martedì 13 aprile 2021

Commissione speciale dell'ONU, parte 2

Pubblico la seconda parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

Perciò dalla perdita complessiva di circa 85.000 unità, calcolati i morti e i prigionieri restituiti, si poté dedurre che i militari dispersi ammontavano a circa 64.000 uomini dei quali si ignora tuttora la sorte loro toccata. Queste distinte cifre dei prigionieri e dei dispersi, puramente indicative, non convincono, ne possono essere accettate per una sequela di considerazioni e soprattutto di prove raggiunte dalle nostre autorità e di contraddizioni da parte delle stesse autorità sovietiche, le quali, uniche in possesso dei dati necessari, possono rivelare la verità su questo angoscioso problema dei prigionieri, la cui sorte sconosciuta, angoscia l'animo di migliaia di famiglie italiane, che invocano comprensione e senso di umana solidarietà da parte del popolo russo.

La sorpresa causata dalla notizia della liberazione e restituzione di appena 20.000 prigionieri italiani e poi la dolorosa constatazione che solo 10.030 di essi erano quelli dell'ARMIR restituiti dai campi di concentramento della Russia, disorientarono l'opinione pubblica italiana e furono fonte di amarezza e di angoscia in tante famiglie che speravano di riabbracciare i loro congiunti. Il 27 novembre 1946 il Governo sovietico fece seguire al rimpatrio dei prigionieri la seguente dichiarazione: "Il Ministero degli Affari Esteri dell'U.R.S.S. ha l'onore di attirare l'attenzione dell'Ambasciata d'Italia sul fatto che il Governo sovietico, venendo incontro al desiderio del Governo Italiano e per manifestare la sua buona volontà ha proceduto di sua iniziativa al rimpatrio dei prigionieri italiani nell'U.R.S.S., che è stato ultimato nell'agosto u.s.". Con questo passo il Governo sovietico intendeva considerare chiusa definitivamente la questione dei nostri prigionieri di guerra.

Intanto dagli interrogatori dei reduci si poté acclarare che altri prigionieri italiani erano sicuramente rimasti nell'U.R.S.S., sparsi in campi di punizione o in carcere, perché incolpati di crimini di guerra. Raccolte le prove testimoniali dei reduci, si produsse una chiara ed inoppugnabile documentazione alle autorità sovietiche, che nel 1947, senza alcun preavviso restituirono altri 5 prigionieri, nel 1948 altri due, dei quali non si aveva notizie dell'esistenza in vita, nel 1950 un gruppo di altri 21 prigionieri fra i quali i tre generali delle Divisioni Alpine e nel 1951 un altro prigioniero, del quale si sconosceva la sorte. Quindi le autorità sovietiche trasmisero una lista di 34 prigionieri italiani trattenuti, in attesa del procedimento giudiziario che li riguardava per accuse di atrocità commesse contro la popolazione civile in territorio dell'U.R.S.S. durante la guerra.

Infine nel gennaio-febbraio del 1954 veniva restituito il predetto gruppo di prigionieri, presunti criminali di guerra il cui rimpatrio venne annunziato dall'Ambasciata dell'U.R.S.S. in Roma con la seguente nota verbale: "L'Ambasciata dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste presenta i suoi complimenti al Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Italiana e per incarico del suo Governo ha l'incarico di comunicare quanto segue: Terminato nell'agosto 1946 il rimpatrio dall'U.R.S.S. dei prigionieri di guerra italiani che espiavano la pena per delitti da loro commessi, ora in relazione col decreto di amnistia del presidium del Consiglio Supremo dell'U.R.S.S. e per corrispettiva decisione del Tribunale Supremo dell'U.R.S.S. dopo il riesame delle pratiche, 27 prigionieri di guerra italiani vengono liberati prima del tempo e sono ammessi al rimpatrio. Un altro prigioniero di guerra italiano è ammesso al rimpatrio dall'U.R.S.S. avendo scontato la pena. In pari tempo per decisione del Tribunale Supremo, riesaminate le pratiche, vengono liberati prima del tempo e ammessi al rimpatrio dall'U.R.S.S. 6 italiani civili che erano anch'essi detenuti in espiazione di pena per delitti da loro commessi. L'Ambasciata è autorizzata a dichiarare che nell'Unione sovietica oltre ai suddetti 28, non esiste alcun altro prigioniero di guerra italiano e che con la loro partenza dall'U.R.S.S. il rimpatrio dei prigionieri di guerra italiani dall'Unione Sovietica sarà del tutto completo".

