I Caduti nei combattimenti che si sono svolti nel corso della ritirata sono, di sicuro, di gran lunga superiori a quelli di cui si è detto, ma anche in tal caso, vi sono differenze notevoli da reparto a reparto. L'entità dei Caduti nei reiterati scontri affrontati aprirsi la via della ritirata, a prescindere dal numero e dalla potenzialità del nemico che si può considerare identica per tutte le colonne, è dipesa da vari fattori:
- se la ritirata sia iniziata in buon ordine, cioè se si è trattato di sganciamento dal nemico o invece, di Unità la quale investita dall'offensiva ha dovuto abbandonare il fronte a ranghi ridotti, priva di molti ufficiali, per forza di cose disorganizzata e moralmente scossa.
- se l'Unità, aveva la disponibilità di carburante o di salmerie e, di conseguenza, poteva o meno portarsi al seguito artiglieria, munizioni e viveri.
- secondo la lunghezza del percorso che l'Unità ha dovuto coprire, prima di potersi ritenere in salvo.
- se la ritirata è stata fatta in compagnia di reparti tedeschi ancora efficienti e muniti di pezzi anticarro.
- in relazione all'energia ed intraprendenza dei comandanti ed alla loro presenza o meno alla guida dei reparti.

In definitiva, se l'Unità piccola o grande che fosse, aveva non solo la volontà, ma soprattutto la possibilità di combattere. La Divisione "Tridentina" lasciò la riva del Don in perfetto ordine e con le sue artiglierie someggiate fece la ritirata accompagnata dai resti del 29° Corpo Corazzato tedesco e, malgrado le durissime battaglie, poté conservare molti giorni la sua aggressività, ma questo le costò perdite enormi.

Anche le Divisioni "Torino", "Pasubio" e "Sforzesca" lasciarono la linea pressoché intatte, ma dopo qualche giorno furono costrette ad abbandonare le artiglierie e gli automezzi per mancanza di carburante. D'altra parte, anche i pochi automezzi che ancora camminavano furono il primo bersaglio dei carri e dell'artiglieria dei sovietici. Anche le armi di accompagnamento si rivelarono presto inutilizzabili: mortai e mitragliatrici divorano munizioni e dopo uno o due combattimenti queste si esauriscono se non vengono rinnovate, ma ogni rifornimento dai magazzini e dai depositi delle retrovie era cessato o sconvolto. La ritirata di queste Divisioni, pertanto, si era trasformata in colonne di soldati con le sole armi individuali che ben presto divennero inutili una volta esaurite le poche scorte delle giberne. La loro combattività era ridotta a zero, esse si trovarono completamente impotenti di fronte all'aggressione dei mezzi corazzati e delle fanterie russe che, giorno dopo giorno, tagliavano loro la strada.

Non è il caso di recriminare se, in queste condizioni, molti soldati, pur di sopravvivere, alzarono le mani e se i comandanti, considerando inutile il sacrificio dei loro uomini non si opposero alla resa. Naturalmente vi furono fulgidi esempi di eroismo e comportamenti di estremo coraggio sia individuali che di reparto, ma la sproporzione di forze tra noi ed i russi era enorme, la loro padronanza del terreno totale, la loro iniziativa continua, martellante. Cadere prigionieri non fu una scelta.

Sorte pressoché identica subì la "Cuneense" che, staccatasi dalla linea senza aver subito alcuna perdita, si trovò subito in grave crisi di trasporti perché la maggior parte delle sue salmerie era stata acquartierata nelle lontane retrovie. Dopo i primi due combattimenti, la sua potenzialità di offesa divenne nulla. Per quanto riguarda le Divisioni "Cosseria" e "Ravenna", esse ebbero effettivamente la maggior parte delle perdite durante la lunga fase di logoramento e di preparazione dell'offensiva russa. Ma la "Cosseria" - che in questa fase ebbe la perdita di 2.400 uomini - non ne ebbe poi praticamente nessun altra nella brevissima ritirata che la portò, in un paio di giorni, a ripararsi dietro il Corpo d'Armata Alpino.

Si devono considerare caduti in combattimento, anche se l'accezione combattimento è impropria, i soldati praticamente inermi, delle colonne in ritirata che venivano falciati dai cannoni e dalle mitragliatrici dei carri russi; i feriti a bordo delle slitte che venivano travolte e schiacciate quando i carri armati percorrevano le piste intasate, scompigliandole, rovesciando automezzi e carriaggi; i soldati che furono uccisi dai partigiani mentre dormivano nelle isbe; quelli che perirono nel rogo di qualche capannone stipato all'inverosimile; quelli spezzonati e mitragliati dagli aerei. Il Ministero della Difesa - Albo d'Oro ha la documentazione, rilasciata da testimoni oculari, della morte in combattimento nel periodo considerato (11 dicembre 1942 - 30 aprile 1943) di 3.865 uomini. E' l'unico dato certo disponibile, ma è evidente che la cifra è ben lontana dai 25 mila che risultano oggi dal bilancio delle perdite.

b) - Caduti per crollo fisico.

Il freddo, l'equipaggiamento inadatto, la fame, la spossatezza sono stati la causa di molte morti durante la ritirata. Sono fattori che hanno avuto peso, ma decisamente molto minore di quello che di solito viene loro attribuito da commentatori interessati o poco informati. Vediamo il freddo. Nel primo inverno (1941-42) lo CSIR era equipaggiato peggio di come lo fossero i soldati dell'ARMlR. Quell'inverno russo fu eccezionalmente rigido, tanto vero che i tedeschi istituirono una speciale medaglia per i combattenti del fronte di quel periodo (medaglia della quale poterono fregiarsi anche i soldati dello CSIR). Ebbene il nostro Corpo di Spedizione (62 mila uomini) ebbe in quell'inverno 3.400 congelati, dei quali solo 1.400 rimpatriati. Da tener conto che nessuna delle sue Divisioni erano a reclutamento alpino.

All'inizio del secondo inverno (ottobre 1942), l'equipaggiamento invernale non era ancora stato distribuito alla truppa ed a dicembre molti reparti ne erano ancora privi però a questa imperdonabile disorganizzazione della nostra Intendenza, i soldati avevano fatto fronte con eccellenti indumenti di lana casalinghi, mandati dalle famiglie nei pacchi. La carenza più importante era data dalle calzature, assolutamente inadatte alla neve ed al clima russo; dunque molti congelamenti ai piedi, ma in definitiva non generalizzati se circa 130 mila uomini hanno potuto percorrere centinaia di chilometri di ritirata ed uscire dall'accerchiamento.

In quanto ai cedimenti per fatica, si tenga presente che quegli stessi uomini, l'estate precedente - certo in condizioni fisiche, psicologiche e climatiche ben differenti - hanno percorso distanze tre o quattro volte superiori a quelle della ritirata. Per affaticamento soccombevano specialmente i soldati e gli ufficiali non preparati agli sforzi e non allenati alle temperature polari. Chi era stato rintanato e seduto al caldo nei comandi delle retrovie. nelle furerie, nei centralini, nei magazzini. negli ospedali oppure gli autisti, che non avevano mai fatto un passo a piedi, non furono certo in grado di marciare decine di ore al giorno nella neve e tormenta. Ma questa gente costituiva una esigua minoranza.

Ci sono stati anche cedimenti morali, psicologici: suicidi, forme di pazzia, di alienazione, abbandoni, non giustificati da crollo fisico, ma da disperazione. Tali episodi hanno colpito emotivamente chi ne fu testimone e riferendone ha ampliato la portata. La fame e la sete sono le più remote tra le cause che aver fatto morire i nostri soldati nella ritirata. Per convincersi di quale resistenza abbia l'organismo umano alla mancanza di alimentazione, si vedano più avanti i capitoli riguardanti la prigionia.

c) - Catturati dal nemico.

Con poche eccezioni (Divisione "Tridentina", aliquote della Divisione "Celere" e Divisione "Sforzesca") quasi tutti i reparti, dopo tre o quattro giorni di ritirata, si sono trovati nella condizione, a causa della perdita delle artiglierie ed alla mancanza di munizionamento delle altre armi, di affrontare i russi a mani nude. Non vi è combattimento se uno dei contendenti è disarmato. In molti casi i Comandanti - sia delle grandi che delle piccole Unità - non hanno saputo o potuto tenere in mano i propri reparti che rapidamente si sono sbandati, smembrati, mescolati con altri in una massa amorfa, priva di qualsiasi combattività.

Pertanto i russi ebbero buon gioco contro un nemico inerme, spesso abbandonato a se stesso, avvilito e sfiduciato. I loro mobilissimi reparti non trovarono difficoltà a sbocconcellare le colonne in ritirata; aggirandole, isolandole ed a catturarne tutti i componenti. Nella valutazione degli ufficiali ed a maggior ragione dei militari isolati e sbandati, la resa era la soluzione che avrebbe salvato migliaia di vite. Valutazione che, purtroppo, si rivelò del tutto sbagliata.

Quanto si è detto non permette certo, di quantificare le componenti della voce: "Caduti e Dispersi". Sono solo considerazioni che possono, tutt'al più, suggerire delle proporzioni. Si ha però la disponibilità di una ricerca, suffragata da documentazione nominativa, che conferma come il numero dei catturati sia stato superiore a quello dei morti in combattimento o per cedimento durante la ritirala. La ricerca è stata effettuata per tutti gli ufficiali che non risultavano tornati in Italia alla fine del marzo 1943. I risultati sono evidenziati nella tabella della pagina seguente. Dalla medesima si può rilevare, innanzitutto, che gli ufficiali assenti erano 3.541 ossia molti di più dei 3.010 comunicati dall'Ufficio Storico nel 1946. Erano così ripartiti: 541 - 15% morti nella ritirata; 1.193 - 34% catturati e morti in prigionia; 681 - 19% catturati e rimpatriati; 1.126 - 32% non si conosce la sorte (morti nella ritirata o in prigionia).

E' evidente che la percentuale dei morti nel corso della ritirata riguarda solo quelli accertati ed è di gran lunga inferiore alla realtà, però altrettanto si può dire per i morti in prigionia. I dati riguardano solo gli ufficiali, cioè, un aliquota ben modesta di soggetti, ma completa ed omogenea e non ci sono elementi per escludere che le stesse proporzioni valgano anche per la massa dei soldati.

martedì 24 agosto 2021

La Domenica del Corriere del 1963

La ritirata di Russia sulla Domenica del Corriere del febbraio 1963; un'altra testimonianza della storia dei nostri soldati durante la Seconda guerra mondiale che si aggiunge alle altre che ormai da anni raccolgo in ricordo di tutti quei ragazzi.





