domenica 28 febbraio 2021

Il viaggio del 2011, le isbe di Nowo Postojalowka

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... vecchie isbe a Nowo Postojalowka; tra il 19 ed il20 gennaio 1943 qui si svolse il più rilevante scontro armato, per reparti impegnati e per il numero di caduti, fra le divisioni italiane alpine in ritirata e l'Armata Rossa, dietro le linee del Don.



sabato 27 febbraio 2021

Tambov ricorda

Estate 2016, è il primo viaggio estivo in Russia nella zona tenuta dalla Divisione Pasubio e Torino, dalle Legioni Tagliamento e Montebello. Il programma a suo tempo predisposto prevede anche la visita del lager di Tambov; il pomeriggio del giorno precedente la visita al campo arriviamo in città e abbiamo qualche ora per visitarla.

Lungo un viale principale arriviamo in una grossa piazza che si affaccia ad un parco cittadino recintato; lungo la recinzione sono appesi dei pannelli di notevoli dimensioni che ricordano la "Grande guerra patriotica". Ecco perché ammiro la Russia e i russi: ricordano sempre ed ovunque, anche a distanza di così tanti anni, i loro soldati, sempre e comunque!













































Italiani, brava gente... il film

Ho sempre ritenuto il film "Italiani, brava gente" un film mediocre se non peggio. "Italiani, brava gente" uscì nelle sale italiane il 16 settembre 1964; registi: Giuseppe De Santis e Dmitrij Ivanovič Vasil'ev per una produzione mista Italia e Unione Sovietica. La trama si può così sintetizzare: durante la Seconda Guerra Mondiale un gruppo di soldati italiani si trova in Russia al seguito dell'esercito nazista. Gli uomini però rifiutano la violenza dei tedeschi e finiscono per familiarizzare con alcuni prigionieri sovietici.

Negli anni mi sono sempre chiesto come questo film potesse riscuotere tanto interesse, ma soprattutto mi sono sempre chiesto se fossi l'unico a giudicarlo come sopra indicato; fino a quando ho scoperto una recensione presente in Internet; e non è una recensione di una persona qualsiasi. E' la recensione del Professore Mario Altarui. E non posso che fare mie le parole di Mario Altarui.

Per chi non lo dovesse conoscere Mario Altarui fu un personaggio di un certo rilievo all'interno dell'A.N.A.; fondatore e direttore responsabile del periodico "Fiamme Verdi", periodico appunto della sezione di Conegliano dell'A.N.A.; il suo nome si collega alla realizzazione del Bosco delle "Penne Mozze", del quale fu il promotore ed il responsabile geloso (link https://it.wikipedia.org/wiki/Bosco_delle_Penne_Mozze).

La recensione che qui riporto per intero è verificabile al link http://www.anaconegliano.it/fiammeverdi/ nella data Dicembre 1964.

"Nella mia città - decorate di medaglia, d’oro al valore militare - era in programma (in un cinema di proprietà del Comune e a gestione privata) il film ITALIANI BRAVA GENTE; era proprio il 4 Novembre (nei giorni precedenti era apparsa Sui giornali la preghiera che la pellicola non venisse proiettata almeno per quel giorno) e, in vena di peccato pure io, vi andai. Sono state le mie quattrocento lire peggio spese dell’anno. Ho detto all’inizio che come film sovietico il lavoro di De Santis può andare, ma è doveroso precisare che ciò è ammissibile per quanto concerne la finalità e il contenuto poiché sarebbe un’offesa pensare che i russi producano film di un livello artistico così scadente; ma, anche per quanto concerne l’essenza del film è da porre dubbi che i russi sarebbero da soli caduti in una retorica tanto bolsa e puerile.

Ad ogni modo la pellicola ha avuto la sua presentazione con la serie dei nomi dei... realizzatori (stavo per dire «responsabili») quasi tutti evidenziati in coppia come innamorati: uno italiano e uno russo, uno russo e l’altro italiano e così via. I fatti descritti - che il produttore Giuseppe De Santis afferma come «incontestabili» anche per quanto concerne i luoghi descritti - sono stati contestati proprio dal Gen. Chiaramonti che al tempo degli avvenimenti era colonnello e che, comandando il reparto operante nella precisata zona del Bug, si è sentito identificato nella figura del comandante peraltro interpretata in modo encomiabile da Andrea Checchi. Ritenendo che il produttore non sia esattamente informato, io propendo a credere più al Generale Chiaramonti che a Giuseppe De Santis.

Il film meriterebbe un’ampia descrizione ma devo tralasciare molti dettagli anche perché non afferravo spesso il dialogo quasi sempre dialettale dei soldati italiani mentre risultava che i russi capivano benissimo il romanesco, il bergamasco e il napoletano. Il film si basa sulla seguente classificazione ormai giunta alla noia: - i russi tutti eroici e generosi; la popolazione russa paziente, sprezzante e perseguitata; - i tedeschi tutti carogne con l’attenuante dei disertori; e ci hanno messo anche qui i cani perché, essendoci una razza di «pastori tedeschi» sembra necessario dimostrare che anche i cani erano sanguinose SS che abbaiavano «Heil Hitler»; - i fascisti altrettante carogne: ladri, stupratori, sbruffoni, vili, ecc.; - gli italiani (cioè i soldati dell’esercito), di volta in volta ingenui, scadenti nelle azioni, disertori, con gli ufficiali rassegnati e il sergente fetente e vile: in sostanza, dei bravi imbecilli anziché della brava gente.

Parte degli spettatori rideva alle battute di Raffaele che impersonava il soldato Libero Gabrielli; una delle più belle (e commoventi) era appunto quella del soldato Gabrielli che riferì quanto li padre gli disse alla partenza: «Vieni a caso se no t’ammazzo!» E la gente rideva, come quando i soldati dicevano che i morti fertilizzavano la terra meglio del concime ed infine quando Gabrielli disse: «Non potevano lasciarmi a casa? Soldato più, soldato meno; qui (ridendo) siamo tutti dei militi ignoti; eh! (con evidente riferimento) io il monumento ce l’ho già! ».

Un soldato riceve una lettera da casa dopo un anno (ed è una balla) con la notizia che gli è morto il nonno; e allora il soggettista gli fa dire, quasi che fosse una cosa spiritosa: «Ma come faccio a piangere la morte del nonno dopo un anno?!». A questa scenata gli spettatori ridono. Penosa era la scena della retata di popolazione russa che canta impavida l’Internazionale malgrado le botte dei tedeschi. Vero ma avvenuto in Grecia l’episodio del soldato Sanna (sardo e non pugliese di Cerignola) che rompe la faccia a testate a un tedesco che gl’impediva di dare un pezzo di pane a colui che aveva iniziato a cantare; il fatto riguarda invece l’offerta del pane a un bambino greco affamato, e se a qualcuno interessa descriverò la circostanza in altra occasione.

Quella dei soldati che rubano gli orologi è una pagliacciata anche perché si vedevano (nel film) contadinelle prive persino di sottoveste e di scarpe ma con un orologio al polso di fabbricazione almeno svizzera, di foggia modernissima ed elegante cinturino, che si sentiva lontano un miglio ch’era appena uscito di negozio. La popolazione dava dei fascista a tutti i nostri soldati con un coraggioso disprezzo degno di miglior causa. I fascisti hanno nel film una intensa citazione. Razziatori e saccheggiatori, inseguitori di ragazze con tentativo di violenza in cinque o sei per una (evidente ingenerosa copiatura, anche nei particolari fotografici, dell’analoga sequenza del film «La ciociara» il cui fondamento storico è chiaramente provato grazie alla «civiltà» del Comando Alleato in Italia!) e provvidenziale intervento del soldato Gabrielli che fa però dedurre che non in tutti i casi può esserci stato un nostro soldato ad intervenire con bombe a mano. Tant’è vero che, per punizione provocata dal comandante delle camicie nere, il reparto del nostro esercito viene rinviato in prima linea.

Sul maggiore (mi sembra che si dicesse «seniore») delle camicie nere c’è tutta una storia e quando arriva a bordo di un’autoblinda (in uno stadio con l’enorme scritta «vincere» e quadri di Mussolini, scritte fasciste, ecc.) si prende una palla di neve in testa mentre esce dal portello. Questo ipotetico comandante dei «superarditi» fascisti si dimostra violento (schiaffeggia un cuciniere), accusa di disfattismo gli altri (e tira fuori il «tutti eroi o tutti accoppati»), insubordinato nei confronti del colonnello, vile fingendo di essere mutilato di una mano che poi risulta essere ben sana per guidare un camion nella ritirata e per sparare a due nostri militari finendo poi male (linciato forse come parrebbe significare quel guanto nero abbandonato sulla neve) per la reazione dei soldati.

