lunedì 12 aprile 2021

Commissione speciale dell'ONU, parte 1

Pubblico la prima parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

PREMESSA.

Nell'ultimo conflitto mondiale circa un milione e quattrocentomila italiani sono passati per i campi di prigionia e di internamento sparsi in tutto il mondo, in clima ed ambienti eccezionali trattati nelle più strane forme morali e materiali. Dalla Russia Europea alle steppe siberiane, dai campi della Germania e Polonia all'inferno balcanico, dalla Francia alle regioni atlantiche e mediterranee dell'Africa, dalle Americhe alle Isole Hawaj, dall'Inghilterra e Domini dell'Africa, all'India, all'Australia, vigilati da custodi di ogni razza e colore, ove per lunghi anni hanno sofferto umiliazioni e duri sacrifici.

La maggior parte dei prigionieri - quasi i nove decimi del totale - per sua ventura fu detenuta da potenze che, firmatarie della Convenzione Internazionale di Ginevra del 1929, tennero fede agli impegni assunti e furono sollecite nel far conoscere il numero ed i nomi dei prigionieri italiani da esse custoditi, per segnalazioni dirette o tramite le potenze protettrici, oppure attraverso i Delegati della Croce Rossa Internazionale che visitarono i campi di concentramento. Ciò servi a tranquillizzare migliaia di famiglie italiane, che per qualche tempo avevano vissuto in angosciosa attesa di notizie e dette poi ad esse la possibilità di corrispondere con i congiunti lontani, ai quali fu anche consentito di far giungere pacchi con indumenti e viveri. Tutti questi prigionieri italiani - salvo quelli rimasti volontariamente per ragioni di lavoro e pochi deceduti per malattie e cause accidentali, circa il 3% in cinque anni di prigionia, - rimpatriarono entro due anni dal termine delle ostilità.

Meno fortunati furono quelli internati nei paesi balcanici, dei quali per lungo tempo non si poté conoscere né il numero né i nomi. Una attenuante di questa dolorosa incertezza poté essere ricercata nella causa degli avvenimenti dell'8 settembre 1943 durante i quali non fu possibile seguire le peripezie dei nostri militari dislocati in Balcania, molti dei quali, riusciti a sfuggire alla cattura tedesca, perplessi ed indecisi, si sbandarono in ogni dove, peregrinando in paese in paese. Comunque dopo la fine della guerra e dopo la restituzione di gran parte di essi da parte degli Stati detentori, si potò stabilire con larga approssimazione il numero dei nostri militari catturati prigionieri, quelli di essi deceduti nei campi e quelli trattenuti, che furono in seguito rimpatriati, ad eccezione di poche persone - civili e militari - sulla cui restituzione operarono le nostre autorità consolari. La sorte più tragica, perché mai conosciuta, fu riservata ai nostri militari dell'ARMIR combattenti sul fronte russo e non scampati ai tragici eventi della battaglia del Don.

CAPITOLO I.

L'Armata Italiana in Russia, all'inizio della battaglia del Don - 11 dicembre 1942 - era forte di circa 220.000 uomini inquadrati in 3 divisioni alpine, una divisione celere, 6 divisioni di fanteria e truppe e servizi dell'Armata, schierate tutte nella grande ansa del Don. La violenza e la durata della battaglia, la superiorità delle forze nemiche, la eroica resistenza dei nostri reparti, le dure condizioni climatiche ed il ripiegamento sotto la costante pressione avversaria costarono perdite rilevanti in uomini e materiali. Al termine della battaglia - 31 gennaio 1943 - le perdite dell'Armata furono di 30.000 fra congelati e feriti e di circa 85.000 fra morti e dispersi. Al rientro in Italia dei superstiti dell'Armata, attraverso la segnalazione dei reparti si poté stabilire che i caduti in combattimento, potuti constatare e documentare, ammontavano a poco più di 11 mila unità e dei rimanenti mancanti non fu possibile stabilire quanti fossero i dispersi e quanti quelli catturati prigionieri.

Solo nel 1945 il Governo sovietico, tramite la nostra Ambasciata a Mosca, comunicò di aver deciso di liberare e di rimpatriare circa 20.000 prigionieri italiani. La liberazione ed il rimpatrio avvenivano in due tempi a cura delle autorità alleate in Germania ed in Austria, che ricevettero da quelle sovietiche in consegna i prigionieri italiani numericamente, senza una lista nominativa. Rimpatriarono cosi fra il 1945 ed il 1946 effettivamente 21.065 prigionieri italiani restituiti dalla Russia, però al censimento fatto presso i centri alloggio, assistenza e smistamento in Italia, risultò che solo 10.030 di essi erano militari già appartenenti all'ARMIR catturati dalle truppe russe nella battaglia del Don ed internati in campi di concentramento dell'U.R.S.S., mentre i rimanenti 11.035 erano militari già prigionieri dei tedeschi ed internati nella zona della Germania occupata dai russi, da questi liberati e restituiti.

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