sabato 13 febbraio 2021

Una tragedia annunciata, parte 1

Riporto la prima parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.

UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA.

Molto si è scritto sulla partecipazione italiana alla campagna di Russia dal 1941 al 1943. Alcuni dei protagonisti hanno voluto - attraverso le loro memorie - rievocare soprattutto le fasi drammatiche della ritirata e il coraggio di coloro che non vollero rassegnarsi a gettare le armi. Altri autori si sono limitati a ripercorrere gli avvenimenti dal punto di vista storico-militare; altri ancora ne hanno criticato le motivazioni politiche oppure lo spreco di uomini e di materiali che la disgraziata spedizione aveva comportato, proprio mentre il nostro più vitale teatro di operazioni, quello nordafricano, era carente proprio di quegli automezzi e di quei pezzi di artiglieria che vi erano stati sacrificati.

Qualche commentatore, infine, ha accusato della disfatta soltanto il comando germanico, che senza dubbio era responsabile della condotta delle operazioni e della dislocazione in difensiva delle nostre unità, quasi che Roma avesse rinunciato ad interessarsi della loro sorte e non vi fosse sul posto un comandante in grado di tutelare l'accorto impiego delle proprie truppe. Non vi è dubbio che l'anziano generale Italo Gariboldi - il quale poco più di un anno prima aveva personalmente accolto in Libia il Corpo tedesco d'Africa - sapesse che tra il responsabile dell'Alto comando germanico e il nostro sottocapo di Stato maggiore, generale Guzzoni. prima dell'invio di quel contingente in Libia, era stato concordato: "[...] Nel caso alle forze tedesche venisse affidato un compito per la cui esecuzione, per convenzione del loro comandante, potrebbe soltanto portare a un grave insuccesso e alla menomazione del prestigio delle truppe tedesche, il comandante tedesco ha il diritto e il dovere informando il generale tedesco di collegamento con il Comando Supremo a Roma, di chiedere la decisione al Führer, a mezzo del Comandante Supremo dell'Esercito".

E per esperienza diretta sapeva come il generale Rommel avesse approfittato, oltre ogni limite, di questa facoltà che gli era stata riservata. Analogo era infatti l'accordo concluso nel 1941 al momento dell'invio del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR. poi ARM.I.R). che cosi recitava: "Nel caso in cui al C.S.I.R, venisse affidato un compito la cui esecuzione, per convinzione del proprio comandante, potrebbe portare soltanto a un grave insuccesso e quindi a menomazione del prestigio delle truppe italiane, il comandante italiano ha il diritto e il dovere informando il generale italiano di collegamento con il Comando Supremo delle Forze Armate tedesche a Berlino, di chiedere la decisione del Duce a mezzo del Capo di Stato Maggiore Generale". Nell'impiego del Corpo. si specificava inoltre (art. 1) che questo "dipende direttamente dal Comando Supremo Italiano e tatticamente è alle immediate dipendenze del Comandante Germanico e fa capo allo Stato Maggiore Italiano per quanto riguarda disciplina, servizi e necessità varie di vita".

Ne conseguiva che il Comandante dell'8a Armata italiana in Russia avrebbe potuto contestare, senza problemi, i due errori principali di quel Comando, e cioè la decisione di utilizzare in pianura il Corpo d'Armata alpino e quella di sottrarre ogni riserva motocorazzata allo schieramento delle divisioni italiane di fanteria sul Don. Per oltre cinquant'anni nessuno però si è preoccupato di indagare se il nostro Comando Supremo fosse Stato al corrente dell'effettiva situazione dell' ARM.I.R. dopo i duri combattimenti della tarda estate 1942. Oggi invece abbiamo la certezza - da un documento appena ricomparso - che ne era stato ufficialmente informato e senza reticenze, seppure, diremmo noi, quando era ormai troppo tardi. Pure non si era curato di prendere qualche serio provvedimento, a carico di colui che - se non poteva essere accusato di avere una mentalità arretrata rispetto alla guerra moderna, che pur aveva sotto i suoi occhi - non si era imposto, come ogni buon capo ha il dovere di fare, per salvaguardare la vita dei propri soldati e l'onore dell'esercito a cui appartiene (il Tribunale Straordinario per la Difesa dello Stato, ricostituito dopo l'armistizio dalla R.S.I. alla ricerca di capri espiatori, condannò il generale Gariboldi a dieci anni di reclusione).

L'unico ad essere esonerato, a fine gennaio, fu il Capo di Stato Maggiore Generale, Maresciallo Ugo Cavallero, ma forse più per la perdita della Libia - che aumentava la vulnerabilità della penisola - piuttosto che per il disastro in Russia. Giustamente, le responsabilità di non avere provveduto in tempo non erano soltanto del Capo del Governo ma si allargavano al Maresciallo Cavallero, cui spettava tecnicamente ogni valutazione in merito. Se è vero che bastarono un paio di compagnie di carri sovietici a sfondare le nostre linee, forse potevano tornar utili alle spalle dello schieramento "a cordone" - tanto per fare un esempio - quella trentina di semoventi controcarro da 90 che, al contrario, rimasero in Italia per chiudere la loro breve esistenza, quasi senza combattere, tra le alture della Sicilia. E non ragioniamo con il senno del poi: a chiunque era noto che la nostra regolamentazione sin dal 1928 prevedeva, nell'impiego in difensiva delle Grandi Unità complesse, la presenza di unità di "seconda schiera" o addirittura di terza; il fronte di ogni divisione non doveva eccedere poi i 4-5 km., anche se qualcuno afferma che l'avevano portato a 13,5.

