domenica 11 aprile 2021

La Tagliamento da Legione a Gruppo

LA TAGLIAMENTO DA LEGIONE A GRUPPO (dicembre - aprile 1942).

Il 9 maggio 1942 il gen. Messe in un messaggio agli ufficiali, sottufficiali, caporali, soldati camicie nere del C.S.I.R. scriveva: "Le grandi, memorabili imprese che avete compiute rinverdendo la gloria delle bandiere, degli stendardi, dei labari, delle insegne che la Patria vi ha affidato, hanno arricchito la storia militare italiana di pagine che splendono di vivida luce nei fasti della Nazione".

Ancor sino a pochi giorni prima le Camicie nere erano rappresentate sul fronte russo soltanto dalla legione "Tagliamento" (un reggimento), il cui labaro sarà decorato con la medaglia d'oro. Il 24 aprile infatti, la legione, come tale, aveva chiuso il suo breve, sanguinoso, vittorioso, ciclo guerriero; nello stesso giorno era nato il Gruppo CC.NN. "Tagliamento" (una brigata) che, nella mutata fortuna della guerra, continuò la tradizione di valore e di umanità della piccola formazione primogenita. Quest'ultima, in una quasi ininterrotta serie di combattimenti contro un nemico superiore per numero, coraggioso e perfettamente armato, all'indomani della battaglia di Natale (24 dicembre 1941 - 26 gennaio 1942) avendo avuto centinaia di morti, feriti e congelati, era ridotta allo stremo delle forze. Rimaneva integro lo spirito: senso del dovere e dell'onore militare, lealtà verso il nemico, rispetto e anzi cordialità per le popolazioni dei luoghi occupati.

Quando quel gelido, ventoso 22 marzo 1942 a Mikailowska, presente il gen. Marazzani comandante della Celere, il cappellano don Biasutti benedì il Camposanto dove erano state raccolte le salme dei Caduti di Natale, una piccola folla di donne, ragazze e bimbi, accorsi anche da villaggi vicini, chiese di assistere al rito. Non li spingeva soltanto curiosità; il caposquadra Valle, interprete, interrogate alcune donne, tradusse: "I soldati italiani sono sempre stati buoni con noi". A Mikailowska aveva infuriato la battaglia, come a Krestowka, a Malo Orlowka, a Nowo Orlowka e poi a quota 331,7 ed a Woroscilowa. La battaglia non era inattesa. Il 9 dicembre il gen. Messe aveva comunicato ai comandi dipendenti: "L'alleato è in grave, se momentanea, crisi. Il C.S.I.R. deve occupare e tenere il contrafforte su cui corre la ferrovia Debalzewo-Rassypnaja, saldando i contatti le Grandi Unità germaniche laterali. Impegno tutti al massimo sforzo".

Il 10, l'11, il 12, il 13 dicembre arditi colpi di mano russi contro caposaldi e blocchi della legione erano stati respinti con perdite dalle due parti. Il 12 era stato gravemente ferito il centurione Pigozzi. Tutte le nostre ricognizioni esplorative avevano accertato grandi movimenti di truppe nemiche. Sulla linea più avanzata del C.S.I.R. il settore del vice comandante della Celere, col. Lombardi i.g.s., era tenuto dalla legione, dal 18° Btg. del III° bersaglieri, dal gruppo 75/27 del Bgt. artiglieria a cavallo, da uno squadrone del Savoia Cavalleria: Nella notte del 23 venne l'ordine: "Tenersi pronti a difendere ad oltranza le località occupate".

