sabato 5 giugno 2021

Il processo D'Onofrio, parte 9

Il processo D'Onofrio, nona parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA QUATTORDICESIMA UDIENZA.

Il giugno 1949 - Il ritmo con cui i numerosi testi si avvicendano alla pedana conferma che ormai siamo alla conclusione dell'esame testimoniale. L'atmosfera è surriscaldata dall’approssimarsi della decisione della causa. Ormai è sufficiente una interruzione, una parola a commento di una frase di un teste, per dar vita a nuovi incidenti di proporzioni maggiori di quelli scoppiati nelle tornate precedenti.

Il primo a deporre è un tenente degli alpini Girolamo Stovali, il quale narra della sua cattura, della fucilazione del suo attendente, della tragica marcia, della vita vissuta da lui e dai suoi compagni nei vari campi di concentramento, della mortalità tra i prigionieri che nel campo di Oranki raggiunse la percentuale di oltre il 60 per cento nell’anno 1943, della visita in quel campo del commissario Fiammenghi, il quale si presentò in uniforme sovietica. Il teste conobbe D'Onofrio nel convalescenziario di Skit. La narrazione non si discosta da quella dei precedenti testimoni: proposta di sottoscrivere l'appello al popolo italiano, rifiuto della maggior parte degli internati, minacce dell’attuale querelante.

Stovali: 'Alcuni aderirono soltanto dopo che D'Onofrio li sottopose ad interrogatori'.

Presidente: 'Quanti aderirono dopo gli interrogatori?'.

Stovali: 'Non posso precisare il numero, ma qualcuno certamente sì. Ricordo che il ten. Dal Toso fu chiamato da D'Onofrio il quale ebbe a fargli oscure minacce tanto che appena uscito dalla baracca del commissario Dal Toso mi disse: 'Ci inchioderanno a questi pini ma non potranno farci dimenticare di essere italiani'.

Quella sera stessa, nascosto in uno scantinato insieme con i ten. Dal Toso ed Emett, potei sentire quello che D'Onofrio diceva parlando con un ufficiale sovietico, in una stanza sopra di noi. Parlava di organizzare nel campo di Skit un gruppo antifascista e poi accennò al caso del cap. Magnani rassicurando, fra l'altro, l’ufficiale russo con queste precise parole: 'Non si preoccupi del Magnani! A quello ci penserò io!'. Quella frase ci impressionò moltissimo e tememmo per lui. Dopo pochi giorni, infatti il nostro compagno di prigionia fu trasferito in un campo di punizione.

Stovali: 'Durante la permanenza ad Oranki aderii alla legione garibaldina costituitasi dopo la dichiarazione di guerra alla Germania. Nelle file di quella formazione si schierarono tutti coloro che intendevano combattere contro i tedeschi'.

Avv. Taddei: 'In quanti ufficiali partirono dalla Russia nel suo vagone?'.

Stovali: 'Partimmo in 64, ma siamo tornati soltanto io ed il ten. Colangelo'.

Avv. Taddei: 'I prigionieri potevano disporsi a piacimento nelle baracche dove alloggiavano?'.

Stovali: 'No. In ogni baracca eravamo sistemati in modo che vi fosse sempre almeno un aderente al gruppo antifascista del campo'.

L'altro teste, quello la cui deposizione ha determinato l'insorgere dell’incidente è stato il segretario generale dell’U.N.I.R.R. (Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia), Gabriele Alfieri, firmatario della circolare inviata poco prima dell’inizio del processo, agli ex prigionieri chiamati a deporre in favore degli imputati, esibita in una delle precedenti udienze dalla parte civile. La parte civile ha cercato di smontare il teste prima ancora che cominciasse la sua deposizione, sottoponendogli la famosa circolare, ma l'Alfieri non si è affatto scomposto: ha ammesso senza esitazione di esserne il firmatario e poi ha cominciato a narrare.

Alfieri: 'Appena dopo la cattura tutti gli uomini che non erano in grado di camminare furono fucilati, altri soldati furono stritolati, durante la marcia, dai carri armati russi. Arrivati alla stazione di Galash i prigionieri furono fatti salire in treno: vagoni merci dove erano stipati in 72 persone. Viveri per il viaggio: una pagnotta ogni otto persone e sette aringhe salate'.

Presidente: 'A testa?'.

Alfieri: 'No. Per tutto il vagone e senza un goccio d’acqua. Qualcuno impazzì per la sete. Tentammo di dissetarci prendendo la neve che si era accumulata sul tetto del vagone ma i russi di scorta provvidero subito a spalarla e così non ci rimase altro che leccare i bulloni del vagone dove si era attaccato un po’ di ghiaccio. Almeno dieci persone morirono durante il viaggio. Ma nessuno si interessò di loro. Furono accatastati in un angolo del vagone senza che nessuno si curasse di segnare nemmeno i loro nomi. Alle fermate i cadaveri venivano tirati fuori dai russi e gettati sulla neve. Arrivammo, quelli che ci riuscirono, a Minciurinsk. Eravamo 5000. Quando ripartimmo dopo una permanenza di due mesi eravamo ridotti a 480'.

