mercoledì 21 aprile 2021

Un nuovo amministratore

Ho sempre pensato e desiderato di poter condividere e "tramandare" questa mia passione sulla Campagna di Russia ad almeno uno dei miei due figli... dovevo provarci, dovevo farlo per quei ragazzi che coetanei con uno dei miei figli hanno sacrificato la propria vita e non l'hanno potuta vivere. Dovevo spiegargli la differenza fra i suoi 20 anni e i 20 anni di quei ragazzi cresciuti troppo in fretta e morti troppo presto. Questo anche per comprendere l'immenso valore delle cose, così scontate, di tutti i giorni. Nel 2019 è venuto con me in Russia e ha visto con i suoi occhi molto di più di quanto un libro scolastico gli avrebbe potuto raccontare. Con umiltà, come tale situazione richiede, e facendo un po' di "gavetta" sui libri, oggi è finalmente pronto per affiancarmi quale amministratore di questo sito. RICCARDO firmerà con il suo nome i post che pubblicherà, e non posso che augurarmi che sia degno da oggi e per tutto il resto della sua vita di poter parlare di loro.

La guerra sul fronte orientale, parte 5

Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo quinto video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.

Commissione speciale dell'ONU, parte 5

Pubblico la quinta parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

CAPITOLO III.

Nel 1950 il problema viene posto sul tappeto internazionale. La terza Commissione (sociale ed umanitaria) presso l'ONU nelle sedute dal 7 all'11 dicembre, discusse, esaurendola la questione del mancato rimpatrio dei prigionieri di guerra dalla Russia sollevata dalla Gran Bretagna, dall'Australia e dagli Stati Uniti. I delegati dei tre paesi presentarono un progetto di risoluzione ed i testi delle loro dichiarazioni illustrative. L'Assemblea Generale dell'ONU, dopo lunghi dibattiti e laboriose trattative, tra il gruppo delle delegazioni dei paesi presentatori il progetto e numerose altre delegazioni nella seduta plenaria del 14 dicembre 1950, approvò la risoluzione con 43 voti favorevoli, 8 contrari, 6 astenuti.

Alla votazione seguirono le dichiarazioni dei delegati dei paesi del gruppo sovietico i quali ribadirono che l'assemblea generale ponendo e discutendo il ricorso australiano-anglo-americano, aveva commesso una violazione allo statuto delle Nazioni Unite in quanto la questione non rientrava nei limiti della sua competenza. Il delegato dell'URSS ripete ancora che il rimpatrio dei prigionieri di guerra dalla Russia era ormai ultimato da tempo e fece capire chiaramente che il suo governo non si sarebbe conformato alle raccomandazioni contenute nella risoluzione adottata. La risoluzione adottata a conclusione del dibattito consta di un preambolo e di una parte risolutiva.

Col preambolo l'assemblea generale, considerando che tutti i prigionieri di guerra avrebbero dovuto essere rimpatriati da tempo, e ciò in base, sia a norme generali di diritto internazionale, sia ad accordi specifici intervenuti tra gli alleati, espresse la sua inquietudine in presenza delle informazioni comunicatele, tendenti a provare che un numero rilevante di prigionieri catturati nella seconda guerra mondiale non era stato ancora rimpatriato e che nessuna informazione sulla loro sorte era stata data.

La parte risolutiva prevedeva: 1) un primo invito a tutti i governi che detenevano ancora prigionieri di guerra a conformarsi alle regole internazionali riconosciute ed agli accordi stipulati tra gli alleati, nonché a pubblicare ed a comunicare al Segretario Generale delle Nazioni Unite entro il 30 aprile del 1951: a) i nomi dei prigionieri di guerra ancora detenuti, la ragione della loro detenzione e l'indicazione della località ove si trovavano; b) i nomi dei prigionieri deceduti in prigionia, nonché la data, la località e la causa della loro morte. 2) la creazione da parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite di una commissione di tre persone qualificate ed imparziali, designate dalla Croce Rossa Internazionale o, in difetto dal Segretario Generale stesso al fine di risolvere la questione dei prigionieri di guerra in un senso puramente umanitario e secondo condizioni che potessero essere accettate da tutti i governi interessati. 3) un secondo invito ai governi di fare ogni possibile sforzo per ricercare, in base alla documentazione fornita, i prigionieri di guerra la cui presenza sarebbe stata segnalata e potrebbero trovarsi nei rispettivi territori.

La Croce Rossa Internazionale informata della proposta, declinò l'incarico della designazione delle persone che avrebbero dovuto comporre la commissione, a cui provvide il Segretario Generale dell'ONU nominando: Giudice Jose Gustavo Guerrero del San Salvador, Vice Presidente della Corte Internazionale di Giustizia - PRESIDENTE; Contessa Manville Bernadotte della Svezia, vedova del Conte Bernadotte - MEMBRO; Giudice Aung Kine della Birmania - Giudice della Alta Corte di Giustizia di Rangoon - MEMBRO.

Al primo invito della risoluzione adottata dall'Assemblea Generale dell'O.N.U. il 14-12-1950, il Governo Italiano dava incarico al Ministero della Difesa di approntare, nei termini previsti dalla richiesta del Segretario Generale dell'O.N.U., la documentazione sui prigionieri e dispersi italiani in Russia. L'imponente lavoro venne affidato all'Ufficio Ricerche Dispersi e Stato Civile dello stesso Ministero e seguito con viva attenzione dall'allora Sottosegretario di Stato alla Difesa On. Luigi Meda, che successivamente venne dal Governo designato quale Delegato Italiano presso la Commissione Speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra.

Con la collaborazione dell'Ambasciata d'Italia a Mosca e degli Enti militari e civili territoriali, l'Ufficio raccolse, vagliò, coordinò i dati e le notizie relative ai prigionieri in Russia e forni all'ONU la prima documentazione, accompagnandola con un memoriale a titolo di prefazione, suddivisa in tre volumi: 1) Cronistoria sommaria individuale dei militari italiani, la cui esistenza in Russia, riferita ad una determinata data era sostenibile sulla base di due elementi di prova. 2) Cronistoria sommaria individuale dei militari italiani, la cui esistenza era sostenibile da un solo elemento di prova. 3) Cronistoria sommaria individuale dei militari italiani trattenuti dalle autorità sovietiche per presunti crimini di guerra. Successivamente inviò all'ONU un elenco, ordinato in 8 volumi, dei militari italiani non risultanti deceduti e che non dettero mai loro notizie.

Nel 1951, ai primi di agosto, la Commissione si riunì in Ia Sessione privata nel Palazzo delle Nazioni Unite a New Jork. La nostra Rappresentanza Diplomatica presso le Nazioni Unite al termine dei lavori, ebbe un colloquio col Presidente Guerrero e dette le seguenti informazioni: A causa del disappunto della stampa e qualche critica, la Commissione ha deciso di tenere segreti i suoi lavori al fine di non creare un'atmosfera di speculazione e di conseguenti irritazioni politiche. Infatti il primo obiettivo che si propose la Commissione fu quello di togliere possibilmente l'intera questione dei prigionieri di guerra dalla piattaforma politica dalla quale era sorta e di trasferirla su una base umanitaria, spunto preciso che offri la risoluzione dell'Assemblea Generale del 14-12-1950.

Non erano da farsi troppe illusioni poiché la posizione russa era stata precisata ufficialmente più volte e non era quindi da ritenersi una sua modifica. Comunque si senti doveroso tentare di seguire una procedura che consentisse alla Russia, senza una aperta perdita di prestigio, di cooperare al rientro dei prigionieri e di dar conto di quelli che non sarebbero più tornati. Venne comunicato poi che la prossima riunione della Commissione si sarebbe tenuta nel gennaio 1952. Nel 1952 la Commissione infatti, dopo preliminari contatti avuti con le Delegazioni dei Paesi invitati, inaugurò i suoi lavori il 22 gennaio nel Palazzo dell'O.N.U. a Ginevra.

Erano presenti le Delegazioni di: Australia, Francia, Belgio, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e Stati Uniti ad eccezione dell'U.R.S.S. L'assenza dell'U.R.S.S. era stata generalmente prevista quantunque la Commissione avesse sperato sino all'ultimo momento in un suo intervento. La notizia creò negli ambienti delle Delegazioni un'atmosfera di pessimismo circa le effettive possibilità di un concreto lavoro della Commissione, che cercò di dissipare tale atmosfera ritenendo il rifiuto sovietico non categorico e sperando in una futura sua collaborazione.







giovedì 15 aprile 2021

Direttive dell'Operazione Barbarossa

Quale spunto storico per comprendere gli avvenimenti della Seconda guerra mondiale, l'Operazione Barbarossa e la nostra partecipazione alla Campagna di Russia, pubblico il testo completo de IL PIANO D'INVASIONE TEDESCO.

L'operazione Barbarossa dell'O.K.W. (Ober kommando der Wehrmacht).

Il Fuhrer e Comandante in Capo delle forze armate. OKW. WFSt. Abt. L. nr 33 408-40 g K Chefs. Segreto militare (Geheime Kommandosache) Segretissimo (Chef Sache).

Quartier Generale del Fuhrer - 18 dicembre 1940. Solo a mezzo di Ufficiali.

Le forze armate tedesche devono essere preparate a schiacciare la Russia sovietica con una rapida campagna (operazione Barbarossa) anche prima della guerra contro l'Inghilterra. A questo scopo l'esercito dovrà far uso di tutte le unità disponibili con il vincolo che i territori occupati devono essere comunque protetti contro eventuali attacchi di sorpresa.

L'aviazione dovrà rendere disponibili per la campagna in oriente per l'appoggio dell'esercito quelle forze che saranno necessarie per il completamento delle operazioni di terra in misura tale da ridurre al minimo il danno alla Germania orientale da attacchi aerei nemici. Lo sforzo principale della Marina rimarrà inequivocabilmente diretto contro l'Inghilterra anche durante la campagna orientale. Ordinerò la concentrazione contro la Russia sovietica possibilmente otto settimane prima dell'inizio fissato per le operazioni.

I preparativi che richiedono più tempo devono essere iniziati ora - se questo non è ancora stato fatto - e essere completati entro il 15 maggio 1941. È di decisiva importanza però, che l'intenzione di attaccare non venga scoperta. I preparativi degli alti comandi devono essere fatti sulle seguenti basi:

Il grosso dell'esercito russo nella Russia occidentale deve essere distrutto in operazioni ardite, spingendo avanti cunei corazzati e impedendo la ritirata di unità capaci di combattere nell'immenso territorio russo. Con una rapida avanzata bisognerà raggiungere una linea della quale l'aviazione russa non sia più in grado di attaccare il territorio del Reich tedesco.

