martedì 29 giugno 2021

Ricompense - 8a Armata - 109° Btg. Mitraglieri

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

8a ARMATA - 109° BTG. MITRAGLIERI

MAVM Tenente BIELLI Erminio
MAVM Tenente SABBATUCCI Vincenzo
MAVM caporale SOLAZZO Lorenzo
MAVM soldato NOCERA Antonio, alla memoria
MAVM soldato OLIVERI Nicolò
MAVM soldato VISENTINI Zelindo
MBVM Capitano LANZOLLA Bartolomeo, alla memoria
MBVM Tenente ANATO' Vincenzo
MBVM Tenente CALVARESI Graziano
MBVM Tenente CORBI Domenico
MBVM Tenente TACCHINI Ferruccio
MBVM sergente FANTAZZINI Raffaele
MBVM sergente MENUNNI Giuseppe
MBVM caporale MISCIAGNA Marino
MBVM soldato ORSINI Cosimo
MBVM soldato RINALDI Giuseppe
CGVM Tenente ESPOSITO Francesco
CGVM sergente RUBINO Elio
CGVM sergente VESTIDELLI Aurelio

Palù, la Bigia e tutti gli altri, parte 1

Amo gli animali, più degli esseri umani, e quando ho letto la storia di Palù i giorni scorsi, ammetto, ho "sofferto" tanto quanto leggo le storie dei nostri soldati nella Campagna di Russia.

Tempo fa ho parlato prima di Albino, cavallo del Savoia Cavalleria, e poi di Buck, pastore tedesco che seguì gli alpini dall'Italia e fu anche lui uno dei tanti dispersi... di Palù avevo letto qua e là qualche notizia, ma mai tutta l'intera storia che potete trovare sul bel libro " Muli in guerra - Storia di Palù e del suo alpino 1940-1943" di Gino Ascani e Francesco Fatutta.

Voglio condividere alcuni estratti del libro per rendere omaggio anche a questi soldati a quattro zampe che tanto diedero su quel fronte lontano.

Ma chi era Palù? Per l'anagrafe alpina, il suo vero nome era Palun, così era scritto nel foglio matricolare del quadrupede, schedato secondo le regole, come ogni uomo sotto le armi. Era un bestione grande, di pelame nero, con due grossi zoccoli e solide zampe. Nato in Argentina da un asino della razza Poitu, alto, possente e nero, e da una bella giumenta dal pelame color Isabella, con occhi lucenti, vividi di intelligenza, è un grande senso dell'orientamento fra i pericoli della Pampa, aveva ereditato dal fattore la forza e la statura (era 1,75 al garrese, il punto di attaccatura del collo alla schiena) e dalla fattrice gli occhi vivaci, con una luce umana penetrante; si aveva l'impressione che con quegli occhi sapesse leggere i pensieri degli uomini e del suo conducente Davide in particolare [...] Poi era stato caricato su una nave ed era sbarcato in Italia in una fredda mattina d'inverno, dopo una lunga traversata che lo aveva terrorizzato, fra il rumore degli zoccoli di decine di quadrupedi [...] Dopo poco tempo era diventato "artigliere da montagna", aveva subito le rituali visite di controllo che lo avevano dichiarato "abile" e poi l'addomesticamento, la ferratura degli zoccoli, il basto sulla schiena e il carico di due quintali sul basto; e camminare, camminare, ancora camminare, su per le mulattiere delle Alpi Liguri. Notti passate all'addiaccio, legato al filare con gli zoccoli immersi nella neve, e poi a pestare neve e ghiaccio ancora sulle mulattiere, sempre con la schiena gravata di carichi pesanti, ingombranti che rischiavano spesso di fargli perdere l'equilibrio.

Scotto, felice per essere tornato a governare il suo mulo, lo aveva preso per la briglia ed era disceso per la maledetta mulattiera fangosa. Era tanto allegro che, in un punto pericoloso perché stretto e con uno spesso strato di fango nel quale lo scarpone affondava al completo, si era voltato verso il muro per osservare che non urtasse col carico contro la parete della montagna ed era scivolato giù, verso il burrone, rimanendo attaccato alla testa del mulo solo per mezzo della briglia che aveva stretto freneticamente fra le mani, mentre lo zaino e il fucile lo spingevano in basso. Il mulo aveva affondato le zampe anteriori nel fango, fino a trovare una base solida dove si era puntato e, malgrado il dolore lancinante che quasi cento chili di uomo e armi gli procuravano al morso, stretto fra i denti, tenne duro e retrocesse lentamente, alzando la testa e sollevando il povero conducente, fino a portarlo su, fuori dal burrone. Gli aveva salvato la vita e lo osservava, mentre quello tremava in tutte le membra per lo spavento. Scotto gli accarezzò il muso: "Grazie Palù!". Questo fece cenno di sì con la grande testa e ripresero insieme la discesa.

Fu in quel momento che Scotto rammento la sua scivolata verso il burrone e lo strappo che, tenendo stretta la briglia, aveva impresso alla testa dell'animale e, quindi, alla sua bocca che stringeva il morso di ferro. Palù non aveva mollato la presa, aveva stretto i denti e, sopportando il grande dolore di quella trazione, lo aveva salvato; ma il dente si era rotto e, a distanza di oltre un mese e mezzo, l'infezione causata da quella ferita aveva messo fuori uso definitivamente quel grosso molare. Mentre il mulo dormiva, sotto l'effetto dell'iniezione, il suo amico conducente continuava ad accarezzare la grande testa, con un senso di infinita tenerezza e di affetto. Ma il giorno seguente il mulo aveva superato la crisi, la sua bocca non sanguinava, la gengiva andava rimarginandosi e, per prudenza, il conducente non gli mise il morso ma usò solo la cavezza e le cinghie della testa per condurlo nella marcia che non poteva subire soste o rallentamenti.

Quel mattino del 28 aprile Scotto entrò in scuderia vestito a nuovo, dal cappello alle scarpe, ancora odoroso di naftalina. Il mulo lo squadrò da capo a piedi e lo rivide com'era il primo giorno del loro incontro, ma meno imbranato di allora. Pensò che forse quel suo caro compagno andava in congedo e lo avrebbe lasciato, come tanti altri conducenti prima di lui; ma Davide lo tranquillizzo, gli accarezzo la grossa testa, liscio il pelo della groppa e gli disse "Caro bestione! Io vado in licenza, a casa, ma torno fra 15 giorni, tu fai il bravo neh!". E il mulo rispose che aveva capito, facendo segno di sì con la testa, poi gli aveva leccato le mani e il conducente, come ultimo ricordo, gli aveva dato sei zollette di zucchero, che aveva preso allo spaccio, prima di andare a salutarlo. Poi l'alpino se n'era andato via e il suo mulo lo aveva osservato girando la testa verso la porta, alzando il muso verso la finestra per vederlo ancora ma non era riuscito nel suo intento perché la finestra dava sulla valle e non sul cortile della caserma.

La sera, quando la compagnia si accampa, il conducente stacca il mulo dal carro e, malgrado sia stanco e assetato, come prima cosa ripulisce il pelame di Palù dal grande strato di polvere che lo ricopre, poi lo fa bere e gli lega al collo il sacco col mangime che il muro divora. Poi pensa a sè stesso, toglie la polvere dalla camicia di flanella, immerge la testa nel fontanile vicino al quale si sono accampati e ritrova l'energia consumata sulla pista polverosa.

Ma Palù, come sta vivendo quella grande avventura? Abbiamo seguito da vicino le vicende dei conducenti, i loro incontri con la popolazione russa, e loro esperienze, ma qual è l'impressione che, da tutto quel trambusto, trae il povero mulo, attore e spettatore ignaro di tutti quegli avvenimenti? Nella sua testa è ancora presente, sebbene un po' confuso, il ricordo di quel lungo viaggio, chiuso nel carro ferroviario, nel gran caldo dell'estate, e discorsi di gente che parlava una diversa lingua, anzi diverse altre lingue; poi rivede le piste polverose che lo soffocavano, mentre tirava la carretta; le carogne di animali sul ciglio della strada, popolate di mosche ed emananti un odore tremendo di morte; le stesse piste in autunno, con la pioggia continua sul carico e il basto, lo faceva scivolare obbligandolo a prestare grande attenzione dove posava gli zoccoli per non finire nel fango. Rivede La notte dei grandi fuochi, quando le altre carrette bruciavano e gli uomini sparavano, e lui li sulla pista, immobile, con la paura che gli serpeggiava fra pelle e muscoli in attesa di qualche fuoco che lo avrebbe divorato, come gli altri muli colpiti dalle bottiglie incendiarie. La notte era illuminata da bagliori rossastri che davano risalto alle gocce di pioggia che cadeva senza intervalli, senza curarsi di quel combattimento, senza riguardo per gli uomini e per le povere bestie che con loro dividevano la sorte. Ha visto il suo amico conducente correre avanti imbracciando il fucile, con la baionetta che luccicava rossastra, come di sangue, e affrontare un altro uomo. E pensa a quello sterminato territorio, tutto piano, con boschi di betulle, campi di girasole dorati, senza montagne.