Alim Morovoz

Apprendo con dispiacere in questo momento dai nostri amici in Russia che proprio oggi è mancato il Professor Alim Morovoz; per chi non lo conoscesse era, fra le altre cose, il curatore del museo di Rossosch situato sotto l'asilo voluto e costruito dagli Alpini.

lunedì 23 agosto 2021

Il viaggio del 2011, Novo Dimitrowka

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... Novo Dimitrowka.



Il processo D'Onofrio, parte 15

Il processo D'Onofrio, quindicesima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA VENTISEIESIMA UDIENZA.

14 luglio 1949. - L'avv. Giuseppe Sotgiu, il secondo patrono di Parte Civile, si è accinto al compito di difendere gli interessi del sen. D'Onofrio aprendo, sul tavolo, una grossa valigia di cuoio, piena zeppa di libri, opuscoli e fascicoli dai quali poi, nel corso del suo discorso, ha tratto citazioni, ricordi storici, esemplificazioni, tutto a suffragio della tesi che si era proposto di svolgere.

Avv. Sotgiu: 'Sarei tentato, signor Presidente, signori del Tribunale (e certo voi me ne sareste grati), di condensare la causa in una rapida sintesi, deflazionandola di tutti gli aspetti ed elementi che non siano essenziali. Potrei dire che il libello del quale gli imputati devono rispondere è indubbiamente diffamatorio. Perché nessuno più di voi (dice puntando il dito contro il banco dove siedono i reduci imputati) sa che quello che avete scritto contro Edoardo D'Onofrio, non risponde a verità ed è il frutto della deformazione di episodi, della esasperazione voluta di piccoli fatti.

Io potrei far mio il pensiero del P. M. per cui anche l'esasperazione di un fatto vero costituisce diffamazione.

Io vi potrei dire: la vostra prova è miseramente fallita perché se anche 80 mila italiani fossero morti in prigionia cosa c'entra D'Onofrio? D'Onofrio è stato in due soli campi di concentramento, e soltanto per una quindicina di giorni, ed ha parlato a poche centinaia di prigionieri. Né alcuna responsabilità può attribuirsi a D'Onofrio se in Russia vi sono ancora dei prigionieri italiani perché egli ha fatto ritorno in Patria fino dall'agosto del 1944. Questo io potrei dire in una rapida sintesi. Ma il campo della causa è diventato ben più vasto, e non per colpa nostra'.

Per l'avv. Sotgiu ormai la causa ha assunto un aspetto essenzialmente politico.

Avv. Sotgiu: 'Tutto un periodo della storia del nostro Paese è stato messo in discussione. A voi, signori del Tribunale, dimostrare che la causa non è che un problema giudiziario'.

Del resto, secondo la tesi dell'oratore, questa causa non si doveva fare affatto. Non si doveva fare perché non fossero additate al popolo italiano le responsabilità e la inettitudine di una classe dirigente e di una casta militare, ma per non farla e per giovare realmente alla causa di quei prigionieri, che devono ancora essere giudicati in terra straniera, non bisognava diffamare. In queste parole è contenuta una chiara minaccia in favore di D'Onofrio da parte del governo sovietico contro i prigionieri italiani ancora nelle sue mani. L'avv. Sotgiu invia poi un saluto a tutti ì soldati caduti sui campi di battaglia, saluto che 'soltanto noi possiamo mandare' perché 'noi lottiamo per un mondo senza guerre'.

Si sente nell’aula il battito d’ali... del 'piccione' del fronte della pace. E una esaltazione ha fatto della figura del sen. D'Onofrio la cui azione fu sempre improntata 'ad italianità e a nazionalismo' e del quale ha detto che per aver sofferto in carcere e fuori 'non può avere l'abito mentale dell’aguzzino'. Nel suo lungo sproloquio l'avv. Sotgiu ha creduto bene di non dire che la querela fu presentata dal sen. D'Onofrio nei giorni in cui questi credeva di avere, il 18 aprile 19i8, 'la vittoria in pugno' in sede elettorale, politica, per poter poi celebrare tranquillamente il primo grande processo politico davanti a un addomesticato 'Tribunale del Popolo' onde eliminare degli incomodi avversari personali.

Avv. Sotgiu: 'Vergognatevi. Voi che vi siete serviti dei fratelli morti per una speculazione elettorale. Se volevate tenere alto il loro nome dovevate mantenervi al di sopra delle competizioni politiche'.

L'avvocato di Parte Civile ha poi vivamente polemizzato con il P.M. definendolo uomo di parte, accennando al fatto che un altro magistrato era stato destinato a rappresentare il P.M., ma quello aveva declinato l'incarico.

Avv. Sotgiu: 'Non ci attendevamo la faziosità del P.M. il quale ha fatto rilevare attraverso le sue parole l’origine politica assolutamente in contrasto con la serenità di un magistrato. Egli ha cercato di suffragare l’affermazione che in Russia non esiste libertà di culto, citando articoli del codice sovietico. Ma non mi sarà difficile dimostrare il contrario e lo farò proprio attraverso la parola di coloro che sono venuti qui in udienza a difendere gli imputati. E vi dirò di più: i primi ad elogiare la libertà di religione in Russia sono stati proprio due democristiani: gli on. Morelli e Cuzzaniti, i quali pubblicarono articoli su quel settimanale 'L'Alba' che, secondo il P.M., sarebbe stato chiuso alle correnti non comuniste...'.

P.M.: 'Io ho dimostrato che in Russia sono proibite le manifestazioni di culto in luogo pubblico e non nelle chiese. E poi vorrei che lei mi trovasse un articolo anticomunista scritto nel settimanale 'L’Alba'. Evidentemente fu permesso agli on. Morelli e Cuzzaniti scrivere quegli articoli soltanto perché alla fin fine facevano giuoco alla propaganda comunista!'.

Ma il dott. Manca è scattato soprattutto alle insinuazioni che intendesse fare nient’altro che della politica. Comunque la circostanza sta a dimostrare il pericolo insito in qualsiasi forma, anche minima, di collaborazione dei cattolici coi comunisti sul piano politico, culturale e sindacale, in qualsiasi stretta della loro mano... minacciosamente tesa. I figli delle tenebre sono più accorti alle volte dei figli della luce e tutto può giovare domani alla diabolica propaganda marxista tra le masse dei gonzi. Non si può servire due padroni, dice il Vangelo, e lo ripeteva il Pontefice Pio XI v. m. nella sua mirabile enciclica contro il Comunismo ateo; 'Divini Redemptoris Promissio'.

P.M.: 'Lei però deve dimostrare che io ho fatto della politica!'.

Avv. Sotgiu: 'Lo dimostrerò e anzi aggiungerò che un altro magistrato era stato designato al posto che lei occupa, e siccome era uomo di parte...'.

P.M.: 'Non permetto che si dicano di queste cose. Chiedo al Presidente che tolga la parola all’avvocato su questo punto...'.

Avv. Paone: 'Fuori di qui si vocifera che ci sia stato un magistrato che non è voluto venire a far questa causa...'.

Il Pubblico Ministero a questo punto ha fatto l'atto di abbandonare l'aula e avrebbe certamente attuato il proposito senza lo intervento del Presidente che è riuscito a ristabilire l'equilibrio dicendo che il fatto è completamente estraneo al processo. Chiuso il breve incidente l'avv. Sotgiu ha mosso serrate critiche alla tesi sostenuta dal P.M. per quanto riguarda il problema religioso in Russia, dilungandosi in una disquisizione tendente a dimostrare che in quello stato l'esercizio del culto è pienamente ammesso ed esercitato da chi lo voglia. Dunque ha ragione o ha torto Don Franzoni quando viene a dire che nei campi di concentramento non era autorizzato il culto esterno e che non si poteva celebrare la messa?

Avv. Sotgiu: 'Qualunque sarà la soluzione che voi, giudici, darete al problema generale, giuridico e politico, voi non potrete dire che nei campi l'esercizio del culto non era permesso dalle autorità russe, anche se c'è stato qualche sacerdote che ha scritto o è venuto a dirci, in udienza, il contrario. Sacerdoti, i quali sono uomini che sotto il crocefisso portano una 'mentalità intossicata di odio'; che sono già propagandisti della 'crociata anticomunista'.

Quanto all'onore militare, l'oratore non può assolutamente pensare che il Tribunale seguirà nella sentenza la tesi secondo cui bisogna fare una distinzione fra i doveri derivanti dalla situazione esistente prima del 25 aprile 1943 e quelli che derivarono dall’abbattimento del regime fascista e dal successivo rovesciamento del fronte. Se ciò fosse, la stessa storia d'Italia ne risulterebbe scardinata perché l'antifascismo non ha aspettato il 25 luglio ma lo ha imposto, lo ha creato, così come non ha aspettato l'8 settembre per rivendicare il diritto del popolo a distruggere una alleanza che riteneva illegittima perché non aveva voluto. Ma l'argomento evidentemente non calza affatto. Nessuno discute sulla liceità in ogni tempo della lotta antifascista in patria o all'estero. Ma nessun pretesto giustifica D'Onofrio per la sua criminale complicità coi carnefici dei soldati italiani inviati contro la loro volontà al fronte da quello che, prima dell’8 settembre 1943, era l'unico governo italiano'.

Avv. Sotgiu: 'Aver cospirato contro il fascismo non fu certo un delitto, perché più che un diritto tale lotta era un dovere di ciascun cittadino. Quando voi censurate l'opera di D'Onofrio, negate tutta l'opera dell’antifascismo e fate il processo a tutti quelli che combatterono e morirono per una giusta causa. Chi afferma il contrario è fuori della legge e fuori della Nazione, da qualunque banco parli. Perché D'Onofrio ha sporto querela? Perché ha voluto porre un freno alla campagna diffamatoria che contro di lui era stata scatenata. Non c'è episodio della vita di lui che possa dipingerlo come un antinazionale, un rinnegato, un aguzzino. La storia degli ultimi anni ci dice quale sia il contributo fornito alla causa nazionale dal comunismo, ci dice come l’educazione comunista non tenda affatto alla negazione della Patria, ma anzi ad esaltarla e a difenderla nella libertà del lavoro'.

Con ciò siamo all'inizio della quarta ora. E l'avv. Sotgiu è appena entrato nel merito della causa.

LA VENTISETTESIMA UDIENZA.

