mercoledì 18 agosto 2021

Il processo D'Onofrio, parte 14

Il processo D'Onofrio, quattordicesima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA VENTIQUATTRESIMA UDIENZA.

12 luglio 1949. La parola è al primo avvocato della difesa dei reduci, l'avv. Rinaldo Taddei.

Avv. Taddei: 'Esattamente tre anni or sono, l'1l luglio 1946, una piccola tradotta si avvicinava al confine di Tarvisio portando alcuni uomini, ultimi resti dell'VIIIa Armata. Questi ragazzi tornavano a vedere dopo sei anni di lontananza, per la prima volta, il tricolore sventolare sul territorio della Patria. A distanza di tre anni precisi da quel giorno, un magistrato chiede l'assoluzione di un gruppo di quei reduci, la cui colpa era stata quella di aver sollevato un velo sui patimenti morali e materiali da loro sofferti e di aver fatto conoscere la verità agli italiani'.

Nella voce dell’avv. Taddei vibrava tutta la passione dell’uomo che ha vissuto quelle stesse sofferenze che hanno patito i suoi patrocinati, l’esposizione dei fatti, gli attacchi polemici erano illuminati dal ricordo delle tragiche giornate anche da lui trascorse sul fronte russo. Una arringa ampia, piena di slancio e di calore che ha commosso il pubblico di reduci che affollava l'aula ed ha destato gli unanimi consensi.

Il difensore ha iniziato con un ampio giro d’orizzonte retrospettivo, analizzando le condizioni storiche e geografiche delle terre che circondavano la Russia al principio della guerra, poi è passato con risolutezza ad esaminare le affermazioni del sen. D'Onofrio demolendole una ad una, ricercandone il lato falso, contestandole con abile dialettica. L'avv. Taddei polemizzando con il querelante il quale dichiarò di non sapere quale fosse il numero dei prigionieri italiani in Russia, ha rilevalo come l'accusatore, simulando questa sua ignoranza, continui in Italia l'opera di agente sovietico che svolgeva allora quando girava per i campi di concentramento.

Avv. Taddei: 'D'Onofrio, il quale era direttore de 'L'Alba', ha detto di non credere al numero di 80 mila prigionieri italiani pubblicato dal 1° numero di quello stesso settimanale. Ha detto di non crederci perché quella cifra serviva a certa propaganda... Ma... a quale propaganda?... Alla tua Edoardo D'Onofrio! Fare la contabilità di questa nostra carne è la cosa più oscena che tu abbia fatto da quando ti sei seduto in quest’aula.

Il difensore dei reduci, ha poi tratteggiato quale fosse il dolore e la tragedia dei prigionieri. Ha dimostrato quali fossero le miserrime condizioni in cui essi vivevano. Ha narrato le crudeltà dei sovietici, l'impossibilità di avere o di far giungere notizie alle famiglie lontane.

Avv. Taddei: 'Tu non sai che cosa voglia dire essere depredati delle scarpe e essere costretti a camminare a piedi scalzi sulla neve con 40 gradi sotto zero. Avremmo voluto che le donne russe che ci portavano un po’ di acqua non fossero scacciate, che quei poveri ragazzi che riuscivano a fare un buco nel soffitto del carro bestiame per raccogliere una manciata di neve e dissetarsi non fossero freddati con un colpo alla schiena. E neanche dai morti ci liberavano perché i vagoni venivano aperti ogni tre giorni e la sentinella che si affacciava nell'interno si limitava a chiedere: 'Quanti morti, qui?'. Non è vero che il tifo petecchiale fosse portato dai prigionieri stessi nei campi. E lo dimostra il fatto che gli ultimi prigionieri furono catturati nel gennaio e l’epidemia scoppiò dopo tre mesi, mentre è noto a tutti che il periodo di incubazione del tifo non supera i quindici giorni'.

Avv. Taddei: 'Noi ci inchiniamo di fronte alla bandiera del popolo russo che si batté per la difesa della sua patria, ma questi episodi di inciviltà non fanno onore alla nazione che voi difendete'.