giovedì 24 giugno 2021

Ricordi di viaggio

Ad ogni viaggio mi porto a casa emozioni diverse, a volte già provate, a volte nuove e uniche... l'incontro con una persona anziana che ha "visto" e ti racconta, il trovare l'esatto punto letto in precedenza su un libro e immaginare ad occhi aperti quello che loro hanno visto e vissuto. Altre volte invece mi porto a casa anche qualche cosa di materiale che mi possa sempre ricordare dove sono stato e cosa ho avuto la fortuna di vedere. E poi me li riguardo con il desiderio di tornare ancora.

mercoledì 23 giugno 2021

Rievocazione 2018 a Rossosch, parte 3

Pubblico la terza ed ultima serie di fotografie scattate il 14.01.2018 a Rossosch e dintorni, e segnalatemi dal Signor Pasquale Granata, relative alla rievocazione storico-militare dedicata al "75° anniversario della liberazione di Rossosh dagli invasori nazisti" con la partecipazione del "FORZA ITALIA! Italian reenactors group in Russia". Una manifestazione che ha visto protagonisti russi ed italiani insieme, ieri nemici e oggi amici, nel ricordo di tutti i caduti.





















Il processo D'Onofrio, parte 10

Il processo D'Onofrio, decima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA SEDICESIMA UDIENZA.

15 giugno 1949 - Ancora una volta l'udienza è stata caratterizzata da un grosso incidente. Davvero non peccano di monotonia le udienze di questo processo, movimentate come sono, dai continui battibecchi, tra le parti e i loro difensori, accompagnati dal rumoreggiare in sordina del pubblico sempre numeroso.

Anche l'udienza di oggi non è passata senza che un altro vero e proprio alterco sorgesse fra gli avvocati con intervento dello stesso D'Onofrio e del teste che lo aveva provocato. S'è cominciato con Luigi Brunetti il quale ha raccontato al Tribunale come, ricoverato in un ospedale nella regione di Ivanovo, i russi gli fecero fare il bagno, gli fecero cambiare i vestiti e poi lo sistemarono in un padiglione con riscaldamento, materasso, coperte e lenzuola e ve lo fecero rimanere per sei mesi. La mortalità per il tifo petecchiale, malgrado le cure, superò in quel periodo il trenta per cento dei prigionieri.

Fatta la storia delle sue peregrinazioni nei vari campi, il teste ha voluto rendere grazie ai fuorusciti per l'opera che essi svolsero in favore dei prigionieri italiani. Il Sartori, ad esempio si interessò molto presso il comando sovietico del campo numero 185 perché agli italiani fossero dati quegli incarichi che potessero rendere meno dura la prigionia per tutti. I prigionieri potevano lavorare o no a loro scelta. Quelli che lavoravano, però, avevano un supplemento di viveri di 150 grammi di pane (oltre i normali 600) e altrettanto di zuppa (oltre le tre giornaliere di 600 grammi) e quelli che erano adibiti a lavori pesanti avevano diritto ad un chilo di pane, a tre zuppe di 750 grammi e al secondo piatto.

Il giorno che l'Italia dichiarò la guerra alla Germania fu distribuita anche una razione di pasta asciutta. L’emigrato Sartori diffondeva il settimanale 'L'Alba' attraverso la lettura del quale il teste apprese della mutata situazione in Italia e potè modificare le proprie idee e comprendere meglio la propria situazione.

Avv. Taddei: 'Allora lei si è accorto di essere prigioniero di guerra soltanto dopo aver letto 'L'Alba'...'.

Brunetti: 'Naturalmente frequentai con profitto la scuola di antifascismo nella quale si insegnava fra l'altro filosofia crociana e la storia dell'uomo...'.

Avv. Taddei: 'Sentì mai parlare il teste di Darwin?...'.

Brunetti: 'No, mai... Non conosco questo signore.... Alla fine del corso Sartori ci radunò per dirci che sperava d’aver fatto di noi dei veri antifascisti pronti a lottare per gli interessi del popolo italiano. Il giuramento che si prestava alla fine dei corsi di antifascismo non era affatto obbligatorio (però tutti lo prestavano...)'.

È la volta dì Fidia Gambetti, ex camicia nera, poeta e fascista convinto, ma non gerarca, segretario di redazione del fascista 'Popolo di Romagna', oggi redattore capo de 'L'Unità', edizione milanese.

Gambetti: 'Fui internato nel campo di Tamboff dove ebbi la fortuna di conoscere la signora Torre la quale mi sollevò fisicamente e spiritualmente. Le affidai anche delle cartoline perché le spedisse ai miei in Italia. Furono spedite, ma purtroppo non arrivarono mai a destinazione. La cattura provocò in me una vera crisi di coscienza. Fascista cosi convinto da arruolarmi volontario nei battaglioni di camicie nere allo scoppio della guerra, rinunciai perfino di partecipare ai corsi allievi ufficiali per avere la possibilità di essere inviato immediatamente a combattere in prima linea sul fronte occidentale e poi su quello orientale dove fui catturato. In complesso nei campi di concentramento si stava bene. Vi furono, sì, dei morti ma i prigionieri che arrivavano già malati, preferivano cambiare il pane che veniva loro distribuito con del tabacco e così si produceva un veicolo di infezione'.

Avv. Taddei: 'Già, i nostri soldati preferivano fumare e morire piuttosto che mangiare e vivere...'.

Gambetti: 'Fui contagiato e venni trasferito all'ospedale di Slavgorod dove mi trovai molto bene. Vissi anche nel Campo 58 e li scrissi alcune commedie che furono recitate dagli stessi prigionieri, durante alcuni trattenimenti artistici'.

Avv. Taddei: 'È vero che il teste nel 1936 vinse il premio letterario 'Poeti del tempo di Mussolini'?'.

Gambetti: 'Sì è vero. Scrissi un'ode...'.

Avv. Taddei: 'È vero anche che il teste fu capo dell'ufficio Stampa della federazione fascista di Forlì?'.

Gambetti: 'È falso. Fui soltanto segretario di redazione del 'Popolo di Romagna'.

Le domande della difesa si fanno incalzanti, pressanti, e mano a mano l'atmosfera nell'aula si va riscaldando. Un certo nervosismo serpeggia e si capisce bene che basta un nulla per far scoppiare l'incidente.

Avv. Taddei: 'È vero che il teste, durante la prigionia, pubblicò a puntate, sul settimanale 'L'Alba' il 'Diario di una generazione sbagliata'?'.

Gambetti: 'Questo è vero...'.

Avv. Sotgiu: 'Ma cosa c'entrano queste domande con il processo?'.

Avv. Taddei: 'È interessante, invece, tutto ciò. Ci permette di misurare le oscillazioni del pendolo politico del teste il quale, se non sbaglio, oggi è redattore capo de 'L'Unità' di Milano'.

Gambetti: 'Infatti, lo sono'.

Avv. Taddei: 'Basta così...'.

Avv. Sotgiu: 'No. Non basta affatto. La difesa vuole speculare su questo argomento e il teste deve ora spiegare perché prima era fascista e diventò in seguito comunista'.

Gambetti: 'Ero convinto che il fascismo instaurasse in Italia una nuova giustizia sociale, che il fascismo portasse ad un accorciamento delle distanze, ad un trattamento migliore dei lavoratori, alla fine delle speculazioni. Per questo ero fascista. M'accorsi poi che il fascismo non aveva mantenuto le promesse fatte e allora...'.

P.M.: 'Non ci interessa la sua biografia...'.

Presidente: 'Si limiti ad accennare...'.

Gambetti: 'Ma come posso accennare soltanto se i primi dubbi sboccarono in crisi di coscienza proprio per le angherie che i soldati subivano, tanto più che avevo modo di osservare da vicino quale fosse l'organizzazione sovietica?... Eravamo addirittura obbligati ad indossare la camicia nera durante i combattimenti e il capomanipolo Taddei lo sa perfettamente'.

Avv. Taddei: 'Se il teste torna a chiamarmi capomanipolo io lascio l'aula. Io ho combattuto in grigio verde, buffone!'.

È stato il fulmine che ha fatto scoppiare il temporale.

Gambetti: 'Canaglia!'.

Avv. Taddei: 'Buffone!'.

Avv. Sotgiu: 'È ora di finirla. Qui non si fa che insultare i nostri testimoni. Abbiamo sopportato fino ad ora, ma adesso...'.