Tanto per non mettere dubbi che anche tra i soldati dell’esercito c’erano dei sanguinari fascisti, l’estensore del film inventa un sergente feroce (gli americani creano per i loro film i sergenti che da soli vincono la guerra: e fa altrettanto schifo) che dà dei traditori ai propri subordinati e che ammazza vilmente un soldato russo che allegramente si contende, con un nostro soldato, il possesso di una candida lepre uccisa tra le due opposte trincee. Anche per questa scena il regista ha usato i due prototipi di soldati: il russo gigantesco, dall’infantile espressione di vigorosa bontà e che muore con una smorfia d’incredulità e di rassegnato disprezzo; il nostro soldato esile e con un’espressione quasi ebete che, colpito, cade col viso contratto in una grinta rabbiosa e maledicente.

Altra figura ridicola il film riserva al tenente medico: napoletano, lavativo, raccomandato, con addosso un impermeabilino borghese bianco che usano i signorini di oggi e non di vent’anni fa. Avviene che il capo partigiano (quello che in precedenza aveva solennemente iniziato a cantare l’Internazionale) si reca a chiedere l’aiuto del medico italiano per curare un ferito russo ed offrendo se stesso quale ostaggio. Finalmente, dopo un dialogo in cui la titubanza dei nostri è contrapposta alla fermezza del partigiano, il tenente medico parte con i russi e durante il viaggio parla in napoletano e i russi lo capiscono ed ascoltano con facciotte bonarie; perché non si sporchi i lucidi stivali lo portano persino in braccio, e lui - pazzerello - che parla un po’ di tutto chiedendo tra l’altro: «Ma se siete atei come fate a bestemmiare?!». Intanto se la prende comoda, non si lascia bendare che da una sfolgorante partigiana e cura il ferito (la dottoressa russa è ferita ad una mano!) e viene alla fine anche festeggiato. Al ritorno una pattuglia tedesca ammazza medico ed accompagnatori (questi, tanto per cambiare, avevano reagito con immediatezza) e gli italiani, non vedendo tornare il proprio medico, impiccano il partigiano.

Questa circostanza (e la data 12-4-1942) è stata confrontata dal Generale Chiaromonti prima citato, come pure la fucilazione di alcuni borghesi russi come vendetta per aver fatto saltare una fabbrica che poi in realtà non è mai esistita. Naturalmente, in tutti i combattimenti, si vede che pochi russi fanno fuori centinaia di nostri soldati (scene la film western americani!); persino un carrista, avuto il mezzo immobilizzato (per un guasto, eh!) esce decisamente dal portello col mitra e fa fuori almeno un plotone italiano.

Quando poi i russi sfondano il fronte le sequenze del film diventane caotiche; alla fine il colonnello italiano è costretto ad arrendersi e, mentre raccoglie lentamente le piastrine di riconoscimento dei morti ai quali rivolge il saluto col rituale «Onore ai Caduti», i russi tutti attorno se ne stanno buoni e comprensivi ad osservare! Beh! Adesso sono anche stufo di raccontarvele tutte, ma avrete capito ugualmente che, salvo qualche limitatissimo pregio, il film fa veramente disgusto soprattutto pensando che esso è stato realizzato pestando anche materialmente quel terreno e quella neve che ancora ricoprono i resti dei nostri soldati.

I realizzatori del film hanno reso un pessimo servizio proprio ai russi. Anzitutto perché vogliono mettere in ridicolo il nazionalismo (che non piace nemmeno a noi essendo una degenerazione del vero patriottismo) che è stata la più potente leva con la quale il comando russo ha agito sui sentimenti del popolo e dell’esercito, e soprattutto perché, con «Italiani brava gente», hanno sminuito la vittoria dell’esercito sovietico sull’eroismo del quale noi non vagliamo porre dubbi.

Infatti, se due soli russi eliminavano mezzo reggimento italiano e pochi cosacchi sfasciavano con tanta facilità le divisioni tedesche, si deduce che quella dei russi è una gloriuzza da Ragazzi della via Paal. Non è forse meglio ammettere che, pur essendosi rivelato invincibile, l’esercito russo ebbe dei degni avversari? Italiani e tedeschi che, pur nella diffusa poca convinzione di vittoria, hanno fatto costare ai russi milioni di morti alla memoria dei quali, egregio Signor De Santis, io m’inchino con la stessa pietà che nutro per i nostri Caduti verso i quali sento, come differenziazione, un fraterno sconfinato e dolente affetto.

Prima di chiudere voglie dire ai lettori come ho terminato la mia giornata del 4 Novembre. Ho acceso il televisore al programma musicale «Napoli contro tutti» che sul finire prevedeva un accordo tra «nordisti» e «sudisti» della canzone italiana; poiché all’orizzonte della canzone appariva il quartetto inglese dei Beatles, giunse a cavallo Domenico Modugno (mi scuso: il Commendatore al Merito della Repubblica Italiana Sig. Domenico Modugno) il quale proclamò dall’alto del suo destriero: NON CANTI LO STRANIERO! E poiché mi sembrava che, su imitazione del bollettino della vittoria del 4 Novembre, egli declamasse che i Beatles sarebbero stati rigettati oltre la Manica ecc., mi buttai sul televisore spegnendolo, e me n’andai a letto".

martedì 23 febbraio 2021

La Milizia in Russia

Della Milizia in Russia si parla sempre poco, perché associata inevitabilmente al regime; ma se scindiamo la politica dalla storia (unico argomento di cui si tratta e si vuole trattare in questa pagina), non possiamo che riconoscere a quegli uomini dei meriti militari che vanno al di là di quanto viene ancor oggi loro attribuito. So che diversi parenti dei legionari in Russia seguono questa pagina e sono certo che farà loro piacere questo scritto. E come sempre parlano i numeri: dei legionari ed ufficiali partiti per la Russia in più riprese (la Legione Tagliamento con lo CSIR nel 1941; i suoi rimpiazzi, la Legione Montebello, la Legione Leonessa e la Legione Valle Scrivia con l'ARMIR nel 1942) rimanevano sul campo circa il 90% dei comandanti di battaglione, il 70% degli ufficiali e il 55% dei militi.

Ho scelto quale fotografia per descriverne la composizione, quella del Seniore (Maggiore) Giacomo Comincioli, comandante del XV Battaglione "M", Gruppo CC.NN. "Leonessa" insignito di 4 Medaglie d'argento al Valor Militare e di 2 Medaglie di bronzo al Valor Militare. Durante la Grande Guerra fu in forza al Battaglione "Monte Cavento" appartenente al 5º Reggimento alpini; si distinse particolarmente come comandante di un plotone di Arditi durante gli scontri sull'Adamello. In suo ricordo è stata posto un medaglione con inciso il suo nome al centro della grande Croce posta sulla cima dell'Adamello, e la sezione dell'Associazione Volontari di Guerra di Brescia porta il suo nome. Il 25 maggio 1999 è stata posta una lapide in suo ricordo presso la Chiesa degli Alpini di Boario Terme.

Di seguito la composizione delle CC.NN. in Russia al momento dell'offensiva sovietica nell'inverno 1942-1943.