D'Onofrio, il quale ha assistito apparentemente impassibile, al torrente d’accuse che gli si rovescia addosso, ha cominciato a dar segni di impazienza e poi all'improvviso si è alzato di scatto ed ha abbandonato l'aula mentre l'avv. Taddei metteva in evidenza la contemporaneità della comparsa dei fuorusciti nei campi con la qualifica di commissari politici e dell’emanazione dell'ordine di Stalin di far sì che il numero dei morti fra i prigionieri non fosse più tanto alto. In alto loco, dice l'avv. Taddei, si doveva essere venuti alla conclusione che era più utile restituire all'Italia i miseri resti della sua Armata in veste di propagandisti comunisti.

Avv. Taddei: 'Ed ecco spiegata la propaganda, i corsi di antifascismo. Voi siete stati profeti, avete visto giusto, ma dal punto di vista giuridico il vostro è un reato e molto vi sarebbe ancora da dire su questo argomento se l’art. 16 del Trattato di pace, non vi avesse assolto dall’aver tramato contro la Patria prima della dichiarazione di guerra alla Germania. Certo, la Patria potrà risollevarsi dalle rovine materiali, ma non da quelle spirituali fintanto che esiste questo articolo.

D'Onofrio ha cercato di dimostrare che la sua attività in quel triste periodo ebbe a risolversi in un’opera umanitaria, di assistenza morale; ha voluto ricordare che, rientrato in Italia, si fece premura di correre ad informare le famiglie dei prigionieri della salute dei loro cari. Ma si è dimenticato qualche cosa. S’è dimenticato di dire al Tribunale che egli si limitò a portare tali notizie soltanto alle famiglie dei prigionieri che frequentavano i corsi di antifascismo. D'Onofrio ha detto che attraverso Radio Mosca tutti i prigionieri potevano inviare saluti e notizie ai propri familiari, ma non ha spiegato come mai, ad esempio, il signor Pietro De Francisci, di Palermo, poté apprendere il 19 febbraio 1944, appunto da un messaggio radio, che suo figlio era in ottima salute, suo figlio che era morto invece in un campo di concentramento nel marzo del 1943'.

Avv. Taddei: 'Ora noi non contestiamo al sen. D'Onofrio il diritto di fare la propaganda delle proprie idee. Quello che noi gli neghiamo è il diritto di turbare la coscienza di un ufficiale, di costringerlo a violare un giuramento al quale si sente legato. Noi non riusciamo a comprendere perché D'Onofrio neghi oggi di aver fatto propaganda comunista e si quereli contro chi glielo ricorda. Se ne vergogna forse il sen. D'Onofrio?'.

Il difensore proseguendo nelle accuse, insiste nel rilevare di aver fatto il suo dovere di italiano fino in fondo, ma di non aver mai detto che l'esercito del suo Paese è stato sonoramente battuto da 'un popolo di contadini e di operai', come ha detto D'Onofrio.

Avv. Taddei: 'E allora di che cosa si lamenta? Di che s'offende? Sappiamo tutti che il concetto comunista è che non si può essere antifascisti se non si è comunisti, sappiamo che il motto è: 'chi non è con noi è contro di noi'.

Avv. Paone: 'Ma questo lo diceva Mussolini... Il tuo è un fenomeno di daltonismo mnemonico...'.

Avv. Taddei: 'Lo diceva Mussolini, ma ora lo dite voi... (e poi rivolto all'avv. Mastino Del Rio) e perciò tu, caro Mastino, che hai sofferto in carcere, tu che hai sentito il bastone dei tedeschi, tu no, tu non sei un antifascista...'.

