mercoledì 26 aprile 2023

Immagini, Battaglione Monte Cervino

Alpini del Battaglione Monte Cervino in marcia verso il Don.

Ripiegamento del 5° Alpini

STRALCIO DELLA RELAZIONE SUL RIPIEGAMENTO DEL 5° ALPINI DALLE LINEE DEL MEDIO DON (COLONNELLO GIUSEPPE ADAMI) 15-31 GENNAIO - DESCRIZIONE DEL COMBATTIMENTO AVVENUTO IL 26 GENNAIO AD ARNAUTOWO (RUSSIA).

26 GENNAIO 1943.

Circa le ore 2 elementi sbandati della Divisione "Cuneense" invadono la strada centrale del paese affermando che a Sud-Ovest del paese stesso, erano stati attaccati da truppe russe e partigiani. La notizia è avvalorata dal fatto che la sparatoria, che aveva continuato tutta la notte in direzione di Arnautowo, si era intensificata ed estesa ai margini del bosco proprio a Sud-Ovest dell'abitato; per di più tra le case cadono colpi di mortaio, di cannoncino anticarro e traccianti. Di ciò avuta la diretta percezione dopo di essere uscito all'aperto, comunico l'allarme ai Battaglioni e dispongo la eventuale difesa del posto e lo sbarramento delle vie di accesso.

La luna ed cielo chiarissimo permettono una buona visibilità. Poco dopo arriva il Generale Reverberi che, reso da me edotto delle misure prese, ordina di anticipare la partenze di un'ora e di rafforzare nel frattempo con una Compagnia la difesa del quadrivio, presso il quale si era sistemato il Comando di Corpo d'Armata: al quale provvedo mandando in luogo la 48a Compagnia del Battaglione "Tirano" rinforzata con i pezzi di artiglieria. Contro ogni previsione l'attacco non si sviluppa ed anzi viene a cessare anche l'azione nemica. Alle ore 5 il Battaglione "Tirano" inizia il movimento, tosto seguito dalle molte slitte del Gruppo Fischer. Esso appena giunto alle prime case di Arnautowo, quando il comandante del Plotone Esploratori informa di avere preso contatto con il nemico che sta avanzando.

Il Maggiore Maccagno, Comandante del Battaglione, si porta subito avanti per rendersi personalmente conto della situazione mentre mortai e mitragliatrici russe aprono il fuoco sui reparti e può constatare che l'avversario sta premendo sul fianco sinistro della colonna, che la strada oltre la selletta di Arnautowo è potenzialmente sbarrata da cannoni anticarro, mortai e mitragliatrici e che inoltre, grosse pattuglie russe operano sull'alto del costone di destra.

Dispone per lo spiegamento del Battaglione in formazione di combattimento, con la 49a Compagnia a sinistra, la 46a Compagnia al centro e la C.C.T. sulla destra con compito, quest'ultima, di operare un largo movimento sul fianco del nemico. Fa inoltre piazzare le armi di accompagnamento che aprono subito il fuoco. Sulla indicazione di un Ufficiale di Cavalleria, pratico del posto, incanalo il movimento della colonna, meno le slitte e gli automezzi del Gruppo Fischer, lungo una strada secondaria che, deviando destra e in basso, porta direttamente alla selletta, mentre ordino alle predette slitte e automezzi di procedere per la strada principale alta protetti dalla 48a Compagnia.

Alla Selletta dal Maggiore Maccagno ho relazione dello Stato di cose. In quel momento forti nuclei avversari premono al centro e alla sinistra ed avanzano rapidi cantando. La difficilissima situazione mi induce a far inviare sulla destra una Squadra mitraglieri della 48a Compagnia, per dare maggiore efficacia alla controffensiva sul fianco e a chiedere l'immediato intervento dei Gruppi "Vicenza e Val Camonica", onde appoggiare al centro e sulla sinistra l'azione del "Tirano". Ordino inoltre di far sgomberare con qualunque mezzo la strada invasa di slitte e di salmerie cosi da permettere alle artiglierie una rapida avanzata. Successivamente ordino al Battaglione "Edolo" di portarsi in testa alla colonna. In attesa dell'arrivo delle richieste batterie, che a fatica procedono verso la selletta, un pezzo da 105 del Gruppo Fischer, appena sopraggiunto, su richiesta del Maggiore Maccagno apre il fuoco contro una casa sulla quota 210 a Nord-Est dalla quale escono elementi nemici diretti verso la antistante balka - colpendola e demolendola in breve con evidente vantaggio per la C.C.T. ed i mitraglieri che procedono in quella direzione. Anche la Batteria a disposizione del Battaglione "Tirano" un mortaio da 81 e due cannoni da 47 anticarro, svolgono azione contro centri di fuoco nemici stando allo scoperto, tanto due Ufficiali, impegnati personalmente a sparare, restano feriti alle braccia e alle mani da pallottole di mitragliatrice.