Avv. Taddei: 'Sopportate ancora...'.

Il Sen. D'Onofrio che ha seguito, attentissimo, le fasi del violento battibecco, non resiste più e, rosso in viso, scatta in piedi come se volesse slanciarsi contro l'avv. Taddei.

D'Onofrio: 'Lei è un buffone. Buffone!!'.

Avv. Taddei: 'Lei se ne vada e si vergogni...'.

Avv. Paone: '...organizzatore di false testimonianze...'.

Avv. Taddei: 'Caro Paone, quando avrai finito di urlare, se ci riesci, mi farai il piacere di ritirare quello che hai detto'.

Frasi grosse, invettive, accuse personali volano da una parte all'altra dell'aula. Tutti sono in piedi: avvocati, presidente, pubblico ministero, imputati, tutti gridano, tutti sono paonazzi in volto. Vediamo il capitano dei carabinieri, che regola il servizio d'ordine, dare brevi ordini ai suoi uomini i quali si preparano ad intervenire nel caso deprecato che le cose si mettessero al peggio. Ma finalmente un più energico intervento del Presidente pone, fine all'alterco e piano piano tutto ritorna calmo mentre il mormorio del pubblico si va smorzando lentamente, come il rumore del temporale che s’allontana.

P.M.: 'Il Tribunale non ha sentito l’ultima accusa lanciata dall'avv. Paone all'avv. Taddei'.

Avv. Taddei: 'Meglio cosi. Tanto la verità non ha bisogno di essere organizzata'.

Placati gli animi l'udienza riprende con le deposizioni degli ex sottotenenti Luigi Sandirocco e Mario Gonnelli i quali naturalmente riferiscono su circostanze già note, elogiano il comportamento dei fuorusciti, assicurano che il giuramento, nelle scuole antifasciste, che entrambi frequentarono, non era obbligatorio e impegnava soltanto alla fedeltà alla causa del popolo italiano.

LA DICIASSETTESIMA UDIENZA.

17 giugno 1949.

Pugliese: 'Una commissione della Croce Rossa Internazionale venuta a visitare il Campo di Oranki nell’aprile del 1943, fuggì inorridita per le condizioni in cui versavano i prigionieri. Nel lazzaretto di Oranki, 400 ufficiali, erano gettati su letti di legno a due posti (i cosiddetti 'castelli'), senza pagliericcio, senza lenzuola, quasi completamente nudi. C'erano nel gruppo 15 medici italiani, ma date le loro disperate condizioni fisiche non erano in grado di prestare la loro opera di sanitari. Tutti i malati erano assistiti da un solo medico italiano, aiutate da Don Franzoni in qualità di infermiere. Non vi erano reparti separati per le diverse malattie epidemiche cosicché affetti di tifo petecchiale e di difterite, di dissenteria e di tifo esantematico giacevano gli uni accanto agli altri.

E per tutti c'era una sola medicina: una soluzione di permanganato di potassio che veniva spalmata con batuffoli di ovatta sui corpi di coloro che avevano la scabbia e bevuta, invece, da chi aveva la dissenteria o il tifo o un’altra infezione qualunque. La maggior parte dei degenti, poi, soffriva anche per delle piaghe che il continuo e lungo contatto del legno dei tavolacci con la loro magrezza aveva prodotto sulla schiena e specialmente nella regione sacrale. Le condizioni sanitarie e igieniche non migliorarono neppure quando scoppiò l'epidemia di tifo esantematico e l'altra più grave di 'distrofia' (cosi i russi chiamavano una malattia che altra origine non aveva che la fame). La mortalità raggiunse in quel periodo una percentuale spaventosa che toccò punte dell’80 e del 90 per cento.

Conobbi il commissario Fiammenghi dopo la guarigione. Egli usava invitare i prigionieri a manifestare liberamente le loro idee, ma se queste non collimavano con le sue andava su tutte le furie, bestemmiava e minacciava'.

Pugliese: 'Quanto alla corrispondenza, vennero sì distribuite delle cartoline in franchigia per scrivere alla famiglia ma non arrivarono mai a destinazione perché le trovammo strappate in mezzo all'immondizia'.

Circa l'attività del D’Onofrio il Pugliese non ha fatto che riconfermare le deposizioni dei colleghi che lo avevano preceduto nella testimonianza. Prima che il teste venga congedato l'avv. Taddei esibisce la copia del 'Risorgimento Liberale' del 1 aprile 1948 in cui è pubblicata una lettera di D'Onofrio in risposta ad un articolo scritto dal Pugliese. Il teste allora spiega al Tribunale che a sua volta rispose al sen. D'Onofrio per dimostrare quanto false fossero le cose che egli aveva scritto nei suoi riguardi e come nella polemica si inserirono successivamente altri reduci.

All'inizio dell’udienza erano stati sentiti ancora due testi d’accusa: Franco Daniello, ex marinaio, e Cadorna Gardini, geniere. Il Daniello ebbe 'la fortuna' di conoscere il commissario Fiammenghi 'un vero padre', alla scuola di antifascismo. Terminato questo primo corso, il teste fu inviato ad una scuola di perfezionamento nei pressi di Mosca dove conobbe il fuoruscito Bobotti 'un vero amico' il quale lo sgridava perché lui voleva studiare anche la domenica e ciò poteva nuocere alla sua salute.

Il teste ha detto anche di essere stato in un primo tempo prigioniero dei tedeschi che lo catturarono a Lero insieme a tutto il presidio, dopo l'8 settembre 1943, e di esser stato, successivamente, liberato dai russi nel luglio del 1944 a Barissoff.

Avv. Sotgiu: 'Poiché il teste fu prigioniero e dei tedeschi e dei russi può dire da chi ricevette trattamento migliore?'.

Daniello: 'Posso solo dichiarare che, allorché caddi in mano russa, mi sembrò di essere tornato alla vita. Quando dovemmo lasciare i campi per fare ritorno in Patria, molti di noi piangevano'.

Più o meno le stesse cose ha ripetuto il Gardini, chiamato subito dopo. Conobbe il querelante alla scuola di antifascismo e ancora oggi darebbe la vita per D'Onofrio e per tutti gli altri fuorusciti italiani. Prima di rinviare a domani il seguito dell’esame testimoniale con gli ultimi quattro testi a discarico, è stato sentito ancora una volta il cappellano Don Franzoni il quale vuole fare una precisazione circa una cena che ebbe luogo, dopo il rientro dalla prigionia, a casa sua in San Giovanni in Persiceto, e alla quale intervenne anche il commissario Rizzoli.

La circostanza, così come è stata riferita da uno dei testi della l'arte Civile, risulta deformata.

Don Franzoni: 'Non mi consta che il Rizzoli, pur esplicando in Russia mansioni di commissario politico, abbia tramato ai miei danni. Questa mia stessa impressione la ebbero gli ufficiali che parteciparono alla cena, da me offerta. Non fui io, però, ad invitare il Rizzoli, bensì gli ufficiali miei amici. Ed io consentii di buon grado ad averlo con noi. A tavola, mentre si mangiava, invitammo il Rizzoli ad esprimere liberamente il suo pensiero sul trattamento che i russi e i commissari italiani avevano fatto ai nostri prigionieri e gli chiedemmo pure come spiegava l’ecatombe dei nostri compagni e la crudeltà con cui eravamo stati trattati. Il Rizzoli rispose vagamente che i russi a quei tempi avevano da pensare a ben altre cose, che la guerra incalzava, che i medicinali non bastavano neppure ai russi e quindi non potevano davvero darli ai prigionieri.

Qualcuno chiese al Rizzoli un parere personale nei confronti di D'Onofrio, e, lui, dopo un attimo di perplessità, rispose che lo riteneva un uomo intelligente, senza specificare di più. Gli chiedemmo ancora cosa pensasse di Roncato, e Rizzoli rispose che quello era un disgraziato e un delinquente'.

lunedì 14 giugno 2021

MOVM - Bocchetti Federico

Le Medaglie d'Oro al Valor Militare della Campagna di Russia, Colonnello Medico BOCCHETTI Federico - Corpo Sanitario.

Motivazione: "Volontario di ogni guerra, tempra geniale di organizzatore, suscitatore di entusiasmi, sempre pervaso dalla sublime missione di medico e di soldato ebbe ovunque cara la suprema gioia del dovere. Informato che in una zona totalmente accerchiata dal nemico giacevano centinaia di feriti, animato dal più ardente desiderio di recare lenimento alle sofferenze, sagacia di consiglio alla organizzazione di assistenza e - ove possibile - di sgombero, spontaneamente volle raggiungere per le contese e quasi vietate vie dell’aria la zona assediata, portandovi il soffio benefico del suo spirito e della sua opera. Ma nel volo di ritorno scompariva nel cielo della lotta, eternando nella perennità luminosa del simbolo la figura di chi sopravanza i termini dell’io nella più generosa dedizione alla Patria e alla Umanità. - Fronte russo, Cielo di Cercowo, 29 dicembre 1942".