L'ultimo obbiettivo dell'operazione è di stabilire una linea di difesa contro la Russia asiatica secondo un tracciato che vada approssimativamente dal Volga ad Arcangelo. Allora, in caso di necessità, l'ultima zona industriale rimasta alla Russia negli Urali potrà essere eliminata dalla Luftwaffe. Bisogna prevenire un intervento efficace dell'aviazione russa fin dal principio delle operazioni con colpi possenti.

1) Come fiancheggiamento delle nostre operazioni possiamo contare sulla partecipazione attiva della Romania e della Finlandia nella guerra contro la Russia sovietica. L'alto comando a tempo debito concerterà e determinerà in quale forma le forze armate dei due paesi saranno poste sotto il comando tedesco al momento del loro intervento.

2) Sarà compito della Romania, unitamente alle forze là concentrate, di tener impegnato il nemico che la fronteggia e inoltre di rendere servizi ausiliari nelle retrovie.

3) La Finlandia proteggerà il concentramento del gruppo e il nuovo schieramento nord tedesco (parti del XXI gruppo) proveniente dalla Norvegia e opererà in unione a detto gruppo. Inoltre alla Finlandia verrà assegnato il compito di eliminare Hango.

4) Ci si può attendere che le strade e le ferrovie della Svezia siano a disposizione per il concentramento del gruppo nord tedesco dall'inizio delle operazioni fino alla fine.

Compiti.

A. Esercito (approvando con ciò i piani che mi sono stati presentati):

Nella zona di operazioni divisa dalle paludi del Pripet in settore sud e nord, lo sforzo massimo deve essere fatto a nord di questa zona. Due gruppi d'armate vi saranno riuniti. Il gruppo sud di questi due gruppi d'armate - il centro dell'intero fronte - avrà il compito di annientare le forze nemiche nella Russia Bianca avanzando nella regione intorno a Varsavia e a nord della città con speciali unità motorizzate e corazzate. Si deve poi creare la possibilità di deviare verso il nord forti unità mobili in modo di annientare le forze nemiche combattenti sul Baltico, in collaborazione col gruppo d'armata nord operante dalla Prussia orientale in direzione generale di Leningrado. Solo dopo aver portato a termine questo compito importantissimo che deve essere seguito dall'occupazione di Leningrado e di Kronstadt le operazioni offensive devono mirare all'occupazione dell'importante nodo di traffico e strategico di Mosca.

Solo un eccezionalmente rapido crollo della resistenza russa potrebbe giustificare la marcia simultanea verso i due obbiettivi. Il compito più importante del XXI gruppo, anche durante le operazioni orientali, deve essere la protezione della Norvegia. Le forze disponibili supplementari devono essere impegnate nel nord (armata alpina) prima per assicurarsi la regione di Petsamo, le sue miniere e la via verso l'oceano Artico, e poi per avanzare unitamente alle forze finlandesi contro la ferrovia di Murmansk e impedire il rifornimento della regione di Murmansk per via di terra. Dipenderà dalla buona volontà della Svezia di Concedere le ferrovie per questo concentramento e la possibilità di condurre tale operazione nella zona di Rovaniemi e a sud di essa con forze tedesche piuttosto forti (2 o 3 divisioni).

Il corpo principale dell'esercito finlandese avrà il compito, in coordinamento coll'avanzata del fianco nord tedesco, di impegnare notevoli forze russe attaccando ad ovest del lago Ladoga, oppure sulle due sponde del lago e di impossessarsi di Hango. Il gruppo d'armate impiegato a sud delle paludi del Pripet deve concentrare tutto il suo sforzo nella zona che si estende da Lublino in direzione di Kiev, in modo da penetrare rapidamente e con forti unità corazzate nel fianco e alle spalle delle forze russe e spingere lungo il fiume Dnieper.

I gruppi tedesco-romeni sul fianco destro hanno il compito di: a) proteggere il territorio romeno e quindi il fianco sud dell'intera operazione; b) impegnare le opposte forze nemiche mentre il gruppo d'armate sud attacca sul fianco nord e, secondo lo sviluppo progressivo della situazione e in collaborazione coll'aviazione, impedire la loro ritirata ordinata attraverso il Dniester durante l'inseguimento; c) raggiungere Mosca rapidamente.

B. Aviazione e Marina.

La conquista di Mosca significa un successo decisivo politicamente e economicamente, e inoltre, l'eliminazione del più importante centro ferroviario. Il suo compilo sarà di paralizzare ed eliminare per quanto possibile l'intervento dell'aviazione russa e di appoggiare l'esercito nei punti di massimo sforzo, particolarmente quelli del del gruppo d'armate di centro e, sul fianco, quelli del gruppo d'armate sud. Le ferrovie russe, in ordine di importanza per le operazioni, saranno interrotte, oppure gli obbiettivi vicini più importanti (passaggi di fiume) saranno occupati coll'ardito impiego di truppe avio-trasportate e paracadutate.

Per concentrare tutte le forze contro l'aviazione nemica e dare un concorso immediato all'esercito, l'industria bellica non sarà attaccata durante le operazioni principali. Solo dopo il completamento delle operazioni mobili si potranno prendere in considerazione simili attacchi, soprattutto contro la regione degli Urali. Il compito della marina contro la Russia sovietica è, provvedendo al tempo stesso alla sicurezza delle nostre coste, di prevenire una fuga delle unità navali nemiche dal mar Baltico. Siccome la flotta russa del mar Baltico, una volta che noi fossimo giunti a Leningrado, si troverà privata della sua ultima base e sarà quindi in una situazione disperata, si dovrà evitare qualsiasi operazione navale su più larga base fino a quel momento.

Tutti ordini emanati dai comandanti in capo sulle basi di queste direttive devono chiaramente indicare che esse sono misure precauzionali per l'eventualità che la Russia possa mutare il suo presente atteggiamento verso di noi. Aspetto i rapporti dei comandanti in capo riguardanti i loro piani futuri basati su queste direttive. I preparativi in atto di tutti i rami delle Forze armate e il loro relativo progresso mi devono essere riferiti attraverso l'alto comando (OKW).

Commissione speciale dell'ONU, parte 4

Pubblico la quarta parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

Al quesito posto dalle donne italiane sull'andamento del rimpatrio dei cittadini italiani dall'URSS, il generale Golubev dette le seguenti precisazioni: "Il rimpatrio degli italiani è stato iniziato nell'agosto 1945 per iniziativa del governo sovietico... sono stati liberati ed inviati in Italia 21.097 prigionieri italiani di guerra presi con armi in mano sui campi di battaglia dalle truppe dell'esercito sovietico. Tutte queste persone sono state consegnate in diverse epoche ai rappresentanti del governo americano oppure inglese, oppure a rappresentanti italiani, per l'ulteriore avviamento in Italia. Questo rimpatrio veniva effettuato, come a voi deve essere noto molto rapidamente. In appena tre mesi la massa principale degli italiani è stata rimpatriata. La consegna di tutti i cittadini italiani veniva fatta con liste speciali dove erano indicati i loro nomi e contro verbali che venivano firmati da ambedue le parti. Per tutti i prigionieri di guerra italiani consegnati in diversi tempi dagli organi di rimpatrio noi abbiamo i rispettivi verbali e gli elenchi nominativi. Nel giugno 1947 gli organi di rimpatrio hanno consegnato 10 prigionieri di guerra al rappresentante politico del governo italiano a Vienna ed in questi giorni nel territorio dell'URSS trovassi sei persone le quali vengono avviale in Italia. In tal modo tutti i cittadini italiani e gli ex prigionieri di guerra sono stati rimpatriati, tranne alcune persone, nei riguardi delle quali viene condotta una inchiesta giudiziaria per accusa di atrocità da loro commesse contro la popolazione civile nel territorio dell'URSS, durante la guerra. Gli organi sovietici, eseguendo la decisione del proprio governo circa il rimpatrio di tutti gli italiani, compresi anche i prigionieri di guerra, hanno preso tutte le misure affinché il rimpatrio venga ultimato nel più breve tempo possibile ". (dalla «Pravda» del 10 Agosto 1947, pagina 4).

Il nostro ambasciatore a Mosca prendendo lo spunto dall'intervista tra il generale Golubev e le donne italiane, chiese al vice ministro Malik di poter parlare col generale qualora il governo lo ritenesse utile. Con la richiesta, il nostro Ambasciatore assicurò che non intendeva affrontare tutta la questione ma semplicemente, partendo dalla dichiarazione del Generale Golubev, di venire in possesso delle liste nominative complete dei prigionieri restituiti per un controllo con quelle compilate dal Governo italiano al rimpatrio dei prigionieri stessi. Il colloquio purtroppo non ebbe mai luogo. I comitati dei congiunti dei dispersi di più regioni d'Italia fecero intanto pervenire al Governo l'eco della voce angosciata di migliaia di familiari che chiedevano insistentemente di conoscere la sorte toccata ai loro cari, non ancora tornati dalla Russia e domandavano di conoscere dal Governo i nomi dei prigionieri catturati, quelli di essi rinchiusi in campi di concentramento, l'elenco dei morti, quello dei rimpatriati e quello dei trattenuti per crimini di guerra od altre cause.

A queste sollecitazioni non si poté purtroppo che dare assicurazione dell'effettivo e costante lavoro diplomatico già in atto, il quale incontrava però sempre maggiore intransigenza da parte russa che riteneva inutile l'inoltro di nuove richieste su presunti prigionieri di guerra in Russia, la cui restituzione era stata completata da un anno. Tale affermazione non tardava però ad essere smentita nella maniera più categorica, col rimpatrio, verificatosi poco dopo, di un gruppetto di italiani, 4 ufficiali e 1 sottufficiale. Rimpatri che, anche dopo altre affermazioni del genere si verificarono per prigionieri che nulla avevano a che vedere col gruppo dei presunti criminali di guerra che le autorità sovietiche avevano segnalato trattenuto.

Nel 1948 si intensificò e si ampliò il complesso lavoro già in atto per la ricerca di quelle notizie che costantemente ci furono negate dalle autorità sovietiche. Si porto a termine l'esame degli interrogativi dei nostri reduci dalla Russia, traendo tutti gli elementi con i quali smentire l'affermazione dell'inesistenza di altri prigionieri nell'URSS. Si intensificò il servizio delle ricerche da parte del servizio italiano della Croce Rossa Internazionale attraverso la Croce Rossa e Mezzaluna Rossa sovietiche. Si ricercò la collaborazione del servizio informazioni, dei reduci, con le Croci Rosse germaniche, svedese, olandese, belga e del Comitato dei vecchi combattenti francesi. Si chiese il contributo di tutti i cittadini italiani interessati o non al problema, degli enti militari e civili, delle associazioni varie, senza distinzione di idee o colore politico.