Le tre Compagnie del Battaglione a stretto contatto con il nemico resistono bravamente e sotto violento fuoco reagiscono a brevissima distanza con lancio di bombe a mano. L'ora eroica del "Tirano" è pagata a duro prezzo: cadono due Comandanti di Compagnia, cadono numerosi altri Ufficiali ed Alpini, altri ancora restano feriti per continuare a combattere. La situazione permane critica affinché, a decidere favorevolmente le sorti, intervengono due fatti: l'azione violenta di fuoco iniziata dalla C.C.T. e dalla Squadra mitraglieri della 48a Compagnia, che dopo avere snidato il nemico dalla casa di quota 210 erano piombati sul fianco ed a tergo e l'entrata in azione di una Batteria del Gruppo "Val Camonica" che opera efficaci tiri di distruzione dei centri avversari. La Batteria del Gruppo "Vicenza" non riesce invece a partecipare all'azione per l'insufficienza delle sue armi. A distruggere un centro avanzato del nemico concorre il S.Tenente Gariboldi, Ufficiale di Collegamento del 5° Reggimento Alpini, che fa uso di una mitragliatrice lasciata sul posto dalla 33a Batteria del Gruppo "Bergamo" attaccata e messa fuori combattimento durante la notte. Lo scontro è ormai sul finire. I russi fuggono abbandonando sul terreno numerosi morti. Il Maggiore Fischer, che arriva alla selletta, scende dal carro cingolato per congratularsi con me del magnifico comportamento degli Alpini del "Tirano".

Sta di fatto che questo Battaglione, chiamato con forze ridotte e stanche dall'estenuante marcia di nove giorni tra stenti di ogni genere e con armi in gran parte inefficienti a cozzare contro un nemico fresco, imbaldanzito dai recenti successi, dotato di armi formidabili, ha saputo col solo appoggio di pochi pezzi di artiglieria e mediante l'eroico sacrificio di ben 11 dei suoi Ufficiali e Alpini - volgere al successo una situazione difficilissima che avrebbe potuto compromettere la salvezza di tutta la colonna. Il Battaglione 'Edolo" nonostante tutti gli sforzi per obbedire al mio ordine di portarsi in testa, non vi ancora riuscito, chiuso, come si trova, dalla ressa pressante degli automezzi, delle slitte, degli uomini che si accalcano dappertutto: né vi sarebbe riuscito nell'ipotesi disgraziata che, sopraffatto il "Tirano", si fosse reso necessario suo concorso. Le conseguenze che sarebbero derivate in tale eventualità sono facilmente intuibili.

Gloria dunque al "Tirano" e meritato un segno che ne ricordi l'eroismo e il sacrificio. Arriva il Generale Reverberi che senz'altro, quando ancora le pattuglie vittoriose inseguono il nemico, dà ordine a tutta la colonna di riprendere la marcia verso Nikolajewka.

Dati gli ordini al Comandante del Battaglione "Tirano" di raccogliere i superstiti e di proseguire, mi alla C.C.R. al seguito del Generale Reverberi. Dopo qualche ora di marcia in prossimità di Nikolajewka la colonna si arresta. Le artiglierie del Gruppo Fischer si stanno mettendo in posizione. Dal Comandante della Divisione ho notizia che da parte del Gruppo "Vestone" e di elementi del "Val Chiese" i quali però, portatisi alla ferrovia che limita il lato est del paese, non riescono a procedere oltre per la violenta reazione di fuoco nemica. Pure in posizione trovo una Batteria del Gruppo "Bergamo" mentre il Gruppo "Vicenza" sta affluendo e il Gruppo "Val Camonica" risulta ancora indietro... (omissis) ...