Ricompense - 8a Armata - Servizio Sanitario

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

8a ARMATA - SERVIZIO SANITARIO

MOVM Colonnello medico BOCCHETTI Federico, alla memoria
MAVM Colonnello MAUGERI Nicola
MAVM Capitano BARCHI Luigi
MAVM sergente maggiore DI PALMA Teodoro
MAVM caporal maggiore MARNA Dino
MBVM Tenente Colonnello SPAGNOLO VIGORITA Nic.
MBVM Capitano ROMANO Gino
MBVM Tenente FORTUNATI Italo, alla memoria
MBVM Tenente FROSIO Mario Camillo
MBVM Tenente MALASPINA Manlio
MBVM Sottotenente BINGINI Oreste
MBVM Sottotenente PANCANTI Giovanni
CGVM Maggiore ELISEI Carlo
CGVM Tenente MARINO Mario
CGVM sergente maggiore COLUCCI Renato
CGVM sergente maggiore D'OTTAVIO Teodoro
CGVM sergente MAGRETTI Ugo
CGVM caporal maggiore RIZZI Giulio
CGVM soldato ASCHIAROLI Bernardino
CGVM soldato D'ANGELO Giuseppe
CGVM soldato DINI Giuseppe
CGVM soldato MADDALONI Angelo
CGVM soldato MANGANARO Basilio

Prima lettera di Hitler a Mussolini

Sempre a scopo divulgativo e storico riporto la prima lettera scritta da Hitler a Mussolini a poche ore dall'inizio dell'Operazione Barbarossa.

LETTERA DI HITLER A MUSSOLINI IL GIORNO DOPO L'AGGRESSIONE.

22 giugno XIX, ore 0535.

Berlino, 21 giugno 1941.

Duce, Vi scrivo questa lettera nel momento in cui preoccupanti meditazioni che hanno durato dei mesi ed una interminabile, logorante attesa trovano la loro fine nella più grave decisione della mia vita. Io credo che dopo aver considerato il quadro della più recente situazione russa e dopo aver esaminato numerosi altri rapporti, non potrei assumermi la responsabilità di ulteriore aspettativa, e credo anzitutto che non vi sia altra via per allontanare questo pericolo al di fuori di ulteriore attesa che però condurrebbe alla rovina al più tardi in questo anno o nel prossimo.

La situazione: l'Inghilterra ha perduto questa guerra. Col diritto di colui che affoga, essa si afferra ad ogni pagliuzza che possa servirle come ancora di salvezza; tuttavia, naturalmente, alcune speranze non mancano di una certa logica. L'Inghilterra ha sinora condotto le sue guerre con l'aiuto del continente. La distruzione della Francia - e soprattutto l'eliminazione di tutte le posizioni della Europa occidentale - conducono gli sguardi dei bellicisti britannici sempre nuovamente verso il punto dal quale essi avevano cercato di iniziare la guerra: la Russia sovietica.

Russia e Inghilterra. Entrambi gli Stati, la Russia sovietica e l'Inghilterra, sono egualmente interessati al collasso dell'Europa, resa impotente da una lunga guerra: dietro questi due stati sta in agguato e sobillatrice l'Unione nordamericana. Dalla liquidazione della Polonia in poi si mostra nella Russia sovietica una conseguente tendenza che - se con abilità e cautela - si riporta tuttavia direttamente alla vecchia tendenza bolscevica della diffusione del regime sovietico. II prolungarsi la responsabilità, specie nel campo della guerra aerea, di un attacco in grande stile ad occidente. Io Vi ho, Duce, anche detto come proprio l'esperimento ben riuscito di Creta abbia dimostrato che per una impresa tanto maggiore quale sarebbe quella contro l'Inghilterra sarebbe necessario impegnare perfino l'ultimo aeroplano.

In questa lotta decisiva può accadere che alla fine si vinca solo col vantaggio di squadriglie. Io non esito neppure un istante ad assumere tale responsabilità, se a prescindere da qualsiasi altra considerazione io avrò la certezza di non essere improvvisamente attaccato o anche soltanto minacciato da oriente. Lo spiegamento delle forze russe - ho fatto sottoporre dal generale Jodl a questo vostro addetto militare, generale Marras, l'ultima situazione - è enorme. Si può dire che tutte le russe disponibili si trovano alla nostra frontiera. Oltre a ciò, dall'inizio della stagione, si lavora a numerose fortificazioni. Se le circostanze mi inducessero a impegnare l'arma aerea tedesca contro l'Inghilterra, potrebbe sorgere il pericolo che la Russia dal canto suo iniziasse ricatti al nord e al sud, ricatti di fronte ai quali io dovrei cedere senz'altro, in silenzio per la inferiorità aerea.

Soprattutto mi sarebbe allora impossibile di iniziare l'attacco contro le fortificazioni russe con le divisioni si trovano in oriente senza una sufficiente protezione dell'arma aerea. Ora, se non voglio espormi a questo pericolo bisogna che trascorra tutto l'anno 1941 senza che si verifichi cambiamento nella situazione generale. Ma d'altra parte l'Inghilterra non sarà pronta alla pace perché ripone sempre qualche speranza nel socio russo. Questa speranza andrà vieppiù rafforzandosi col progredire dell'approntamento dell'esercito russo. Oltre a ciò per l'anno 1942 sta la sperata fornitura in massa di materiale da guerra da parte dell'America.

Sguardo alla situazione generale. A parte queste considerazioni, Duce, non possiamo nemmeno esser certi che noi avremo questo tempo nostra disposizione, perché con un ammassamento cosi gigantesco di forze da entrambe le parti - sono stato obbligato ora anche da parte mia a riversare sempre più numerose forze corazzate al confine orientale, come pure a mettere in stato d'allarme la Finlandia e la Romania - vi è la possibilità che in qualsiasi momento i fucili sparino da soli. Ma una ritirata da parte mia avrebbe come conseguenza per noi una grave perdita di prestigio. Ciò sarebbe soprattutto spiacevole per le sue possibili ripercussioni sul Giappone. Per ciò dopo lunghissima meditazione sono venuto nella determinazione di strappare il nodo scorsoio prima che esso venga serrato. In questo modo io credo, Duce, di rendere quest'anno alla nostra comune condotta di guerra il più grande servizio possibile.

Il mio giudizio d'assieme è ora difatti il seguente: 1) Della Francia, ora come prima, ci si può fidare poco. Non esiste una sicura garanzia che il Nord Africa non diventi all'improvviso dissidente. 2) Per quanto riguarda le Vostre colonie, Duce, il Nord Africa di per sè è sottratto a qualsiasi pericolo fino all'autunno. Considero che gli inglesi con il loro ultimo attacco volessero liberare Tobruk dall'assedio. Non credo che in un tempo prossimo possano essere in condizioni di ripetere questo tentativo. 3) La Spagna è paurosa e prenderà partito - temo purtroppo - soltanto quando la guerra sarà già decisa. 4) In Siria, alla lunga, la resistenza francese potrà, con o senza il nostro aiuto, difficilmente durare. 5) Prima dell'autunno non può assolutamente prendersi in considerazione la possibilità di attacco sull'Egitto. Ritengo necessario, in vista della situazione generale, di pensare a costituire nella stessa Tripoli una massa di truppe di manovra da impiegare, se necessario, anche verso l'ovest. È beninteso, Duce, Che su questi propositi deve essere mantenuto il più assoluto segreto, perché altrimenti non possiamo attenderci che la Francia continui a dare il suo consenso al trasporto di armi e munizioni attraverso i suoi porti. 6) È indifferente che l'America entri o meno in guerra, poiché già aiuta il nostro nemico tutte le forze che è in grado di mobilitare. 7) La situazione nella stessa Inghilterra è cattiva: gli approvvigionamenti di generi alimentari e di materie prime sono sempre più difficili, la volontà bellicista si basa in sostanza unicamente su speranze. Tali speranze si fondano esclusivamente su due presupposti: Russia e America. Noi non abbiamo modo di mettere da parte l'America. Eliminare la Russia entra nelle possibilità. L'eliminazione della Russia significa nello stesso tempo un enorme alleggerimento del Giappone nell'estremo oriente e con ciò la possibilità che il procedere degli americani venga più fortemente minacciato da un intervento giapponese.