RAGGRUPPAMENTO CAMICIE NERE "3 GENNAIO" (Riserva di Corpo d'Armata)
Comandante: Console Generale Filippo Diamanti; successivamente Console Generale Alessandro Lusana
- Comando

Gruppo Battaglioni Camicie Nere "Tagliamento"
Comandante: Console Nicolò Nicchiarelli; dal 1° ottobre 1942 Console Domenico Mittica; successivamente Primo Seniore Mario Rosmino; successivamente Console Antonio Galardo
Cappellano: Centurione Don Guglielmo Biasutti (rimpatriato per malattia); Centurione Don Giuseppe Cante (caduto)
- Comando
- LXIII (63°) Btg.Camicie Nere da Montagna "Udine" al comando del Primo Seniore Ermacora Zuliani; successivamente Primo Seniore Mario Rosmino; successivamente Seniore Nazzareno Mezzetti (caduto)
- LXXIX (79°) Btg.Camicie Nere d'Assalto "Reggio Emilia" al comando del Primo Seniore Alberto Patroncini; successivamente Primo Seniore Vincenzo Gamboni; successivamente Seniore Giosué Cangemi (ferito); successivamente Seniore Silvio Margini
- LXIII (63°) Btg.Armi d'Accompagnamento "Sassari" del Regio Esercito al comando del Tenente Colonnello Vittorio De Franco (ferito)

Gruppo Battaglioni Camicie Nere "Montebello"
Comandante: Console Italo Vianini
- Comando
- VI (6°) Btg.Camicie Nere d'Assalto "Vigevano" al comando del Seniore Ottorino Goldoni (caduto)
- XXX (30°) Btg.Camicie Nere d'Assalto "Novara" al comando del Seniore Giovanni Pollini
- XII (12°) Btg.Camicie Nere Armi d'Accompagnamento "Aosta" al comando del Seniore Stefano Superti (caduto)

RAGGRUPPAMENTO CAMICIE NERE "23 MARZO" (Riserva di Corpo d'Armata)
Comandante: Console Generale Enrico Francisci; successivamente Console Generale Ergardo Preti; dal 1° dicembre 1942 Console Generale Luigi Martinesi
- Comando

Gruppo Battaglioni Camicie Nere "Valle Scrivia"
Comandante: Console Mario Bertoni
- Comando
- V (5°) Btg.Camicie Nere d'Assalto "Tortona" al comando del Primo Seniore Giuseppe Masper (caduto)
- XXXIV (34°) Btg.Camicie Nere da Montagna "Savona" al comando del Seniore Roberto Gloria (ferito)
- XLI (41°) Btg.Camicie Nere Armi d'Accompagnamento "Trento" (non si conoscono le generalità del comandante)

Gruppo Battaglioni Camicie Nere "Leonessa"
Comandante Console Graziano Sardu (caduto)
- Comando
- XIV (14°) Btg.Camicie Nere d'Assalto "Bergamo" al comando del Seniore Fortunato Albonetti
- XV (15°) Btg.Camicie Nere d'Assalto "Brescia" al comando del Seniore Giacomo Comincioli (caduto)
- XXXVIII (38°) Btg.Camicie Nere Armi d'Accompagnamento "Asti" al comando del Seniore Francesco Vannini

Una tragedia annunciata, parte 4

Riporto la quarta parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.

SUPERFICIALITA' O INETTITUDINE?

Fin qui, l'"appunto". Ci si consenta tuttavia qualche osservazione. Anzitutto. la testimonianza avvalora la tesi che fu un errore sottrarre il comando ad un esperto generale come Giovanni Messe (il quale doveva essere promosso dopo sei mesi Maresciallo d'Italia!). Non v'è dubbio infatti che questi sarebbe Stato per carattere meglio in grado di imporsi alla prepotenza dell'alleato, in quanto già a conoscenza dell'ambiente, del territorio e dell'avversario ed avrebbe difficilmente accettato, tra l'altro, di schierare in pianura una grande unità alpina inviata per operare in montagna (e di conseguenza opportunamente addestrata ed equipaggiata - come sostiene B.H. Liddel Hart (op.cit., vol. I, pp. 368-369), gli ampi spazi della Russia, che in precedenza presentavano all'attaccante sempre ottime occasioni per compiere manovre aggiranti, alla fine del 1942 avevano finito per ritorcersi contro i tedeschi, riducendo sempre più la loro capacità di tenere in modo adeguato un fronte così esteso).

Né ci dà una buona impressione la testimonianza relativa al generale Gariboldi, il quale di fronte ad una imminente catastrofe si limitava a trattare con l'inviato del ministro (e Comandante Supremo) unicamente questioni del tutto marginali. Ma, forse, e sempre a nostro parere, nemmeno la scelta di Messe poteva essere sufficiente ad evitare il disastro. C'è il sospetto che neanche l'ex comandante del C.S.I.R. si fosse reso conto dello scarso morale delle truppe, il quale non poteva abbassarsi cosi repentinamente in qualche mese soltanto a causa della decisione di procedere, improvvisamente e nell'imminenza di una battaglia decisiva, ad avvicendamenti dei veterani con personale inesperto e ad invii in licenza... senza ritorno (Pietro Bonabello, L'8a Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don in "Rivista Militare" 1/1984). In relazione poi, a quanto poteva accadere agli ufficiali se fatti prigionieri, i sovietici (e purtroppo se ne aveva già la riprova) non erano meno feroci degli abissini e dei repubblicani spagnoli, in casi analoghi e... quando ne facevano. Tuttavia, sia in Africa Orientale, sia in Spagna, i nostri ufficiali non si erano fatti intimidire. Evidentemente il decadimento qualitativo di questa componente e le carenze morali dipendevano dalle inadeguate modalità di reclutamento, dalla scarsa selezione e soprattutto dall'affrettata formazione, com'era del resto ormai abbondantemente noto. Lo stesso discorso va fatto per i sottufficiali, che normalmente sono "la spina dorsale degli eserciti" e che in quello italiano erano invece, pochi, trascurati e scarsamente addestrati.

Quel che lascia perplessi è però, come già anticipato, l'atteggiamento passivo di Mussolini. Questi aveva sottolineato, com'era solito fare con la sua matita rossa, i punti più eclatanti della relazione. Ma, a quanto pare, non vi fu da parte sua alcuna reazione né, quanto meno, una qualche richiesta di approfondimento. Al momento del rientro in Patria dei reparti più provati, egli si limiterà, il 10 marzo 1943, ad indirizzare ai suoi sfortunati soldati un saluto, non privo della consueta scontata retorica; che ne esaltava il sacrificio cosi giustificandolo: "[...] Non meno gravi sono state le perdite che la battaglia contro il bolscevismo vi ha imposto, ma si trattava e si tratta di difendere contro la barbarie la millenaria civiltà europea (anche quest'autografo si trova fra le carte Aliccio").

Per completare queste note, riteniamo opportuno fare riferimento ad un altro documento inedito dello S.M.R.E., Ufficio Operazioni, 1, Sez. 2a del 2 febbraio 1943, dal titolo "Situazione 8a Armata". E' rintracciabile all'Ufficio Storico S.M.E. (riferimento archivistico M7) e riassume in maniera stringata gli avvenimenti di cui ci occupiamo. Ne riportiamo i passi salienti:
I. [...] Il tratto di fronte affidato all'Armata correva sul Don tra Pawlowk e il Choper (Km. 270 circa). Dipendevano dall'Armata i C.A.: II - XXIX germanico - XXXV (in linea) - alpino (in affluenza). In seguito alle azioni svolte dai russi a fine agosto 1942, l'ala destra dell'Armata fu costretta, dopo accaniti combattimenti, a indietreggiare di una trentina di Km dalla linea del Don.
II. L'11 dicembre u.s. venne sferrata dai russi sulla fronte dell'Armata, con azione principale condotta nel settore delle Divisioni Cosseria e Ravenna, l'attesa [corsivo nostro] offensiva che portò il successivo giorno 16 alla rottura della fronte. Il ripiegamento del II e XXXV C.A. ordinato dal Gruppo di Armate Sud, venne reso difficile dal cedimento del gruppo Hollidl (unità romene e tedesche) sulla destra della nostra Armata. In conseguenza di tale azione persi: circa 60.000 uomini, 6.000 automezzi.
III: In seguito al successivo sfondamento avvenuto sulla fronte del VII C.A. ungherese e del XXIV C.A. germanico, schierati sulle ali del C.A. alpino, fu dal comando germanico, dopo precise insistenze del comando 8a Armata, ordinato il ripiegamento delle unità italiane, conclusosi con il rientro avvenuto in questi giorni, a tergo delle nuove linee sullo Oskol di una massa di circa 25.000 uomini. Meno provata di tutte risulta, dalle notizie sinora giunte, la divisione Tridentina.

domenica 21 febbraio 2021

Tschertowo

La dislocazione dei reparti durante l'assedio di Tschertowo (o Čertkovo) avvenuto nel gennaio del 1943.

Il viaggio del 2011, Postojalyi

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... steppa ed isbe di Postojalyi; qui per primo il battaglione Verona della Tridentina effettuò l'attacco per occupare la località e riprendere poi la lunga ritirata. E' il 19 gennaio 1943.



sabato 20 febbraio 2021

Bruno e Mario Carloni, parte 2

Legate alle vicende belliche ci sono e ci saranno sempre "belle" storie da raccontare; storie di uomini e di eroismi, di paure e di coraggio. Ve n'è una che ho scoperto per intero da poche settimane, ed è quella di un figlio ed un padre, entrambi combattenti in Russia, entrambi combattenti nel 6° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere. Il secondo di cui parlerò è il padre, Mario Carloni.