Il 26 gennaio segna una delle giornate più sanguinose ma anche delle più gloriose della Divisione Tridentina; più che per tutti gloriosa per il 5° Reggimento Alpini, il quale, con duri decisivi combattimenti di Nikitowka e Nikolajewka, sostenuti a poche ore di distanza, in condizioni assolutamente sfavorevoli, ha saputo imporsi al rispetto di un nemico agguerrito e prevalente di uomini e per mezzi e tenere sempre alto il buon nome della Patria e la tradizione della Bandiera.

PERDITE Ufficiali Sottufficiali ed Alpini Morti 11 63 Feriti e Congelati 15 399 Dispersi 5 497

IL COMANDATE DEL REGGIMENTO

Colonnello Giuseppe ADAMI

P.S. l'immagine non si riferisce alla battaglia di Nikolajewka ma agli scontri nei pressi dell'abitato di Scheljakino.


lunedì 24 aprile 2023

Libri: "I PRIGIONIERI ITALIANI DEL DON"

"I prigionieri italiani del Don nei campi di Stalin 1942-1954".

Su circa 70.000 soldati italiani catturati dall'Esercito Rosso dopo la disfatta dell'ARMIR, 10.087 furono rimpatriati, ossia solamente il 14%. Tale percentuale risulta spaventosamente bassa soprattutto se confrontata con quella dei prigionieri di guerra italiani rimpatriati dalle altre potenze belligeranti: il 99% dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra, il 98% dalla Francia e il 94% dalla Germania. Drammatiche sono state le circostanze in cui è avvenuta la cattura della maggior parte dei nostri militari: in pieno inverno russo (dicembre-gennaio 1942- 1943), caratterizzato da un'ondata di gelo eccezionale, in una situazione di assoluta incertezza sullo sviluppo successivo della guerra. Inoltre l'Unione Sovietica, almeno nel periodo iniziale, era quasi completamente sprovvista di lager capaci di ospitare le migliaia di prigionieri italiani, tedeschi, rumeni, ungheresi che vi affluivano in continuazione. Oltre che da queste tragiche condizioni di vita degli internati, la prigionia in Unione Sovietica fu contraddistinta da un altro fattore fondamentale: l'opera di propaganda e rieducazione politica svolta in maniera sistematica e asfissiante sui prigionieri.

Il libro è acquistabile a questo link https://www.ibs.it/prigionieri-italiani.../e/9788865707371

Capitano Pilota Giorgio Iannicelli, 11

La storia del Capitano Pilota GIORGIO IANNICELLI, Medaglia d'Oro al Valor Militare, nelle parole del figlio GianLuigi, undicesima parte. P.S. oggi questa testimonianza ha ancora più valore perché, seppur ho conosciuto il Signor Gianluigi una sola volta al telefono, ho appreso qualche mese fa che ha raggiunto il suo povero padre; ad entrambi va la mia più profonda stima e il mio ricordo.

Breve biografia.

Azioni di mitragliamento a terra. Giungere sulle linee, riconoscere su quel territorio sconvolto e arato da giorni e giorni di lotta le linee studiate per ore sulla carta, centimetro per centimetro: qui erano i nostri, li erano loro. C'era un boschetto: la linea ferroviaria diritta andava da questa parte, quella sinuosa da quell'altra. Bisognava stare attenti. Avanzavano. Erano qui un'ora fa. Ora saranno più avanti. Mitragliare passando a molto più di cento metri al secondo sulle due masse di uomini in lotta e saper distinguere gli amici dai nemici. Mitragliare al passaggio con armi che sputavano centinaia e centinaia di pallottole al minuto, sapendo che ogni ondeggiamento dell'apparecchio porta ad un errore enorme della mira. Mitragliare fra il fuoco delle batterie contraeree che viene su preciso, tra quello delle mitragliatrici leggere e dei fucili delle truppe in seconda linea che un attimo bastava a raggiungere, fisso l'occhio alla mira col bersaglio che veniva su, raggiungeva, gonfiava, diveniva immenso, sembrava quasi che li volesse inghiottire, e poi una lieve pressione della levetta di tiro, l'inferno di fuoco delle traccianti che andavano giù a centinaia, il palmo della mano premeva la leva di comando dell'apparecchio, l'orizzonte si inclinava, ruotava, ondeggiava, tornava diritto.