Mi sono deciso, come ho detto, sotto tali condizioni a porre fino all'ipocrita gioco del Cremlino. Presumo, e cioè sono convinto, che a tale guerra, che libererà l'Europa per l'avvenire anche da un grande pericolo, prenderà parte senz'altro la Finlandia e cosi pure la Romania. Il generale Marras ha comunicato che Voi, Duce, metterete a disposizione almeno un corpo di spedizione. Se tale è la Vostra intenzione, Duce - che io accolgo naturalmente col cuore colmo di gratitudine - vi sarà abbastanza tempo per poterla realizzare, dato che in un teatro di guerra tanto vasto l'avanzata non potrà avvenire dappertutto contemporaneamente. L'aiuto decisivo, Duce, lo potrete però sempre fornire col rafforzare le Vostre forze nell'Africa settentrionale, possibilmente anche volgendo lo sguardo da Tripoli verso l'Occidente, e col costituire un contingente per ora sia pure piccolo, che in caso di violazione dei trattati da parte francese possa marciare in Francia. Ed infine con l'intensificare la guerra aerea, e dove sia possibile quella dei sottomarini nel Mediterraneo.

Gli approvvigionamenti in Ucraina. Per quanto riguarda la sicurezza dei territori occidentali, dalla Norvegia fino alla Francia inclusa, noi siamo sufficientemente forti per poter far fronte ad ogni eventualità con fulminea rapidità. Per quanto riguarda la guerra aerea contro l'Inghilterra, ci terremmo per qualche tempo sulla difensiva. Ciò naturalmente non vuol dire che non saremo in grado, se necessario, di fronteggiare gli attacchi inglesi contro la Germania, ma anzi al contrario noi saremo in grado, se necessario, di continuare, come abbiamo fatto finora, violenti bombardamenti sul territorio metropolitano britannico. Anche la nostra difesa con apparecchi da caccia sarà sufficiente. Essa consiste nelle migliori squadriglie che noi possediamo.

Per quanto riguarda la guerra in oriente, Duce, essa sarà sicuramente dura ma io non dubito un istante del suo pieno successo. Io spero soprattutto che ci sarà così possibile assicurarci in Ucraina per lungo tempo una base comune di approvvigionamento atta a procurarci quei rifornimenti di cui in avvenire potremo forse aver bisogno. Debbo però qui aggiungere che - per quanto si può fin d'ora prevedere - il raccolto tedesco di quest'anno promette di assai buono. È possibile che la Russia tenti di distruggere i campi petroliferi romeni. Vi abbiamo però preparato difesa che io credo sarà in grado di affrontare ogni eventualità. Del resto sarà compito del nostro esercito di allontanare tale minaccia quanto più rapidamente possibile.

Se io, Duce, Vi invio la presente comunicazione solo in questo momento è perché la decisone definitiva è avvenuta solo oggi alle 7 di sera. Vi prego caldamente quindi soprattutto di non fare alcuna comunicazione al Vostro ambasciatore a Mosca perché non si ha assoluta certezza che i nostri rapporti cifrati non vengano decifrati. Anch'io faccio comunicare all'ultimo momento al mio proprio ambasciatore le decisioni prese.

Il materiale, che io mi propongo di pubblicare a poco a poco, è cosi abbondante che il mondo - in quanto non appartenga a quella parte che è nostra avversaria per principio e per la quale a priori ogni argomento è vano - avrà la possibilità di meravigliarsi più della nostra pazienza che della nostra decisione. Ora, qualunque cosa possa avvenire, Duce, la nostra situazione con questo passo non diverrà peggiore ma potrà soltanto migliorare: anche se alla fine di quest'anno dovessi trovarmi costretto a lasciare in Russia 60 o 70 divisioni, queste rappresenteranno soltanto una parte delle forze che ora tengo permanentemente impegnate sul fronte orientale. Se l'Inghilterra tuttavia non dovesse essere in alcun modo ammaestrata da questa dura realtà, allora, con le spalle libere, potremo dedicarci con forze accresciute alla liquidazione di questo avversario.

Posso prometterVi, Duce, che tutto quanto sarà nelle possibilità di noi Tedeschi, verrà fatto. Vi prego di fare comunicare a me direttamente oppure di far concordare a mezzo dei vostri ufficiali militari col mio Comando Supremo tutti i desiderata, i suggerimenti e gli aiuti che Voi, Duce, vorrete farmi pervenire nella presente circostanza. Concludendo, io posso dirVi ancora una cosa, Duce. Da quando ho preso questa decisione sento il mio spirito nuovamente libero. Nonostante tutta la sincerità degli sforzi da me compiuti per ottenere una distensione finale, mi è stato tuttavia spesso molto gravoso marciare a fianco della Russia, perché in un certo senso mi è sempre sembrato di rinnegare tutto il mio passato, le mie idee e i miei precedenti impegni. Sono felice di essermi liberato da questo tormento. Con cordiali e camerateschi saluti, il Vostro Adolf Hitler.

venerdì 11 giugno 2021

La campagna di Russia

Il documentario "La campagna di Russia" di History Channel.

Spigolature da altri fronti...

... quello greco-albanese.

Tratto dal libro "Muli in guerra - Storia di Palù e del suo alpino 1940-1943. "Attaccarono tutto quello che capitava sotto i loro occhi e, a turno, fecero viaggi per portare il bottino alla carretta. Prima che suonasse il cessato allarme, questa era piena di preziosa mercanzia fino al telone e c'era ogni genere di vettovaglie, cose mai viste fino ad allora: una forma di parmigiano, caffè vero, cognac, liquori, panettoni che erano stati inviati dall'Italia per Natale ed erano rimasti nei magazzini, vino in bottiglie, barili, oggetti di vestiario, scarponi chiodati e scarponi con suola di Vibram di gomma. [...] "A noi una pagnotta per due giorni e la scatoletta di carne, e laggiù pasta, generi di conforto, cioccolata, caffè, riso, vino e liquori. Porca naja!". E Visca di rimando: "Pensa a quanti compagni hanno amputato le dita o i piedi o le gambe per il congelamento causato dagli scarponi resi inservibili dal gelo, e il magazzino era pieno fino al tetto".

giovedì 10 giugno 2021

I cani "anticarro"

Ho trovato questo interessante articolo sull'utilizzo dei cani quale "strumento" utilizzato dai sovietici per immobilizzare o distruggere i mezzi corazzati tedeschi; un'altra pagina della Campagna di Russia. L'articolo originale è rintracciabile al link https://it.rbth.com/storia/81354-lesercito-dei-cani-bomba.

L’esercito dei cani bomba: così nella Seconda guerra mondiale si eliminavano i carri armati nazisti.

Gli animali venivano addestrati per infilarsi sotto i cingolati nemici con 12 kg di tritolo legati al corpo. Una tecnica brutale, adottata per far fronte all’insufficienza di armi. Questi soldati a quattro zampe riuscirono a distruggere più di 300 carri armati, contribuendo alla vittoria dell’Unione Sovietica sul nazismo.

Nei primi anni della Seconda guerra mondiale, i cani sovietici anticarro rappresentarono una grossa minaccia per l’avanzata tedesca. Legati a sistemi esplosivi, venivano usati per distruggere gli armamenti nemici. Una tattica atroce, che potrebbe oggi indignare gli attivisti per i diritti degli animali. Ma non bisogna dimenticare il contesto in cui questa pratica veniva applicata: erano infatti anni di disperazione, con il nemico quasi alle porte del Cremlino. Le mitragliatrici sui carri armati tedeschi erano posizionate troppo in alto per poter colpire i “cani suicidi” e, grazie alla copertura della fanteria sovietica, i nazisti non riuscivano a uscire con facilità dai propri carri armati per fermare a colpi di fucile i pericolosi animali in avvicinamento. Talvolta le truppe nemiche si affidavano all’utilizzo di un lanciafiamme.

L’Unione Sovietica iniziò a utilizzare i cani anticarro ben prima dell’invasione nazista del 1941: iniziarono infatti ad addestrare questi animali già negli anni Trenta, prima dello scoppio della Grande guerra patriottica. I cani venivano addestrati a gattonare sotto i carri armati nemici mentre trasportavano esplosivi legati al corpo, solitamente 12 kg di TNT. Venivano poi tenuti a digiuno per vari giorni in modo da provocare una fame tale da spingerli alla ricerca di cibo, solitamente sistemato in fase di addestramento sotto i carri armati. Così gli animali si abituavano a strisciare sotto i cingolati. Veniva inoltre insegnato loro a muoversi in maniera da evitare il fuoco nemico e a non temere l’artiglieria pesante. I primi cani anticarro furono introdotti nell’Armata Rossa nel 1939. Parteciparono ai primi combattimenti due anni dopo.