Mario nasce a Napoli il 27 dicembre 1894; il 31 dicembre 1912 si arruola come soldato volontario nel Regio Esercito, assegnato al 5° Reggimento Bersaglieri. Allievo ufficiale di complemento, fu nominato sottotenente per il servizio di prima nomina presso il 7° Reggimento bersaglieri con Regio Decreto 29 aprile 1915; durante il corso della prima guerra mondiale rimase ferito in combattimento due volte, e fu promosso tenente per merito di guerra il 2 dicembre 1915, poi capitano il 10 aprile 1917. Aiutante di campo presso la 2a Brigata Bersaglieri dal 31 dicembre 1917, passò poi in servizio presso il deposito Cecoslovacco in forza al 33° Reggimento mobilitato il 16 maggio 1918, e prestò servizio al Quartier generale del comando del Corpo Cecoslovacco dal 4 novembre 1918 al 10 giugno 1919. Dopo l'entrata in guerra del Regno d'Italia, avvenuta il 10 giugno 1940, il 19 settembre dello stesso anno si imbarcò per l'Albania, dove a partire dal 28 ottobre prese parte alle operazioni belliche contro la Grecia alla testa del 31° Reggimento fanteria "Siena". Trasferito a Creta, il 4 ottobre 1942 chiese il trasferimento per combattere sul fronte russo al comando del 6° Reggimento bersaglieri di Bologna, rimanendovi fino al 23 marzo 1943.

Il Colonnello Carloni chiese espressamente di poter servire nello stesso Reggimento Bersaglieri nel quale il figlio Bruno era caduto durante la Campagna di Russia; così scrisse Mario nel suo bel libro "La campagna di Russia", edito nel 1971, oggi non di facile reperibilità: "Nei primi giorni di settembre del 1942 mi trovavo a Creta, comandante del 31° fanteria e del settore italo-tedesco di Heraclion (Candia) nella parte centrale dell’isola (Creta), alle dirette dipendenze del comandante superiore tedesco dell’isola. A Neapolis mi giunse dal comando superiore di Rodi un telegramma che annunziava la morte di mio figlio Bruno, sottotenente del 6° bersaglieri, avvenuta il 13 agosto in Russia, sul Don, in combattimento a Baskowskij. [...] Dal principe ereditario, ispettore della fanteria, ottenni la promessa che mi sarebbe stato affidato il comando del 6°. A Creta, infatti, mi raggiunse l’ordine che mi trasferiva al comando del 6° bersaglieri. Potevo così continuare, nel suo stesso reggimento, l’opera del mio caro figliuolo, che guadagnò in un solo mese di guerra tre ricompense al valore, fra cui la medaglia d’oro".

Le vicende del Colonnello Carloni e del 6° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere sono narrate nel libro sopra indicato; restano da ricordare le ben 4 Medaglie d'Argento al Valor Militare guadagnate dallo stesso, una nella Grande Guerra e tre durante la Seconda Guerra Mondiale.

Medaglia d'argento al valor militare: «Lanciava la propria truppa all’assalto, incitandola con nobili parole all’avanzata. Caduto ferito e impossibilitato a tenere il Comando continuava ad animare i dipendenti e al comandante del Battaglione che gli era accorso vicino per confortarlo rivolgeva le seguenti parole: ‘Non pensare a me, pensa al battaglione portalo avanti. Viva l'Italia, Viva l'Italia”. Flondar, 5-giugno-1917.»

Medaglia d'argento al valor militare: «Comandante di Reggimento di rara perizia, in cento giorni di lotta aspra ed accanita, dava luminose prove di ardimento e di valore contro un nemico, di gran lunga superiore di forza e di mezzi ed in condizioni di terreno e di clima oltremodo difficile, sempre primo tra i suoi fanti, si prodigava infaticabilmente oltre ogni limite, creando del suo reggimento un magnifico organismo di lotta e di vittoria. Fulgido esempio di alta virtù militare, di costante sprezzo del pericolo, di profonda dedizione al dovere. Albania, 28 ottobre 1940 - 10 febbraio 1941.»

Medaglia d'argento al valor militare: «Comandante di reggimento di elevate qualità militari, già distintosi in precedenti fatti d’armi sul fronte greco e più volte decorato al valore in successivi giorni di operazioni belliche dava ripetute prove di slancio, capacità, dedizione al dovere. Rimasto con qualche centinaia di bersaglieri del suo reggimento contro preponderanti forze nemiche che Io attaccavano ripetutamente minacciandolo di aggiramento, riusciva a impedire per due giorni ogni progresso. Attaccato violentemente ancora una volta riusciva a contenere sino al sopraggiungere della notte la posizione avversaria, ripiegando solo dietro esplicito ordine superiore. Magnifica figura di comandante valoroso capace e animatore. Valle Tichaja (fronte russo), 17-19 dicembre 1942.»

Medaglia d'argento al valor militare: «Comandante di un reggimento Bersaglieri motorizzato, in una particolare critica situazione, con ammirevole serenità, coraggio, energia, e capacità operativa, dava anima a una tenace resistenza esponendosi ove maggiore era il pericolo. Minacciato d’accerchiamento da elementi corazzati nemici, si apriva arditamente un varco raggiungendo lo schieramento arretrato di truppe amiche. Successivamente proteggeva per più giorni il ripiegamento di unità alleate accerchiate da forze corazzate e da fanterie nemiche riuscendo a rintuzzare sempre vittoriosamente ogni tentativo dell’avversario. Fronte Russo 21 dicembre 1942–3 gennaio 1943.»



Una tragedia annunciata, parte 3

Riporto la terza parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.

L'impressione che il sottoscritto ha riportato dell'ambiente attuale dell'8a Armata può riassumersi nei seguenti termini: pletorica negli elementi di retrovia, e con andamento in tono minore in tutti i comandi, andamento non perfettamente consono allo spirito di un ordigno di guerra che dovrebbe rappresentare l'Italia migliore in terra straniera. La nota predominante apparente è stata quella della paura da parte di tutti i comandi - maggiori o minori - di provocare incidenti con la Wehrmacht: quindi acquiescenza e, questa, piena e completa con forse appena deboli, formali e per questo sterili, reazioni. Cosi, sarebbe stato l'Alto Comando tedesco ad ordinare uno schieramento in linea di tutte le Unità della nostra ARM.I.R., come delle altre armate, senza preoccuparsi di lasciare almeno qualche aliquota di esse a protezione delle truppe avanzate. Con la sembra indiscussa accettazione da parte nostra di tale ordine è avvenuto quindi che quello che, altrimenti, avrebbe potuto essere solo un episodio della guerra probabilmente superabile, sia finito in un rovescio di proporzioni ancora non calcolabili, ma certo serio, più che tutto per la perdita di materiali preziosissimi ed insostituibili.

Il soldato di prima linea ha, come meglio ha potuto, assolto in genere il suo dovere: si può dire che si è generosamente battuto fin oltre ai limiti del sacrificio. L'attuale equipaggiamento invernale è più che buono (un documento del Comando Supremo in data 13 ottobre 1941 segnalava l'avvenuta distribuzione a ciascun militare del Corpo di Spedizione "di un berrettone di pelliccia, un paraorecchi di tipo romeno, un paio di guanti foderati di pelliccia, un cappotto foderato di pelliccia. Alle truppe in servizio di guardia o addette a servizi speciali - continuava il promemoria - saranno dati anche il sacco a pelo, un giubbotto di pelliccia di tipo transilvano ed un paio di calzari con suola in legno") e, tenuto conto delle circostanze, anche il vitto è soddisfacente. Ma le nostre truppe in un settore della guerra dove la meccanizzazione raggiunge altissimo grado sono in quanto ad armamento in condizioni assolutamente inadeguate al loro compito; ai carri armati pesanti e pesantissimi di cui i russi sono e continuano ad essere abbondantemente provvisti, sia per propria produzione, sia per rifornimento dall'estero (enorme fu il contributo dell'industria statunitense e britannica allo sforzo bellico sovietico, specialmente per quanto concerneva la fornitura di mezzi moto-meccanizzati: 9.214 carri armati fra leggeri M3 e medi M3 ed M4 (americani) e Churchill, Matilda II, Valentine Mk 3 e 4, Tetrarch Mk VII forniti dal Commonwealth britannico, oltre a ben 520.000 altri veicoli militari, alcuni dei quali blindati) esse non possono opporre che poche anche se e qualitativamente non disprezzabili artiglierie, già d'altra parte anche usate e logorate da un servizio prestato su altri fronti, un discreto numero di mitragliatrici nelle stesse condizioni, il fucile 1891 (cioè di un modello datato di oltre cinquant'anni...) e la volontà di combattere (mentre anche i sovietici erano dotati di un fucile M1891 cal. 7,62 - il nostro era di calibro inferiore, 6,5 mm; in più i sovietici disponevano, su scala ridotta, anche id un modello di fucile semiautomatico, il Tokarev. Come arma automatica individuale, i loro reparti scelti erano armati col moschetto automatico PPSh41 cal. 7,62, mentre ai nostri si stava gradualmente distribuendo, proprio dall'estate 1942 e con precedenza ai reparti speciali, il moschetto mitra Beretta 38-A con caricatore da 40 colpi, calibro 9 parabellum).