Eravamo ancora nel pieno della battaglia, ancora in giro, ancora il bersaglio che si ingigantiva, che ti voleva inghiottire. Cento metri, cinquanta, dieci, cinque. Via! La raffica s'arrestava, l'apparecchio si impennava. Girava. Per ricominciare. E dietro il comandante tutta la formazione seguiva, irregolare negli intervalli fra apparecchio ed apparecchio per non facilitare il tiro nemico, perfetta nel sincronismo delle manovre, nella scelta dei bersagli, nella successione delle virate. Ma quando la notte cominciava già a discendere sulla terra e la minaccia della neve della mattina cominciava a tradursi in realtà, la notizia giungeva che rinforzi nemici erano in marcia verso il campo della battaglia ove aveva subito un istante di sosta. Pronti erano gli uomini della terra a parare la minaccia, pronti dovevano essere gli uomini del cielo. La notte scendeva, la neve cadeva dal cielo ormai fosco; non importava. Il campo di fortuna che li ospitava non disponeva di una sola luce, non importava. Dove si combatteva, la caccia non doveva mancare. E nella notte incipiente gli apparecchi partivano scomparendo nell'oscurità ai hmiti appena visibili del campo. Andavano leggendo agli ultimi barlumi di luce l'angolo di bussola che li doveva portare alla meta.

Serrati ala contro ala, macchine appena più scure nel cielo scuro. Vampe nel cielo dal tubo di scarico degli apparecchi. Vampe sulla terra della battaglia che incominciava. Vampe orizzontali di cannonate. Vampe verticali di contraeree, quelle su cui gli aviatori contavano per scegliere con sicurezza il bersaglio. A terra era nero, non si poteva più distinguere gli amici dai nemici se erano a diretto contatto. Ma le colonne che venivano giù ancora non avevano raggiunto il campo della lotta e contro il pericolo che le minacciava aprivano il fuoco di tutte le loro mitragliatrici, di tutti i loro cannoni. Salivano dalla terra compatte colonne di fuoco alla ricerca del nemico quasi invisibile. Giù dal cielo contro la terra più nera. Giù a cinquanta, a dieci metri, contro le vampe eruttami della terra. Giù a più di cento metri al secondo. Giù fino a lambire con l'ala il pezzo che sparava.

Fiamme vivissime danzavano sulla prua degli apparecchi dalla bocca delle mitraglie. Non avevano più gli apparecchi che il fuoco delle mitragliatrici per ritrovarsi. Ogni pilota vedeva alla sua destra sprofondare nella terra la colonna di fuoco dell'apparecchio che gli era vicino. E la formazione andava sempre unita: mitragliando, innalzandosi, tornando ovunque vedeva zampillare fuoco sulla terra. La notte era chiusa, piena, implacabile. Aveva avvolto nel suo manto nerissimo gli apparecchi che avevano finito le munizioni e tornavano a casa. Il capo dell'ultima coppia aveva voluto avere l'ultima parola contro una batteria leggera che gli era parso ce l'avesse un poco con lui e si era allardato un attimo di più. Quando girava non vedeva più nulla. Scomparse anche le fiammelle dei tubi di scarico che solo potevano fargli individuare i compagni. Intanto il comandante andava, l'occhio alla bussola fosforescente, diritto al suo campo. Aveva contato le colonne infuocate dell'ultimo mitragliamento: c'erano tutti. Ora si voltava: contava le fiamme che vedeva lampeggiare nella notte, ammiccanti. Ne mancavano due e non si sapeva chi erano. I fari della sua automobile messa li contro vento a dare una direzione ed un punto, uno solo, di riferimento. E gli apparecchio atterravano con quel sol punto.

Ma il cuore del comandante era grosso. Sapeva che nella buia notte due suoi apparecchi erano in volo. Sapeva che giravano attorno anche se non li sentiva. Razzi di segnalazione si alzavano nel cielo. E chiamavano, chiamavano, chiamavano. L'ansia stringeva la gola di tutti. Il tenente Marcolini rimasto solo in volo, con il suo gregario, s'era ricordato subito che la sua bussola non era più fosforescente. Bussola destinata ad un apparecchio che doveva volare solo di giorno, vecchia fida bussola alla quale era affezionato; essa aveva visto di giorno in giorno impallidire la luce dei suoi muretti, delle sue gradazioni; luce che non serviva più, ma che ora sarebbe servita. "31, 31, 31" erano i trecentodieci gradi di rotta da seguire per tornare a casa, per tornare dove la squadriglia aspettava. Ma fra lo scintillare di tutti gli altri strumenti solo la bussola non rispondeva.

