venerdì 14 aprile 2023

Capitano Pilota Giorgio Iannicelli, 10

La storia del Capitano Pilota GIORGIO IANNICELLI, Medaglia d'Oro al Valor Militare, nelle parole del figlio GianLuigi, decima parte. P.S. oggi questa testimonianza ha ancora più valore perché, seppur ho conosciuto il Signor Gianluigi una sola volta al telefono, ho appreso qualche settimana fa che ha raggiunto il suo povero padre; ad entrambi va la mia più profonda stima e il mio ricordo.

Breve biografia.

Il suo corpo, come sopra ricordato, viene deposto, con gli onori militari, nel cimitero militare campale di Jussowo, alla periferia della città di Stalino (ora chiamata Donetz, il suo antico nome, nella Repubblica Ucraina), in una zona allora quasi campestre, accanto al nostro ospedale militare campale 159. Il cimitero è sistemato dignitosamente a cura dei cappellani militari, che provvedono a recintarlo, a porre croci metalliche su ogni sepoltura, a erigere una grande croce centrale (fortunosamente recuperata dai reduci dell'UNlRR - Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia - negli anni novanta e riportata in Italia), a redigere la documentazione atta a rendere identificabili le spoglie dei caduti ai fini di un loro rientro in Patria. In particolare, accanto a ciascuna salma viene posta una bottiglia di vetro sigillata, contenente un foglio dattiloscritto con tutti i dati necessari per l'identificazione del defunto. Dopo circa sessant'anni sono state ritrovate quelle bottiglie, intatte, che hanno consentito di dare l'esatta identità ai corpi riesumati.

Su quel cimitero, però, come su tutti gli altri che accolgono i corpi dei nostri caduti (circa 5.300) nei fatti d'arme precedenti la ritirata dell'inverno '42/'43, cala la cortina di ferro e con essa l'oblio. L'ordine di Stalin, una volta riconquistati i territori già occupati dalle forze italo-tedesche è quello di distruggere ogni traccia della loro presenza, fossero anche i cimiteri. L'annullamento, pertanto, di ogni segno esteriore di cristiana pietà per i defunti, unito alla scarsa attenzione riservata al culto dei morti da parte delle popolazioni locali, oltre che al clima politico italiano, certamente non favorevole all'argomento, (basta ricordare la famosa lettera di Togliatti sui nostri soldati in Russia!) ed internazionale del dopoguerra fino alla fine dell'Unione Sovietica, hanno fatto si che delle sepolture dei nostri soldati deceduti in combattimento durante la campagna di Russia, per non parlare delle decine di migliaia scomparsi in prigionia, per quasi mezzo secolo si sia perso il ricordo. Quei nostri fratelli è come se fossero morti una seconda volta!

E' bello ricordare qui, a chiusura della breve biografia del capitano Iannicelli, anche perché potrebbe essere lui un partecipe di quanto narrato, un ricordo di quelle vicende lontane e terribili, che videro coinvolti tanti nostri giovani di allora, che le vissero con coraggio e dignità e che sono perlopiù sconosciute ai giovani d'oggi, perché nessuno le ha loro raccontate. Scrive il comandante Enrico Meille, nella sua opera sui piloti da caccia, raccontando di combattimenti avvenuti nel territorio del Don: "La neve cadeva anche sui campi di battaglia del fronte del Don e nella notte il termometro era disceso di parecchi gradi sotto lo zero. Ma la neve e il freddo non avevano minimamente influito sul corso delle operazioni che si svolgevano secondo i piani prestabiliti, e anche di questo si era tenuto conto. E tutti gli uomini delle macchine, che sulla terra e nel cielo combattevano, avevano visto con gioia scomparire uno dei loro nemici più caparbi ed insidiosi: il fango.

Ora la palude era finita, il fango non c'era più. Sul terreno che il gelo della notte rendeva simile a pietra e il sole delle serene giornate non bastava a disciogliere, le colonne camminavano velocissime. Le nostre divisioni, a stretto contatto col nemico, sempre avanzavano verso gli obiettivi che erano stati loro assegnati e l'aviazione si spostava anch'essa in avanti, a ridosso delle prime linee, dovunque la sua opera poteva essere utile. Ed aveva anche la somma ventura di essere chiamata ad operare a diretto contatto con le truppe, a partecipare anch'essa all'assalto e al balzo in avanti, seguendo gli uomini che avanzavano curvi con il moschetto in una mano e la bomba nell'altra, sotto il tiro delle armi da accompagnamento. Tacevano i cannoni, tacevano le mitragliatrici, tacevano i mortai; la lotta si svolgeva uomo contro uomo, petto contro petto. E anche gli aeroplani da caccia si avventavano giù nella mischia mirando all'uomo, alla postazione, al nucleo di trincea.

C'era, in quei giorni su questo fronte, un nodo ferroviario conteso. Avanzando con animoso slancio, un nostro reggimento l'aveva occupato. Ma il nemico contrattaccava in forze, concentrando contro il nucleo dei nostri, che tenacemente si difendevano, tutti gli uomini, tutti i mezzi e tutte le risorse di cui disponevano nel settore. Una squadriglia di caccia del gruppo "Spauracchio " (22° gruppo caccia terrestre), che già molte vittorie aveva colte in questo cielo, aveva avuto l'onore di essere designala a collaborare direttamente con le truppe avanzanti. L'azione si svolgeva con scelta di tempi e di concomitanze perfetta. Mentre i bersaglieri scattavano all'attacco, la formazione dei caccia appariva nel cielo della battaglia. Cielo grigio. basso, minaccioso, carico di neve che ancora non si decideva a cadere. Minuscoli contro le nuvole enormi, sono apparsi gli apparecchi stretti ala contro ala, secondo una tecnica che ormai è diventata una tradizione. Avevano scelto un bersaglio, si erano abbassati in fulminea picchiata, tempestando di fuoco la terra e il nemico.

Sotto l'arco di fuoco erano avanzati i bersaglieri. Dinnanzi a loro la terra zampillava sotto i colpi delle mitragliatrici aeree. Il nemico non sparava più, appiattito contro terra dalla massa implacabile di fuoco e dal ruggito fragoroso dei motori a pochi metri di altezza. Due, tre volte, sei volte sono tornati gli aerei all'assalto, mentre il corpo a corpo si accendeva al basso. Bersaglieri e aviatori italiani. La vittoria.







Nessun commento:

Posta un commento