A tal proposito non mancarono gli appelli di desolati genitori a uomini politici, che per la loro ideologia, meglio avrebbero potuto ottenere di conoscere sulla sorte dei loro figli. Le risposte non furono delle più incoraggianti e meno ancora si dette speranza comunque di un interessamento. Nel 1949, ripetuti altri tentativi per ottenere dalle autorità sovietiche notizie di chiarificazione del problema, non ebbero esito. Intanto in Germania avveniva il rimpatrio di circa 250.000 prigionieri tedeschi dai campi di prigionia dell'URSS. Da parte italiana non si mancò l'occasione di poter ottenere da questi reduci, informazioni sul conto degli italiani incontrati in prigionia. L'esortazione fu accolta con molta solidarietà e la radio della Germania Occidentale diffuse in diversi servizi e per più giorni un appello ai reduci tedeschi invitandoli a far pervenire all'ufficio ricerche della Croce Rossa di Monaco di Baviera tutte le notizie sull'esistenza di prigionieri italiani lasciati nei campi di concentramento dell'URSS.

Il servizio, pur avendo incontrato sensibili difficoltà per il fatto che i reduci tedeschi difficilmente potevano ricordare con esattezza nomi di italiani e meno ancora avrebbero potuto annotarli su carta o qualsiasi altro oggetto, pena, se scoperti, il sequestro e la ritorsione con il rinvio del rimpatrio, dette qualche risultato. Infatti si poté stabilire che pur non essendovi indizi della presenza in Russia di un gran numero di prigionieri italiani, quelli per lo meno incontrati potevano calcolarsi ad un centinaio, sparsi nei campi, occupati in lavori, impieghi ed ammaestramenti che li tenevano isolati dal mondo intero.

La lamentata intransigenza dell'Unione sovietica nel negare ogni collaborazione al problema dei prigionieri dispersi, il persistente ed ostinato rifiuto di chiarire con dati ufficiali la sorte di questi militari e la perentoria affermazione che la questione doveva considerarsi chiusa, erano dall'URSS tenuti anche nei confronti della Germania e del Giappone, che annoveravano masse imponenti di dispersi e prigionieri e, in minore misura da altri Stati ex belligeranti nemici ed alleati dell'URSS; come la Francia, il Belgio, l'Austria, il Lussemburgo, l'Olanda, la Polonia, la Romania, l'Ungheria, la Bulgaria, ecc. Ovunque sorsero Associazioni alle quali giunsero domande angosciose di milioni di famiglie che chiedevano notizie dei loro congiunti non ancora tornati in Patria e le associazioni invocavano un maggior interessamento dai rispettivi governi, che prospettarono il problema alla massima organizzazione internazionale - l'O.N.U. - perché avocasse a sé l'intera questione e ricercasse i mezzi per pervenire ad una soddisfacente soluzione.



mercoledì 14 aprile 2021

Il Patto Molotov-Ribbentrop del 1939

Quale spunto storico per comprendere gli avvenimenti precedenti la Seconda guerra mondiale, l'Operazione Barbarossa e la nostra partecipazione alla Campagna di Russia, pubblico il testo completo de IL PATTO RIBBENTROP-MOLOTOV (1939).

Precedenti del Patto di non aggressione tedesco-sovietico.

Il ministro degli Esteri del Reich telegrafava in data 14 agosto 1939 all'ambasciatore tedesco nell'Unione Sovietica (Schulenburg). "Personale per l'ambasciatore. La prego di parlare col Signor Molotov personalmente e comunicargli quanto segue:

1) I contrasti ideologici tra la Germania, nazionalsocialista e l'Unione Sovietica costituivano in passato l'unica ragione perché la Germania e l'U.R.S.S. si trovassero l'una contro l'altra in due campi separati e ostili, Gli sviluppi recenti sembrano mostrare che diverse concezioni mondiali non impediscono ragionevoli relazioni tra due Stati, e il ristabilimento della cooperazione su una base nuova ed amichevole. Il periodo di opposizione nel campo della politica estera può essere fatto cessare immediatamente e per sempre, aprendo cosi la via a un nuovo avvenire per ambedue i paesi.

2) Non esiste alcun reale conflitto di tra la Germania e l'U.R.S.S. Gli spazi vitali della Germania e dell'U.R.S.S. si toccano, ma non si urtano tra loro nelle naturali esigenze. In tal modo manca ogni causa di atteggiamento aggressivo da parte di un paese verso l'altro. La Germania non nutre alcuna intenzione aggressiva verso l'U.R.S.S. Il governo del Reich è dell'opinione che non vi sia alcuna questione tra il Baltico e il Mar Nero che non possa venir definita con la completa soddisfazione dei due paesi. Tra di esse vi quelle riguardanti il Mar Baltico, la zona baltica, la Polonia, i problemi sud-orientali, ecc. In tali questioni la cooperazione politica tra i paesi potrà essere di benefico effetto. Lo stesso si dica per l'economia tedesca e russa che potranno venir estese in qualsiasi direzione".

Dopo aver deplorato per parecchi anni i due Paesi si vollero guardare con diffidenza, Ribbentrop assicura tuttavia che "anche durante questo periodo la naturale simpatia dei tedeschi per i russi non è mai stata soffocata". Il ministro degli Esteri tedesco con la sua consueta grossolanità ricorda che "nel 1914 la politica di guerra contro la Germania ebbe risultati disastrosi per la Russia". Molotov avrebbe potuto rispondergli che fra questi risultati c'era anche stata la rivoluzione rossa e la vittoria del bolscevismo!

Testo del Patto.

Il governo del Reich tedesco e il governo delle Repubbliche Socialiste Sovietiche desiderosi di rafforzare la causa della pace tra la Germania e l'URSS e basandosi sulle disposizioni fondamentali del trattato di neutralità concluso nell'aprile del 1926 tra la Germania e l'URSS, hanno stipulato il seguente accordo:

Art. 1) Le due parti contraenti si impegnano ad astenersi reciprocamente da qualsiasi atto di violenza, da qualsiasi azione aggressiva e da qualsiasi attacco, sia isolatamente sia insieme ad altre potenze.

Art. 2) Oualora una delle Alte Parti contraenti divenisse oggetto di azione bellica da parte di una terza potenza, l'altra Alta Parte contraente non dovrà in alcun modo appoggiare tale terza potenza.

Art. 3) I governi delle due Alte Parti contraenti manterranno in futuro continuo contatto tra di loro onde consultarsi allo scopo di scambiarsi informazioni su problemi concernenti i loro comuni interessi.

Art. 4) Nessuna delle due Alte Parti contraenti parteciperà a qualsiasi coalizione di potenze che direttamente o indirettamente sia rivolta contro l'altra parte.

Art. 5) Qualora sorgano dispute o conflitti tra le Alte Parti contraenti su problemi di qualsiasi natura, le due Parti procederanno alla loro composizione esclusivamente attraverso, uno scambio amichevole di vedute oppure, se necessario, attraverso la creazione di commissioni arbitrali.

Art. 6) Il presente trattato viene concluso per un periodo di dieci anni con l'intesa che, fintanto che una delle Alte Parti contraenti non lo denunci un anno prima dello spirare di tale periodo, la sua validità venga automaticamente rinnovata per altri cinque anni.

Art. 7) Il presente trattato verrà ratificato entro il più breve termine possibile. Le ratifiche verranno scambiate in Berlino. L'accordo entrerà in vigore al momento della firma.

Fatto in duplice copia, nelle lingue tedesca e russa.

Mosca, 23 agosto 1939 - Per il governo del Reich tedesco: Von Ribbentrop. Coi pieni poteri del governo dell'URSS: V. Molotov.

Protocollo aggiuntivo.

In occasione della firma del patto di non aggressione tra il Reich tedesco e l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche i sottoscritti plenipotenziari di ciascuna delle due parti hanno discusso in conversazione strettamente confidenziale la questione dei confini delle loro rispettive sfere di influenza nell'Europa orientale. Tali conversazioni hanno condotto alle seguenti conclusioni:

1. Nell'eventualità di una nuova sistemazione territoriale e politica nei territori appartenenti agli Stati baltici (Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania), la frontiera settentrionale della Lituania rappresenterà il confine delle sfere di influenza della Germania e dell'URSS. A questo riguardo l'interesse della Lituania nella zona di Vilna viene riconosciuto da ambo le parti.

2. Nell'eventualità di una nuova sistemazione territoriale e politica dei territori appartenenti allo Stato polacco, le sfere di influenza della Germania e dell'URSS verranno delimitate approssimativamente dalla linea dei fiumi Narev, Vistola e San. La questione se gli interessi delle due parti rendano desiderabili il mantenimento di uno Stato indipendente polacco e quali confini dovrebbe avere un tale Stato, potrà venire definitivamente accesa solo nel corso degli ulteriori sviluppi politici. In ogni caso i due governi risolveranno questa questione a mezzo di un accordo pacifico.

3. Riguardo all'Europa sud-orientale la parte sovietica richiama l'attenzione sui suoi interessi in Bessarabia. La parte tedesca dichiara il suo completo disinteresse politico su tali territori.

4. Questo protocollo verrà considerato da ambo le parti come segretissimo.

Mosca, 23 agosto 1939: Per il governo del Reich tedesco: von Ribbentrop. Plenipotenziario del governo dell'URSS: V. Molotov.

Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 10

Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - Lo schieramento sul Woltschja e l'attacco di Pawlograd (9-11 ottobre 1941).

Commissione speciale dell'ONU, parte 3

Pubblico la terza parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

CAPITOLO II.

Non é il caso di dilungarsi sull'azione politica e diplomatica degli organi governativi, iniziata fin dal 1943, poi attenuata e quindi ripresa con maggior interesse, perché non è questa la sede adatta e perché non si avrebbe la necessaria competenza. Comunque, per quanto è dato conoscere, si peccherebbe di insincerità se non si desse atto agli interventi del Governo, in ogni epoca ed in ogni occasione, per avere dal Governo sovietico notizie atte a chiarire il doloroso problema dei nostri prigionieri. Si riassumono gli avvenimenti di maggior rilievo che risultano aver dato motivo di costante e graduale interessamento alla ricerca di notizie. Nel 1943 purtroppo esse furono vaghe e scarse a causa della situazione politica e militare del nostro paese.