I cani anticarro del primo battaglione speciale (212 cani e 199 addestratori) furono utilizzati per la prima volta in un combattimento nei pressi di Mosca. Il primo attacco dei soldati a quattro zampe si rivelò un totale disastro, perché gli animali non erano coperti dalla fanteria sovietica e i tedeschi riuscirono a eliminarli con facilità. Inoltre gli addestratori commisero un grave errore: ammaestrarono i cani utilizzando carri armati sovietici, che, a differenza di quelli tedeschi, erano alimentati a gasolio, anziché a benzina. Una differenza di odori che confuse terribilmente i cani sul campo di battaglia.

Anche se il Primo battaglione fu spazzato via, l’Urss continuò a utilizzare i cani anticarro per combattere i tedeschi. Vennero cambiate le tattiche e l’addestramento. Alla fine del 1941, oltre 1.000 cani combattevano sul fronte e l’anno successivo il numero superò le 2.000 unità. Il 21 luglio 1942 i cani suicidi contribuirono a ottenere la vittoria durante una grande battaglia che si svolse vicino a Taganrog, sul Mar di Azov. Durante l’assedio di Leningrado, un gruppo di cani fece esplodere i carri armati e le fortificazioni nemiche, riuscendo a farsi strada intorno al filo spinato e identificando le posizioni del nemico. Riuscirono a far saltare in aria diversi bunker e un deposito munizioni.

Verso la metà del 1943, la situazione era alquanto diversa. L’Armata Rossa iniziò a ricevere un cospicuo rifornimento di armi anticarro, insufficienti all’inizio della guerra. Fu così che i cani anticarro vennero “mandati in pensione”. In totale questi soldati a quattro zampe riuscirono a distruggere 304 carri armati nemici, contribuendo a spostare l’ago della bilancia verso la vittoria dell’Unione Sovietica e la sconfitta del nazismo. Con la fine dei combattimenti, i cani restanti vennero riqualificati e addestrati per missioni di rilevamento mine. Molti di loro sopravvissero ben oltre la fine della guerra.









Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



sabato 5 giugno 2021

Rievocazione 2018 a Rossosch, parte 2

Pubblico la seconda serie di fotografie scattate il 14.01.2018 a Rossosch e dintorni, e segnalatemi dal Signor Pasquale Granata, relative alla rievocazione storico-militare dedicata al "75° anniversario della liberazione di Rossosh dagli invasori nazisti" con la partecipazione del "FORZA ITALIA! Italian reenactors group in Russia". Una manifestazione che ha visto protagonisti russi ed italiani insieme, ieri nemici e oggi amici, nel ricordo di tutti i caduti.





















Il processo D'Onofrio, parte 9

Il processo D'Onofrio, nona parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA QUATTORDICESIMA UDIENZA.

Il giugno 1949 - Il ritmo con cui i numerosi testi si avvicendano alla pedana conferma che ormai siamo alla conclusione dell'esame testimoniale. L'atmosfera è surriscaldata dall’approssimarsi della decisione della causa. Ormai è sufficiente una interruzione, una parola a commento di una frase di un teste, per dar vita a nuovi incidenti di proporzioni maggiori di quelli scoppiati nelle tornate precedenti.

Il primo a deporre è un tenente degli alpini Girolamo Stovali, il quale narra della sua cattura, della fucilazione del suo attendente, della tragica marcia, della vita vissuta da lui e dai suoi compagni nei vari campi di concentramento, della mortalità tra i prigionieri che nel campo di Oranki raggiunse la percentuale di oltre il 60 per cento nell’anno 1943, della visita in quel campo del commissario Fiammenghi, il quale si presentò in uniforme sovietica. Il teste conobbe D'Onofrio nel convalescenziario di Skit. La narrazione non si discosta da quella dei precedenti testimoni: proposta di sottoscrivere l'appello al popolo italiano, rifiuto della maggior parte degli internati, minacce dell’attuale querelante.

Stovali: 'Alcuni aderirono soltanto dopo che D'Onofrio li sottopose ad interrogatori'.

Presidente: 'Quanti aderirono dopo gli interrogatori?'.

Stovali: 'Non posso precisare il numero, ma qualcuno certamente sì. Ricordo che il ten. Dal Toso fu chiamato da D'Onofrio il quale ebbe a fargli oscure minacce tanto che appena uscito dalla baracca del commissario Dal Toso mi disse: 'Ci inchioderanno a questi pini ma non potranno farci dimenticare di essere italiani'.

Quella sera stessa, nascosto in uno scantinato insieme con i ten. Dal Toso ed Emett, potei sentire quello che D'Onofrio diceva parlando con un ufficiale sovietico, in una stanza sopra di noi. Parlava di organizzare nel campo di Skit un gruppo antifascista e poi accennò al caso del cap. Magnani rassicurando, fra l'altro, l’ufficiale russo con queste precise parole: 'Non si preoccupi del Magnani! A quello ci penserò io!'. Quella frase ci impressionò moltissimo e tememmo per lui. Dopo pochi giorni, infatti il nostro compagno di prigionia fu trasferito in un campo di punizione.

Stovali: 'Durante la permanenza ad Oranki aderii alla legione garibaldina costituitasi dopo la dichiarazione di guerra alla Germania. Nelle file di quella formazione si schierarono tutti coloro che intendevano combattere contro i tedeschi'.

Avv. Taddei: 'In quanti ufficiali partirono dalla Russia nel suo vagone?'.

Stovali: 'Partimmo in 64, ma siamo tornati soltanto io ed il ten. Colangelo'.

Avv. Taddei: 'I prigionieri potevano disporsi a piacimento nelle baracche dove alloggiavano?'.

Stovali: 'No. In ogni baracca eravamo sistemati in modo che vi fosse sempre almeno un aderente al gruppo antifascista del campo'.

L'altro teste, quello la cui deposizione ha determinato l'insorgere dell’incidente è stato il segretario generale dell’U.N.I.R.R. (Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia), Gabriele Alfieri, firmatario della circolare inviata poco prima dell’inizio del processo, agli ex prigionieri chiamati a deporre in favore degli imputati, esibita in una delle precedenti udienze dalla parte civile. La parte civile ha cercato di smontare il teste prima ancora che cominciasse la sua deposizione, sottoponendogli la famosa circolare, ma l'Alfieri non si è affatto scomposto: ha ammesso senza esitazione di esserne il firmatario e poi ha cominciato a narrare.

Alfieri: 'Appena dopo la cattura tutti gli uomini che non erano in grado di camminare furono fucilati, altri soldati furono stritolati, durante la marcia, dai carri armati russi. Arrivati alla stazione di Galash i prigionieri furono fatti salire in treno: vagoni merci dove erano stipati in 72 persone. Viveri per il viaggio: una pagnotta ogni otto persone e sette aringhe salate'.

Presidente: 'A testa?'.

Alfieri: 'No. Per tutto il vagone e senza un goccio d’acqua. Qualcuno impazzì per la sete. Tentammo di dissetarci prendendo la neve che si era accumulata sul tetto del vagone ma i russi di scorta provvidero subito a spalarla e così non ci rimase altro che leccare i bulloni del vagone dove si era attaccato un po’ di ghiaccio. Almeno dieci persone morirono durante il viaggio. Ma nessuno si interessò di loro. Furono accatastati in un angolo del vagone senza che nessuno si curasse di segnare nemmeno i loro nomi. Alle fermate i cadaveri venivano tirati fuori dai russi e gettati sulla neve. Arrivammo, quelli che ci riuscirono, a Minciurinsk. Eravamo 5000. Quando ripartimmo dopo una permanenza di due mesi eravamo ridotti a 480'.

Presidente: 'E gli altri?'.

Alfieri: 'Morti. A Vilna, negli Urali, le condizioni di vita migliorarono un po'. Verso la fine del mese di aprile, una mattina venne da noi un soldato russo addetto alle cucine: 'Tovarish Stalin prikasal' ci disse, che vuol dire, più o meno 'niente paura, il compagno Stalin ha ordinato di non morire'. E distribuì a tutti del burro. La cosa si ripeté tutte le mattine per un mese di seguito: 40 grammi di zucchero e 40 grammi di burro. La nostra sorpresa fu enorme, ci fece sgranare gli occhi e urlare di gioia. Ma tutto ciò non valse a diminuire la mortalità perché dei 480 arrivati ripartimmo di lì, ridotti a poco più della metà: altri 200 prigionieri erano morti. I superstiti furono trasferiti al campo di Susdal in carri cellulari'.

Avv. Taddei: 'Infatti... in Russia i cellulari sono più numerosi dei vagoni per viaggiatori'.