15 luglio 1949. - L’avv. Sotgiu ha voluto davvero superare i colleghi che lo avevano preceduto. Non gli sono bastate neppure due udienze per esporre la sua tesi in sostegno del querelante e perciò avrà bisogno ancora dell’udienza di lunedì. L'inizio è in piena polemica con il P. M. e si ritorna sulla questione del numero dei caduti e dei prigionieri: 'tragica contabilità', ha ammesso l'avv. Sotgiu, di cui 'si sente tutto il peso sanguinoso'. Ciò che non gli ha impedito una lunga dissertazione di carattere militare per dimostrare in sostanza che l'ARMIR era impreparato, che il nostro Stato Maggiore era assolutamente incapace, che è per lo meno ingenuo credere alle cifre rese note dalla propaganda radiofonica. Morale; non bisogna credere neppure a Togliatti quando parla alla radio. Se lo dice un difensore comunista...

Avv. Sotgiu: 'Di qui non si scappa. Voi giudici per assolvere costoro, dovete affermare che essi hanno provato quello che hanno detto. Basta dimostrare che gli imputati hanno alterato le cifre dei morti, affermato circostanze almeno inesatte, indicati motivi e cause non vere, per concludere che essi, sì, hanno diffamato D'Onofrio'.

Secondo le deduzioni che si possono fare confrontando tutte le cifre conosciute, l'oratore afferma che le uniche alle quali è possibile affidarci sono quelle fornite dal Ministro della Difesa on. Pacciardi, il quale, al Senato, ebbe ad affermare che le perdite italiane dell’ARMIR, in morti, prigionieri, feriti e invalidi ascendono complessivamente a 84 mila uomini.

Avv. Sotgiu: 'Questo significa che la cifra su cui gli attuali imputati hanno voluto speculare non è stata affatto provata, che quindi essi hanno alterato tale cifra, e che, in definitiva, non c’è più dubbio che essi hanno diffamato. Altro che assoluzione per essere stati provati i fatti attribuiti al D'Onofrio! Ma, comunque, quale sia il numero dei morti in Russia, D'Onofrio non centra'.

L'avv. Sotgiu si è poi addentrato nell’esame della polemica che a suo tempo il querelante ebbe con il 'Risorgimento Liberale'. Ed è tornato sulla frase scritta dal D'Onofrio: 'Voi siete entrati in terra di Russia come ladri e rapinatori', per sostenere che quello era soltanto un giudizio politico e non ingiuria.

Avv. Sotgiu: 'Non è vero forse che Mussolini aggredì la Russia senza alcuna ragione? Se quella frase del D'Onofrio vuol essere considerata una ingiuria, altrettanto dovremmo dire del Manzoni che chiamò 'strumenti ciechi di occhiuta rapina' i soldati austriaci. Questo perché non si venga a dire che gli imputati lanciarono le loro accuse contro il querelante per ritorsione. E in ogni caso non fu D'Onofrio il primo ad ingiuriare perché non da lui fu iniziata la polemica giornalistica, ma dagli stessi imputati'.

Mentre l'avv. Sotgiu svolgeva questa tesi un reduce dallo spazio riservato al pubblico ha gridato forte, suscitando lunghi mormoni degli altri e una sonora scampanellata del presidente. Un reduce: 'Noi siamo qui per credere a tutto quello che dice lei!'.

Ma l'invito al silenzio non ha impedito al reduce di aggiungere.

Un reduce: 'Allora anche i nostri morti in Africa, in Grecia e sugli altri fronti, anche loro furono dei predoni? Se la sentissero quelli che sono rimasti laggiù!!!...'.

Ma l'oratore ha tirato avanti senza raccogliere le interruzioni ed è passato a spiegare che cosa fossero le scuole antifasciste, quale ne fosse il programma, quali gli scopi. Egli ha detto che nessun contenuto politico e tanto meno marxista è possibile ravvisare in quei programmi e che unico scopo di quelle scuole era di restituire all’Italia prigionieri che non fossero analfabeti. Quanto al famoso giuramento che si prestava alla fine dei corsi di antifascismo l'avv. Sotgiu ha esibito una formula, trascritta sul diario del serg. magg. Pietro Brogini da Siena, che suona così: 'Io, figlio del popolo italiano, presto giuramento solenne alla mia Patria, al mio popolo, alla mia famiglia, di lottare fino all’ultimo respiro per la cacciata dei tedeschi dal sacro suolo dell’Italia; presto giuramento di essere implacabile contro tutti i traditori della Patria'.

Avv. Sotgiu: 'Quindi niente di truculento e di feroce, come qualcuno degli imputati e dei testi è venuto a dirci. Ma soltanto impegno solenne a lottare per una Patria libera'.

E per oggi il patrono di parte civile ha finito chiedendosi se dopo tutto quanto ha detto si può ancora affermare che gli imputati non abbiano falsato la verità. Allora è vero che la loro azione è stata mossa dal desiderio di far nascere un sentimento di avversione verso D'Onofrio.

Avv. Sotgiu: 'D'Onofrio non ha dimenticato, in Russia, il sentimento di italianità che lo ha sempre guidato. Forse che i regolamenti militari vietano la propaganda politica? O per caso essere militari significa dimenticare di essere un cittadino?'.

La guerra sul fronte orientale, parte 10

Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo decimo ed ultimo video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.

Rapporto sui prigionieri, parte 1

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

LE PERDITE.

Perdere 95 mila uomini, praticamente in una sola battaglia è una cosa senza precedenti, almeno nella storia dell'Esercito italiano. Nella relazione dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore è detta "Seconda battaglia difensiva del Don", ma in effetti si tratta di due distinti periodi operativi di circa 15 giorni ciascuno.

Tra l'11 dicembre ed il 31 dicembre 1942, le Divisioni "Cosseria", "Ravenna", "Pasubio", "Celere" e "Sforzesca" perdevano circa 55 mila uomini. Tenuto conto della loro consistenza numerica totale (comprese le truppe ed i servizi di Corpo d'Armata) che si aggirava sui 130 mila uomini, si ha una percentuale di perdite del 42%. Il Corpo d'Armata Alpino, a sua volta, nella seconda metà di gennaio 1943, veniva circondato e nei combattimenti sostenuti per aprirsi la strada, perdeva circa 35 mila uomini. La sua consistenza con le tre Divisioni "Tridentina", "Julia" e "Cuneense", nonché la Divisione di Fanteria "Vicenza" (una Unità senza artiglieria, perché destinata a servizi di retrovia) era di circa 70 mila uomini, dunque ebbe una percentuale di perdite del 50%. Altri 5 mila soldati risultano persi tra le truppe alle dirette dipendenze del Comando d'Armata.

Se si fa il confronto con altre battaglie infauste, ritenute tra le più cruente, c'è da trasecolare. Nella famosa battaglia dell'Ortigara del 1916 sull'altipiano di Asiago, la 6a Armata (300.000 effettivi) ebbe 8.000 morti e dispersi, cioè meno del 3%. Se si limita l'esame ai soli ventidue Battaglioni di alpini (25.000 uomini) che furono quelli maggiormente impegnati, i Caduti e Dispersi furono il 16%. La battaglia durò 19 giorni, cioè più o meno come ciascuna delle due fasi della battaglia del Don. In Albania, nei sei mesi che vanno dal novembre 1940 all'aprile del 1941, si ebbero 18 mila Caduti e 25 mila dispersi su un totale di 270 mila uomini impiegati; dunque di nuovo il 16%.

Nella tabella in calce a questo capitolo, sono riportate le cifre delle perdite per Caduti e Dispersi, ripartite per Grandi Unità, che l'Ufficio Storico delle Stato Maggiore pubblicò nel 1946. Secondo la medesima mancavano all'appello 85 mila uomini. II conteggio fu fatto nel marzo del 1943, ancora in Russia, nelle località di raccolta degli uomini dell'ARMIR che erano riusciti a sfuggire alla morsa dei russi. Fu un calcolo per differenza, tra gli organici dei singoli reparti prima della battaglia ed il numero dei superstiti. Calcolo necessariamente approssimativo, in certi casi ben poco affidabile; oggi si sa che erano 95 mila. Tuttavia il difetto maggiore dei dati pubblicati era quello di indicare con un'unica cifra tutti gli assenti, vale a dire mescolando quelli che erano morti in combattimento, quelli che erano stati catturati, quelli morti durante il ripiegamento.

Se si pensa che ancora oggi, non è stato possibile scindere quel dato spurio, i compilatori di quel prospetto non possono essere biasimati. Che fosse impossibile separare il numero dei Caduti da quelli che risultavano semplicemente assenti, lo si può comprendere se si considera quello che successe nella ritirata. Nei primi giorni, i comandi, gli ufficiali subalterni, i furieri potevano tener nota dei morti in combattimento, effettivamente constatati ma non sapevano che fine avessero fatto quelli che mancavano all'appello, se, cioè erano caduti, se erano rimasti indietro, se si erano aggregati ad altri reparti. Dopo una battaglia o una notte passata in un grosso villaggio, insieme ad altri reparti, le Unità sovente si frantumavano: c'era sempre una squadra, un plotone, un nucleo di slitte che alla mattina non partiva insieme agli altri o che rimaneva imbottigliata nella fiumana, o che imboccava un'altra pista. I furieri, i Comandanti a loro volta cadevano o venivano catturati e quello che avevano visto o annotato si perdeva. Infine, i Reggimenti, i Battaglioni ed i Gruppi di Artiglieria avevano nelle immediate retrovie distaccamenti, magazzini, depositi di munizioni, salmerie, autoreparti: iniziata la ritirata, ogni contatto con questi nuclei separati si è interrotto e, di conseguenza, anche ogni informazione sulla loro sorte.

Il governo fascista, all'indomani del disastro, si guardò bene dal pubblicare le cifre delle perdite che rimasero ignote agli italiani fino al 1946. In seguito, le Autorità militari, cui spettava dare un nome agli assenti e, possibilmente, conoscerne la fine, erano in piena crisi. Screditate, soggette ai processi di epurazione, drasticamente ridotte e demotivate, non si occuparono della cosa ed anni dopo, quando finalmente il problema fu affrontato, si accorsero che non esisteva più alcuna documentazione. I diari storici delle Unità si erano persi nella ritirata, i depositi dei Reggimenti interessati, tutti nell'Italia settentrionale, erano stati saccheggiati dai tedeschi e documenti e fogli matricolari non si sono più trovati. I reduci che potevano dare utili testimonianze si dispersero nel caos che segui l'otto settembre.