Solo da una intervista con persona che abitò nell'URSS per lungo tempo, si ebbe qualche riferimento sulla situazione dei nostri prigionieri, i quali potevano considerarsi divisi in due categorie: quelli ristretti nei campi di concentramento e quelli dispersi per il vasto territorio delle repubbliche sovietiche. Ai campi arrivarono quelli che riuscirono a superare le lunghe marce di trasferimento nel clima rigidissimo dell'inverno, malvestiti ed ancor peggio nutriti. Gli altri meno resistenti si adattarono volontariamente a lavorare in case di contadini russi. I primi, ma non tutti, hanno potuto dare notizie, scrivendo alle famiglie dai campi di concentramento o attraverso messaggi trasmessi da Radio Mosca, per i secondi le notizie furono più difficili giacché essi stessi cercarono di sottrarsi al controllo ufficiale, per tema di persecuzioni e maltrattamenti. La posta dei prigionieri funzionò, sia pure in modo non regolare fino al settembre del 1943 e poi non fu più inoltrata, mentre Radio Mosca continuò periodicamente e fino al Natale del 1945 a trasmettere i messaggi di alcune decine di migliaia di prigionieri; messaggi captati in gran parte dalla Radio Vaticana e comunicati alle famiglie.

Nel 1944, con la Costituzione del nuovo Governo Italiano ebbe inizio l'azione di ricerca di notizie e le richieste ufficiali al Governo russo per conoscere essenzialmente il numero ed i nomi dei prigionieri catturati dalle truppe sovietiche ed internati nei campo dell'URSS. La Presidenza del Consiglio dei Ministri invitò il Signor Kostilev - addetto militare russo presso la Commissione Alleata in Italia - ad interessare il suo governo perché fornisse l'elenco dei prigionieri italiani e consentisse loro di scrivere alle famiglie, ma l'esito fu negativo. Uguale richiesta venne inoltrata per via diplomatica dal Ministero degli Affari Esteri Italiano, ma con uguale risultato. Si tentò di avere notizie attraverso un Ministro italiano dell'epoca facente parte del Governo e che era stato per vari anni nell'URSS; nel colloquio avuto con l'Alto Commissario per i prigionieri di guerra egli poté solo riferire: "Ho visitato un campo di nostri prigionieri di guerra in Russia, campo misto di ufficiali e soldati. Stavano discretamente bene. I nostri prigionieri hanno sofferto molto freddo. Da quanto mi risulta molti nostri soldati sono morti. Non so precisare il numero dei nostri prigionieri in Russia".

Seguirono altre due identiche richieste attraverso la nostra rappresentanza diplomatica a Mosca e all'Ambasciata dell'URSS a Roma ma nessuna risposta; le autorità sovietiche rimasero sorde anche all'appello della stampa italiana, che, facendo eco alle richieste del nostro Governo e del popolo italiano cosi si rivolgeva al popolo russo: "Dare una notizia che, nelle condizioni di tutti i popoli, non si nega neppure ad un nemico, è atto di umanità, di carità, di solidarietà tanto più non si può negare ad una nazione amica che combatte la stessa guerra". In un colloquio tra l'Alto Commissario per i prigionieri di guerra ed il Colonnello russo Jacolev, si ebbero scarse notizie. L'alto ufficiale russo, premettendo di non avere specifiche e precise notizie sui nostri prigionieri asserì che i prigionieri italiani in Russia erano trattati bene, che non era da escludersi che alcuni di essi fossero ospitati da famiglie russe, che si stavano preparando a cura della nostra Ambasciata a Mosca gli elenchi da comunicare al Governo italiano e che i prigionieri stessi sarebbero stati rimpatriati in un prossimo futuro. Il rimpatrio di parte dei prigionieri si verificò, ma gli elenchi di tutti i prigionieri non giunsero mai.

Quanto fin qui brevemente esposto, formò oggetto di un promemoria dell'Alto Commissariato per i prigionieri di guerra italiani al Segretario Generale della Confederazione Italiana del Lavoro, perché nella sua missione in Russia potesse svolgere opera certamente meritoria nei contatti con le personalità sovietiche particolarmente interessate al problema, allo scopo di ottenere: - le liste nominative dei nostri connazionali; - l'organizzazione di un scambio di corrispondenza tra essi e le loro famiglie in Italia; - informazioni circa il loro trattamento e protezione dei loro interessi sulla base della convenzione di Ginevra; - attuazione degli stessi criteri adottati dai governi inglese ed americano per il rimpatrio di quelli rientranti in determinate categorie: ammalati, anziani età, ecc. Pur tenendo presente che la Russia non aderì alla Convenzione Internazionale di Ginevra del 1929, si sperava che essa si sarebbe indubbiamente attenuta all'osservanza di quelle norme umanitarie e di diritto internazionale che ogni paese civile si onorava di rispettare.

Ciò anche perché per quanto si riferiva particolarmente alle liste dei prigionieri e dei caduti era intervenuto un accordo reciproco di scambio di notizie che, nel 1942, secondo il Governo russo, l'Italia avrebbe denunciato per inadempienza da parte sovietica. Che il Governo Italiano non intendesse comportarsi in tal senso fu provato dal fatto che la Commissione Interministeriale - l'unica che avesse veste di agire in nome del Governo - nella sua seduta del 3 luglio 1942 decise di interessare il Ministero degli Esteri perché a mezzo della potenza detentrice e degli stessi alleati dell'U.R.S.S. tentasse di ottenere da parte delle autorità sovietiche l'esecuzione dell'obbligo intervenuto col Governo Italiano. Pertanto la pretesa sovietica non trovò appoggio legale e denunciò palesemente l'intenzione di volere con essa mascherare un rifiuto, troppo contrario ad ogni forma di legalità e di giustizia. Si sconosce quanto abbia potuto fare in proposito il Segretario della C.G.I.L. (On. Di Vittorio) nel corso della sua missione in Russia compiuta nel 1945. Comunque al suo rientro in Italia si è potuto sapere solo che in Russia vi erano circa 20 mila italiani in procinto di rimpatriare: notizia già nota per comunicazione delle stesse autorità sovietiche.

Nel settembre 1945 ebbero inizio i rimpatri che si conclusero nell'ottobre del 1946 per un totale complessivo di 10.030 fra ufficiali e militari di truppa appartenenti all'ARMIR. Affluirono ai Centri Alloggi dell'Italia Settentrionale dai valichi del Brennero e di Tarvisio, provenienti dalla Germania e dall'Austria ove furono presi in consegna dalle autorità militari alleate che li ricevettero dai russi numericamente: solo uno scaglione fu preso in consegna il 7 luglio 1946 da un rappresentante italiano in Austria e comprendeva circa 550 ufficiali per la maggior parte dell'ARMIR e pochi sottufficiali; solo uno scaglione di 145 prigionieri giunse in Italia con il ruolino di marcia - lista nominativa - consegnata all'ufficiale più elevato in grado dello stesso scaglione all'atto della partenza per il rimpatrio. Il modo col quale fu effettuato il rimpatrio dei nostri prigionieri evidentemente non fu normale e nella sua sollecita improvvisazione sorprese le nostre autorità che avrebbero gradito inviare proprie commissioni di controllo in Germania ed in Austria per ricevere i reduci dai russi.

Ne conseguì che l'opinione pubblica italiana ritenne di ravvisare nell'iniziativa russa una procedura apprezzabile per la sollecitudine e la buona volontà manifestata nella restituzione dei prigionieri, ma allo stesso tempo poco chiara, quasi che l'iniziativa stessa volesse mascherare e confondere la provenienza dei prigionieri restituiti che infatti risultarono solo per metà quelli appartenenti all'ARMIR, mentre l'altra metà si riferiva a prigionieri in Germania. Perciò al governo sovietico non dovette meravigliare se la sua nota dichiarazione del 27 novembre 1946 con la quale annunziò ultimato il rimpatrio dei prigionieri italiani, fu, a suo avviso, colta dall'opinione pubblica italiana con poco entusiasmo e con scarsa riconoscenza per l'atto di benevolenza dimostrata dall'URSS nell'aver provveduto d'iniziativa al rimpatrio degli italiani.

Sta di fatto che ancora oggi rimane il dubbio sui 21.065 prigionieri che le autorità sovietiche avrebbero rimpatriato fra quelli che essi sostennero di aver catturato nella battaglia del Don e che il generale Golubev asserì che furono presi con le armi in pugno. L'uno e l'altra affermazione avrebbero dovuto far ritornare in Italia 21.065 prigionieri italiani dell'ARMIR mentre ne giunsero 10.030 e mai fu possibile dirimere tale atroce dubbio per il quale sarebbe stato sufficiente avere gli elenchi nominativi dei reduci componenti i singoli scaglioni. Elenchi che le autorità sovietiche sostennero di aver consegnato alle autorità alleate all'atto del passaggio in consegna dei prigionieri italiani da rimpatriare e dei quali ne conservavano copia per ricevuta. Purtroppo tali elenchi non sono mai giunti né le autorità alleate che all'epoca ricevettero in consegna i prigionieri italiani hanno potuto, a distanza di tempo, precisare sulla loro esistenza e consegna da parte delle autorità russe.

Comunque, se é vero che le autorità sovietiche dispongono tuttora di copie di detti elenchi, non si comprende perché si ostinano a non rimetterle al governo italiano che ripetutamente ha fatto richiesta. Ostinazione mantenuta anche quando ad una richiesta di rimborso delle spese sostenute per il rimpatrio di detti prigionieri si assicurò che da parte italiana si sarebbe provveduto al pagamento purché le autorità sovietiche avessero rimesso l'elenco nominativo dei prigionieri italiani rimpatriati. Nel 1947 una delegazione di donne italiane si recò nell'URSS ed ebbe modo di far visita al vice delegato del consiglio dei ministri dell'URSS per gli affari di rimpatrio tenente generale K. D. Golubev.

martedì 13 aprile 2021

Ricordi, parte 16

A volte è una traccia, un solco nella neve da seguire per ore e ore nel nulla...

Commissione speciale dell'ONU, parte 2

Pubblico la seconda parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

Perciò dalla perdita complessiva di circa 85.000 unità, calcolati i morti e i prigionieri restituiti, si poté dedurre che i militari dispersi ammontavano a circa 64.000 uomini dei quali si ignora tuttora la sorte loro toccata. Queste distinte cifre dei prigionieri e dei dispersi, puramente indicative, non convincono, ne possono essere accettate per una sequela di considerazioni e soprattutto di prove raggiunte dalle nostre autorità e di contraddizioni da parte delle stesse autorità sovietiche, le quali, uniche in possesso dei dati necessari, possono rivelare la verità su questo angoscioso problema dei prigionieri, la cui sorte sconosciuta, angoscia l'animo di migliaia di famiglie italiane, che invocano comprensione e senso di umana solidarietà da parte del popolo russo.