Ma esiste veramente nel soldato tale volontà? In quanto ho potuto osservare, sarei portato a rispondere negativamente. La guerra sul fronte russo non è sentita sia dal soldato, sia disgraziatamente dall'elemento ufficiali, segnatamente da quelli inferiori. Ma a tale proposito mi corre l'obbligo di constatare la mancanza di idealità e comprensione da parte della grande maggioranza dei giovani ufficiali addetti alle truppe e che di queste dovrebbero essere i diretti educatori ed ammaestratori: unica preoccupazione di costoro pare essere quella dei godimenti materiali od altrimenti dei vantaggi che dalla campagna di Russia possono loro derivare. La mensa, i conforti annessi alla mensa, i piccoli affari che possono combinare sul posto, la loro sola preoccupazione. L'esempio degli ufficiali non può quindi che esercitare in molteplici casi la sua non sana influenza sullo spirito della truppa. Né gli Alti Comandi e i troppi Uffici e Servizi di cui le retrovie pullulano sono esenti da questa tara: in molti casi la sola e costante attività è rivolta a speculare sui campi e a procacciarsi con qualsiasi mezzo generi alimentari, materiali di recupero, rottami e suppellettili da mandare comunque a casa, molto verosimilmente per farne oggetto di commercio più che per necessità diretta.

Chi scrive potrebbe citare il caso di ufficiali anche superiori i quali, giornalmente, inviano in Italia vari pacchi di generi vari che, prelevati per uso locale, non vengono usati dagli aventi diritto ma sottratti al loro legittimo consumo per essere [destinati] ad altri meno chiari scopi. Sono esempi isolati, ma indici di una situazione anche troppo generalizzata. Esiste poi disgraziatamente, soprattutto fra i più giovani ufficiali alle truppe la persuasione che in caso di cattura da parte dei russi, essi vengano seviziati o trucidati. Non so sino a che punto ciò essere esatto, ma debbo notare come tale persuasione profondamente radicata non costituisca certo un coefficiente atto ad aumentare la combattività di coloro che sono destinati a condurre reparti al fuoco e incidere profondamente sul loro morale. A qualunque costo bisognerebbe evitare che tali idee persistessero, ma d'altra parte come raggiungere tale scopo con - oltre tutto - degli armamenti tanto impari alla lotta?".

L'estensore accenna poi alla stanchezza ed al logorio delle truppe germaniche ed all'evidente indebolimento delle loro armate corazzate dopo Stalingrado, ricordando di aver osservato, nel viaggio di ritorno attraverso la ferrovia sud, solo "un movimento normale di uomini - non inquadrati - come non ho potuto vedere se non qualche treno di materiali: in tutto non più di 150 carri armati diretti verso le prime linee". E conclude riferendo che al fronte è diffusa la convinzione che l'Armata Rossa sia ben lontana dal crollo, specie grazie ai consistenti aiuti dei suoi "alleati" ed allo spirito di adattamento del suo popolo, evidente anche da quanto si ha modo di constatare nei territori occupati dalle truppe dell'Asse.

venerdì 19 febbraio 2021

L'Italia entra in guerra

Se avete la pazienza di ascoltare per oltre 2 ore e mezza, vi consiglio vivamente di seguire questa conferenza webinar realizzata e trasmessa dall'Ufficio Storico dello SME dal titolo "L'ingresso dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale - Una riflessione a ottant'anni di distanza"; con l'intervento del Gen. B. Fulvio Poli, Ufficio Generale Promozione Pubblicistica e Storia dello Stato Maggiore dell’Esercito: "Aspetti militari e diplomatici all’atto dell’ingresso dell’Italia in guerra, preparazione e ritardi"; di Antonio Varsori, Professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali Università degli Studi di Padova: "Le conseguenze dell’ingresso in guerra: le politiche britannica e statunitense verso l’Italia sino all’armistizio dell’8 settembre"; di Eugenio Di Rienzo, Professore ordinario di Storia moderna Sapienza, Università di Roma: "La politica estera dell’Italia fascista dalla crisi etiopica al 10 giugno 1940"; di Giuseppe Parlato, Professore ordinario di Storia contemporanea Università degli Studi Internazionali di Roma (Unint). "La guerra rivoluzionaria. Caratterizzazione ideologica di una guerra “breve”.

Il viaggio del 2011, intorno ad Opit

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... le strade ghiacciate intorno ad Opit; si seppur su strada sono i miei primi passi sul fronte russo e vedo finalmente la steppa.



Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 8

Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - La manovra di Petrikowka (28-30 settembre 1941).

giovedì 18 febbraio 2021

L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 11

L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), undicesima parte.

LA RICOSTITUZIONE Dl UNA DIFESA ARRETRATA CONTINUA. SOSTA NELLE OPERAZIONI.

Il 23 dicembre, mentre le D. «Pasubio», «Torino», «Celere», «Sforzesca» ed il comando del XXXV C.A. sono in via di ripiegamento verso sud, ed il II C.A. ritirato dal fronte è in corso di riorganizzazione nelle zone di Woroschilowgrad e di Rossosch, il comando superiore germanico assegna un nuovo settore al comando 8a Armata, limitato al tratto Belogorje (sul Don) - Michailo Alexandrowskij (sulla ferrovia Millerowo - Rossosch). Unità alle dipendenze per le operazioni sono: il C.A. alpino, (D. «Tridentina», «Vicenza», «Cuneense»); il XXIV C.A. (D. «Julia», 385a D. germ., 387a D. germ., Gruppo Cr. Fegelein, presidi di Gartmjschewka e Tschertkowo); la 19a D. cr. germ. che sta per affluire nella zona di Starobolosk - Belowodsk - Nowo Markowka. Con le truppe in posto (C.A. alpino e XXIV C.A.) una difesa continua è in atto tra Belogorje e Golaja.

E' da costituire invece una linea continua a sud del parallelo di Golaja. A ciò il comando 8a Armata provvede: estendendo lo schieramento del XXIV C.A. fino a Wyssotschinoff, facendo occupare dalla 19a D. cr., con una sistemazione nucleare, la linea del Derkul fra il limite sud dell'Armata e Nowo-Markowka e, in seguito ad ordine del Gruppo Armate, svincolando la 27a D. Cr. dalla linea tenuta nel settore del XXIV C.A. per chiudere il vuoto fra le ali del XXIV C.A. e della 19a D. Il comando 8a Armata, il 30 dicembre, sposta inoltre la D. «Cosseria» dalla zona di Rossosch a quella di Rovenko per controllare indirettamente la zona non occupata. Lo schieramento delle unità italo-tedesche sul fronte dell'8a Armata alla data del 21 dicembre ed i successivi spostamenti per la ricostituzione di una difesa arretrata continua risultano dallo schizzo 12.