Nei primi due decenni del dopoguerra, il governo tentò in tutti i modi di sottrarsi ad un chiarimento onesto, anche se doloroso, con le famiglie di coloro che erano dichiarati "Dispersi". Lo bloccavano la preoccupazione di non indispettire le sinistre, denunciando apertamente quanto era avvenuto in Russia ed il fatto che non disponeva di elementi certi, non aveva dati o cifre da comunicare, anche se Togliatti e compagni ne erano informati direttamente dal governo dell'URSS. Sorsero, pertanto, delle iniziative private come l'Alleanza delle Famiglie dei Dispersi in Russia e l'Unione Nazionale Reduci di Russia (UNIRR) che avviarono ricerche, raccolta di testimonianze ed un primo rudimentale censimento degli assenti. In seguito il cappellano militare don Caneva, reduce dalla prigionia e promotore del Tempio di Cargnacco, raccolse le istanze dei familiari dei dispersi, che tradusse in un repertorio di circa 70 mila nominativi. Fu uno sforzo notevolissimo anche se il risultato si rivelò pieno di errori e di omissioni, ma in quegli anni, di più non si poteva fare.

E' emblematica la scritta sulla parete della cripta di Cargnacco: «CI RESTA SOLO IL NOME» e purtroppo molti non si sapeva nemmeno quello. Bisognò attendere gli anni settanta, perché l'ufficio dell'Albo d'Oro, istituito presso il Ministero della Difesa, fosse in grado di redigere e pubblicare un elenco dei militari che non avevano fatto ritorno dal fronte russo, distinguendoli in: 1) - Caduti in combattimento; 2) - Dispersi; 3) - Deceduti in prigionia; 4) - Dispersi in prigionia, cioè quelli la cui presenza in prigionia era certa, ma la cui morte non era documentata. Dall'archivio computerizzato sono stati ricavati i tabulati esposti al pubblico nella cripta di Cargnacco.

La cifra di 85 mila comunicata dall'Ufficio Storico nel 1946, è quella che in tutti questi anni è stata presa a base degli studi, degli articoli, delle polemiche sull'argomento. Ormai è sorpassata, ma la lunga schiera di storici, di commentatori e di politici si è avvalsa di questo dato per cercare di dare una risposta all'angosciosa domanda: «Quanti Caduti?... Quanti prigionieri?...». Tulle le risposte sono state finora deludenti. Il nuovo corso dei rapporti con il governo russo ha consentito una chiarificazione, che però non crediamo possa essere quella definitiva. Nell'attesa, con i dati in nostro possesso, tenteremo di correggere per lo meno, certe diffuse convinzioni.

venerdì 20 agosto 2021

Il sergente nella neve, il film

Finalmente è ufficiale! Groenlandia Group e il regista Matteo Rovere si apprestano a girare il film "Il sergente nella neve" dedicato alla figura di Mario Rigoni Stern. Spero a breve di potervi fornire ulteriori informazioni in merito a questa pellicola che servirà a ricordare ed onorare tutti i nostri caduti in terra di Russia.

Link al film https://www.mymovies.it/film/2022/il-sergente-nella-neve/

mercoledì 18 agosto 2021

Ricompense - 8a Armata - Trasporti

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

8a ARMATA - TRASPORTI
MAVM Tenente ROSSI Guido
MAVM Sottotenente POZZO Piero
MAVM caporal maggiore BONOLLI G.Battista, alla memoria
MAVM caporale VILLA Carlo
MAVM soldato DAO Giuseppe
MAVM soldato GIRARDI Salvatore, alla memoria
MAVM soldato MORANDO Luigi
MBVM Tenente Colonnello UBERTI Girolamo
MBVM Capitano CASTELLUCCI Mario
MBVM Tenente PALMAS Giannetto
MBVM Sottotenente BUSSOLI Ettore
MBVM Sottotenente GRENZI Massimiliano
MBVM Sottotenente MESCHINI Emanuele
MBVM Sottotenente MESCHINI Emanuele
MBVM Sottotenente ROCCHETTI Osvaldo
MBVM Sottotenente ZIMAGLIA Mario
MBVM maresciallo D'ONOFRIO Luigi
MBVM sergente maggiore SCIACCALUGA Alfredo
MBVM caporal maggiore BERGAMASCHI Luigi, alla memoria
MBVM caporal maggiore SOLLA Lodovico
MBVM caporale CANTU' Augusto
MBVM soldato GRASSI Giorgio
MBVM soldato MONTANINI Giuseppe
MBVM soldato MORONCINI Nazzareno
CGVM Tenente Colonnello UBERTI Girolamo
CGVM Maggiore ALESSANDRIA Tommaso
CGVM Capitano NERVI Nicolò
CGVM Tenente BROGLIA Oscar
CGVM Tenente DE BEI Ubaldo
CGVM Tenente MAZZUCCA Vito
CGVM Tenente ROSSI Antonio
CGVM Sottotenente BIANCHINI Filippo
CGVM Sottotenente CLERICO Giorgio
CGVM Sottotenente CORRADI Giuseppe
CGVM Sottotenente NOBILI Ambrogio
CGVM Sottotenente PITTALUGA Paolo
CGVM Sottotenente REZZADORE Remo
CGVM Sottotenente SQUARCI Carlo Alberto
CGVM Sottotenente TORNAGHI Italo
CGVM Sottotenente ZACCHEI Oliviero
CGVM sergente maggiore CHIESA Antonio
CGVM sergente maggiore CORSO Angelo
CGVM sergente AMICO Michele
CGVM sergente DETELA Silvano
CGVM sergente PAGNUCCO Bruno
CGVM sergente PEDRINI Paolo
CGVM caporal maggiore BULGARELLI Laerte
CGVM caporal maggiore DI DONATO Antonio
CGVM caporal maggiore LABBRONI Ugo
CGVM caporal maggiore ROSSETTI Andrea
CGVM caporale BUSANI Gino
CGVM caporale CHIARATTI Arturo
CGVM caporale DI GIACOMO Carmelo
CGVM caporale PERINA Silvio
CGVM soldato ANTONELLI Immiru
CGVM soldato APA Giuseppe
CGVM soldato ARMANI Fulvio
CGVM soldato BENNATO Danilo, alla memoria
CGVM soldato BRUNO Vittorio
CGVM soldato CANNELLA Egidio
CGVM soldato CANTON Stefano, alla memoria
CGVM soldato CARBONIN Ottavio
CGVM soldato CARRETTI INCERTI Livio
CGVM soldato CIFERRI Giuseppe
CGVM soldato CORRADO Pasquale
CGVM soldato CRIVELLARO Marino
CGVM soldato DAVO' Bruno
CGVM soldato DI PEDE Francesco
CGVM soldato DI TOMMASO Angelo
CGVM soldato D'ONOFRIO Luigi
CGVM soldato D'OSNALDO Aurelio, alla memoria
CGVM soldato FARINA Ambrogio
CGVM soldato FINESSI Rodrigo
CGVM soldato FIPERTANI Luigi
CGVM soldato FONTANELLI Ivo
CGVM soldato GASPARINI Gaspare
CGVM soldato GIONCO Guerrino, alla memoria
CGVM soldato ILARDO Salvatore
CGVM soldato LOMBARDO Francesco
CGVM soldato LORO Emilio
CGVM soldato MAZZEI Manforte
CGVM soldato MOGAVERO Luigi
CGVM soldato PANIZZA Gabriele
CGVM soldato PIEROTTI Vincenzo
CGVM soldato POGGI Walter
CGVM soldato RENOSTO Emilio
CGVM soldato RISOLI Benvenuto
CGVM soldato SCUSSAT Giacinto
CGVM soldato SETTANNI Nicola
CGVM soldato SPARENI Aldio
CGVM soldato TRESOLDI Florindo
CGVM soldato ZERLOTTI Aldo
CGVM soldato ZOPPELLO Natale

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



Il processo D'Onofrio, parte 14

Il processo D'Onofrio, quattordicesima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA VENTIQUATTRESIMA UDIENZA.

12 luglio 1949. La parola è al primo avvocato della difesa dei reduci, l'avv. Rinaldo Taddei.

Avv. Taddei: 'Esattamente tre anni or sono, l'1l luglio 1946, una piccola tradotta si avvicinava al confine di Tarvisio portando alcuni uomini, ultimi resti dell'VIIIa Armata. Questi ragazzi tornavano a vedere dopo sei anni di lontananza, per la prima volta, il tricolore sventolare sul territorio della Patria. A distanza di tre anni precisi da quel giorno, un magistrato chiede l'assoluzione di un gruppo di quei reduci, la cui colpa era stata quella di aver sollevato un velo sui patimenti morali e materiali da loro sofferti e di aver fatto conoscere la verità agli italiani'.

Nella voce dell’avv. Taddei vibrava tutta la passione dell’uomo che ha vissuto quelle stesse sofferenze che hanno patito i suoi patrocinati, l’esposizione dei fatti, gli attacchi polemici erano illuminati dal ricordo delle tragiche giornate anche da lui trascorse sul fronte russo. Una arringa ampia, piena di slancio e di calore che ha commosso il pubblico di reduci che affollava l'aula ed ha destato gli unanimi consensi.

Il difensore ha iniziato con un ampio giro d’orizzonte retrospettivo, analizzando le condizioni storiche e geografiche delle terre che circondavano la Russia al principio della guerra, poi è passato con risolutezza ad esaminare le affermazioni del sen. D'Onofrio demolendole una ad una, ricercandone il lato falso, contestandole con abile dialettica. L'avv. Taddei polemizzando con il querelante il quale dichiarò di non sapere quale fosse il numero dei prigionieri italiani in Russia, ha rilevalo come l'accusatore, simulando questa sua ignoranza, continui in Italia l'opera di agente sovietico che svolgeva allora quando girava per i campi di concentramento.

Avv. Taddei: 'D'Onofrio, il quale era direttore de 'L'Alba', ha detto di non credere al numero di 80 mila prigionieri italiani pubblicato dal 1° numero di quello stesso settimanale. Ha detto di non crederci perché quella cifra serviva a certa propaganda... Ma... a quale propaganda?... Alla tua Edoardo D'Onofrio! Fare la contabilità di questa nostra carne è la cosa più oscena che tu abbia fatto da quando ti sei seduto in quest’aula.

Il difensore dei reduci, ha poi tratteggiato quale fosse il dolore e la tragedia dei prigionieri. Ha dimostrato quali fossero le miserrime condizioni in cui essi vivevano. Ha narrato le crudeltà dei sovietici, l'impossibilità di avere o di far giungere notizie alle famiglie lontane.