La sorpresa causata dalla notizia della liberazione e restituzione di appena 20.000 prigionieri italiani e poi la dolorosa constatazione che solo 10.030 di essi erano quelli dell'ARMIR restituiti dai campi di concentramento della Russia, disorientarono l'opinione pubblica italiana e furono fonte di amarezza e di angoscia in tante famiglie che speravano di riabbracciare i loro congiunti. Il 27 novembre 1946 il Governo sovietico fece seguire al rimpatrio dei prigionieri la seguente dichiarazione: "Il Ministero degli Affari Esteri dell'U.R.S.S. ha l'onore di attirare l'attenzione dell'Ambasciata d'Italia sul fatto che il Governo sovietico, venendo incontro al desiderio del Governo Italiano e per manifestare la sua buona volontà ha proceduto di sua iniziativa al rimpatrio dei prigionieri italiani nell'U.R.S.S., che è stato ultimato nell'agosto u.s.". Con questo passo il Governo sovietico intendeva considerare chiusa definitivamente la questione dei nostri prigionieri di guerra.

Intanto dagli interrogatori dei reduci si poté acclarare che altri prigionieri italiani erano sicuramente rimasti nell'U.R.S.S., sparsi in campi di punizione o in carcere, perché incolpati di crimini di guerra. Raccolte le prove testimoniali dei reduci, si produsse una chiara ed inoppugnabile documentazione alle autorità sovietiche, che nel 1947, senza alcun preavviso restituirono altri 5 prigionieri, nel 1948 altri due, dei quali non si aveva notizie dell'esistenza in vita, nel 1950 un gruppo di altri 21 prigionieri fra i quali i tre generali delle Divisioni Alpine e nel 1951 un altro prigioniero, del quale si sconosceva la sorte. Quindi le autorità sovietiche trasmisero una lista di 34 prigionieri italiani trattenuti, in attesa del procedimento giudiziario che li riguardava per accuse di atrocità commesse contro la popolazione civile in territorio dell'U.R.S.S. durante la guerra.

Infine nel gennaio-febbraio del 1954 veniva restituito il predetto gruppo di prigionieri, presunti criminali di guerra il cui rimpatrio venne annunziato dall'Ambasciata dell'U.R.S.S. in Roma con la seguente nota verbale: "L'Ambasciata dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste presenta i suoi complimenti al Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Italiana e per incarico del suo Governo ha l'incarico di comunicare quanto segue: Terminato nell'agosto 1946 il rimpatrio dall'U.R.S.S. dei prigionieri di guerra italiani che espiavano la pena per delitti da loro commessi, ora in relazione col decreto di amnistia del presidium del Consiglio Supremo dell'U.R.S.S. e per corrispettiva decisione del Tribunale Supremo dell'U.R.S.S. dopo il riesame delle pratiche, 27 prigionieri di guerra italiani vengono liberati prima del tempo e sono ammessi al rimpatrio. Un altro prigioniero di guerra italiano è ammesso al rimpatrio dall'U.R.S.S. avendo scontato la pena. In pari tempo per decisione del Tribunale Supremo, riesaminate le pratiche, vengono liberati prima del tempo e ammessi al rimpatrio dall'U.R.S.S. 6 italiani civili che erano anch'essi detenuti in espiazione di pena per delitti da loro commessi. L'Ambasciata è autorizzata a dichiarare che nell'Unione sovietica oltre ai suddetti 28, non esiste alcun altro prigioniero di guerra italiano e che con la loro partenza dall'U.R.S.S. il rimpatrio dei prigionieri di guerra italiani dall'Unione Sovietica sarà del tutto completo".

A questa seconda affermazione da parte delle autorità sovietiche dell'avvenuta completa restituzione dei prigionieri di guerra italiani nell'U.R.S.S., seguono sporadicamente altri rientri insperati di cittadini italiani dei quali nulla si conosceva se non la loro posizione di dispersi, in conseguenza della quale ai congiunti veniva assegnata la pensione di guerra. Infatti ne rimpatriarono 4 nel 1955, 2 nel 1956 e uno nel 1957. Cosi furono restituiti complessivamente dal 1945 ad oggi 10.100 italiani, dei quali 10.081 militari dell'A.R.M.I.R., 13 altoatesini della Wermacht e 6 civili. Naturalmente il ritorno dei prigionieri italiani dopo le ripetute dichiarazioni del Governo Sovietico della inesistenza di altri in territorio russo, ha giustamente convinto l'opinione pubblica della inesattezza delle affermazioni e alimentata la speranza, nelle migliaia di famiglie dei dispersi, che altri prigionieri potrebbero trovarsi ancora sparsi nello sconfinato territorio delle Repubbliche Sovietiche.

Sull'entità dei nostri prigionieri in Russia si sono azzardate varie cifre: 60.000 secondo i nostri calcoli al termine della campagna di guerra; 85.000 secondo un comunicato apparso sul giornaletto «ALBA» del 10-2-1943 - periodico edito in Russia e distribuito nei campi di concentramento italiani; 115.000 secondo un comunicato dell'agenzia d'informazioni Tass, diramato nella notte tra il 15 e il 16 marzo 1943; 50.000 o 80.000 secondo una rassegna della stampa svedese del 3 aprile 1944 - secondo cui da notizie raccolte da un suo corrispondente londinese, si riteneva prossima la organizzazione in Russia di una Armata italiana composta di 50.000 - 80.000 prigionieri di guerra. Cifre alle quali si ritenne di dare un valore relativo, considerato che esse potessero essere state divulgate a scopo propagandistico nel periodo della guerra ancora in atto, ma che purtroppo rimasero inalterate nella convinzione degli ambienti familiari e associative dei prigionieri e dispersi.

La cifra piu attendibile si considerò quella di 46.000 militari dell'ARMIR, sia per concordi dichiarazioni dei reduci che per ammissione della stessa stampa sovietica. E a conferma giova riportare un passo tratto dal libro «Discorsi agli Italiani» di Mario Correnti - edito in lingua estera a Mosca - 1943 - ove fra l'altro si legge: "I dati della stampa sovietica sono inconfutabili. ...In tutto, la stampa sovietica, calcola che Mussolini ha perduto sul fronte orientale 60.000 morti, 69.000 feriti e 46.000 prigionieri...". Fu anche accertato, attraverso notizie fornite dai reduci, che tutti i prigionieri, all'atto della cattura, venivano elencati nominativamente prima del loro avvio ai campi di concentramento. Ufficialmente non si è potuto mai conoscere con esattezza dall'autorità sovietiche il numero ed i nomi dei prigionieri italiani catturati, quelli di essi deceduti durante le lunghe marce di trasferimento per raggiungere i campi e nei campi stessi per malattie ed altre cause.

I reduci hanno riferito di alte percentuali di decessi per epidemie, ma limitatamente a determinati campi e quindi non è stato possibile dedurre un numero anche approssimativo, che solo le autorità sovietiche possono precisare attraverso la documentazione in loro possesso e sulla cui esistenza non possono sorgere dubbi e per unanime dichiarazione dei reduci e per le stesse comunicazioni delle autorità sovietiche, che, per circa 450 certificati di morte, finora rimessi alle autorità italiane, hanno indicato con precisione per ogni prigioniero deceduto: nome, cognome, paternità, luogo e data di nascita, la data di morte, che per alcuni risulta essere di pochi giorni dopo quella della cattura, la località, la causa del decesso, specificando, nei 450 casi di morte, circa 40 malattie diverse.

Che l'URSS non avesse sentito l'obbligo di fare alcuna comunicazione alle autorità italiane sui prigionieri di guerra poteva anche ritenersi giustificata, in quanto non firmataria della Convenzione Internazionale di Ginevra del 1929, non era in dovere di farlo verso il paese nemico, ma la stessa giustificazione non avrebbe dovuto avere più senso allorché il nostro paese si unì nella lotta per la causa alleata e più ancora dopo, quando nel 1949 aderì alla nuova Convenzione Internazionale di Ginevra. Su questa ostinazione ed intransigenza, che tuttora mantengono le autorità sovietiche, ogni illazione è avventata anche perché nell'attuale parvente clima di distensione, almeno tale considerato, con lo scambio di accordi commerciali e visite culturali, artistiche, sportive, ecc. non si riesce a puntualizzare la causa della mancata collaborazione in questo doloroso problema la cui chiarificazione contribuirebbe tanto a rafforzare i vincoli di amicizia fra i due popoli.

lunedì 12 aprile 2021

MOVM - Camandone Bruno

Le Medaglie d'Oro al Valor Militare della Campagna di Russia, Capitano CAMANDONE Bruno - 4° Reggimento Artiglieria Contraerea.

Motivazione: "Capitano di artiglieria appassionato ed entusiasta, venuto a conoscenza che nel corso dì affrettato ripiegamento del gruppo cui apparteneva alcuni pezzi erano stati abbandonati, ottenne, dopo reiterate insistenze, di poter tentare il recupero dei pezzi stessi Seguito da altri ardimentosi riusciva con perizia e tenacia a ricuperarne due avviandoli alle nostre linee. Fatto segno a violenta reazione nemica e ferito una prima volta volle insistere nel generoso compito assuntosi per recuperare altro pezzo della sua batteria. Raggiunto l’intento a prezzo di forti sacrifici e prossimo ormai a rientrare nelle nostre posizioni col prezioso carico, venne colpito in pieno da raffica anticarro. Esalò l’ultimo respiro abbattuto sul suo cannone, rivolgendo parole di fede e di incitamento ai compagni che lo avevano seguito nell’ardua impresa. Esempio di cosciente valore e di sublime attaccamento alla propria arma. - Cerkowo (Fronte russo), 24 dicembre 1942".