A questa seconda affermazione da parte delle autorità sovietiche dell'avvenuta completa restituzione dei prigionieri di guerra italiani nell'U.R.S.S., seguono sporadicamente altri rientri insperati di cittadini italiani dei quali nulla si conosceva se non la loro posizione di dispersi, in conseguenza della quale ai congiunti veniva assegnata la pensione di guerra. Infatti ne rimpatriarono 4 nel 1955, 2 nel 1956 e uno nel 1957. Cosi furono restituiti complessivamente dal 1945 ad oggi 10.100 italiani, dei quali 10.081 militari dell'A.R.M.I.R., 13 altoatesini della Wermacht e 6 civili. Naturalmente il ritorno dei prigionieri italiani dopo le ripetute dichiarazioni del Governo Sovietico della inesistenza di altri in territorio russo, ha giustamente convinto l'opinione pubblica della inesattezza delle affermazioni e alimentata la speranza, nelle migliaia di famiglie dei dispersi, che altri prigionieri potrebbero trovarsi ancora sparsi nello sconfinato territorio delle Repubbliche Sovietiche.

Sull'entità dei nostri prigionieri in Russia si sono azzardate varie cifre: 60.000 secondo i nostri calcoli al termine della campagna di guerra; 85.000 secondo un comunicato apparso sul giornaletto «ALBA» del 10-2-1943 - periodico edito in Russia e distribuito nei campi di concentramento italiani; 115.000 secondo un comunicato dell'agenzia d'informazioni Tass, diramato nella notte tra il 15 e il 16 marzo 1943; 50.000 o 80.000 secondo una rassegna della stampa svedese del 3 aprile 1944 - secondo cui da notizie raccolte da un suo corrispondente londinese, si riteneva prossima la organizzazione in Russia di una Armata italiana composta di 50.000 - 80.000 prigionieri di guerra. Cifre alle quali si ritenne di dare un valore relativo, considerato che esse potessero essere state divulgate a scopo propagandistico nel periodo della guerra ancora in atto, ma che purtroppo rimasero inalterate nella convinzione degli ambienti familiari e associative dei prigionieri e dispersi.

La cifra piu attendibile si considerò quella di 46.000 militari dell'ARMIR, sia per concordi dichiarazioni dei reduci che per ammissione della stessa stampa sovietica. E a conferma giova riportare un passo tratto dal libro «Discorsi agli Italiani» di Mario Correnti - edito in lingua estera a Mosca - 1943 - ove fra l'altro si legge: "I dati della stampa sovietica sono inconfutabili. ...In tutto, la stampa sovietica, calcola che Mussolini ha perduto sul fronte orientale 60.000 morti, 69.000 feriti e 46.000 prigionieri...". Fu anche accertato, attraverso notizie fornite dai reduci, che tutti i prigionieri, all'atto della cattura, venivano elencati nominativamente prima del loro avvio ai campi di concentramento. Ufficialmente non si è potuto mai conoscere con esattezza dall'autorità sovietiche il numero ed i nomi dei prigionieri italiani catturati, quelli di essi deceduti durante le lunghe marce di trasferimento per raggiungere i campi e nei campi stessi per malattie ed altre cause.

I reduci hanno riferito di alte percentuali di decessi per epidemie, ma limitatamente a determinati campi e quindi non è stato possibile dedurre un numero anche approssimativo, che solo le autorità sovietiche possono precisare attraverso la documentazione in loro possesso e sulla cui esistenza non possono sorgere dubbi e per unanime dichiarazione dei reduci e per le stesse comunicazioni delle autorità sovietiche, che, per circa 450 certificati di morte, finora rimessi alle autorità italiane, hanno indicato con precisione per ogni prigioniero deceduto: nome, cognome, paternità, luogo e data di nascita, la data di morte, che per alcuni risulta essere di pochi giorni dopo quella della cattura, la località, la causa del decesso, specificando, nei 450 casi di morte, circa 40 malattie diverse.

Che l'URSS non avesse sentito l'obbligo di fare alcuna comunicazione alle autorità italiane sui prigionieri di guerra poteva anche ritenersi giustificata, in quanto non firmataria della Convenzione Internazionale di Ginevra del 1929, non era in dovere di farlo verso il paese nemico, ma la stessa giustificazione non avrebbe dovuto avere più senso allorché il nostro paese si unì nella lotta per la causa alleata e più ancora dopo, quando nel 1949 aderì alla nuova Convenzione Internazionale di Ginevra. Su questa ostinazione ed intransigenza, che tuttora mantengono le autorità sovietiche, ogni illazione è avventata anche perché nell'attuale parvente clima di distensione, almeno tale considerato, con lo scambio di accordi commerciali e visite culturali, artistiche, sportive, ecc. non si riesce a puntualizzare la causa della mancata collaborazione in questo doloroso problema la cui chiarificazione contribuirebbe tanto a rafforzare i vincoli di amicizia fra i due popoli.

Nessun commento:

Posta un commento