Avv. Taddei: 'Tu non sai che cosa voglia dire essere depredati delle scarpe e essere costretti a camminare a piedi scalzi sulla neve con 40 gradi sotto zero. Avremmo voluto che le donne russe che ci portavano un po’ di acqua non fossero scacciate, che quei poveri ragazzi che riuscivano a fare un buco nel soffitto del carro bestiame per raccogliere una manciata di neve e dissetarsi non fossero freddati con un colpo alla schiena. E neanche dai morti ci liberavano perché i vagoni venivano aperti ogni tre giorni e la sentinella che si affacciava nell'interno si limitava a chiedere: 'Quanti morti, qui?'. Non è vero che il tifo petecchiale fosse portato dai prigionieri stessi nei campi. E lo dimostra il fatto che gli ultimi prigionieri furono catturati nel gennaio e l’epidemia scoppiò dopo tre mesi, mentre è noto a tutti che il periodo di incubazione del tifo non supera i quindici giorni'.

Avv. Taddei: 'Noi ci inchiniamo di fronte alla bandiera del popolo russo che si batté per la difesa della sua patria, ma questi episodi di inciviltà non fanno onore alla nazione che voi difendete'.

D'Onofrio, il quale ha assistito apparentemente impassibile, al torrente d’accuse che gli si rovescia addosso, ha cominciato a dar segni di impazienza e poi all'improvviso si è alzato di scatto ed ha abbandonato l'aula mentre l'avv. Taddei metteva in evidenza la contemporaneità della comparsa dei fuorusciti nei campi con la qualifica di commissari politici e dell’emanazione dell'ordine di Stalin di far sì che il numero dei morti fra i prigionieri non fosse più tanto alto. In alto loco, dice l'avv. Taddei, si doveva essere venuti alla conclusione che era più utile restituire all'Italia i miseri resti della sua Armata in veste di propagandisti comunisti.

Avv. Taddei: 'Ed ecco spiegata la propaganda, i corsi di antifascismo. Voi siete stati profeti, avete visto giusto, ma dal punto di vista giuridico il vostro è un reato e molto vi sarebbe ancora da dire su questo argomento se l’art. 16 del Trattato di pace, non vi avesse assolto dall’aver tramato contro la Patria prima della dichiarazione di guerra alla Germania. Certo, la Patria potrà risollevarsi dalle rovine materiali, ma non da quelle spirituali fintanto che esiste questo articolo.

D'Onofrio ha cercato di dimostrare che la sua attività in quel triste periodo ebbe a risolversi in un’opera umanitaria, di assistenza morale; ha voluto ricordare che, rientrato in Italia, si fece premura di correre ad informare le famiglie dei prigionieri della salute dei loro cari. Ma si è dimenticato qualche cosa. S’è dimenticato di dire al Tribunale che egli si limitò a portare tali notizie soltanto alle famiglie dei prigionieri che frequentavano i corsi di antifascismo. D'Onofrio ha detto che attraverso Radio Mosca tutti i prigionieri potevano inviare saluti e notizie ai propri familiari, ma non ha spiegato come mai, ad esempio, il signor Pietro De Francisci, di Palermo, poté apprendere il 19 febbraio 1944, appunto da un messaggio radio, che suo figlio era in ottima salute, suo figlio che era morto invece in un campo di concentramento nel marzo del 1943'.

Avv. Taddei: 'Ora noi non contestiamo al sen. D'Onofrio il diritto di fare la propaganda delle proprie idee. Quello che noi gli neghiamo è il diritto di turbare la coscienza di un ufficiale, di costringerlo a violare un giuramento al quale si sente legato. Noi non riusciamo a comprendere perché D'Onofrio neghi oggi di aver fatto propaganda comunista e si quereli contro chi glielo ricorda. Se ne vergogna forse il sen. D'Onofrio?'.

Il difensore proseguendo nelle accuse, insiste nel rilevare di aver fatto il suo dovere di italiano fino in fondo, ma di non aver mai detto che l'esercito del suo Paese è stato sonoramente battuto da 'un popolo di contadini e di operai', come ha detto D'Onofrio.

Avv. Taddei: 'E allora di che cosa si lamenta? Di che s'offende? Sappiamo tutti che il concetto comunista è che non si può essere antifascisti se non si è comunisti, sappiamo che il motto è: 'chi non è con noi è contro di noi'.

Avv. Paone: 'Ma questo lo diceva Mussolini... Il tuo è un fenomeno di daltonismo mnemonico...'.

Avv. Taddei: 'Lo diceva Mussolini, ma ora lo dite voi... (e poi rivolto all'avv. Mastino Del Rio) e perciò tu, caro Mastino, che hai sofferto in carcere, tu che hai sentito il bastone dei tedeschi, tu no, tu non sei un antifascista...'.

Il difensore dei reduci ha poi esaminate ad una ad una le deposizioni dei testi indotti dalla parte civile, osservando che di essi uno soltanto, il capomanipolo Danilo Ferretti, conobbe D'Onofrio. La maggior parte degli altri sono dei soldati e si sa che i soldati vennero internati in campi di concentramento separati da quelli degli ufficiali, mentre qui si fa il processo alle violenze morali che D'Onofrio commise sugli ufficiali. L'arringa dell’avv. Taddei ha vivamente commosso il pubblico che affolla l'aula soprattutto quando aveva detto all'inizio.

Avv. Taddei: 'Questi ragazzi che avevano superato i limiti della resistenza umana, tornando in Patria erano con il cuore di ghiaccio. Quando voi, Pubblico Ministero, avete chiesto la loro assoluzione, non il loro plauso, ma le loro lacrime, accolsero le vostre parole'.

LA VENTICINQUESIMA UDIENZA.

La parola è sempre all'avv. Taddei il quale ha ancora molte cose da dire, molte precisazioni da fare, molte accuse da demolire. E prima d’ogni altra cosa vuol ricordare un fatto che desta vivissimo interesse in tutti i presenti. Egli ha dichiarato che fu offerta dalla parte avversa, ufficialmente, una transazione. Fu rifiutata. Ma non per spirito combattivo.

Avv. Taddei: 'Noi eravamo disposti a chiedere scusa a D'Onofrio, ma ad una sola condizione: che ci venissero restituiti i nostri fratelli che la Russia trattiene ancora come prigionieri. Ci si rispose che una cosa è il partito comunista e un’altra il governo sovietico. Qualunque condanna avremmo scontato pur di raggiungere questo nostro scopo. Non ci è stato possibile. E allora, perché accettare la transazione che i legali di D'Onofrio erano venuti ad offrirci? Perché avremmo dovuto impedire che il popolo italiano sapesse la verità intorno a quello che successe nei campi di concentramento di Russia? Perché impedire che il popolo si facesse una idea precisa di quello che fu il calvario dei nostri prigionieri?'.

Avv. Taddei: 'A noi sembra, lasciatemelo pur dire, che fin quando fra noi e la Russia rimarranno questi ostaggi, sia molto difficile vi possa essere una effettiva distensione psicologica. Non si cancella il fatto che a distanza di cinque anni dalla cessazione della guerra, alcuni ufficiali, colpevoli solo di essere rimasti sulle loro posizioni d'onore, vengano trattenuti ancora come prigionieri e se ne ignori la sorte. Ecco perché noi non accettammo la transazione propostaci'.

Il posto del sen. D'Onofrio, nel pretorio, è vuoto. Neanche oggi egli ha voluto assistere all'udienza: novello Catilina egli non ha retta alla irruenta oratoria del suo giovane ma implacabile accusatore: il cumulo dei suoi nefandi delitti lo inchioda al banco delle sue tremende responsabilità, lo respinge ai margini della società civile. L'avv. Taddei si è soffermato a lungo ad analizzare le deposizioni dei venticinque testi a discarico. Sette di essi, ha osservato, hanno affermato di essere stati minacciati dal propagandista comunista durante gli interrogatori subiti; dieci hanno raccolto le dichiarazioni del cap. Magnani di ritorno dal campo di punizione di Elabuga, dove (tutti sono stati concordi nell’affermarlo) era stato inviato insieme al ten. Ioli e ad altri ufficiali, per interessamento di D'Onofrio.

Avv. Taddei: 'È riuscita la parte civile a smantellare le accuse formulate dai reduci? Certamente no. Anzi dagli stessi testi d’accusa sono stati ammessi gli interrogatori estenuanti cui i prigionieri venivano sottoposti. E una volta provate le accuse, che cosa interessa se il magg. Orloff era o no ufficiale della polizia di Stato? Egli era un ufficiale dell’armata sovietica, e, in questa sua veste, doveva necessariamente riferire ai propri superiori intorno agli interrogatori cui presenziava'.

Dopo aver confutata ad una ad una le obiezioni mosse da D'Onofrio, l'avv. Taddei ha rievocato la tragica ritirata.

Avv. Taddei: 'Voi, emigrati politici, cercavate di imporre le vostre idee a questi giovani stremati dalle fatiche e dalla fame, minati dalla salute e affranti dal dolore. Voi, per creare l’antifascismo, avete ucciso gli italiani. Ma noi rimaniamo ostinatamente italiani, disperatamente italiani. Molti titoli si sono dati a questo processo: lo si è chiamato dei reduci, come se si potesse fare il processo ai nostri valorosi soldati; lo si è chiamato D'Onofrio. Ma se proprio un titolo gli si vuoi dare, ebbene questo è il processo dell’Italia contro gli antiitaliani'.

L'avv. Taddei si avvia ormai verso la conclusione della sua arringa, ma prima di chiudere il suo dire vuol ricordare ancora il tentativo di violazione di coscienza fatto dal D'Onofrio nei confronti di Don Enelio Franzoni, quando pretese che il cappellano gli rivelasse i più intimi pensieri dei prigionieri che si confidavano a lui nel segreto della confessione. Di questo e dell’aver spedito il cap. Magnani, il ten. Ioli e altri in un campo di punizione, il D'Onofrio si faceva vanto.

Avv. Taddei: 'Innumerevoli offerte giunsero da ogni parte d'Italia, quando si seppe che i reduci avevano necessità assoluta di fondi per poter sostenere il processo che contro di loro aveva intentato il senatore comunista e molte di queste offerte furono accompagnate da lettere di spose, di madri di caduti. Ve ne leggo una per tutte, signori del Tribunale: 'Cari ragazzi, vi manda 204 lire una madre che solo per voi può ancora parlare di Patria ai propri figli'.