Ricompense - 4° Regg. Artiglieria Contraerea

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

4° REGG. ARTIGLIERIA CONTRAEREA

MOVM Capitano CAMANDONE Bruno, alla memoria
MAVM Maggiore SQUILLACI Arturo
MAVM Maggiore URSO Gaetano
MAVM Capitano VEZZIL Mario
MAVM Tenente LIETTI Antonio
MAVM Tenente PESCE Amleto
MAVM caporal maggiore BALLABIO Francesco
MAVM caporal maggiore FORLANI Natale
MAVM soldato BERTOLDO Teonildo
MBVM Tenente Colonnello CAVALIERE Ferdinando
MBVM Tenente Colonnello SQUILLACI Arturo
MBVM Maggiore VALENZA Vincenzo
MBVM Capitano ADAMI Arnaldo
MBVM Capitano AGEN Bruno
MBVM Capitano INCANNAMORTE Nunzio
MBVM Tenente COSTANTINI Nicola
MBVM Sottotenente RUSSO Silvestro
MBVM Sottotenente SINESIO Giuseppe
MBVM Sottotenente VETTORI Francesco
MBVM sergente BOCCA Bruno
MBVM sergente MACCHIAVELLI Massimo
MBVM sergente MASELLI Vito
MBVM sergente SPINELLO Antonio
MBVM caporal maggiore ADDAMIANO Silvano
MBVM caporal maggiore BACCHIANI Luigi
MBVM caporal maggiore CARMINATO Fortunato
MBVM caporale BARILLARO Telemaco
MBVM caporale DE SILVESTRI Rocco
MBVM caporale FENZI Alessandro
MBVM caporale GHINASSI Rinaldo, alla memoria
MBVM caporale RETTORE Antonio
MBVM caporale TANONI Dino
MBVM soldato ALLEGRI Gelsiano
MBVM soldato AMBROSIO Francesco
MBVM soldato BERNARDINELLO Ilario
MBVM soldato CHIEREGATO Attilio
MBVM soldato DE CARIS Gioacchino
MBVM soldato DE GENNARO Giovanni
MBVM soldato FRANCESCON Antonio, alla memoria
MBVM soldato MARZELLA Giuseppe
MBVM soldato PISONI G.Battista, alla memoria
MBVM soldato RAMELLA Lorenzo, alla memoria
MBVM soldato RIGHI Angelo
MBVM soldato SUFFRITTI Guerrino
MBVM soldato TAVAZZI Giuseppe
MBVM soldato VASCO Giovanni
MBVM soldato ZORZIN Mario
CGVM Capitano BALDONI Orfeo
CGVM Capitano CAMPI Pasquale
CGVM Capitano MONTELEONE Lorenzo
CGVM Capitano ROZ Gustavo
CGVM Capitano VISAL Guido
CGVM Tenente ANDREUZZI Federico
CGVM Tenente BROLIS Pier Battista
CGVM Tenente GOBBO GHERBASSI Raim.
CGVM sergente maggiore ANASTASIO Tarcisio
CGVM sergente maggiore GRIGOLATO Bruno
CGVM sergente DI CORRADO Michele
CGVM caporal maggiore BOCCANERA Mario
CGVM caporal maggiore BOIAGO Luigi
CGVM caporal maggiore BUCCHIERI Giuseppe
CGVM caporal maggiore DEL SARTO Adelio
CGVM caporal maggiore FOCANTI Giulio
CGVM caporal maggiore MAGRI Edoardo
CGVM caporal maggiore MUNARON Guerrino
CGVM caporal maggiore SCIARINI Germinano
CGVM caporal maggiore TAMBURINI Diego
CGVM caporale BERNARDI Celeste
CGVM caporale DE VECCHI Nildo
CGVM caporale GUADAGNIN Altinio
CGVM caporale MESCHINI Amedeo
CGVM caporale TONELLI Cesare
CGVM soldato AMBROSI Pietro
CGVM soldato CHIORBOLI Alfredo
CGVM soldato CLERICI Renato
CGVM soldato COLLODEL Giovanni
CGVM soldato CRUCIANELLI Giuseppe
CGVM soldato EVOLA Michele
CGVM soldato GALLINA Ugo
CGVM soldato HAWER Bruno
CGVM soldato MAESTRI Aldo
CGVM soldato MAZZOLA Vincenzo
CGVM soldato MENNA Vincenzo
CGVM soldato PARRON Giuseppe
CGVM soldato PIACENZA Osvaldo
CGVM soldato POMARE' Osvaldo
CGVM soldato PORRO Francesco
CGVM soldato ROMANO Angelo
CGVM soldato SABATO Gaetano
CGVM soldato STABELLINI Werter
CGVM soldato STEFFENINO Luigi
CGVM soldato VIOTTI Guelfo
CGVM soldato ZECCA Francesco

Commissione speciale dell'ONU, parte 1

Pubblico la prima parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

PREMESSA.

Nell'ultimo conflitto mondiale circa un milione e quattrocentomila italiani sono passati per i campi di prigionia e di internamento sparsi in tutto il mondo, in clima ed ambienti eccezionali trattati nelle più strane forme morali e materiali. Dalla Russia Europea alle steppe siberiane, dai campi della Germania e Polonia all'inferno balcanico, dalla Francia alle regioni atlantiche e mediterranee dell'Africa, dalle Americhe alle Isole Hawaj, dall'Inghilterra e Domini dell'Africa, all'India, all'Australia, vigilati da custodi di ogni razza e colore, ove per lunghi anni hanno sofferto umiliazioni e duri sacrifici.

La maggior parte dei prigionieri - quasi i nove decimi del totale - per sua ventura fu detenuta da potenze che, firmatarie della Convenzione Internazionale di Ginevra del 1929, tennero fede agli impegni assunti e furono sollecite nel far conoscere il numero ed i nomi dei prigionieri italiani da esse custoditi, per segnalazioni dirette o tramite le potenze protettrici, oppure attraverso i Delegati della Croce Rossa Internazionale che visitarono i campi di concentramento. Ciò servi a tranquillizzare migliaia di famiglie italiane, che per qualche tempo avevano vissuto in angosciosa attesa di notizie e dette poi ad esse la possibilità di corrispondere con i congiunti lontani, ai quali fu anche consentito di far giungere pacchi con indumenti e viveri. Tutti questi prigionieri italiani - salvo quelli rimasti volontariamente per ragioni di lavoro e pochi deceduti per malattie e cause accidentali, circa il 3% in cinque anni di prigionia, - rimpatriarono entro due anni dal termine delle ostilità.

Meno fortunati furono quelli internati nei paesi balcanici, dei quali per lungo tempo non si poté conoscere né il numero né i nomi. Una attenuante di questa dolorosa incertezza poté essere ricercata nella causa degli avvenimenti dell'8 settembre 1943 durante i quali non fu possibile seguire le peripezie dei nostri militari dislocati in Balcania, molti dei quali, riusciti a sfuggire alla cattura tedesca, perplessi ed indecisi, si sbandarono in ogni dove, peregrinando in paese in paese. Comunque dopo la fine della guerra e dopo la restituzione di gran parte di essi da parte degli Stati detentori, si potò stabilire con larga approssimazione il numero dei nostri militari catturati prigionieri, quelli di essi deceduti nei campi e quelli trattenuti, che furono in seguito rimpatriati, ad eccezione di poche persone - civili e militari - sulla cui restituzione operarono le nostre autorità consolari. La sorte più tragica, perché mai conosciuta, fu riservata ai nostri militari dell'ARMIR combattenti sul fronte russo e non scampati ai tragici eventi della battaglia del Don.

CAPITOLO I.

L'Armata Italiana in Russia, all'inizio della battaglia del Don - 11 dicembre 1942 - era forte di circa 220.000 uomini inquadrati in 3 divisioni alpine, una divisione celere, 6 divisioni di fanteria e truppe e servizi dell'Armata, schierate tutte nella grande ansa del Don. La violenza e la durata della battaglia, la superiorità delle forze nemiche, la eroica resistenza dei nostri reparti, le dure condizioni climatiche ed il ripiegamento sotto la costante pressione avversaria costarono perdite rilevanti in uomini e materiali. Al termine della battaglia - 31 gennaio 1943 - le perdite dell'Armata furono di 30.000 fra congelati e feriti e di circa 85.000 fra morti e dispersi. Al rientro in Italia dei superstiti dell'Armata, attraverso la segnalazione dei reparti si poté stabilire che i caduti in combattimento, potuti constatare e documentare, ammontavano a poco più di 11 mila unità e dei rimanenti mancanti non fu possibile stabilire quanti fossero i dispersi e quanti quelli catturati prigionieri.

Solo nel 1945 il Governo sovietico, tramite la nostra Ambasciata a Mosca, comunicò di aver deciso di liberare e di rimpatriare circa 20.000 prigionieri italiani. La liberazione ed il rimpatrio avvenivano in due tempi a cura delle autorità alleate in Germania ed in Austria, che ricevettero da quelle sovietiche in consegna i prigionieri italiani numericamente, senza una lista nominativa. Rimpatriarono cosi fra il 1945 ed il 1946 effettivamente 21.065 prigionieri italiani restituiti dalla Russia, però al censimento fatto presso i centri alloggio, assistenza e smistamento in Italia, risultò che solo 10.030 di essi erano militari già appartenenti all'ARMIR catturati dalle truppe russe nella battaglia del Don ed internati in campi di concentramento dell'U.R.S.S., mentre i rimanenti 11.035 erano militari già prigionieri dei tedeschi ed internati nella zona della Germania occupata dai russi, da questi liberati e restituiti.

domenica 11 aprile 2021

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fuori Novo Georgiewskij.



La Tagliamento da Legione a Gruppo

LA TAGLIAMENTO DA LEGIONE A GRUPPO (dicembre - aprile 1942).

Il 9 maggio 1942 il gen. Messe in un messaggio agli ufficiali, sottufficiali, caporali, soldati camicie nere del C.S.I.R. scriveva: "Le grandi, memorabili imprese che avete compiute rinverdendo la gloria delle bandiere, degli stendardi, dei labari, delle insegne che la Patria vi ha affidato, hanno arricchito la storia militare italiana di pagine che splendono di vivida luce nei fasti della Nazione".

Ancor sino a pochi giorni prima le Camicie nere erano rappresentate sul fronte russo soltanto dalla legione "Tagliamento" (un reggimento), il cui labaro sarà decorato con la medaglia d'oro. Il 24 aprile infatti, la legione, come tale, aveva chiuso il suo breve, sanguinoso, vittorioso, ciclo guerriero; nello stesso giorno era nato il Gruppo CC.NN. "Tagliamento" (una brigata) che, nella mutata fortuna della guerra, continuò la tradizione di valore e di umanità della piccola formazione primogenita. Quest'ultima, in una quasi ininterrotta serie di combattimenti contro un nemico superiore per numero, coraggioso e perfettamente armato, all'indomani della battaglia di Natale (24 dicembre 1941 - 26 gennaio 1942) avendo avuto centinaia di morti, feriti e congelati, era ridotta allo stremo delle forze. Rimaneva integro lo spirito: senso del dovere e dell'onore militare, lealtà verso il nemico, rispetto e anzi cordialità per le popolazioni dei luoghi occupati.