Quelle località erano in un certo senso gli estremi avamposti di Stalino. Perderle, significava aprire al nemico la strada verso il cuore dell'Ucraina. Furono tenute. Poi la legione andò, più avanti, sino a Woroscilowa che espugnò e mantenne; e quando al ritorno i superstiti passarono per Iwanoka un maggiore tedesco ordinò ad un suo drappello di presentare le armi e disse al Console Nicchiarelli che per gli italiani di Woroscilowa bisognava creare un vocabolo nuovo: disse "panzer soldaten" intendendo dire soldati d'acciaio. É difficile dare un'idea di Woroscilowa. Un ufficiale della legione, il cent. Avenati, testimone oculare, ne fece più tardi una descrizione fedele, obbiettiva su "La Stampa" di Torino: "W. non è un paese, è - letteralmente - un buco, uno conchiglia gigantesca e cupa fra quote e balke... Ero un kolkos (magazzino) per la raccolta di bestiame, derrate, arnesi di lavori. Qualche capannone, qualche casa ad un piano, ora semidistrutti. L'unica risorsa locale è un pozzo, ma per attingervi l'acqua bisognava spezzare con il calcio dei moschetti il lastrone di ghiaccio che ne ricopre permanentemente la bocca. Le poche slitte disponibili - sempre bersagliate dal nemico - ci portano i viveri. Non arrivando le slitte, si mangiano i resti dei cavalli trovati uccisi sul posto e la cui carne, data la temperatura che oscilla tra i 30 e i 40 sotto zero con una punta sui 42, si conserva ottimamente. Per i turni di guardia a quota 331,7 si percorrono 800 metri, che abbiamo definito la pista della morte. La prova di scavare camminamenti, ricoveri, ecc., è fallito giacché le stesse mine scalfiscono appena la dura crosta di ghiaccio. Ogni giorno e, naturalmente, ogni notte siamo in allarme. Qui i legionari combattono duramente".

Ora il fiore di quei prodi era li, sotto la bruna terra del cimitero di Mikailowska. C'era la camicia nera scelta Garofolo, porta-treppiede, che a Orlowka, subito colpito mortalmente, poi ferito alla coscia, continuò a far fuoco finché l'arma si inceppò ed allora si trascinò fuori dalla postazione e lanciò bombe a mano sino all'istante supremo. C'era il leggendario cent. Luigi Mutti che ferito a morte, volle rimanere fra i commilitoni e disse di essere contento di sacrificarsi per l'Italia: "Bella Italia, muoio per lei - disse. Salutatemi la cara Patria". Ed ecco i capomanipoli Sandrigo, Meoli, Mazzocchi tutti caduti con l'arma in pugno; ecco la croce su cui si legge il nome del sottotenente Ezio Prigelio. Era di Trieste, era il più giovane degli ufficiali, apparteneva al Btg. Armi accompagnamento, e precedette nel cielo degli eroi il suo comnadante, ten. col. De Franco, morto in Italia, appena rimpatriato, per postumi di guerra. Qui due mitraglieri: l'uno ferito, volle rimanere all'arma dicendo: "Ho ancora qualche nastro...". Furono le sue ultime parole. L'altro, un piemontese, colpito in fronte spirò con stoica semplicità; disse: "Toca a mi" (tocca a me). Una a fianco all'altra le tombe del cent. Gentile e del capomanipolo Barale. Il primo era sostituto procuratore del Re, aveva moglie e due figli. Colpito a morte, al suo comandante, primo seniore Patroncini, disse: "Sono felice di dar la vita per l'Italia". Poi chiese che gli cercassero nel portafogli la fotografia dei famigliari, la baciò e si fece il segno della Croce. I legionari dissero ch'era morto un santo. Del capo manipolo Barale, il suo attendente, Mantello scriverà: "Per tutto il giorno è stato un vero eroe, cioè, in termini nostri, un leone. Morì in un a corpo a corpo all'arma bianca".

E gli altri, i cento altri! Il cons. Nicchiarelli ne lesse i nomi, estremo appello e saluto. Poi nomi non detti, altre immagini fraterne balenarono alle menti tra il sibilo del vento, il tuonar dei cannoni, il rombo dei velivoli nemici. Era come se fossero davvero tutti lì raccolti, i morti di prima e di dopo Natale, i caduti per ferro, fuoco, gelo, in otto mesi di campagna. Praticamente per la legione il ciclo operativo di Natale non si concluse che col febbraio del '42. "Qui rimangono duecento leoni", aveva detto la sera del 9 gennaio il primo seniore Zuliani, comandante del 63°. Niente retorica, nessuna esagerazione in quelle parole superbe. Lo dimostrò la giornata del 18 quando fu respinto l'attacco in forza dei russi; lo dimostrò la giornata del 25 quando una Cp. formata coi resti del 79° Btg., in fraterna gara di valore con i bersaglieri del III° attaccò arditamente il nemico. Di tutti quelli della "Tagliamento" - Camicie nere e fanti - si deve dire che tennero fede alla consegna servendo con onore la Bandiera.

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