Il comando dell'Armata non ha alla mano alcuna riserva; lo schieramento è particolarmente debole in corrispondenza dell'ala destra del XXIV C.A. (27a D. cr.) e della 19a D. cr. Il periodo 22 dicembre - 8 gennaio fu caratterizzato da una relativa sosta nelle operazioni. Si svolsero tuttavia combattimenti ed attività da ambo le parti. La difesa del fronte tra Belogorje e Golaja non presentò particolari difficoltà per il C. A. alpino, il quale non ebbe a sostenere attacchi di qualche consistenza tranne uno, effettuato il giorno 24, da un btg. nemico nel settore della D. «Cuneense». Più duro fu invece il compito sul fronte del XXIV C.A. dove l'avversario cercò incessantemente di logorare lo schieramento e di allontanare la nostra difesa dalla valle del Bogutschar. Nei combattimenti che si sostennero quasi giornalmente si distinsero particolarmente la D. «Julia» ed il btg. «Monte Cervino» che furono citati anche sul bollettino tedesco.

Più a sud, risultò laborioso il tentativo di creare una linea continua a mezzogiorno di Golaja, mentre urgente si palesava la necessità di sbloccare, sia pure soltanto per il tempo necessario a rifornirlo di viveri e munizioni, il caposaldo di Tscherkowo, nel quale erano affluiti, il 26 dicembre, i resti delle divisioni «Pasubio», «Torino» e 298a, elevando la consistenza del presidio a 16.000 uomini in gran parte invalidi (feriti e congelati) da sgomberare. La 19a D. effettuò, il 29, un'azione verso Tscherkowo; riuscì a raggiungere la valle Kamyschnaja, ma non a proseguire oltre, malgrado la puntata fatta dal presidio di Tscherkowo verso ovest. Non fu così possibile effettuare il ripiegamento delle forze assediate ed il previsto sgombero dei feriti e congelati. Il caposaldo di Gartmjschewka, anch'esso assediato, venne stretto sempre più.

mercoledì 17 febbraio 2021

Bruno e Mario Carloni, parte 1

Legate alle vicende belliche ci sono e ci saranno sempre "belle" storie da raccontare; storie di uomini e di eroismi, di paure e di coraggio. Ve n'è una che ho scoperto per intero da poche settimane, ed è quella di un figlio ed un padre, entrambi combattenti in Russia, entrambi combattenti nel 6° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere. Il primo di cui parlerò è il figlio, Bruno Carloni, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.

Bruno è "figlio d'arte" se così si può dire; il padre Mario partì come soldato volontario nel 5° Reggimento Bersaglieri, scalando la gerarchia militare fino a diventare ufficiale di complemento, con il grado di Sottotenente, nel 7° Bersaglieri. Partecipò al primo conflitto mondiale, distinguendosi per valore e per capacità di comando, venendo decorato al Valor Militare e passando al servizio effettivo, terminando il conflitto con il grado di Capitano: è seguendo il suo esempio di soldato che il giovane Bruno, nato nel 1920 a Isola del Liri, in provincia di Frosinone, decise di indossare il piumetto dei Bersaglieri. Arruolatosi volontario come ufficiale entrando all’Accademia di Modena nel 1940, lo stesso anno della dichiarazione di guerra alla Francia e alla Gran Bretagna, due anni più tardi uscì dall’istituto militare con il grado di Sottotenente, venendo assegnato al 6° Reggimento Bersaglieri. Raggiunto il reparto in Russia, dove era stato già precedentemente dislocato, la durezza del conflitto in corso catapultò fin da subito il giovane ufficiale nella dura realtà della guerra, fatta di assalti, agguati e imboscate, fino ad allora studiate e apprese sui libri dell’Accademia.

Assegnato alla 2a Compagnia del VI Battaglione, il 13 luglio 1942, a Wladimorowka, durante un assalto condotto alla testa dei suoi uomini, primo ad uscire allo scoperto, si guadagnò sul campo la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: "Comandante di un plotone d’una compagnia bersaglieri distaccata presso altra unità, si lanciava per primo all’assalto d’una munitissima trincea protetta da profondo reticolato, che superava strisciando per giungere più presto sul nemico che assaliva a bombe a mano, nonostante il vivace fuoco delle mitragliatrici avversarie. Visto cadere gravemente ferito il proprio capitano, assumeva il comando della Compagnia e, dopo aspra, accanita, lotta, conquistava la posizione, catturando armi e prigionieri. Wladimorowka, 12 luglio 1942". Il giovane Bersagliere, seguendo le orme del padre nella Prima Guerra Mondiale, dimostrò tutto il suo valore nella nuova guerra che l’Italia fu chiamata a combattere. Pochi giorni dopo la battaglia di Wladimorowka, il 6° Reggimento Bersaglieri venne dislocato in un altro settore del Don, lungo la testa di ponte che da Satonskij giungeva fino a Bobrowskij, fino ad allora tenuto da un piccolo reparto tedesco.

Inevitabile lo scontro. In pieno giorno, infatti, mentre il 3° Bersaglieri muoveva verso le sue posizioni lungo l’ansa del Don, i soldati dell’Armata Rossa scatenarono una prima, violenta offensiva, appoggiata anche da una quarantina di carri armati: l’attacco investì in pieno sia i tedeschi che i bersaglieri del Sottotenente Bruno Carloni. Un primo assalto venne bloccato e i russi non riuscirono a oltrepassare il fiume: restava a questo punto soltanto una cosa da fare, ovvero prendere l’iniziativa e pensare subito ad un contrattacco. Il 2 agosto 1942 iniziò l’attacco verso i villaggi di Baskovskij e di Bobrowskij, raggiunti entrambi e superati a costo di perdite che andavano aumentando sempre di più. Dopo i villaggi rimaneva il bosco vicino, che si apriva e degradava verso il fiume: il nuovo obiettivo divenne la quota 210, affidata agli uomini di due compagnie, tra cui quella di Bruno. Gli scontri furono duri con pesanti perdite: ferito ad un braccio, il giovane bersagliere restò in mezzo alla battaglia, là dove maggiore era il fuoco sovietico. Non smetteva di incitare i suoi uomini a proseguire nell’azione fino a quando una raffica di mitragliatrice, colpendolo in pieno petto, non lo faceva cadere a terra, esanime. L’offensiva, che non fruttò alcun risultato alle forze italo-tedesche, venne interrotta il giorno 8 agosto, dopo che entrambi le parti avevano subito pesanti perdite.

Inutili furono i tentativi dei medici di salvarlo: si spense tra le braccia dei suoi uomini, riservando le ultime parole per suo padre e per i Bersaglieri, che tanto fedelmente aveva giurato di servire. Alla sua memoria verrà concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria con la seguente motivazione: "Giovanissimo Ufficiale entusiasta e valoroso, già decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare sul campo. Durante l’accanito e sanguinoso combattimento, quando il nemico era riuscito a penetrare nelle linee, minacciando il fianco di un nostro battaglione, alla testa dei suoi si lanciava al contrassalto. Ferito ad un braccio, rifiutava ogni soccorso e fasciatosi sommariamente, continuava con immutato slancio, ricacciando l’avversario all’arma bianca. Mentre, ritto innanzi a tutti, difendeva a bombe a mano la posizione da rinnovati più furiosi assalti, una raffica di mitragliatrice lo abbatteva. Ai Bersaglieri accorsi in suo aiuto rispondeva in un supremo sforzo sollevando in alto il piumetto: me l’ha donato mio padre, ditegli che l’ho portato con onore! Magnifica figura di soldato, che nella luce del sacrificio consacra ed esalta il fascino della più pura passione bersaglieresca. Fronte russo, Bobrowskij, 3 agosto 1942".

Bruno fu sepolto al cimitero militare campale di Fomichinskij, un piccolo paese della regione di Serafimovic; la salma fu riesumata nel 1991 e riportata in Italia con solenne cerimonia al Sacrario Militare di Redipuglia.

martedì 16 febbraio 2021

Il viaggio del 2011, il T-34 ad Opit

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... il T-34 presente alla sommità della tristemente famosa salita verso Opit, con il monumento dedicato ai caduti sovietici.



Una tragedia annunciata, parte 2

Riporto la seconda parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.

UNA SITUAZIONE SENZA RIMEDIO.

Esaminiamo l'Appunto, interessante, come si è detto, non tanto per la sommaria ricostruzione degli avvenimenti, che di certo non ci svela nulla di nuovo, ma per le circostanze e per i puntuali rilievi che la caratterizzano. L'estensore dichiara di essere "[...] partito dal fronte orientale il 23 dicembre 1942, in pieno svolgimento, cioè, delle operazioni offensive da parte russa oggi in corso. Non posso quindi se non riferire quanto è di mia conoscenza fino al giorno 22, peraltro conoscenza frammentaria derivante in parte da osservazioni personali e in parte da quanto ho potuto apprendere da fonti dirette. Lo sfondamento nelle nostre linee sarebbe avvenuto esattamente nella zona di Bogushar (sic. Bagutschar) tenuta da una nostra divisione (Ravenna) ed in parte dal 309° Reggimento di fanteria germanica (sic. 318° r.f.). Già dai giorni precedenti la pressione russa su tale settore si era venuta intensificando; dopo avvenuta la rottura sul fronte rumeno (situato più a destra del fronte dell'ARM.I.R.) essa aveva assunto carattere di estrema violenza in gran parte del nostro settore.