Quando quel gelido, ventoso 22 marzo 1942 a Mikailowska, presente il gen. Marazzani comandante della Celere, il cappellano don Biasutti benedì il Camposanto dove erano state raccolte le salme dei Caduti di Natale, una piccola folla di donne, ragazze e bimbi, accorsi anche da villaggi vicini, chiese di assistere al rito. Non li spingeva soltanto curiosità; il caposquadra Valle, interprete, interrogate alcune donne, tradusse: "I soldati italiani sono sempre stati buoni con noi". A Mikailowska aveva infuriato la battaglia, come a Krestowka, a Malo Orlowka, a Nowo Orlowka e poi a quota 331,7 ed a Woroscilowa. La battaglia non era inattesa. Il 9 dicembre il gen. Messe aveva comunicato ai comandi dipendenti: "L'alleato è in grave, se momentanea, crisi. Il C.S.I.R. deve occupare e tenere il contrafforte su cui corre la ferrovia Debalzewo-Rassypnaja, saldando i contatti le Grandi Unità germaniche laterali. Impegno tutti al massimo sforzo".

Il 10, l'11, il 12, il 13 dicembre arditi colpi di mano russi contro caposaldi e blocchi della legione erano stati respinti con perdite dalle due parti. Il 12 era stato gravemente ferito il centurione Pigozzi. Tutte le nostre ricognizioni esplorative avevano accertato grandi movimenti di truppe nemiche. Sulla linea più avanzata del C.S.I.R. il settore del vice comandante della Celere, col. Lombardi i.g.s., era tenuto dalla legione, dal 18° Btg. del III° bersaglieri, dal gruppo 75/27 del Bgt. artiglieria a cavallo, da uno squadrone del Savoia Cavalleria: Nella notte del 23 venne l'ordine: "Tenersi pronti a difendere ad oltranza le località occupate".

Quelle località erano in un certo senso gli estremi avamposti di Stalino. Perderle, significava aprire al nemico la strada verso il cuore dell'Ucraina. Furono tenute. Poi la legione andò, più avanti, sino a Woroscilowa che espugnò e mantenne; e quando al ritorno i superstiti passarono per Iwanoka un maggiore tedesco ordinò ad un suo drappello di presentare le armi e disse al Console Nicchiarelli che per gli italiani di Woroscilowa bisognava creare un vocabolo nuovo: disse "panzer soldaten" intendendo dire soldati d'acciaio. É difficile dare un'idea di Woroscilowa. Un ufficiale della legione, il cent. Avenati, testimone oculare, ne fece più tardi una descrizione fedele, obbiettiva su "La Stampa" di Torino: "W. non è un paese, è - letteralmente - un buco, uno conchiglia gigantesca e cupa fra quote e balke... Ero un kolkos (magazzino) per la raccolta di bestiame, derrate, arnesi di lavori. Qualche capannone, qualche casa ad un piano, ora semidistrutti. L'unica risorsa locale è un pozzo, ma per attingervi l'acqua bisognava spezzare con il calcio dei moschetti il lastrone di ghiaccio che ne ricopre permanentemente la bocca. Le poche slitte disponibili - sempre bersagliate dal nemico - ci portano i viveri. Non arrivando le slitte, si mangiano i resti dei cavalli trovati uccisi sul posto e la cui carne, data la temperatura che oscilla tra i 30 e i 40 sotto zero con una punta sui 42, si conserva ottimamente. Per i turni di guardia a quota 331,7 si percorrono 800 metri, che abbiamo definito la pista della morte. La prova di scavare camminamenti, ricoveri, ecc., è fallito giacché le stesse mine scalfiscono appena la dura crosta di ghiaccio. Ogni giorno e, naturalmente, ogni notte siamo in allarme. Qui i legionari combattono duramente".

Ora il fiore di quei prodi era li, sotto la bruna terra del cimitero di Mikailowska. C'era la camicia nera scelta Garofolo, porta-treppiede, che a Orlowka, subito colpito mortalmente, poi ferito alla coscia, continuò a far fuoco finché l'arma si inceppò ed allora si trascinò fuori dalla postazione e lanciò bombe a mano sino all'istante supremo. C'era il leggendario cent. Luigi Mutti che ferito a morte, volle rimanere fra i commilitoni e disse di essere contento di sacrificarsi per l'Italia: "Bella Italia, muoio per lei - disse. Salutatemi la cara Patria". Ed ecco i capomanipoli Sandrigo, Meoli, Mazzocchi tutti caduti con l'arma in pugno; ecco la croce su cui si legge il nome del sottotenente Ezio Prigelio. Era di Trieste, era il più giovane degli ufficiali, apparteneva al Btg. Armi accompagnamento, e precedette nel cielo degli eroi il suo comnadante, ten. col. De Franco, morto in Italia, appena rimpatriato, per postumi di guerra. Qui due mitraglieri: l'uno ferito, volle rimanere all'arma dicendo: "Ho ancora qualche nastro...". Furono le sue ultime parole. L'altro, un piemontese, colpito in fronte spirò con stoica semplicità; disse: "Toca a mi" (tocca a me). Una a fianco all'altra le tombe del cent. Gentile e del capomanipolo Barale. Il primo era sostituto procuratore del Re, aveva moglie e due figli. Colpito a morte, al suo comandante, primo seniore Patroncini, disse: "Sono felice di dar la vita per l'Italia". Poi chiese che gli cercassero nel portafogli la fotografia dei famigliari, la baciò e si fece il segno della Croce. I legionari dissero ch'era morto un santo. Del capo manipolo Barale, il suo attendente, Mantello scriverà: "Per tutto il giorno è stato un vero eroe, cioè, in termini nostri, un leone. Morì in un a corpo a corpo all'arma bianca".

E gli altri, i cento altri! Il cons. Nicchiarelli ne lesse i nomi, estremo appello e saluto. Poi nomi non detti, altre immagini fraterne balenarono alle menti tra il sibilo del vento, il tuonar dei cannoni, il rombo dei velivoli nemici. Era come se fossero davvero tutti lì raccolti, i morti di prima e di dopo Natale, i caduti per ferro, fuoco, gelo, in otto mesi di campagna. Praticamente per la legione il ciclo operativo di Natale non si concluse che col febbraio del '42. "Qui rimangono duecento leoni", aveva detto la sera del 9 gennaio il primo seniore Zuliani, comandante del 63°. Niente retorica, nessuna esagerazione in quelle parole superbe. Lo dimostrò la giornata del 18 quando fu respinto l'attacco in forza dei russi; lo dimostrò la giornata del 25 quando una Cp. formata coi resti del 79° Btg., in fraterna gara di valore con i bersaglieri del III° attaccò arditamente il nemico. Di tutti quelli della "Tagliamento" - Camicie nere e fanti - si deve dire che tennero fede alla consegna servendo con onore la Bandiera.

giovedì 8 aprile 2021

La guerra sul fronte orientale, parte 4

Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo quarto video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.

Il processo D'Onofrio, parte 5

Il processo D'Onofrio, quinta parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA SESTA UDIENZA.

Nessuna tregua, non un attimo di respiro, né la possibilità di prendere la minima iniziativa, ha dato il primo teste escusso oggi 28 maggio 1949, con la valanga di precise accuse che ha rovesciato sul capo del senatore D'Onofrio. Don Enelio Franzoni, cappellano della Divisione Pasubio, catturato nel dicembre del 1942, proposto per la medaglia d’oro sul campo, prima di cominciare la sua deposizione, ha guardato fisso negli occhi, con uno sguardo sicuro e leale, il querelante. E poi ha iniziato la narrazione dei numerosi interrogatori subiti da parte del Fiammenghi, del D'Onofrio e prima ancora dal Robotti che lo assillò con le solite domande sul perché fosse venuto a fare la guerra in Russia e sul perché mai l'esercito non si ribellasse, ricordandogli, a conclusione, la storia di Napoleone e della campagna di Russia: 'In Russia si va, ma non si torna', commentò il fuoruscito.

Don Franzoni: 'Fui fatto entrare in una stanza nel campo di Oranki, poco prima del 25 luglio 1943, dove trovai, insieme al D'Onofrio, Fiammenghi e il maggiore russo Orloff. Un soldato russo chiuse la porta alle mie spalle e rimase fuori di piantone. D'Onofrio m'invitò prima a sedere, e poi volle sapere le mie generalità e dove avessi esercitato il ministero religioso in Italia. Risposi che ero insegnante al seminario di Bologna'.

Presidente: 'Scriveva qualche cosa il D'Onofrio, durante questo colloquio?'.

Don Franzoni: 'Sì, prendeva degli appunti e il magg. Orloff faceva la stessa cosa. Mi chiese poi quali fossero le mie idee politiche e malgrado rispondessi che, come sacerdote, non potevo avere idee politiche, insistette dicendo, fra l’altro, che oltre ad essere sacerdote ero anche cittadino. Ancora una volta replicai che un cappellano militare non può avere idee politiche, ma lui non si dette per inteso: voleva ad ogni costo che gli rispondessi. Ma visto che a quel modo non riusciva ad ottenere una risposta, tentò un’altra strada e cominciò a dirmi che, ovviamente, come cappellano dovevo almeno conoscere le idee degli altri ufficiali. Rimasi offeso da queste parole. D'Onofrio voleva abusare della mia qualità e servirsene per i suoi scopi. Mi guardai bene, perciò, dal rispondere ad una domanda tanto maligna e insinuante.

Ma non era ancora finito: l'interrogatorio si protrasse per altre due ore. D'Onofrio cambiò argomento e mi parlò della Patria lontana e della famiglia. Mi chiese se desideravo rivedere la mia famiglia. Certo, aggiunse, se volevo rivederla era necessario che mi allineassi ai nuovi tempi. Nelle sue parole non stentai a riconoscere una aperta minaccia.

Un giorno, mentre ero ancora al campo di Tamboff, ebbi ordine dal comandante russo di scrivere una lettera al Papa, nella quale dovevo consigliarlo sull’andamento della guerra suggerendogli di cercare di por fine ad essa. Io scrissi a Sua Santità pregandola di aiutarci, ma non feci cenno alcuno al suggerimento che m'era stato dato dal comandante russo, il quale, dopo aver letto la lettera disse che non andava bene e me la fece riscrivere daccapo. In sostanza tornai a scrivere le stesse cose, ampliandole con giri di parole, ma non nel senso desiderato dall'ufficiale russo. Comunque, prima di consegnarla, la lessi agli ufficiali ed ebbi la loro approvazione.

È assolutamente falso che io nella lettera abbia esaltato la Unione Sovietica, come asserì il D'Onofrio all'epoca della polemica avuta con il 'Risorgimento Liberale'. Non avrei certamente potuto farlo mentre attorno a me, per fame e per freddo, morivano ad uno ad uno i miei uomini'.