Il difensore dei reduci ha poi esaminate ad una ad una le deposizioni dei testi indotti dalla parte civile, osservando che di essi uno soltanto, il capomanipolo Danilo Ferretti, conobbe D'Onofrio. La maggior parte degli altri sono dei soldati e si sa che i soldati vennero internati in campi di concentramento separati da quelli degli ufficiali, mentre qui si fa il processo alle violenze morali che D'Onofrio commise sugli ufficiali. L'arringa dell’avv. Taddei ha vivamente commosso il pubblico che affolla l'aula soprattutto quando aveva detto all'inizio.

Avv. Taddei: 'Questi ragazzi che avevano superato i limiti della resistenza umana, tornando in Patria erano con il cuore di ghiaccio. Quando voi, Pubblico Ministero, avete chiesto la loro assoluzione, non il loro plauso, ma le loro lacrime, accolsero le vostre parole'.

LA VENTICINQUESIMA UDIENZA.

La parola è sempre all'avv. Taddei il quale ha ancora molte cose da dire, molte precisazioni da fare, molte accuse da demolire. E prima d’ogni altra cosa vuol ricordare un fatto che desta vivissimo interesse in tutti i presenti. Egli ha dichiarato che fu offerta dalla parte avversa, ufficialmente, una transazione. Fu rifiutata. Ma non per spirito combattivo.

Avv. Taddei: 'Noi eravamo disposti a chiedere scusa a D'Onofrio, ma ad una sola condizione: che ci venissero restituiti i nostri fratelli che la Russia trattiene ancora come prigionieri. Ci si rispose che una cosa è il partito comunista e un’altra il governo sovietico. Qualunque condanna avremmo scontato pur di raggiungere questo nostro scopo. Non ci è stato possibile. E allora, perché accettare la transazione che i legali di D'Onofrio erano venuti ad offrirci? Perché avremmo dovuto impedire che il popolo italiano sapesse la verità intorno a quello che successe nei campi di concentramento di Russia? Perché impedire che il popolo si facesse una idea precisa di quello che fu il calvario dei nostri prigionieri?'.

Avv. Taddei: 'A noi sembra, lasciatemelo pur dire, che fin quando fra noi e la Russia rimarranno questi ostaggi, sia molto difficile vi possa essere una effettiva distensione psicologica. Non si cancella il fatto che a distanza di cinque anni dalla cessazione della guerra, alcuni ufficiali, colpevoli solo di essere rimasti sulle loro posizioni d'onore, vengano trattenuti ancora come prigionieri e se ne ignori la sorte. Ecco perché noi non accettammo la transazione propostaci'.

Il posto del sen. D'Onofrio, nel pretorio, è vuoto. Neanche oggi egli ha voluto assistere all'udienza: novello Catilina egli non ha retta alla irruenta oratoria del suo giovane ma implacabile accusatore: il cumulo dei suoi nefandi delitti lo inchioda al banco delle sue tremende responsabilità, lo respinge ai margini della società civile. L'avv. Taddei si è soffermato a lungo ad analizzare le deposizioni dei venticinque testi a discarico. Sette di essi, ha osservato, hanno affermato di essere stati minacciati dal propagandista comunista durante gli interrogatori subiti; dieci hanno raccolto le dichiarazioni del cap. Magnani di ritorno dal campo di punizione di Elabuga, dove (tutti sono stati concordi nell’affermarlo) era stato inviato insieme al ten. Ioli e ad altri ufficiali, per interessamento di D'Onofrio.

Avv. Taddei: 'È riuscita la parte civile a smantellare le accuse formulate dai reduci? Certamente no. Anzi dagli stessi testi d’accusa sono stati ammessi gli interrogatori estenuanti cui i prigionieri venivano sottoposti. E una volta provate le accuse, che cosa interessa se il magg. Orloff era o no ufficiale della polizia di Stato? Egli era un ufficiale dell’armata sovietica, e, in questa sua veste, doveva necessariamente riferire ai propri superiori intorno agli interrogatori cui presenziava'.

Dopo aver confutata ad una ad una le obiezioni mosse da D'Onofrio, l'avv. Taddei ha rievocato la tragica ritirata.