Il tenente girava. Non si voleva allontanare dal posto di cui conosceva l'esatta ubicazione. E il suo caposaldo non lo abbandonava. E intanto lavorava. Con una sola mano, l'altra impegnata nella manovra dell'apparecchio. Lavorava con le unghie, rompendole, con le dita, lacerandosele, ma riusciva. La bussola era strappata dal suo alveolo, portata dinnanzi agli occhi, a pochi centimetri. La pupilla, dilatata fino ad assorbire tutto l'iride, coglieva il barbaglio di luce. Fosforo esaurito. Rotta 28, cioè 280. Una tacca piccola 255, una tacca lunga 290, piccola 295, lunga 300, piccola 305 e poi il numero abbreviato 31 uguale a 310. Diritto, diritto dinnanzi a sé nella notte fonda, diritto verso la squadriglia che attendeva e che chiamava. Il gregario fedele era con l'ala sull'ala, le fiammelle del suo scarico sembravano chiari occhi allegramente ammiccanti. Ce l'aveva fatta! Ecco, ecco l'ansia della squadriglia in attesa che nel cielo. Un razzo rosso, un razzo bianco, ancora uno rosso. Sono qui, sono qui.

Da terra li avevano già visti e l'ansia in frenata dalla disciplina erompeva e si dileguava nel grido di trionfo che saliva incontro alle pallide fiammelle occhieggianti. E il comandante sentiva il suo cuore diventargli piccolo piccolo nel petto. Sono qui, sono qui: giravano, atterravano, rullavano, spuntavano nell'alone di luce e dei fari. Ancora un giro d'elica poi i motori si erano fermati. L'avventura è finita".

Vicende successive.

Con la caduta del muro di Berlino e le conseguenti vicende politiche è stato poi possibile stabilire degli accordi diplomatici, prima con l'URSS e poi con l'Ucraina indipendente, per l'inizio di ricerche sistematiche nei territori dell'ex Unione Sovietica dei luoghi di sepoltura nei nostri soldati deceduti sia in combattimento, che nei luoghi di prigionia. Tutto ha inizio nel mese di dicembre 1989 con la visita del Presidente Gorbaciov al nostro Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, ed è una vicenda complessa e difficile, lunga, commovente, sconosciuta ai più, che prosegue tuttora e la cui narrazione occuperebbe le pagine di un libro.

Nel caso del capitano Giorgio Iannicelli, le ricerche effettuate negli anni 1996/2000, dal Ministero della Difesa (ONORCADUTI), dall'UNIRR - Sezione delle Marche, e dai familiari e la precisione dei dati relativi alla sua sepoltura, assicurata dalle numerose fotografie e dalle planimetrie redatte con cura dal tenente cappellano don Pasquale Ferrari e concordanti con le testimonianze raccolte sui luoghi, anche fornite spontaneamente dagli abitanti, hanno consentito, sia pure fra difficoltà di ogni genere, l'identificazione del cimitero nel suo complesso. Le sue spoglie, però, nonostante la certezza della loro esatta localizzazione, suffragata anche dai primi ritrovamenti (tenente pilota Lucio Lai ed i componenti del suo equipaggio) che confermavano l'attendibilità della documentazione, non sono state alla fine ritrovate, essendo andate probabilmente disperse, insieme a quelle di vari altri caduti ivi inumate, durante i lavori edili eseguiti nel corso degli anni anche nell'area cimiteriale.

La superficie del cimitero militare italiano di Jussowo (detto anche "degli aviatori", per i numerosi componenti della Regia Aeronautica ivi composti), infatti, nulla conserva della sua destinazione a luogo di sepoltura ed è oggi coperta da un marciapiede, ombreggiato da alberi e prospiciente un'animata strada che conduce alla stazione della città (che conta, oramai, un milione di abitanti), con dei grandi palazzi incombenti sullo sfondo, la cui costruzione, eseguita senza alcun rispetto per il luogo, ha danneggiato in parte le sepolture, delle quali, quindi, solo parzialmente è stato possibile il ritrovamento ed il trasferimento in Italia. Ulteriori ricerche, sia negli archivi della città, che sui luoghi, sono tuttora in corso, su iniziativa dei familiari e dell'U.N.I.R.R. - Sezione Marche, almeno al fine di poter conoscere la sorte delle salme mancanti. Roma, sua città natale, gli ha dedicato una strada fra la via Cassia e la via Trionfale ed è ricordato nel museo annesso al sacrario di Cargnacco (Udine), eretto a ricordo dei caduti di Russia.