Il tenente degli alpini Mario Braga dichiara che nel campo di Susdal incontrò il cap. Magnani, proveniente dal campo di Elabuga, il quale gli disse di essere stato informato dai sovietici stessi che si trovava in quel campo in seguito a segnalazione del signor D'Onofrio e del magg. Orloff.

L’affermazione del teste provoca un vivace scambio di frasi fra l'avv. Taddei e i due avvocati di parte civile i quali sostengono che il teste, in una sua precedente deposizione scritta, non aveva accennato alla circostanza ora citata e chiedono l'incriminazione del teste. Il quale, intervenendo nel battibecco, spiega che non accennò allora alla circostanza in questione perché temeva che, facendo il nome del cap. Magnani ancora prigioniero, potesse in qualche modo danneggiarlo. Siccome il Magnani è stato citato più volte in quest’aula, oggi sente il dovere di dire tutta la verità.

Prima che salga sulla pedana l'altro testimone, il tenente degli alpini Carlo Colombo, nasce un secondo incidente. L'avv. Taddei presenta al tribunale una foto nella quale è ritratto il corpo di un bersagliere spaventosamente mutilato dai soldati russi all'atto della cattura. È il corpo della medaglia d’oro alla memoria Guido Cassinelli il quale rimase abbarbicato alla sua mitragliatrice fino a che, sparato l'ultimo colpo, i russi non riuscirono a farlo prigioniero ancora al suo posto di combattimento. Avv. Sotgiu: 'Mi oppongo che la fotografia venga allegata agli atti. Essa esula dalla materia del processo'.

L'avv. Taddei insiste. Il Presidente consente che la fotografia, esibita dalla difesa, circoli nell’aula per sola visione.

Avv. Taddei: 'Però i criminali di guerra erano i bersaglieri...'.

Chiuso l'incidente il ten. Colombo può dire che nel campo di Susdal incontrò la signora Torre che fungeva da interprete. Le chiese di aiutarlo a far pervenire una sua lettera alla famiglia, ma la Torre, sorridendo, rispose che la posta era un 'dono che bisognava saper contraccambiare'. Anche il ten. Colombo parla a lungo del cap. Magnani ribadendo quanto già è stato detto da tutti gli altri testi.

Aggiunge solo che il capitano gli disse: 'Se alla fine della guerra io non tornerò più in Italia, lei può attribuire pubblicamente la colpa di ciò al signor D'Onofrio...'.

Ultimo teste della difesa il tenente dei Carabinieri Francesco Mantineo, anch’egli internato nel campo di Susdal, dove conobbe quasi tutti gli ufficiali che non hanno fatto ritorno. Cita, fra gli altri, il gen. Battisti, il magg. Massa, il magg. Zigiotti, don Brevi, il cap. Magnani. Questi gli raccontò degli snervanti interrogatori ai quali era stato sottoposto dal D'Onofrio che il Magnani stesso chiamava 'il Giuda'. Il teste dichiara che il Magnani gli disse allora: 'Se avrò la fortuna di ritornare in Patria, cosa che mi sembra difficile, ne racconterò delle belle sul conto di questo signore'.

L'udienza è finita. Il sen. D'Onofrio raccoglie con cura le proprie cartelle, gli appunti che prende continuamente. Un vago sorriso increspa le sue labbra mentre si allontana dall’aula. Da lunedì la valanga delle accuse si arresterà e alle sue orecchie suoneranno soltanto parole amiche: per una settimana.

LA SETTIMA UDIENZA.

30 maggio 1949 - Prima che comincino ad avvicendarsi sulla pedana coloro che sono stati chiamati a dimostrare la falsità delle accuse lanciate contro il sen. D'Onofrio, il querelante deve ascoltare ancora la voce, non certo gradita, del ten. Giuseppe Cangiano della Divisione Torino, il quale non fece in tempo a deporre nella udienza precedente.

L’ultimo teste addotto dalla difesa ha raccontato che nel campo di Kiev, dove aveva conosciuto il cap. Magnani proveniente da Elabuga, fu invitato a sottoscrivere una dichiarazione nella quale si diceva pressappoco: 'Il capitano Magnani e il tenente Giuseppe Ioli sono colpevoli dei massacri contro le popolazioni civili russe; sono colpevoli dell’incendio delle chiese russe; sono fascisti irriducibili. Essi perciò dovranno essere eliminati perché diversamente continueranno la loro opera nefasta'. La dichiarazione, nella quale si aggiungeva che la morte dei prigionieri italiani nei campi di concentramento era avvenuta per malattie da essi contratte prima della cattura, era redatta in lingua italiana e recava, in calce, due firme...

D'Onofrio: 'Lo dica pure... Una delle firme era la mia...'.

Cangiano: 'Infatti, stavo per dirlo. Delle due firme l’una era di un certo cap. Gullino e l'altra era quella del D'Onofrio. La dichiarazione era assolutamente falsa ed io naturalmente mi rifiutai di firmarla anche perché in essa si diceva che io avevo la certezza delle accuse ed ero a conoscenza degli episodi citati.

Fui rinchiuso in carcere per due mesi e, scontata la pena, nuovamente chiamato e nuovamente invitato a sottoscrivere la dichiarazione. Era il 26 dicembre del 1946. Al mio rifiuto, un soldato russo mi legò ad una sedia. Poi insieme ad un capitano sovietico cominciò, per ordine di quello, a picchiarmi a schiaffi, a calci, a pugni. Il capitano usava una riga di ferro. Ad un certo punto l'ufficiale mi disse: 'Ma insomma perché lei si ostina a fare il martire? I veri italiani, non hanno esitato a firmare'. Mi rifiutai ancora e loro ricominciarono a percuotermi finché non svenni'.

D'Onofrio: 'È falso. Tutto falso. Non ho mai fatto dichiarazioni del genere. Ho conosciuto il cap. Gullino nel campo di Skit, ma non ho parlato con lui di crimini di guerra. Per principio aborrisco la guerra e non avrei un attimo di esitazione nel denunciare chiunque di tali crimini si fosse macchiato. Ma non ho mai saputo che il cap. Magnani o il ten. Ioli abbiano commesso azioni del genere. Del resto io al fronte russo non ci sono mai stato'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Se al D'Onofrio fossero stati noti crimini di guerra commessi da militari russi, li avrebbe, egli, denunciati?'.

D'Onofrio: 'Pubblicamente. Ma non mi è mai risultato che soldati russi abbiano commesso crimini di guerra'.

Prima che sia introdotto il primo teste della parte civile, l’avvocato Taddei ha fatto sapere al Collegio che la federazione comunista di Parma, prima che avesse inizio il processo, fece delle indagini presso i suoi organizzati allo scopo di sapere tutto quello che era possibile sul conto del signor Luigi Avalli, uno degli imputati: le sue idee politiche, quale fu il suo comportamento prima dell’8 settembre 1943 e dopo tale data e dopo il suo rientro dalla prigionia. Evidentemente la difesa ha voluto rendere la pariglia a quanto aveva detto in precedenza la parte civile a proposito di una circolare che l'Unione Reduci dalla Russia inviò a tutti i commilitoni per sollecitare testimonianze da servire nell'attuale processo. Ed è cominciata la serie dei testimoni addotti dal querelante.

Il primo è un ufficiale d'artiglieria Alessandro D’Alessandro che fu nei campi di Tamboff e Susdal.

D'Alessandro: 'Avevamo una certa libertà e, se è vero che durante i primi tempi della prigionia il morale era molto depresso e le cose andavano piuttosto male, è pur vero che a poco a poco notammo un certo generale miglioramento della situazione. Nel campo potevamo servirci di una biblioteca discretamente fornita di libri di letteratura e di politica...'.

'Per compensare la mancanza del cibo necessario per vivere' s’è inteso gridare da qualcuno del pubblico.

D'Alessandro: 'Cominciai a farmi una cultura politica e mi convertii all'antifascismo e osservai come il commissario politico del campo si prodigasse per migliorare sempre più le condizioni dei prigionieri'.

Presidente: 'Conobbe, lei, il D'Onofrio durante la sua permanenza al campo di Susdal?'.

D'Alessandro: 'No. Durante la mia permanenza in terra di Russia non vidi mai Edoardo D'Onofrio. Ho conosciuto il senatore soltanto al mio ritorno in Italia'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Quanti morti vi furono a Valuiki?'.

D’Alessandro: 'Nella mia baracca perirono 15 uomini su 60 occupanti'.

Avv. Mastino del Rio: 'E a Tamboff?'.

D’Alessandro: 'A Tamboff le condizioni divennero più critiche e la percentuale dei morti crebbe'.

Il teste cade in contraddizioni evidenti, dimenticando che poco prima ha parlato di progressivo 'generale miglioramento della situazione nei campi'.

Avv. Taddei: 'Il teste, per caso, è iscritto al partito comunista italiano?'.

Avv. Paone: 'Abbiamo chiesto, noi, ai vostri testi se erano iscritti al movimento sociale italiano?'.

Il Presidente taglia corto dichiarando non valida la domanda e il teste viene congedato. È la volta di un caporale di fanteria, Luigi Leggeri, il quale teste fu inviato in quella scuola per premio: aveva esaltato la vittoria delle armi russe. Ricorda soltanto i nomi di Fiammenghi e di Vella, come insegnanti; nella scuola si studiava il movimento operaio e l'insegnamento era improntato a criteri antifascisti. Alla fine del corso il teste e tutti gli altri che erano in quel campo-scuola, furono fatti rientrare in Italia.

Avv. Taddei: 'È vero che alla fine del corso si doveva prestare un giuramento?'.

Leggeri: 'Sì. Ma era un giuramento di fedeltà al popolo italiano e non era obbligatorio'.

Il teste a discarico Sergio Fiaschi, appositamente richiamato, riferisce la formula di tale giuramento: 'Nel nome del popolo, giuro di non desistere dalla lotta intrapresa per il trionfo del proletariato e i miei compagni mi sopprimano nel sangue se verrò meno a tale giuramento'. Il Fiaschi ha aggiunto, però, che l'ultima parte della formula fu abolita, perché alcuni frequentatori della scuola stessa vi si opposero.

Elio Pietrocola, ex sergente automobilista, chiamato a deporre successivamente, ha affermato che i discorsi tenuti dal D'Onofrio non erano affatto improntati a sentimenti antinazionali, ma auspicavano che il nostro Paese divenisse una nazione libera e indipendente. Il teste notò che le conferenze del D'Onofrio erano di tanto grande interesse, da 'essere desiderate'. Nel campo non mancava una 'certa' libertà di critica. Le dichiarazioni del teste Pietrocola, sottolineate dai lunghi mormorii dei reduci che si trovano nello spazio riservato al pubblico, concludono la seduta.