Che qualcosa in Russia non funzionasse a livello di comando d'Armata e nei rapporti con il comando del Gruppo di Armate tedesco lo si sospettava. Altrimenti, non si sarebbe inviato, tardivamente, qualcuno a rendersene conto di persona. Eppure, quanto si legge nell'"Appunto per il Sig. Capo di Gabinetto", visto dal duce il 23 gennaio 1943, getta una nuova luce su quelle drammatiche vicende. Ma dove erano finite e come erano state sottratte le carte ora ricomparse a distanza di sessant'anni?

UN CARTEGGIO DIMENTICATO.

L'appunto che pubblichiamo è uno dei numerosi documenti, finora rimasti sconosciuti e che sono stati consegnati all'Archivio Centrale dello Stato il 12 novembre 2002 dal dottor Francesco Alicicco, in qualità di erede del generale Mario Alicicco, scomparso nel 1999 (il fondo comprende inoltre altro relativo alle ultime fasi della guerra in Africa, alla produzione bellica e all'aiuto germanico, alla difesa della Sicilia, ai Balcani ecc. Vi è anche una memoria di Ambrosio sulla difesa della Sardegna, consegnata al duce l'8 maggio 1943 ed in parte da lui inserita in "Storia di un anno" pubblicato nel 1944). Questi, allora maggiore dei bersaglieri (cl. 1908) e addetto alla Casa Militare del Sovrano, nella primavera 1946 ricevette da Umberto II un carteggio, impegnandosi a tenerlo segreto per cinquant'anni. Questo, tra l'altro, comprende un certo numero di documenti riservati sugli ultimi avvenimenti in Russia, in Tunisia e in Sicilia e sui i rapporti con l'alleato germanico, come l'appunto in questione. Ad un'attenta lettura, questa relazione (9 pagine dattiloscritte), redatta da un certo M. Porta (o Poli?) (la firma appare di 5 lettere, e non è escluso che possa trattarsi del colonnello o generale di brigata Mario Poli. La prosa non è molto felice, ma probabilmente la relazione è stata stesa in uno stato d'animo piuttosto turbato) se ben leggiamo la firma, che era molto probabilmente un ufficiale ben introdotto al comando dell'8a Armata, appare a dir poco sconcertante. Un impietoso ritratto di debolezza più morale che materiale. Tale rapporto, nonostante la sua crudezza, invece di suscitare immediate reazioni e provvedimenti fu fatto passare praticamente sotto silenzio.

In sostanza, si sottovalutò o si cercò di minimizzare la crisi che si stava diffondendo mano a mano che si allontanava la speranza di una vittoria, latente, come gli avvenimenti dei mesi successivi dimostreranno. anche nelle altre Grandi Unità. Altrettanto si fece per mascherare i numeri della sconfitta, evitando, con il pretesto dell'inopportunità politica, di diramare un comunicato ufficiale in proposito. Entità che però ugualmente emergeva (e nonostante ogni censura) dai vari "chi lo ha visto" con fotografia fatti pubblicare periodicamente sui giornali dalle famiglie di coloro che non sarebbero più tornati.

Quanto si verificò durante la Seconda Battaglia del Don, com'essa è passata alla storia, è noto tanto nelle linee generali quanto nei particolari. Ancora "a caldo", nel 1946, quando ancora non si conosceva appieno la terribile sorte dei nostri prigionieri in Unione Sovietica, apparve un sommario sull'"8a Armata nella battaglia difensiva del Don" pubblicato dall'Ufficio Storico dello S.M. Esercito. e solo più tardi completato dall'esauriente sintesi (oggi giunta alle terza edizione) di De Franceschi, De Vecchi e Mantovani sulle "Operazioni delle Unità Italiane al Fronte Russo", edita nel 1977. Per non dire delle altre numerose opere dedicate allo stesso argomento, ivi compreso un recente saggio di chi scrive (in "Rivista Italiana Difesa", n. 3/1993) basato non soltanto su quanto fino ad allora noto, ma soprattutto su una precisa documentazione ufficiale (Comando Supremo. 1° Reparto, Ufficio Operazioni Esercito, Scacchiere orientale, all'oggetto di "Fronte russo - 8a Armata", del 21 marzo 1943). Tale ricostruzione era articolata in cinque parti: Svolgimento battaglia del Don - 1a fase (11-20 dicembre 1942); ripiegamento del II e del XXXV Corpo d'armata; ripiegamento del Corpo d'armata alpino; movimento dell'8a Armata verso la zona di ricostituzione; ricostituzione e impiego in Russia del II Corpo d'Armata.

A quest'ultima ricostituzione saggiamente si volle rinunciare nonostante - come rivela un altro documento del fondo Alicicco (comunicazione al Duce del Maresciallo Ugo Cavallero, Capo di S.M. Generale, circa l'udienza accordatagli da S.M. il Re il giorno 13 gennaio 1943) - il 13 gennaio 1943 il re Vittorio Emanuele III avesse affermato, dopo essere stato messo al corrente delle perdite subite in Russia, di non sopravvalutarle ed anzi di essere favorevole alla ricostituzione di un corpo d'armata - il II - in quel teatro di operazioni.

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