Avv. Taddei: 'Voi, emigrati politici, cercavate di imporre le vostre idee a questi giovani stremati dalle fatiche e dalla fame, minati dalla salute e affranti dal dolore. Voi, per creare l’antifascismo, avete ucciso gli italiani. Ma noi rimaniamo ostinatamente italiani, disperatamente italiani. Molti titoli si sono dati a questo processo: lo si è chiamato dei reduci, come se si potesse fare il processo ai nostri valorosi soldati; lo si è chiamato D'Onofrio. Ma se proprio un titolo gli si vuoi dare, ebbene questo è il processo dell’Italia contro gli antiitaliani'.

L'avv. Taddei si avvia ormai verso la conclusione della sua arringa, ma prima di chiudere il suo dire vuol ricordare ancora il tentativo di violazione di coscienza fatto dal D'Onofrio nei confronti di Don Enelio Franzoni, quando pretese che il cappellano gli rivelasse i più intimi pensieri dei prigionieri che si confidavano a lui nel segreto della confessione. Di questo e dell’aver spedito il cap. Magnani, il ten. Ioli e altri in un campo di punizione, il D'Onofrio si faceva vanto.

Avv. Taddei: 'Innumerevoli offerte giunsero da ogni parte d'Italia, quando si seppe che i reduci avevano necessità assoluta di fondi per poter sostenere il processo che contro di loro aveva intentato il senatore comunista e molte di queste offerte furono accompagnate da lettere di spose, di madri di caduti. Ve ne leggo una per tutte, signori del Tribunale: 'Cari ragazzi, vi manda 204 lire una madre che solo per voi può ancora parlare di Patria ai propri figli'.

Con queste parole il difensore dei reduci ha concluso la sua arringa.

Avv. Taddei: 'Signor Presidente, sotto questa toga lei deve vedere anche il grigioverde, come il grigioverde deve vedere sotto le giacche di civili dei miei ragazzi, i quali, stampando l’opuscolo da cui ha tratto le mosse la causa, non vollero diffamare, ma soltanto compiere il loro ultimo dovere di soldati verso la Patria. Il loro non era un opuscolo di propaganda di partito, era un grido che erompeva dai loro petti, che sgorgava dai loro cuori. Costoro sono i martiri che vengono qui con un dovere: raccontare quello che hanno visto, raccontare meno di quanto hanno sofferto. Non sono dei venduti, i miei ragazzi, sono dei giovani tornati in Patria dopo tanti patimenti col cuore in tumulto, ma riboccante d’amore per il loro Paese. Signori del Tribunale, è l’onore di questo glorioso grigioverde che io ho difeso'.

Alle ultime parole dell’avv. Taddei fa seguito uno straziante singhiozzo e un tonfo sordo nell’aula. Una signora, la madre di uno che non ha fatto ritorno dalla Russia e che dal giorno che ebbe inizio questo processo ne ha seguito pazientemente le fasi, nella speranza di avere una qualche notizia del figlio scomparso, non ha più retto alla tensione di spirito e con un lungo lamento è caduta a terra svenuta. Alcuni carabinieri accorsi immediatamente la sollevano e la portano fuori dall’aula. Soltanto i difensori comunisti possono assistere alla scena con freddo cinismo: gli uomini di Mosca non hanno ormai più nulla di umano nello sguardo e nel cuore.

L’abbraccio fraterno dei suoi patrocinati è stato il miglior premio che Rinaldo Taddei abbia avuto della sua fatica. Gli imputati, appena il loro difensore ha finito di parlare, si sono alzati dal loro banco e sono corsi da lui con le lacrime agli occhi a ringraziarlo per aver saputo dare l'interpretazione più giusta e più vera dei loro pensieri, dei loro dolori. Madri, spose, sorelle, numerosi reduci che avevano assistito al processo fin dalle prime battute, hanno voluto unire il loro all'abbraccio degli imputati e così Taddei si è allontanato dall’aula stretto e circondato da una massa di amici che volevano esprimergli i loro sentimenti di gratitudine e di ammirazione.

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