Alfieri: 'A Susdal conobbi il fuoruscito Roncato il quale si vantava pubblicamente di aver combattuto sul Don contro le truppe italiane. Funzionari sovietici e emigrati italiani cominciarono ad interrogare i prigionieri. Queste 'conversazioni' si svolgevano con preferenza nelle ore notturne e non duravano mai meno di sei o sette ore. Si voleva da noi che sottoscrivessimo i noti appelli al popolo italiano. I più accaniti oppositori, magg. Russo e Massa, non hanno ancora fatto ritorno dalla Russia'.

Presidente: 'A Susdal si costituì il gruppo antifascista?'.

Alfieri: 'Sì, ma io non vi aderii'.

Presidente: 'Perché?'.

Alfieri: 'Perché il gruppo non aveva nulla di antifascista. Era esclusivamente al servizio dello straniero. Infatti lo aveva costituito un maggiore russo'.

Avv. Taddei: 'Come si riconoscevano gli ufficiali sovietici della N.K.V.D.?'.

Alfieri: 'Dalle loro spalline e dalle mostrine. E, poi, ricordo che si riconoscevano subito perché la popolazione civile, quando li vedeva, li segnalava stendendo le quattro dita della mano destra verso il basso alludendo alle quattro lettere: N.K.V.D.'.

Parlando ancora del Roncato, il teste ricorda che il fuoruscito una volta domandò al ten. Pace per quale ragione fosse venuto in Russia a far la guerra. Alla risposta: 'Perché sono un soldato e un soldato deve obbedire soltanto, senza mai discutere', il Roncato replicò: 'Lei è un fascista e si meriterebbe che gli strappassero la lingua!'.

Alfieri: 'Quando un maggiore sovietico si rivolse a me per chiedermi di aderire all'appello da lanciare al popolo italiano risposi: 'Cosa penserebbe lei di un ufficiale russo che avesse firmato un messaggio del genere quando i tedeschi si trovavano alle porte di Mosca?'. Ma secondo l'ufficiale quelli non erano paragoni da farsi.

A questo punto l'avv. Mastino Del Rio ha acceso la scintilla che ha provocato l'incidente.

Avv. Mastino Del Rio: 'Il teste sa degli incidenti avvenuti alla frontiera, a Tarvisio, quando i reduci dalla prigionia in Russia rimpatriarono? Perché ci fu quell'aggressione?'.

Alfieri: 'Furono picchiati quegli ufficiali che nei campi di concentramento avevano fatto delazioni ai danni dei compagni di prigionia. Alcuni altri ufficiali italiani furono trattenuti in Romania per un mese ancora perché avevano paura di essere anch’essi picchiati. Anche loro erano delatori'.

Avv. Sotgiu: 'Erano dei militari antifascisti!...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'No, erano delle spie'.

Avv. Sotgiu: 'Ma che spie, che spie...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Bella razza di antifascisti...'.

Avv. Sotgiu: '... sì, antifascisti e valorosi antifascisti. Quando i combattenti non la pensano come voi li chiamate spie...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'State zitti voi che siete al servizio di Stalin e della Russia...'.

Avv. Sotgiu: '... E voi chi servite?.... Voi siete venduti alla Confederazione dell'Industria!'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Staffieri di Stalin...'.

Avv. Sotgiu: 'Vergognatevi, voi che avete fatto impiccare Cesare Battisti, ufficiali dell'Austria...'.

L'atmosfera nell’aula si va sempre più scaldando, anche il pubblico è innervosito e rumoreggia, mentre ormai non è più possibile seguire gli avvocati delle due parli che si agitano scompostamente. Si sentono solo parole staccate volare da un punto, all'altro dell’aula, nel frastuono assordante. Soltanto il tempestivo intervento del presidente, che toglie la seduta, vale a riportare la calma.

LA QUINDICESIMA UDIENZA.

14 giugno 1949 - Gabriele Alfieri, il quale, a causa dell’incidente scoppiato all’udienza precedente, non aveva potuto concludere la sua deposizione, è tornato stamane alla pedana dei testimoni per spiegare ancora qualche particolare cui finora non si era accennato. Interessante è stato quello che il teste ha detto a proposito del giornale murale che si pubblicava nei campi di concentramento.

Avv. Taddei: 'Che cosa era il giornale murale?'.

Alfieri: 'Non era altro che una specie di copia del settimanale 'L'Alba' o per lo meno era compilato sulla falsariga di quello che a sua volta si ispirava apertamente alla stampa sovietica. La caratteristica essenziale di quei fogli murali era quella di additare al disprezzo di tutti i prigionieri quegli ufficiali i quali nutrivano sentimenti fascisti, nonché di mettere in rilievo l'organizzazione interna sovietica in rapporto a quella italiana - naturalmente vista dall'angolo visuale degli scriventi - che così ne risultava sempre denigrata. Ricordo di aver letto su uno di quei fogli un articolo intitolato 'Carogne' a firma del maggiore Sorbara, al quale da quel giorno venne attribuito, dal disprezzo dei compagni di prigionia, quello stesso appellativo.

Un altro articolo, dovuto alla penna del tenente Beraudi, era diretto contro il tenente Stagno, ex consigliere nazionale, il quale in conseguenza di quella pubblicazione, dopo essere stato interrogato a lungo dal commissario Rizzoli fu trasferito in un campo di punizione e non ha fatto più ritorno dalla Russia.

Alfieri: 'Su quel giornale murale ebbi occasione di leggere cose di una assurdità addirittura incredibile. Ad esempio vi si scriveva che un 'fritz' (cioè un tedesco) valeva almeno dieci bersaglieri italiani; che agli italiani si metteva la museruola per impedire che rubassero l'uva; e che il Papa aveva fatto cardinale Guglielmo Marconi!'.

Avv. Sotgiu: 'Le risulta che il tenente Stagno scrisse articoli per il giornale murale?'.

Alfieri: 'Sì, uno, su questioni sindacali. Mi pare sugli uffici di collocamento'.

Avv. Taddei: 'Da dove venne attinta la notizia pubblicata sul numero unico 'Russia', in cui si diceva che furono presi 80 mila prigionieri italiani?'.

Alfieri: 'Esattamente dal primo numero del settimanale 'L'Alba', uscito nel febbraio del 1943. In esso si diceva appunto che erano stati catturati 50 mila prigionieri italiani, appartenenti al 2° e al 35° corpo d’armata e 33 mila appartenenti al corpo d’armata alpino'.

Il teste poi, a richiesta dell’avv. Taddei, è tornato sull'argomento che determinò l'alterco del giorno precedente, cioè in quali circostanze furono aggrediti e picchiati, all’atto del rientro in Patria, alcuni degli ufficiali.

Alfieri: 'Non è vero che vennero picchiati quegli ufficiali che avevano fatto parte dei gruppi antifascisti. Per esempio i tenenti Bizzocchi, Zami, Bancalari, Zan, Aimone Marsan ed altri non subirono alcuna violenza eppure avevano aderito a quei gruppi. Lo furono soltanto coloro che avevano fatto i delatori nei campi di concentramento'.

Tornano alla ribalta i testi d’accusa. I primi tre di questo secondo gruppo, ascoltati nel corso della udienza non hanno portato alcun elemento nuovo di giudizio. Essi hanno ripetuto in sostanza quello che già ci avevano raccontato i primi dieci favorevoli all'attuale querelante: hanno confermato che dopotutto nei campi di concentramento non si viveva male; che i viveri erano sufficienti; che i fuorusciti fecero del loro meglio per alleviare i disagi e le sofferenze dei prigionieri.

Il primo a presentarsi è stato il cap. Giuseppe Manzi, il quale ha voluto spiegare al Tribunale perché il cap. Magnani, il ten. Ioli ed altri ufficiali prigionieri furono mandati nel campo di Elabuga. Secondo il racconto del teste, il quale, peraltro si è affrettato a mitigare la sua versione dei fatti dicendo che riferisce soltanto congetture che si fecero a quel tempo fra i prigionieri e quindi sfornite di qualsiasi valore probatorio, il provvedimento sarebbe stato preso perché, giunto nel campo un asso della aviazione nazista, intorno a costui si sarebbe formalo un complotto al quale quegli ufficiali avrebbero preso parte.

Manzi: 'Durante i trasferimenti non è che l'acqua mancasse, ma il fatto è che quella che veniva distribuita, contesa dai più ingordi, finiva sempre per spargersi sul fondo del vagone'. Anche il cap. Manzi ebbe il tifo petecchiale e fu ricoverato nel lazzaretto di Oranki dove il commissario Fiammenghi si prodigava per venire incontro ed esaudire tutti i desideri che venivano espressi dai degenti.