Con queste parole il difensore dei reduci ha concluso la sua arringa.

Avv. Taddei: 'Signor Presidente, sotto questa toga lei deve vedere anche il grigioverde, come il grigioverde deve vedere sotto le giacche di civili dei miei ragazzi, i quali, stampando l’opuscolo da cui ha tratto le mosse la causa, non vollero diffamare, ma soltanto compiere il loro ultimo dovere di soldati verso la Patria. Il loro non era un opuscolo di propaganda di partito, era un grido che erompeva dai loro petti, che sgorgava dai loro cuori. Costoro sono i martiri che vengono qui con un dovere: raccontare quello che hanno visto, raccontare meno di quanto hanno sofferto. Non sono dei venduti, i miei ragazzi, sono dei giovani tornati in Patria dopo tanti patimenti col cuore in tumulto, ma riboccante d’amore per il loro Paese. Signori del Tribunale, è l’onore di questo glorioso grigioverde che io ho difeso'.

Alle ultime parole dell’avv. Taddei fa seguito uno straziante singhiozzo e un tonfo sordo nell’aula. Una signora, la madre di uno che non ha fatto ritorno dalla Russia e che dal giorno che ebbe inizio questo processo ne ha seguito pazientemente le fasi, nella speranza di avere una qualche notizia del figlio scomparso, non ha più retto alla tensione di spirito e con un lungo lamento è caduta a terra svenuta. Alcuni carabinieri accorsi immediatamente la sollevano e la portano fuori dall’aula. Soltanto i difensori comunisti possono assistere alla scena con freddo cinismo: gli uomini di Mosca non hanno ormai più nulla di umano nello sguardo e nel cuore.

L’abbraccio fraterno dei suoi patrocinati è stato il miglior premio che Rinaldo Taddei abbia avuto della sua fatica. Gli imputati, appena il loro difensore ha finito di parlare, si sono alzati dal loro banco e sono corsi da lui con le lacrime agli occhi a ringraziarlo per aver saputo dare l'interpretazione più giusta e più vera dei loro pensieri, dei loro dolori. Madri, spose, sorelle, numerosi reduci che avevano assistito al processo fin dalle prime battute, hanno voluto unire il loro all'abbraccio degli imputati e così Taddei si è allontanato dall’aula stretto e circondato da una massa di amici che volevano esprimergli i loro sentimenti di gratitudine e di ammirazione.

giovedì 12 agosto 2021

La guerra sul fronte orientale, parte 9

Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo nono video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.

venerdì 6 agosto 2021

Il processo D'Onofrio, parte 13

Il processo D'Onofrio, tredicesima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA VENTIDUESIMA UDIENZA.

9 luglio 1949. - L'avv. Paone non ha mantenuto la promessa. Aveva detto che per terminare la propria arringa aveva bisogno ancora di un paio di ore e invece la voce tonante del patrono del D'Onofrio è risuonata nell’aula per altre quattro ore, cioè tutta l'udienza.

L'oratore ha esordito rievocando i fatti che seguirono la caduta del fascismo e si è soffermato ad illustrare la figura del querelante 'portatore di una idea politica per la quale aveva combattuto tutta la vita', D'Onofrio non era al servizio della Polizia di Stato sovietica ma soltanto al servizio della propria coscienza e gli imputati non sono riusciti a provare le loro accuse. Ergo è chiara la loro malvagità, come è chiaro il grave oltraggio da loro usato contro il sen. D’Onofrio. Qui si tratta di diffamazione generica e di diffamazione specifica e giacché il magg. Orloff è ancora vivo sarebbe stato facile poter accertare bene i fatti. Con tutto ciò la privata accusa ha pensato bene di non farlo venire come teste dalla Russia.

Mentre si scaglia contro i cinque reduci che siedono sul banco degli imputati, l'avvocato sventola una copia del numero unico incriminato e grida al dolo per le asserzioni contenute in quell'opuscolo. Preparatissimo si è dimostrato l'avv. Paone su tutta la storia della campagna napoleonica in Russia e di quella famosa ritirata. Egli ne ha fatto la pietra di paragone indispensabile alla dimostrazione del fatto che, se tante migliaia di morti si ebbero in Russia da parte italiana, ciò non va imputato alle autorità sovietiche.

Avv. Paone: 'Il precedente napoleonico non aveva insegnato nulla al dittatore teutonico e al suo alleato fascista? La morte degli 80 mila soldati dell’ARMIR grava sulla coscienza di quelli che non si preoccuparono di inviare in terra sovietica dei soldati italiani ineducati e analfabeti, i quali giunsero al punto di definire con disprezzo i russi degli indigeni, come se fossero dei negri africani. Questo è troppo!'.

L’avv. Paone ha finalmente cominciato a parlare dell’attività di D'Onofrio nei campi di concentramento.

Avv. Paone: 'Si è parlato di verbalizzazione degli interrogatori cui venivano sottoposti i prigionieri italiani. Ma quella non era altro che curiosità e quelli che gli imputati chiamavano verbali non erano che appunti per poter scrivere poi degli articoli sul settimanale 'L'Alba'. I russi sono detti 'tremendi scocciatori', sono più curiosi delle femmine ma, signori, era pura curiosità e non lunghi verbali di estenuanti interrogatori.

Nessuno ha poi saputo spiegare con esattezza che Elabuga fosse un campo di punizione, dove in seguito agli interrogatori di D'Onofrio, sarebbero stati mandati il cap. Magnani, il ten. Ioli ed altri ufficiali italiani. Né sono state provate le ragioni per cui quegli ufficiali furono inviati ad Elabuga. Nei campi di prigionia si godeva di tanta libertà che spesso si accendevano dispute fra fascisti e antifascisti. Ma che c’entra D'Onofrio nelle beghe fra prigionieri? E che colpa possono avere D'Onofrio o gli altri emigrati italiani se i Russi qualche volta punivano i prigionieri più turbolenti?'.

Avv. Paone: 'Comunque gli atti del processo dimostrano abbondantemente che i russi hanno rispettato i prigionieri più di quanto non li abbiano rispettati gli altri Paesi. Nei campi di concentramento inglesi e americani esistevano speciali recinti per i criminali fascisti 'perseguitati nel fisico e nel morale'. Avete mai sentito dire cose del genere dei campi di Russia?'.

L’avv. Paone ha chiesto scusa ai giudici per la lunghezza della arringa, ma si è giustificato dicendo che la perorazione 'non viene dal cervello ma dal cuore' ed ha concluso.

Avv. Paone: 'Noi siamo qui per chiedere la condanna dei libellisti, dei diffamatori. Il fango che essi hanno lanciato contro D'Onofrio non ha potuto e non potrà offuscare l'intangibile sua veste morale. Voi, imputati, avete voluto colpire D'Onofrio che era il capo della nostra lotta in questa Roma, in mezzo al popolo nostro. E pertanto io chiedo la vostra condanna'.

LA VENTITREESIMA UDIENZA.

11 luglio 1949. - Senza retorica, con oratoria stringata, con efficace dialettica il sostituto procuratore Dott. Manca, ha dimostrato, in tre ore, al Tribunale la infondatezza delle accuse di diffamazione mosse dal sen. Edoardo D'Onofrio agli imputati. Il P. M. ha tratto gli argomenti principali e maggiormente persuasivi della propria requisitoria, dalle disposizioni contenute nel Codice Penale Sovietico, dalle istruzioni dettate da un U.K.S. del Praesidium del Soviet Supremo, firmato dal Presidente Kalinin, pubblicato nel numero della 'Pravda' del 17 luglio 1942.

P.M.: 'Illustre signor Presidente e signori del Tribunale, le due parti: il sen. D'Onofrio e gli imputati, i testimoni d'accusa e di difesa non si sono mantenuti nei binari del processo ma hanno spesso sconfinato in altri campi che possono avere il loro interesse dal punto di vista storico, politico e militare, ma che ne hanno poco dal punto di vista della causa. L’esame che voi dovete fare è un esame, in definitiva, ristretto.

Le accuse che i reduci dalla Russia hanno rivolto a D'Onofrio prendono le mosse da uno scritto in cui si definisce quello che è oggi il senatore comunista: 'rinnegato ed aguzzino degli ottantamila prigionieri italiani'. D'Onofrio respinge tale accusa affermando fra l’altro che non di ottantamila prigionieri si doveva parlare ma solo di quindicimila. Questa affermazione, però, gli viene contestata non solo dagli imputati, ma dagli stessi suoi testimoni e dalla raccolta di quel settimanale 'L’Alba' che si pubblicava nei campi di concentramento. Infatti si è potuto stabilire, in tal modo, che i prigionieri italiani ammontavano ad una cifra oscillante fra gli ottanta e gli ottantatremila. Ed è lo stesso Togliatti che conforta tale affermazione quando asserisce - come si può leggere nei discorsi da lui tenuti ai microfoni di Radio Mosca dal 1941 al 1944 - che nel solo mese di gennaio del 1943 quarantamila furono i soldati dell'ARMIR che caddero in mano russa.

Ad essi si devono aggiungere quelli fatti prigionieri in precedenza, per cui in totale risulta appunto una cifra che si aggira sugli ottantamila uomini'.

P.M.: 'Occorre ora vedere se gli articoli pubblicati nel numero unico 'Russia' costituiscono reato di diffamazione. L’altro corpo del dilemma è: in caso affermativo, ha D’Onofrio commesso i fatti addebitatigli? Tutti i fatti che costituiscono materia delle accuse mosse dagli imputati debbono essere provati perché se un solo dubbio rimanesse, questo andrebbe a tutto favore del querelante. Comunque, per quanto riguarda il primo dei due quesiti, non c'è dubbio nella risposta: gli articoli incriminati sono diffamatori, non solo, ma tali da imprimere 'un marchio di fuoco e di sangue' su qualunque cittadino li abbia commessi.

Non voglio indagare sulle ragioni del 'tragico calvario' dei nostri prigionieri perché ciò esorbita dai limiti della causa. A noi interessa sapere che essi furono oppressi da un complesso tanto grave di circostanze che per molto tempo la loro stessa costituzione fisica ebbe a soffrirne. Tanto che lo stesso Stalin, preoccupato dall'indice di mortalità raggiunto nei campi di concentramento dove erano raccolti i prigionieri italiani, sarebbe intervenuto perché fosse usato un trattamento migliore agli internati. Su questo argomento a me sembra che tutti si siano trovati d’accordo e lo stesso querelante ha ammesso che i morti raggiungevano delle cifre enormi.