Dopo un rapido ma efficace bombardamento aereo i russi iniziarono la loro manovra di rottura nel tratto di fronte tenuto dal 309° e su buona parte del nostro fronte, manovra che fu nel punto principale effettuata relativamente con pochi - circa una trentina - appoggiati da altri mezzi di offesa psicologicamente formidabili (verosimilmente lanciarazzi multipli. Come riporta B.H. Liddel Hart, nel suo "Storia militare della seconda guerra mondiale" - Milano, Mondadori, 1970, rist. 2003 Vol. II, p.682 - le carenze in fatto di artiglieria manifestatesi nel 1942 avevano portato alla produzione su vasta scala di razzi e lanciarazzi, di più agevole fabbricazione rispetto ai tradizionali pezzi di artiglieria e di grande efficienza). Il 309° Reggimento Germanico fu prestissimo preda al panico; si sbandò completamente ripiegando in disordine, riversandosi sulle retrovie e seminando il panico non già ai reparti - nostri - che erano in linea, bensì alle retrovie. I carri armati russi, approfittando della breccia lasciata dai tedeschi in fuga, si erano intanto infiltrati nelle retrovie con manovra di insaccamento.

Le loro puntate rapide e numerose non fecero che aumentare la confusione sul terreno che già avevano perso i tedeschi in fuga. Successe cosi, a differenza di quanto si potrebbe supporre; per i nostri reparti il panico si propagò non dalla prima linea alle retrovie (ove poi l'elemento uomo, non combattente aveva minore stamina morale), ma dalle retrovie alla prima linea, tanto è vero che vari reparti isolati più solidi che non caddero preda del panico resistettero valorosamente senza abbandonare le loro posizioni ed in molti casi dovettero essere riforniti per aereo. Fu cosi una fuga quasi generale: la Ravenna che col reggimento germanico aveva subito la prima impressione dell'urto russo, si disfece del tutto; quasi identica sorte avvenne per la Cosseria; successivamente, in misura maggiore o minore, tutte le altre nostre unità furono travolte: nell'ordine la Celere, la Sforzesca, la Torino e la Pasubio. Uniche truppe a resistere con i limitati mezzi di cui disponevano sulle linee furono le alpine e le CC.NN. dell'Armata.

Vi furono anzi, e non pochi, episodi di autentico valore da parte di reparti isolati, ma, in linea generale, lo sfaldamento fu completo. Posso riferire che, fino alla sera del 22 dicembre u.s., al Comando di tappa di Voroscilovgrad erano stati recuperati o si tentava di recuperare 18.000 sbandati, prevalentemente della Ravenna, Cosseria e Celere. I fuggiaschi provocavano una penosa impressione. Molti degli ufficiali soprattutto inferiori si erano strappati i distintivi di grado ed i fregi dei reparti per rendersi indistinguibili: tutti portavano tracce, più che di sofferenza, di terrore. Pare che scene selvagge si siano verificate nell'abbordaggio dei mezzi di trasporto (autocarri) da parte dei fuggiaschi per sottrarsi a quella che essi ritenevano fosse la completa rottura dell'intero fronte: parecchie persone perirono, schiacciate dagli automezzi, in tale "si salvi chi può". Non immuni da tale ondata di panico andarono, come ho detto, i reparti germanici, non solo di prima linea, ma anche delle retrovie. Chi scrive, ricorda la piazza Lenin di Voroscilovgrad (in quella località si trovava il comando dell'8a Armata) letteralmente gremita di automezzi tedeschi di ogni specie, tutti ripiegati più o meno in disordine dalla zona in cui era avvenuta la rottura; in parte anche una certa aliquota di truppe rumene di retrovia subì lo stesso contagio.

In questa fase andarono perduti oltre che moltissimo materiale - specialmente d'artiglieria (qualche reparto rimase assolutamente serva cannoni) - la quasi totalità dei magazzini avanzati dell'Intendenza dell'8a Armata, magazzini che erano inspiegabilmente stati portati a troppa diretta vicinanza della prima linea. Molti furono incendiati dai nostri, molti caddero in mano nemica. Debbo a questo proposito notare come la grandissima maggioranza dei fuggiaschi giunti a Voroscilovgrad non portavano più le armi. Le avevano abbandonate per via. In più di un caso esse furono adoperate i nostri stessi soldati in fuga da elementi civili russi. Chi scrive ebbe un solo colloquio con il comandante dell'8a Armata e pertanto non può esprimere su di lui un preciso giudizio personale. II comandante l'8a Armata comunque, anziché intrattenerlo di quegli argomenti che avrebbero potuto fornire una base della sua missione in Russia, non gli parlò che di un'organizzazione, da lui iniziata, di reparti cosacchi composti di prigionieri e disertori da impiegarsi nella lotta contro i partigiani e in genere come elemento di propaganda in senso zarista. A parte ogni considerazione di opportunità, il sottoscritto non intende neppure discutere l'iniziativa, che nelle attuali condizioni, più facilmente potrebbe rivolgersi [sic] in un'arma di propaganda in favore degli stessi sovietici che non nel senso voluto.

sabato 13 febbraio 2021

Onori a Gino Monzali

Ricevo dal nipote Rossano Sabbi e pubblico con estremo piacere la fotografia dello zio Gino Monzali, carabinieri disperso in Russia, e la corrispondenza avuta a suo tempo con il Generale Attilio Boldoni, all'epoca dei fatti comandante della sezione a cui apparteneva lo zio. Gino Monzali aveva come tanti altri solo 20 anni; nato il 07.03.1922 a Castiglione dei Pepoli (Bologna) ed inquadrato nella 66a Sezione Motociclisti Carabinieri, fu dichiarato disperso il 17.01.1943 in località non nota.







Una tragedia annunciata, parte 1

Riporto la prima parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.

UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA.

Molto si è scritto sulla partecipazione italiana alla campagna di Russia dal 1941 al 1943. Alcuni dei protagonisti hanno voluto - attraverso le loro memorie - rievocare soprattutto le fasi drammatiche della ritirata e il coraggio di coloro che non vollero rassegnarsi a gettare le armi. Altri autori si sono limitati a ripercorrere gli avvenimenti dal punto di vista storico-militare; altri ancora ne hanno criticato le motivazioni politiche oppure lo spreco di uomini e di materiali che la disgraziata spedizione aveva comportato, proprio mentre il nostro più vitale teatro di operazioni, quello nordafricano, era carente proprio di quegli automezzi e di quei pezzi di artiglieria che vi erano stati sacrificati.

Qualche commentatore, infine, ha accusato della disfatta soltanto il comando germanico, che senza dubbio era responsabile della condotta delle operazioni e della dislocazione in difensiva delle nostre unità, quasi che Roma avesse rinunciato ad interessarsi della loro sorte e non vi fosse sul posto un comandante in grado di tutelare l'accorto impiego delle proprie truppe. Non vi è dubbio che l'anziano generale Italo Gariboldi - il quale poco più di un anno prima aveva personalmente accolto in Libia il Corpo tedesco d'Africa - sapesse che tra il responsabile dell'Alto comando germanico e il nostro sottocapo di Stato maggiore, generale Guzzoni. prima dell'invio di quel contingente in Libia, era stato concordato: "[...] Nel caso alle forze tedesche venisse affidato un compito per la cui esecuzione, per convenzione del loro comandante, potrebbe soltanto portare a un grave insuccesso e alla menomazione del prestigio delle truppe tedesche, il comandante tedesco ha il diritto e il dovere informando il generale tedesco di collegamento con il Comando Supremo a Roma, di chiedere la decisione al Führer, a mezzo del Comandante Supremo dell'Esercito".