Vale la pena ricordare qui quello che avvenne a Nisida, allora sede dell'Accademia Aeronautica, il 29 aprile 1951, giorno del giuramento degli allievi del corso "IBIS 2", in particolare il discorso pronunciato dal colonnello pilota Raoul Zucconi, amico e collega del capitano Iannicelli e con lui, vent'anni prima, allievo del primo "IBIS", nella sua veste di "padrino" del nuovo corso: "Vent'anni fa questo stesso vessillo, che voi ora ricevete, è stato affidato a noi del 1° Corso "IBIS". Intorno a questo simbolo, dal motto che è un vaticinio di fortuna e di gloria, erano riunite, allora, le esuberanti nostre giovinezze, anelanti come voi in questo giorno, di offrire alla Patria e all'Arma la dedizione di tutta una vita. Ed è con suprema generosità che il Corso "IBIS" ha saputo tener fede al suo ideale durante le vicende tragiche e gloriose vissute dall'Aeronautica in questi anni. Ne è prova il sacrificio dei suoi 28 caduti e le sette medaglie d'oro che fra essi risplendono. I loro nomi sono simbolicamente impressi nel vessillo che oggi viene a voi consegnato: Dell'Incerti, Dell'Oro, Iannicelli, Larsimont, Maione, Mezzetti, Serini; i volti sereni d'ognuno sono davanti ai nostri occhi e si confondono nel brivido di commozione che offusca le nostre pupille, con i vostri volti giovani ed entusiasti.

E infatti voi avete raccolto il seme fecondo da essi gettalo e chiedete di esserne degni; siete i germogli più sani che sempre sorgono, come per miracolo di resurrezione, dall'alone di luce che promana da ogni vita donala sull'altare di un ideale sublime. La Patria è per noi ed è per voi questo supremo ideale. In suo nome vi passiamo il sacro fuoco dell'eroismo dalla fiaccola che abbiamo acceso immergendola nella fiamma della fede, tanti anni fa, e che abbiamo sempre tenuto in alto, il più in alto possibile, per illuminare il sacro volto d'Italia. La vostra face, che oggi tendete alla fiamma ideale che vi doniamo, è simbolo di continuità e di speranza. Il vessillo che ci è comune, traccia a voi la stessa strada che abbiamo percorsa. "Ibis victor redibis'. I cieli della Patria vi attendono. Andate e, come fu per noi, tornate con la certezza di aver donato all'Italia tutta la vostra vita ardente. Sarà questo, in ogni caso, il titolo di nobiltà che, trascendendo eventi e circostanze, vi farà degni di chi, sono la vostra stessa bandiera, ha conseguito la piena vittoria entrando nel cielo degli Eroi".





Intervista all'Alpino e reduce Beppe Falco

Intervista all'Alpino e reduce Beppe Falco che racconta la sua ritirata di Russia.

sabato 22 aprile 2023

martedì 18 aprile 2023

Il viaggio del 2013, da Postojalyi a N.Karcowka

Immagini del mio primo trekking effettuato nel 2013... Domenica 20 gennaio - 2a tappa Km.17: da Postojalyi a Nova Karcowka. Lasciata Postojalyi ci addentriamo nella steppa.





Serata a San Vittore Olona

Una nuova serata sulla Campagna di Russia, con qualche novità rispetto alle precedenti... questa volta sarò ospite del Gruppo Alpini di San Vittore Olona in via Alfieri 18B venerdì 21 aprile dalle ore 21.00; per chi vorrà essere presente un'occasione per conoscersi di persona e per ricordare ancora una volta i nostri soldati a 80 anni di distanza.

domenica 16 aprile 2023

Autieri in Russia

Spesso pensiamo e ricordiamo i reparti combattenti, quelli di prima linea, che si sacrificarono fino all'estremo per compiere il proprio dovere, trascurando ingiustamente tutti quei soldati che solo raramente ebbero occasione di scontrarsi con il nemico di allora. Ecco un esempio del valore che anche questi soldati seppero dimostrare, sia al nemico che all'alleato.