Proprio in questo periodo D'Onofrio compare per la prima volta nei campi di concentramento. Ed eccoci alle accuse. Il dott. Manca ricorda che il querelante ha recisamente negato di aver mai usato violenze o pronunciato o messo in atto minacce che avrebbero avuto un effetto assolutamente contrario a quello che la sua propaganda si riproponeva. Ma attraverso innumerevoli testimonianze, che sono venute a confermare le accuse degli imputati, attraverso la descrizione di circostanze specifiche, che lo stesso D'Onofrio non ha potuto smentire, attraverso l'indicazione di nomi, di luoghi, di date, di episodi, attraverso le documentazioni presentate, è stato raggiunto un complesso di elementi che non si può esitare a definire 'poderoso'.

P.M.: 'Ora c’è da chiedersi: dicono la verità i reduci dalla Russia oppure ci troviamo di fronte ad una montatura organizzata da un regista pieno di fervida immaginazione, di fronte ad un complotto spettacoloso? Questo dubbio voi lo dovete sciogliere, come attraverso un travaglio spirituale io l'ho già sciolto. Io credo a D'Onofrio quando afferma di aver comprato in Russia, al mercato nero, medicine per un prigioniero malato. Ma non posso credergli quando afferma che i gruppi antifascisti avevano un carattere democratico e che le cariche erano elettive. Non gli credo perché le sue affermazioni sono smentite dallo stesso settimanale 'L’Alba' nel quale sta la prova che i gruppi antifascisti non erano affatto democratici, nel senso da noi dato alla parola. Essi facevano soltanto 'del marxismo e del comunismo'. Quindi non è vera neppure l'affermazione che 'L'Alba' fosse 'una palestra aperta a tutte le idee'.

Vi abbondavano invece scritti di intonazione antidemocristiana, contro il Vaticano e contro il Pontefice. Non troviamo in tutta la collezione del settimanale un articolo di ispirazione liberale, mentre al contrario vi si legge uno scritto di Togliatti dal titolo 'Le merci avariate di Benedetto Croce'.

P.M.: 'Come era possibile allora che ufficiali, uomini di una certa cultura, con un loro patrimonio di idee, potessero liberamente esporre i loro convincimenti? C'è invece da immaginare il dramma psicologico di questi prigionieri i quali dovevano guardarsi intorno, nei campi di concentramento, per evitare che qualcuno andasse a riferire i discorsi che facevano agli istruttori politici. Un fatto è certo: con l’arrivo dei commissari politici finì la concordia e l’affratellamento, cominciarono le delazioni.

Ma la loro opera non fu soddisfacente e non raggiunse gli scopi se, come avvenne nel campo di Oranki, il commissario Fiammenghi, riuscì a convincere non più di venticinque ufficiali a firmare il famoso appello con cui si incitava il popolo italiano a non proseguire la guerra. Ecco allora arrivare D'Onofrio, il quale poté infrangere la resistenza dei prigionieri soltanto ricorrendo alle minacce. E a farne fede sta la tragica odissea del cap. Magnani di cui troppi testi hanno parlato, e tutti negli stessi termini, per poter pensare che sia da mettere in dubbio'.

P.M.: 'Che le minacce vi siano state s’è potuto ormai stabilire attraverso tutte le testimonianze. D'Onofrio oppone che egli si limitò solo ad avvertire gli interrogati che con le loro idee si sarebbero trovati male al rientro in Patria. Ma la sua obbiezione è giustificata solo nel caso che il prigioniero avesse espresso le proprie idee. Che cosa risponde D'Onofrio quando gli si fa osservare che il ten. Sandali si sentì rivolgere delle minacce perché non aveva mai risposto alle domande che gli venivano fatte? E che cosa dice quando gli si contesta che il ten. Santoro si sentì gridare nelle orecchie: 'la differenza che c è tra lei e i suoi bersaglieri è che lei è un criminale di guerra vivo mentre i suoi bersaglieri sono dei criminali di guerra morti'? La risposta potrebbe essere una sola e cioè che sembra compiacersi, il sen. D'Onofrio, di queste affermazioni se in polemica con il 'Risorgimento Liberale' definì i bersaglieri 'fascisti, ladri e rapinatori'.

Codice sovietico alla mano, il P. M. ha poi confutato l'affermazione fatta da D'Onofrio che in Russia esiste libertà di coscienza (art. 124 del codice stesso) dimenticando però di aggiungere, in materia di tolleranza religiosa, che l'art. 126 del codice penale sovietico punisce con lavori correttivi fino a tre mesi e 300 rubli di multa chiunque celebri riti religiosi in pubblico. Quindi se in qualche campo fa celebrata, qualche volta la messa fu in deroga alle disposizioni del codice sovietico.

P.M.: 'D'Onofrio ha sostenuto ancora che gli sarebbe stato impossibile minacciare l'invio in Siberia perché il piano quinquennale sovietico è riuscito a trasformare quella desolata regione in una specie di Eden, però ha tralasciato di dire che secondo l'art. 58 del codice penale sovietico chiunque favorisca l’espatrio clandestino di un proprio congiunto viene deportato ancora oggi per cinque anni nelle 'lontane isolate regioni della Siberia'. Dal che è facile dedurre che se la Siberia è terra di deportazione non può essere una sorta di luogo di villeggiatura.

Quale era la posizione in cui si trovava D'Onofrio in Russia? Il dott. Manca ha profondamente esaminato questo punto arrivando alla conclusione che era logico e, in un certo senso, necessario che il querelante agisse come agì'.

P.M.: 'Infatti studiando la causa feci delle ricerche sulle attribuzioni dei commissari politici e scoprii nel numero del 17 luglio 1941 della 'Pravda' un Ukase firmato da Kalinin con il quale venivano precisate le mansioni dei commissari politici, qualificati come 'diretti rappresentanti del partito e del governo', obbligati a denunciare 'comandanti o lavoratori politici che si fossero resi indegni del loro posto'. La disposizione emanata dal consiglio del Soviet Supremo diceva poi che i commissari politici coordinavano la loro attività con quella della polizia, e che i commissari politici erano funzionari russi. D'Onofrio, dunque, come commissario politico era funzionario sovietico e di conseguenza non avrebbe potuto comportarsi in modo diverso da come si è comportato a meno di incorrere nelle sanzioni penali previste.

Egli inoltre per la levatura intellettuale, aveva delle funzioni ispettive ed era considerato come un capo. Gli italiani non si rendevano conto di trovarsi di fronte non ad un loro compatriota ma ad un 'cittadino sovietico'.

P.M.: 'E cittadino sovietico era da considerare il querelante anche per l’art. 8 della legge italiana sulla cittadinanza per cui colui che, cittadino italiano, abbia ottenuto e mantenga un ufficio presso uno Stato estero, perde la cittadinanza'.

Avv. Paone: 'E quelli che parlavano dai microfoni delle radio estere ed ora sono al governo?'.

P.M.: 'Io sto facendo il processo dal punto di vista giuridico e non politico!'.

Avv. Paone: 'Si ricordi che lei è un Procuratore della Repubblica!'.

P.M.: 'Non raccolgo questo insulto. Io faccio, qui, il mio dovere. Quanto alle parole 'rinnegato e aguzzino' esse, che potrebbero far pensare ad una ingiuria, non rappresentano altro che una forma di ritorsione legittima dopo che il D'Onofrio, l’8 aprile del 1948, aveva scritto su 'Risorgimento Liberale' che i soldati italiani erano dei 'fascisti entrati in terra di Russia come dei ladri e dei rapinatori'.

P.M.: 'In sostanza le accuse che i reduci hanno mosso contro D'Onofrio non riguardano la sua attività di antifascista in genere, ma specificamente il suo comportamento nei riguardi dei prigionieri, comportamento che 'riveste gli estremi di reato'. Noi non facciamo il processo all'antifascismo. Noi non neghiamo che tra gli antifascisti vi siano delle figure che sono dei simboli come Giuseppe Donati, i fratelli Rosselli, Giovanni Amendola, morti in terra francese per una idea. Antifascisti siedono onoratamente sui banchi del parlamento e al governo'.

P.M.: 'Noi, voi signori giudici, dobbiamo giudicare solo una cosa: se sono veri i fatti attribuiti a D'Onofrio. E, giacché mi si costringe a dirlo dichiaro: i fatti attribuiti al sen. D'Onofrio sono contrari alla morale e alla politica di qualunque tempo e di qualunque partito. Poiché essi sono stati pienamente provati, in perfetta coscienza e con piena convinzione, io vi chiedo l’assoluzione degli imputati per aver raggiunto la prova dei fatti motivo della querela'.

Immagini, CC.NN. all'attacco

Un altro piccolo pezzo della nostra storia arriva a me... fotografia originale dell'Istituto Luce: 31/10/42/XXI Fronte orientale: reparti di CC.NN. dell'Armir all'attacco di un caposaldo nemico nella zona del Don.

mercoledì 4 agosto 2021

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



Seconda lettera di Hitler a Mussolini

Sempre a scopo divulgativo e storico riporto la seconda lettera scritta da Hitler a Mussolini a pochi giorni dall'inizio dell'Operazione Barbarossa.

LE PRIME IMPRESSIONI DELLA GUERRA CONTRO LA RUSSIA - Seconda lettera di Hitler a Mussolini.

Quartier Generale del Fuhrer, 30 giugno 1941.

Duce, consentitemi anzitutto di ringraziarVi per la Vostra ultima lettera. Mi allegro infinitamente che i nostri due punti di vista nelle grandi questioni concernenti il destino dei nostri popoli si identifichino così perfettamente. Credo che la settimana trascorsa, considerata sotto l'aspetto politico, abbia confermato in maniera clamorosa le nostre vedute. E' accaduto ciò che io stesso nel primo momento non osavo affatto sperare. L'Europa è stata strappata in gran parte ad un disinteresse veramente letargico. Molti Paesi si vedono obbligati a prendere ormai in questa nostra lotta contro il bolscevismo una posizione che sarà il principio di una più larga comprensione della nostra comune politica che in fondo è veramente europea.

La lotta, Duce. che ora si svolge da otto giorni, mi dà la possibilità di comunicarVi già ora, in poche linee, un quadro generale ed informarVi delle esperienze fatte. La più importante constatazione che io ed i miei generali abbiamo fatto è stata una cosa che veramente ci ha sorpresi nonostante tutte le previsioni. Duce, se questa lotta non fosse avvenuta ora, ma anche soltanto pochi mesi o un anno più tardi, noi avremmo - per quanto possa essere terribile questo pensiero - perduta la guerra.