E per esperienza diretta sapeva come il generale Rommel avesse approfittato, oltre ogni limite, di questa facoltà che gli era stata riservata. Analogo era infatti l'accordo concluso nel 1941 al momento dell'invio del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR. poi ARM.I.R). che cosi recitava: "Nel caso in cui al C.S.I.R, venisse affidato un compito la cui esecuzione, per convinzione del proprio comandante, potrebbe portare soltanto a un grave insuccesso e quindi a menomazione del prestigio delle truppe italiane, il comandante italiano ha il diritto e il dovere informando il generale italiano di collegamento con il Comando Supremo delle Forze Armate tedesche a Berlino, di chiedere la decisione del Duce a mezzo del Capo di Stato Maggiore Generale". Nell'impiego del Corpo. si specificava inoltre (art. 1) che questo "dipende direttamente dal Comando Supremo Italiano e tatticamente è alle immediate dipendenze del Comandante Germanico e fa capo allo Stato Maggiore Italiano per quanto riguarda disciplina, servizi e necessità varie di vita".

Ne conseguiva che il Comandante dell'8a Armata italiana in Russia avrebbe potuto contestare, senza problemi, i due errori principali di quel Comando, e cioè la decisione di utilizzare in pianura il Corpo d'Armata alpino e quella di sottrarre ogni riserva motocorazzata allo schieramento delle divisioni italiane di fanteria sul Don. Per oltre cinquant'anni nessuno però si è preoccupato di indagare se il nostro Comando Supremo fosse Stato al corrente dell'effettiva situazione dell' ARM.I.R. dopo i duri combattimenti della tarda estate 1942. Oggi invece abbiamo la certezza - da un documento appena ricomparso - che ne era stato ufficialmente informato e senza reticenze, seppure, diremmo noi, quando era ormai troppo tardi. Pure non si era curato di prendere qualche serio provvedimento, a carico di colui che - se non poteva essere accusato di avere una mentalità arretrata rispetto alla guerra moderna, che pur aveva sotto i suoi occhi - non si era imposto, come ogni buon capo ha il dovere di fare, per salvaguardare la vita dei propri soldati e l'onore dell'esercito a cui appartiene (il Tribunale Straordinario per la Difesa dello Stato, ricostituito dopo l'armistizio dalla R.S.I. alla ricerca di capri espiatori, condannò il generale Gariboldi a dieci anni di reclusione).

L'unico ad essere esonerato, a fine gennaio, fu il Capo di Stato Maggiore Generale, Maresciallo Ugo Cavallero, ma forse più per la perdita della Libia - che aumentava la vulnerabilità della penisola - piuttosto che per il disastro in Russia. Giustamente, le responsabilità di non avere provveduto in tempo non erano soltanto del Capo del Governo ma si allargavano al Maresciallo Cavallero, cui spettava tecnicamente ogni valutazione in merito. Se è vero che bastarono un paio di compagnie di carri sovietici a sfondare le nostre linee, forse potevano tornar utili alle spalle dello schieramento "a cordone" - tanto per fare un esempio - quella trentina di semoventi controcarro da 90 che, al contrario, rimasero in Italia per chiudere la loro breve esistenza, quasi senza combattere, tra le alture della Sicilia. E non ragioniamo con il senno del poi: a chiunque era noto che la nostra regolamentazione sin dal 1928 prevedeva, nell'impiego in difensiva delle Grandi Unità complesse, la presenza di unità di "seconda schiera" o addirittura di terza; il fronte di ogni divisione non doveva eccedere poi i 4-5 km., anche se qualcuno afferma che l'avevano portato a 13,5.

Che qualcosa in Russia non funzionasse a livello di comando d'Armata e nei rapporti con il comando del Gruppo di Armate tedesco lo si sospettava. Altrimenti, non si sarebbe inviato, tardivamente, qualcuno a rendersene conto di persona. Eppure, quanto si legge nell'"Appunto per il Sig. Capo di Gabinetto", visto dal duce il 23 gennaio 1943, getta una nuova luce su quelle drammatiche vicende. Ma dove erano finite e come erano state sottratte le carte ora ricomparse a distanza di sessant'anni?

UN CARTEGGIO DIMENTICATO.

L'appunto che pubblichiamo è uno dei numerosi documenti, finora rimasti sconosciuti e che sono stati consegnati all'Archivio Centrale dello Stato il 12 novembre 2002 dal dottor Francesco Alicicco, in qualità di erede del generale Mario Alicicco, scomparso nel 1999 (il fondo comprende inoltre altro relativo alle ultime fasi della guerra in Africa, alla produzione bellica e all'aiuto germanico, alla difesa della Sicilia, ai Balcani ecc. Vi è anche una memoria di Ambrosio sulla difesa della Sardegna, consegnata al duce l'8 maggio 1943 ed in parte da lui inserita in "Storia di un anno" pubblicato nel 1944). Questi, allora maggiore dei bersaglieri (cl. 1908) e addetto alla Casa Militare del Sovrano, nella primavera 1946 ricevette da Umberto II un carteggio, impegnandosi a tenerlo segreto per cinquant'anni. Questo, tra l'altro, comprende un certo numero di documenti riservati sugli ultimi avvenimenti in Russia, in Tunisia e in Sicilia e sui i rapporti con l'alleato germanico, come l'appunto in questione. Ad un'attenta lettura, questa relazione (9 pagine dattiloscritte), redatta da un certo M. Porta (o Poli?) (la firma appare di 5 lettere, e non è escluso che possa trattarsi del colonnello o generale di brigata Mario Poli. La prosa non è molto felice, ma probabilmente la relazione è stata stesa in uno stato d'animo piuttosto turbato) se ben leggiamo la firma, che era molto probabilmente un ufficiale ben introdotto al comando dell'8a Armata, appare a dir poco sconcertante. Un impietoso ritratto di debolezza più morale che materiale. Tale rapporto, nonostante la sua crudezza, invece di suscitare immediate reazioni e provvedimenti fu fatto passare praticamente sotto silenzio.

In sostanza, si sottovalutò o si cercò di minimizzare la crisi che si stava diffondendo mano a mano che si allontanava la speranza di una vittoria, latente, come gli avvenimenti dei mesi successivi dimostreranno. anche nelle altre Grandi Unità. Altrettanto si fece per mascherare i numeri della sconfitta, evitando, con il pretesto dell'inopportunità politica, di diramare un comunicato ufficiale in proposito. Entità che però ugualmente emergeva (e nonostante ogni censura) dai vari "chi lo ha visto" con fotografia fatti pubblicare periodicamente sui giornali dalle famiglie di coloro che non sarebbero più tornati.

Quanto si verificò durante la Seconda Battaglia del Don, com'essa è passata alla storia, è noto tanto nelle linee generali quanto nei particolari. Ancora "a caldo", nel 1946, quando ancora non si conosceva appieno la terribile sorte dei nostri prigionieri in Unione Sovietica, apparve un sommario sull'"8a Armata nella battaglia difensiva del Don" pubblicato dall'Ufficio Storico dello S.M. Esercito. e solo più tardi completato dall'esauriente sintesi (oggi giunta alle terza edizione) di De Franceschi, De Vecchi e Mantovani sulle "Operazioni delle Unità Italiane al Fronte Russo", edita nel 1977. Per non dire delle altre numerose opere dedicate allo stesso argomento, ivi compreso un recente saggio di chi scrive (in "Rivista Italiana Difesa", n. 3/1993) basato non soltanto su quanto fino ad allora noto, ma soprattutto su una precisa documentazione ufficiale (Comando Supremo. 1° Reparto, Ufficio Operazioni Esercito, Scacchiere orientale, all'oggetto di "Fronte russo - 8a Armata", del 21 marzo 1943). Tale ricostruzione era articolata in cinque parti: Svolgimento battaglia del Don - 1a fase (11-20 dicembre 1942); ripiegamento del II e del XXXV Corpo d'armata; ripiegamento del Corpo d'armata alpino; movimento dell'8a Armata verso la zona di ricostituzione; ricostituzione e impiego in Russia del II Corpo d'Armata.

A quest'ultima ricostituzione saggiamente si volle rinunciare nonostante - come rivela un altro documento del fondo Alicicco (comunicazione al Duce del Maresciallo Ugo Cavallero, Capo di S.M. Generale, circa l'udienza accordatagli da S.M. il Re il giorno 13 gennaio 1943) - il 13 gennaio 1943 il re Vittorio Emanuele III avesse affermato, dopo essere stato messo al corrente delle perdite subite in Russia, di non sopravvalutarle ed anzi di essere favorevole alla ricostituzione di un corpo d'armata - il II - in quel teatro di operazioni.