Il racconto è tratto dal testo "I servizi logistici delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943)" edito dal Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio Storico.

Un episodio indica lo stato d'animo degli autieri. Negli ultimi giorni della difesa di Karkov (febbraio 1943), si presentò al Direttore dei Trasporti dell'Intendenza un tenente colonnello dei carristi tedeschi, accompagnato da un altro ufficiale e da tre soldati, chiedendo l'assegnazione di cinque autocarri per un urgente rifornimento di munizioni a mezzi corazzati tedeschi impegnati in azione al margine nord-orientale della città. L'adesione era stata immediata, ma quando il tenente colonnello si avvide che gli autocarri sarebbero stati guidati dal personale che li aveva in consegna, non seppe trattenersi dal far intendere che avrebbe preferito avere i soli mezzi senza gli uomini. L'ufficiale tedesco venne invitato a scendere nel cortile dove si stava operando la scelta dei cinque conducenti volontari. A tutti i soldati italiani presenti fu spiegato dal Direttore dei Trasporti, mentre un interprete andava traducendo le parole affinché fossero intese anche dagli stranieri, come l'ufficiale superiore tedesco desiderasse avere i soli autocarri per risparmiare ai soldati italiani i pericoli del combattimento in corso. Il superiore italiano domandava a quella cinquantina di autieri se tra di loro ve ne fossero cinque pronti a dimostrare all'ufficiale germanico che la sua diffidenza sul coraggio degli alleati era ingiustificata. Tutti i presenti, nessuno escluso, si fecero avanti di tre passi per offrirsi all'invito. I prescelti, compiuto in tempi diversi il loro servizio, rientrarono regolarmente al reparto, elogiati dai comandanti tedeschi a favore dei quali avevano operato. Furono poi premiati con ricompense al valor militare italiane e tedesche.

venerdì 14 aprile 2023

Il viaggio del 2013, da Postojalyi a N.Karcowka

Immagini del mio primo trekking effettuato nel 2013... Domenica 20 gennaio - 2a tappa Km.17: da Postojalyi a Nova Karcowka. Partenza da Postojalyi.







Capitano Pilota Giorgio Iannicelli, 10

La storia del Capitano Pilota GIORGIO IANNICELLI, Medaglia d'Oro al Valor Militare, nelle parole del figlio GianLuigi, decima parte. P.S. oggi questa testimonianza ha ancora più valore perché, seppur ho conosciuto il Signor Gianluigi una sola volta al telefono, ho appreso qualche settimana fa che ha raggiunto il suo povero padre; ad entrambi va la mia più profonda stima e il mio ricordo.

Breve biografia.

Il suo corpo, come sopra ricordato, viene deposto, con gli onori militari, nel cimitero militare campale di Jussowo, alla periferia della città di Stalino (ora chiamata Donetz, il suo antico nome, nella Repubblica Ucraina), in una zona allora quasi campestre, accanto al nostro ospedale militare campale 159. Il cimitero è sistemato dignitosamente a cura dei cappellani militari, che provvedono a recintarlo, a porre croci metalliche su ogni sepoltura, a erigere una grande croce centrale (fortunosamente recuperata dai reduci dell'UNlRR - Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia - negli anni novanta e riportata in Italia), a redigere la documentazione atta a rendere identificabili le spoglie dei caduti ai fini di un loro rientro in Patria. In particolare, accanto a ciascuna salma viene posta una bottiglia di vetro sigillata, contenente un foglio dattiloscritto con tutti i dati necessari per l'identificazione del defunto. Dopo circa sessant'anni sono state ritrovate quelle bottiglie, intatte, che hanno consentito di dare l'esatta identità ai corpi riesumati.