L'Esercito russo stava approntando uno schieramento di forze con mezzi che andavano molto al di là di quanto noi sapevamo o anche solo ritenevamo possibile. Sono otto giorni che una brigata corazzata dopo l'altra viene attaccata, battuta o distrutta, e nonostante ciò non si è osservata alcuna diminuzione del loro numero e della loro aggressività. E' soltanto dal 27 giugno che noi abbiamo la sensazione che sopravvenga un alleggerimento, che l'avversario si abbatta lentamente e che appaiano localmente manifestazioni di dissolvimento. Come gli inglesi con il carro armato di fanteria Mark II, i russi han tirato fuori una sorpresa di cui noi purtroppo non avevamo alcuna idea. Un gigantesco carro armato del peso di circa 52 tonnellate, con una corazzatura di 75 mm., con un cannone da 7,6 cm. e tre mitragliatrici. Senza il nostro nuovo cannone da 5 cm., il cannone anti-aereo da 8,8 e le nuove granate anticarro della nostra artiglieria da campo noi saremmo impotenti di fronte a questi mezzi corazzati che attualmente sono i più forti.

Il "fanatismo" del soldato russo.

I russi avevano posto nella grande sacca di Bjalistock come in quella di Leopoli due enormi armate offensive. Numerose formazioni motorizzate e corazzate erano assegnate alle divisioni di fanteria, che a loro volta posseggono quasi tutte propri reparti corazzati. Entrambe queste armate sono state attaccate di fianco da noi dopo la rottura di dispositivi di difesa straordinariamente profondi che in certi luoghi sono di poco di inferiori alla linea Sigfrido. I combattimenti che ora hanno luogo qui da otto giorni appartengono ai più gravi che le truppe tedesche hanno dovuto sostenere sinora.

II russo combatte con un fanatismo veramente stolto; nei primi giorni non si avevano quasi prigionieri. Era una lotta di vita e di morte, nella quale molti ufficiali e Commissari russi si sono sottratti alla minaccia della prigionia con il suicidio. Le guarnigioni di fortificazioni ormai perdute si sono fatte saltare in aria da sole prima della resa. I contrattacchi russi non si sono effettuati per un qualsiasi elevato pensiero ma con la brutalità primitiva di un animale che si vede rinchiuso e si slancia con feroce rabbia contro le pareti della sua gabbia. Questo soldato, di per sè già molto duro, è stato inoltre follemente eccitato. I suoi Commissari gli raccontano che dopo l'imprigionamento egli sarà torturato e poi anche ucciso. Perciò egli lotta fino alle sue ultime possibilità e preferisce nel peggiore dei casi la propria morte alle torture annunziategli. Per la prima volta negli ultimi giorni di lotta, questo morale comincia ad oscillare, ed il numero dei prigionieri e dei disertori aumenta ormai di ora in ora.

Quasi tutti i contrattacchi russi si sono effettuati solamente con forze corazzate. Singole divisioni che spesso avevano già colpito cento e duecento mezzi corazzati in un solo giorno vengono il mattino seguente attaccate da nuovi mezzi corazzati. Credo, Duce, che incombeva sull'Europa un pericolo della cui misura purtroppo nessuno aveva una giusta idea.

L'arma aerea russa è cattiva. Tanto è fanatico il soldato russo quando combatte in terra, altrettanto è stato sempre maldestro come marinaio ed ora sembra lo sia anche come aviatore. Già nei primi sette giorni gli aviatori tedeschi hanno fatto vuoti spaventosi fra le forze aeree russe. Qui la supremazia non è soltanto chiara, ma addirittura assoluta. Ormai solo saltuariamente singoli apparecchi russi tentano di mostrarsi al fronte. In generale ogni volo del genere è anche l'ultimo.

Otto giorni di campagna.

La fanteria russa viene gettata nel combattimento in grandi masse, senza guardare al sacrificio. Mitragliatrici, lanciagranate, cannoni di fanteria e granate a mano causano loro perdite terribili. Nondimeno gli attacchi si rinnovano a brevissimi intervalli. II Comando russo è in genere cattivo. Una eccezione ha fatto, per lo meno nei primi giorni, l'Armata russa del Sud. Il Comando delle singole Divisioni o dei reggimenti è privo di qualsiasi attitudine militare. Il grado di cultura dei cosiddetti ufficiali non corrisponde in alcun modo alle esigenze che si richiedono nelle Nazioni europee. Tuttavia non è da nascondere che con l'andare degli anni anche in ciò vi sarebbe stato probabilmente un miglioramento. Senonché, data la brutalità di tale sistema di guerra, non è tanto determinante il valore del singolo quando la pericolosità dell'istrumento in se stesso. Tale pericolo sta nel numero stragrande di formazioni, nell'enorme sviluppo delle armi come pure nella completa indifferenza con cui il Comando sacrifica uomini e materiale.

Nel riferirVi, Duce, del tutto brevemente i risultati della lotta, prendo naturalmente in considerazione, per il momento, soltanto i successi visibili mentre per ora Ci resta ancora precluso l'esame della intima costituzione delle già battute formazioni russe. Ecco quanto risulta dopo otto giorni di campagna: A nord delle Paludi del Pripet - le quali dividono il teatro delle operazioni nella metà settentrionale del Baltico e della Russia Bianca ed in quella meridionale della Galizia e della Bessarabia - le Armate nemiche ammassate vicino alla frontiera sono state già completamente battute. Nella sacca formatasi dal rapido avanzare delle formazioni corazzate a cuneo nel settore mediano fra Bialystock e Minsk si trovano circondate due armate mentre forze celeri si sono già spinte oltre la Beresina.

Nel settore nord il nemico cerca, dopo aver sofferto gravi perdite fra la frontiera e la Dvina, di salvare i resti del proprio esercito settentrionale a mezzo di una ritirata verso nord-est. Dunaburg e Riga sono in mano delle forze corazzate tedesche. Nella Finlandia meridionale si trova il Feldmaresciallo Mannerheim - al quale sto inviando attraverso la Svezia anche una divisione tedesca - pronto fin dal 2 luglio all'assalto dalle due parti del Lago di Ladoga. Nella Finlandia mediana e settentrionale le forze finno-tedesche hanno il compito di tagliar fuori per un assalto verso est la città di Murmansk, che ha importanza come punto di riferimento per una eventuale azione di soccorso da parte inglese o americana.

Al sud delle Paludi del Pripet il gruppo corazzato dell'Armata del Sud avanza nella direzione generale di Shitomir mentre l'avversario da entrambe le parti di Leopoli cerca di sottrarsi, con una ritirata verso l'est, ad una minaccia di accerchiamento. La mira dei sovietici potrebbe essere di raggiungere la loro vecchia linea di fortificazioni e di stabilirvisi per la resistenza. Io progetto, quindi - per alleggerire l'urto frontale dall'ovest - di far attaccare nei primi giorni di luglio l'XI armata avanzatasi in Romania, unitamente alle forze romene che le sono assegnate sul Pruth a tergo della linea di fortificazione russa. Sul fronte dei Carpazi l'Ungheria si prepara ad avanzare con un corpo celere contro Kolomea e Stanislavow. I primi reparti hanno già attraversato la frontiera.

Le formazioni aeree nemiche hanno subito tali perdite che la padronanza dell'aria è completamente conquistata. L'Arma aerea tedesca può quindi essere sottratta in massa ed essere impiegata per l'appoggio dell'esercito. Io accetto la Vostra generosa offerta, Duce, di mandare un corpo italiano ed aerei da caccia italiani sul teatro bellico orientale. Che le nostre armate alleate marcino fianco a fianco proprio contro il nemico mondiale bolscevico mi sembra un simbolo della lotta di liberazione condotta da Voi, Duce, e da me.

Un invito al fronte.

Come apprendo circa le intese tra i nostri rispettivi servizi competenti, i trasporti dovranno effettuarsi sulla linea Brennero - Innsbruck - Salisburg - Linz - Vienna - Bratislava - Budapest e sboccare nell'Ungheria orientale. Bisognerebbe quindi comunicare con un anticipo di almeno tre giorni l'inizio dei movimenti di trasporto a causa dei necessari preparativi in Germania. Dove poi avrà luogo l'impiego - prevedibilmente nell'ambito dell'XI Armata tedesca - lo dirà lo sviluppo della situazione. Mi permetterò, Duce, di comunicarvi tempestivamente più precise proposte a tale scopo.

Di speciale importanza mi sembra quanto segue: le vie di comunicazione della Romania sono attualmente molto gravate dall'avanzata romena ed ungherese. Ad entrambi questi Stati ho fatto sapere che ciò nonostante debbono essere ulteriormente e regolarmente proseguite le forniture di oli minerali romeni di vitale importanza per le Potenze dell'Asse. I dirigenti dei servizi di trasporto hanno già tenuto calcolo di questo punto di vista nella comune preparazione dei trasporti delle truppe italiane. Anche durante la campagna orientale la lotto contro l'Inghilterra verrà proseguita con sufficiente impiego di forze. La Marina da guerra germanica non sarà quasi impegnata contro la Russia Sovietica nel Mar Baltico da noi sbarrato. Però l'assedio dell'Inghilterra deve essere soprattutto rinforzato, anche durante le operazioni orientali, un adeguato impiego dell'Arma aerea.

Ed ora, Duce, lasciatemi esprimere alla fine ancora il pensiero. Ho riflettuto se non sarebbe forse psicologicamente giusto che noi due proprio nel corso di questa lotta ci potessimo incontrare in qualche luogo al fronte orientale. Il luogo più appropriato sarebbe naturalmente il mio stesso Quartiere oppure un'altra delle località all'uopo previste poiché si trovano colà le condizioni necessarie per gli impianti dai quali io - almeno per un periodo di tempo piuttosto lungo - non potrei allontanarmi che con molta difficoltà. Nei riguardi del sistema delle comunicazioni e delle notizie io sono purtroppo uno schiavo della tecnica. Ma io credo che se ciò potrà una volta realizzarsi - anche prescindendo del tutto dallo scambio personale di idee - gli effetti psicologici per entrambi i nostri popoli sarebbero certamente utili.

Credo inoltre che ciò sarebbe adeguatamente apprezzato anche dal resto del mondo. Chiudo questa lunga lettera, Duce, salutandoVi con vecchia amicizia e nel più cordiale.

Adolf Hitler