martedì 23 febbraio 2021

Una tragedia annunciata, parte 4

Riporto la quarta parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.

SUPERFICIALITA' O INETTITUDINE?

Fin qui, l'"appunto". Ci si consenta tuttavia qualche osservazione. Anzitutto. la testimonianza avvalora la tesi che fu un errore sottrarre il comando ad un esperto generale come Giovanni Messe (il quale doveva essere promosso dopo sei mesi Maresciallo d'Italia!). Non v'è dubbio infatti che questi sarebbe Stato per carattere meglio in grado di imporsi alla prepotenza dell'alleato, in quanto già a conoscenza dell'ambiente, del territorio e dell'avversario ed avrebbe difficilmente accettato, tra l'altro, di schierare in pianura una grande unità alpina inviata per operare in montagna (e di conseguenza opportunamente addestrata ed equipaggiata - come sostiene B.H. Liddel Hart (op.cit., vol. I, pp. 368-369), gli ampi spazi della Russia, che in precedenza presentavano all'attaccante sempre ottime occasioni per compiere manovre aggiranti, alla fine del 1942 avevano finito per ritorcersi contro i tedeschi, riducendo sempre più la loro capacità di tenere in modo adeguato un fronte così esteso).

Né ci dà una buona impressione la testimonianza relativa al generale Gariboldi, il quale di fronte ad una imminente catastrofe si limitava a trattare con l'inviato del ministro (e Comandante Supremo) unicamente questioni del tutto marginali. Ma, forse, e sempre a nostro parere, nemmeno la scelta di Messe poteva essere sufficiente ad evitare il disastro. C'è il sospetto che neanche l'ex comandante del C.S.I.R. si fosse reso conto dello scarso morale delle truppe, il quale non poteva abbassarsi cosi repentinamente in qualche mese soltanto a causa della decisione di procedere, improvvisamente e nell'imminenza di una battaglia decisiva, ad avvicendamenti dei veterani con personale inesperto e ad invii in licenza... senza ritorno (Pietro Bonabello, L'8a Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don in "Rivista Militare" 1/1984). In relazione poi, a quanto poteva accadere agli ufficiali se fatti prigionieri, i sovietici (e purtroppo se ne aveva già la riprova) non erano meno feroci degli abissini e dei repubblicani spagnoli, in casi analoghi e... quando ne facevano. Tuttavia, sia in Africa Orientale, sia in Spagna, i nostri ufficiali non si erano fatti intimidire. Evidentemente il decadimento qualitativo di questa componente e le carenze morali dipendevano dalle inadeguate modalità di reclutamento, dalla scarsa selezione e soprattutto dall'affrettata formazione, com'era del resto ormai abbondantemente noto. Lo stesso discorso va fatto per i sottufficiali, che normalmente sono "la spina dorsale degli eserciti" e che in quello italiano erano invece, pochi, trascurati e scarsamente addestrati.

Quel che lascia perplessi è però, come già anticipato, l'atteggiamento passivo di Mussolini. Questi aveva sottolineato, com'era solito fare con la sua matita rossa, i punti più eclatanti della relazione. Ma, a quanto pare, non vi fu da parte sua alcuna reazione né, quanto meno, una qualche richiesta di approfondimento. Al momento del rientro in Patria dei reparti più provati, egli si limiterà, il 10 marzo 1943, ad indirizzare ai suoi sfortunati soldati un saluto, non privo della consueta scontata retorica; che ne esaltava il sacrificio cosi giustificandolo: "[...] Non meno gravi sono state le perdite che la battaglia contro il bolscevismo vi ha imposto, ma si trattava e si tratta di difendere contro la barbarie la millenaria civiltà europea (anche quest'autografo si trova fra le carte Aliccio").

Per completare queste note, riteniamo opportuno fare riferimento ad un altro documento inedito dello S.M.R.E., Ufficio Operazioni, 1, Sez. 2a del 2 febbraio 1943, dal titolo "Situazione 8a Armata". E' rintracciabile all'Ufficio Storico S.M.E. (riferimento archivistico M7) e riassume in maniera stringata gli avvenimenti di cui ci occupiamo. Ne riportiamo i passi salienti:
I. [...] Il tratto di fronte affidato all'Armata correva sul Don tra Pawlowk e il Choper (Km. 270 circa). Dipendevano dall'Armata i C.A.: II - XXIX germanico - XXXV (in linea) - alpino (in affluenza). In seguito alle azioni svolte dai russi a fine agosto 1942, l'ala destra dell'Armata fu costretta, dopo accaniti combattimenti, a indietreggiare di una trentina di Km dalla linea del Don.
II. L'11 dicembre u.s. venne sferrata dai russi sulla fronte dell'Armata, con azione principale condotta nel settore delle Divisioni Cosseria e Ravenna, l'attesa [corsivo nostro] offensiva che portò il successivo giorno 16 alla rottura della fronte. Il ripiegamento del II e XXXV C.A. ordinato dal Gruppo di Armate Sud, venne reso difficile dal cedimento del gruppo Hollidl (unità romene e tedesche) sulla destra della nostra Armata. In conseguenza di tale azione persi: circa 60.000 uomini, 6.000 automezzi.
III: In seguito al successivo sfondamento avvenuto sulla fronte del VII C.A. ungherese e del XXIV C.A. germanico, schierati sulle ali del C.A. alpino, fu dal comando germanico, dopo precise insistenze del comando 8a Armata, ordinato il ripiegamento delle unità italiane, conclusosi con il rientro avvenuto in questi giorni, a tergo delle nuove linee sullo Oskol di una massa di circa 25.000 uomini. Meno provata di tutte risulta, dalle notizie sinora giunte, la divisione Tridentina.

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