Su quel cimitero, però, come su tutti gli altri che accolgono i corpi dei nostri caduti (circa 5.300) nei fatti d'arme precedenti la ritirata dell'inverno '42/'43, cala la cortina di ferro e con essa l'oblio. L'ordine di Stalin, una volta riconquistati i territori già occupati dalle forze italo-tedesche è quello di distruggere ogni traccia della loro presenza, fossero anche i cimiteri. L'annullamento, pertanto, di ogni segno esteriore di cristiana pietà per i defunti, unito alla scarsa attenzione riservata al culto dei morti da parte delle popolazioni locali, oltre che al clima politico italiano, certamente non favorevole all'argomento, (basta ricordare la famosa lettera di Togliatti sui nostri soldati in Russia!) ed internazionale del dopoguerra fino alla fine dell'Unione Sovietica, hanno fatto si che delle sepolture dei nostri soldati deceduti in combattimento durante la campagna di Russia, per non parlare delle decine di migliaia scomparsi in prigionia, per quasi mezzo secolo si sia perso il ricordo. Quei nostri fratelli è come se fossero morti una seconda volta!

E' bello ricordare qui, a chiusura della breve biografia del capitano Iannicelli, anche perché potrebbe essere lui un partecipe di quanto narrato, un ricordo di quelle vicende lontane e terribili, che videro coinvolti tanti nostri giovani di allora, che le vissero con coraggio e dignità e che sono perlopiù sconosciute ai giovani d'oggi, perché nessuno le ha loro raccontate. Scrive il comandante Enrico Meille, nella sua opera sui piloti da caccia, raccontando di combattimenti avvenuti nel territorio del Don: "La neve cadeva anche sui campi di battaglia del fronte del Don e nella notte il termometro era disceso di parecchi gradi sotto lo zero. Ma la neve e il freddo non avevano minimamente influito sul corso delle operazioni che si svolgevano secondo i piani prestabiliti, e anche di questo si era tenuto conto. E tutti gli uomini delle macchine, che sulla terra e nel cielo combattevano, avevano visto con gioia scomparire uno dei loro nemici più caparbi ed insidiosi: il fango.

Ora la palude era finita, il fango non c'era più. Sul terreno che il gelo della notte rendeva simile a pietra e il sole delle serene giornate non bastava a disciogliere, le colonne camminavano velocissime. Le nostre divisioni, a stretto contatto col nemico, sempre avanzavano verso gli obiettivi che erano stati loro assegnati e l'aviazione si spostava anch'essa in avanti, a ridosso delle prime linee, dovunque la sua opera poteva essere utile. Ed aveva anche la somma ventura di essere chiamata ad operare a diretto contatto con le truppe, a partecipare anch'essa all'assalto e al balzo in avanti, seguendo gli uomini che avanzavano curvi con il moschetto in una mano e la bomba nell'altra, sotto il tiro delle armi da accompagnamento. Tacevano i cannoni, tacevano le mitragliatrici, tacevano i mortai; la lotta si svolgeva uomo contro uomo, petto contro petto. E anche gli aeroplani da caccia si avventavano giù nella mischia mirando all'uomo, alla postazione, al nucleo di trincea.

C'era, in quei giorni su questo fronte, un nodo ferroviario conteso. Avanzando con animoso slancio, un nostro reggimento l'aveva occupato. Ma il nemico contrattaccava in forze, concentrando contro il nucleo dei nostri, che tenacemente si difendevano, tutti gli uomini, tutti i mezzi e tutte le risorse di cui disponevano nel settore. Una squadriglia di caccia del gruppo "Spauracchio " (22° gruppo caccia terrestre), che già molte vittorie aveva colte in questo cielo, aveva avuto l'onore di essere designala a collaborare direttamente con le truppe avanzanti. L'azione si svolgeva con scelta di tempi e di concomitanze perfetta. Mentre i bersaglieri scattavano all'attacco, la formazione dei caccia appariva nel cielo della battaglia. Cielo grigio. basso, minaccioso, carico di neve che ancora non si decideva a cadere. Minuscoli contro le nuvole enormi, sono apparsi gli apparecchi stretti ala contro ala, secondo una tecnica che ormai è diventata una tradizione. Avevano scelto un bersaglio, si erano abbassati in fulminea picchiata, tempestando di fuoco la terra e il nemico.

Sotto l'arco di fuoco erano avanzati i bersaglieri. Dinnanzi a loro la terra zampillava sotto i colpi delle mitragliatrici aeree. Il nemico non sparava più, appiattito contro terra dalla massa implacabile di fuoco e dal ruggito fragoroso dei motori a pochi metri di altezza. Due, tre volte, sei volte sono tornati gli aerei all'assalto, mentre il corpo a corpo si accendeva al basso. Bersaglieri e aviatori italiani. La vittoria.