Manzi: 'Io stesso chiesi di essere trasportato al campo di Skit per essere confessato da Don Franzoni. Fiammenghi mi accompagnò personalmente dal sacerdote. Non mi risulta che ufficiali prigionieri si siano mai lamentati di pressioni morali o di minacce da parte di D'Onofrio; e quanto alla scuola antifascista, alla quale io aderii spontaneamente, non vi venivano impartite che lezioni di storia e geografia economica dell'Italia, del movimento operaio italiano e qualche elemento della organizzazione interna sovietica. Gli allievi con il giuramento che prestavano alla fine del corso si impegnavano 'a non ricadere negli stessi errori ed aberrazioni commessi dal fascismo'. Conobbi il D'Onofrio ma non fui mai da lui interrogato e scrissi molte lettere e cartoline ai miei familiari delle quali una sola giunse a destinazione: quella consegnata alla signora Torre.

È ora il turno del sergente Angelo Santarziero il quale non sembra fosse troppo entusiasta dell’idea di far la conoscenza dei campi di concentramento, tanto che, subito dopo la cattura, caricato su un vagone merci insieme ad altri 89 prigionieri, si gettò dal treno in corsa, ma presto le guardie russe lo riacciuffarono. Ma poi la vita in prigionia gli fu resa meno dura, strano caso, dalla presenza dei fuorusciti italiani. Si trovava a Susdal quando nel 1944 si sparse la voce che in Italia era stato proibito il saluto fascista, ma molti ufficiali continuavano a salutare romanamente con ostentazione. Alcuni salutavano a quel modo anche il magg. Orloff e sorridevano.

Avv. Taddei: 'Allora non facevano il saluto romano, ma il sorriso romano...'.

Il terzo teste d’accusa è il soldato Michele Minici il quale fu catturato mentre era ricoverato per ferite riportate in combattimento, nell’ospedale di Kantemirowka.

Avv. Taddei: 'In quell'ospedale fu fucilato il cappellano al momento della resa. Ricorda il teste, per quale ragione?'.

Minici: 'Il cappellano organizzò una azione di resistenza ai russi insieme ad alcuni soldati della sanità che prestavano servizio nell'ospedale. I Russi allora spararono delle cannonate che fecero crollare una parte dell’edificio. Alcuni ricoverati morirono sotto le macerie. Il cappellano fu passato per le armi appunto per aver organizzato quella resistenza'.

Avv. Taddei: 'Ma via... E con che cosa potevano organizzare la resistenza i soldati di sanità? Tutti sanno che essi sono disarmati'.

Il teste fu trasportato nei pressi di Stalingrado, in una zona dal clima freddissimo; ma da lì, per il personale interessamento di Togliatti, lo trasferirono in un campo molto attrezzato ad Usbeghistan, un posto dal clima ideale, dove trovò anche dei fuorusciti italiani che si interessarono molto dei prigionieri, organizzarono una scuola per analfabeti e formarono persino una squadra di calcio. L'ultimo teste della giornata, Pietro Giuffrida, non ha fatto che ripetere circostanze già note, dilungandosi soprattutto sulla gentilezza e sull’interessamento dei fuorusciti italiani dei quali conobbe personalmente Buzzi, Rizzoli, Versari e Fiammenghi.

mercoledì 2 giugno 2021

Don Biasutti e il Colonnello Caretto

Arriviamo alle prime case di Gorlovka alle 4 del mattino del 12. E di qui, verso le tre del pomeriggio, ci muoviamo a piedi verso la prima linea, alla periferia nord-est della città, per dare il cambio ai bersaglieri del 3° Rgt.

Accorro e mi imbatto in alcuni ufficiali, di cui uno è un colonnello. È il colonnello Carreto, che appena mi vede la croce rossa sul petto, mi domanda: - Lei di che reparto è? - Della Legione «Tagliamento», signor colonnello. - Oh, finalmente! - dice - Sia lodato Iddio! - E mi stringe calorosamente la mano.

È quasi sera. Mentre i nostri legionari corrono a prendere quota, io mi precipito verso alcuni bersaglieri feriti; altri bersaglieri arrivano stremati o feriti da un attacco contro il cerchio russo di Nichitovka. Faccio quel che posso per confortarli e dò l'assoluzione ai più gravi. Poco dopo, nel buio, il col. Carretto è ancora accanto a me. Ma non mi riconosce.

- Chi è lei? - chiede.
- Sono il cappellano della «Tagliamento» - rispondo.
- Ah, grazie, grazie - soggiunge -. Poveri i miei ragazzi!
Lui ed i bersaglieri temevano che il loro attacco non fosse riuscito e che i russi muovessero al contrattacco. Invece il sacrificio non era stato vano.

Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 12

Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - Le operazioni per la conquista di Gorlowka e Rykowo e combattimento di Nikitowka (1-12 novembre 1941).

martedì 1 giugno 2021

Racconti di Russia, la cancrena

Questa testimonianza racconta le insolite, quanto terribili, vicende dell'alpino Armando Molinari avvenute durante l'inizio della ritirata.

Caporal maggiore Armando Molinari, 10a Compagnia, Battaglione Mondovì, 1° Reggimento Alpini.

[...] Facemmo una terribile marcia camminando ininterrottamente giorno e notte, con trenta e quaranta sotto zero, fino a quando superammo la zona di Rossosch e ci trovammo nel territorio di riunione delle truppe alpine e ci riunimmo alle altre 2 nostre divisioni. Cominciamo allora la marcia che avrebbe portato i superstiti (ma naturalmente lo sapemmo molto più tardi) a giungere a Nikolajewka e a salvarsi dalla sacca. Io però sulla strada per Nikolajewka devo dire che misi soltanto il piede e compii i primi passi, perché ben presto furono proprio i miei piedi a darmi atroci dolori e a impedirmi di camminare. Sostai qualche ora in un'isba, e quando riuscii a togliermi le scarpe e le calze i miei piedi erano insensibili e bianchi come il marmo. Non mi reggevo in equilibrio, ero disperato [...]

Quando sentimmo le fucilate dei partigiani in arrivo ci trascinammo a nasconderci in una stalla; allorché uscimmo per cercare qualche cosa da mangiare io per muovermi dovetti legarmi alle ginocchia degli stracci di coperta e d'allora in poi mi trascinai strisciando sulle ginocchia; dopo qualche giorno mi trovai separato dai miei compagni di sventura; andavo di isba in isba domandando la carità, vivevo di quello che mi davano i contadini russi, i soldati russi non mi catturavano neppure; vedendo com'ero conciato pensavano certamente che sarei morto da solo sulla neve e che potevano quindi lasciarmi anche dov'ero.

Col passare dei giorni la cancrena ai piedi mi fece andare in sfacelo la carne tanto che si vedevano le ossa delle dita, e il fetore era terribile; io stesso capivo che la cancrena si sarebbe a poco a poco diffusa e mi avrebbe distrutto. Allora con una lametta da barba che per fortuna avevo ancora mi tagliai ad una ad una tutte le dieci dita dei piedi facendomi saltare via anche gli ossicini fino ad arrivare alla carne viva e sana con un dolore che mi faceva impazzire, ma intanto il sangue vivo usciva ed era la salvezza.

Mi tamponai con pezzi di camicia e tirai avanti: certe notti incontravo nelle stalle qualche altro alpino congelato e pieno di cancrena, dovetti anche a questi tagliare le dita, me lo chiedevano perché il risultato che vedevano su di me pareva buono anche se la piaga restava aperta, per disinfettarla in qualche modo orinavamo sulla piaga; dava un bruciore tremendo ma forse faceva qualcosa. Passai per settimane da isba a isba, da stalla a stalla; dicendo che ero italiano trovavo comprensione e pietà [...]

[...] Un giorno mi accolsero in sosta in un'isba, un russo si impietosì talmente del mio stato che in mezza giornata mi confeziono sotto miei occhi un paio di stampelle, mi parve di rinascere quando mi aiutò a rizzarmi e mi accorsi che appoggiandomi a quei legni potevo riprendere una posizione umana, manterrò riconoscenza per quel russo finché vivrò.

Ma i piedi buttavano sangue, avevo bisogno di cure, mi decisi a presentarmi a un treno ospedale russo carico di militari; non mi accolsero, una infermiera mi gettò delle bende già insanguinate, delle vere bende colle quali potei fasciarmi un po' meglio. So che non è quasi credibile, ma quando mi avvicinai a qualche campo di concentramento per darmi prigioniero le guardie mi scacciarono sempre, evidentemente ero un rottame da non prendere in considerazione.

Soltanto dopo l'otto settembre, quando cominciò a circolare la voce che l'Italia aveva fatto la resa anche con la Russia, pensai che non ero più un nemico, che mi dovevano accogliere e possibilmente sfamare, curare. Insistetti tanto dinnanzi al campo 52 finché mi fecero entrare; diventai finalmente un prigioniero regolare, e da allora seguii la sorte degli altri prigionieri italiani, e con questi a suo tempo venni rimpatriato.

RICCARDO