Presidente: 'E gli altri?'.

Alfieri: 'Morti. A Vilna, negli Urali, le condizioni di vita migliorarono un po'. Verso la fine del mese di aprile, una mattina venne da noi un soldato russo addetto alle cucine: 'Tovarish Stalin prikasal' ci disse, che vuol dire, più o meno 'niente paura, il compagno Stalin ha ordinato di non morire'. E distribuì a tutti del burro. La cosa si ripeté tutte le mattine per un mese di seguito: 40 grammi di zucchero e 40 grammi di burro. La nostra sorpresa fu enorme, ci fece sgranare gli occhi e urlare di gioia. Ma tutto ciò non valse a diminuire la mortalità perché dei 480 arrivati ripartimmo di lì, ridotti a poco più della metà: altri 200 prigionieri erano morti. I superstiti furono trasferiti al campo di Susdal in carri cellulari'.

Avv. Taddei: 'Infatti... in Russia i cellulari sono più numerosi dei vagoni per viaggiatori'.

Alfieri: 'A Susdal conobbi il fuoruscito Roncato il quale si vantava pubblicamente di aver combattuto sul Don contro le truppe italiane. Funzionari sovietici e emigrati italiani cominciarono ad interrogare i prigionieri. Queste 'conversazioni' si svolgevano con preferenza nelle ore notturne e non duravano mai meno di sei o sette ore. Si voleva da noi che sottoscrivessimo i noti appelli al popolo italiano. I più accaniti oppositori, magg. Russo e Massa, non hanno ancora fatto ritorno dalla Russia'.

Presidente: 'A Susdal si costituì il gruppo antifascista?'.

Alfieri: 'Sì, ma io non vi aderii'.

Presidente: 'Perché?'.

Alfieri: 'Perché il gruppo non aveva nulla di antifascista. Era esclusivamente al servizio dello straniero. Infatti lo aveva costituito un maggiore russo'.

Avv. Taddei: 'Come si riconoscevano gli ufficiali sovietici della N.K.V.D.?'.

Alfieri: 'Dalle loro spalline e dalle mostrine. E, poi, ricordo che si riconoscevano subito perché la popolazione civile, quando li vedeva, li segnalava stendendo le quattro dita della mano destra verso il basso alludendo alle quattro lettere: N.K.V.D.'.

Parlando ancora del Roncato, il teste ricorda che il fuoruscito una volta domandò al ten. Pace per quale ragione fosse venuto in Russia a far la guerra. Alla risposta: 'Perché sono un soldato e un soldato deve obbedire soltanto, senza mai discutere', il Roncato replicò: 'Lei è un fascista e si meriterebbe che gli strappassero la lingua!'.

Alfieri: 'Quando un maggiore sovietico si rivolse a me per chiedermi di aderire all'appello da lanciare al popolo italiano risposi: 'Cosa penserebbe lei di un ufficiale russo che avesse firmato un messaggio del genere quando i tedeschi si trovavano alle porte di Mosca?'. Ma secondo l'ufficiale quelli non erano paragoni da farsi.

A questo punto l'avv. Mastino Del Rio ha acceso la scintilla che ha provocato l'incidente.

Avv. Mastino Del Rio: 'Il teste sa degli incidenti avvenuti alla frontiera, a Tarvisio, quando i reduci dalla prigionia in Russia rimpatriarono? Perché ci fu quell'aggressione?'.

Alfieri: 'Furono picchiati quegli ufficiali che nei campi di concentramento avevano fatto delazioni ai danni dei compagni di prigionia. Alcuni altri ufficiali italiani furono trattenuti in Romania per un mese ancora perché avevano paura di essere anch’essi picchiati. Anche loro erano delatori'.

Avv. Sotgiu: 'Erano dei militari antifascisti!...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'No, erano delle spie'.

Avv. Sotgiu: 'Ma che spie, che spie...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Bella razza di antifascisti...'.

Avv. Sotgiu: '... sì, antifascisti e valorosi antifascisti. Quando i combattenti non la pensano come voi li chiamate spie...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'State zitti voi che siete al servizio di Stalin e della Russia...'.

Avv. Sotgiu: '... E voi chi servite?.... Voi siete venduti alla Confederazione dell'Industria!'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Staffieri di Stalin...'.

Avv. Sotgiu: 'Vergognatevi, voi che avete fatto impiccare Cesare Battisti, ufficiali dell'Austria...'.

L'atmosfera nell’aula si va sempre più scaldando, anche il pubblico è innervosito e rumoreggia, mentre ormai non è più possibile seguire gli avvocati delle due parli che si agitano scompostamente. Si sentono solo parole staccate volare da un punto, all'altro dell’aula, nel frastuono assordante. Soltanto il tempestivo intervento del presidente, che toglie la seduta, vale a riportare la calma.

LA QUINDICESIMA UDIENZA.

14 giugno 1949 - Gabriele Alfieri, il quale, a causa dell’incidente scoppiato all’udienza precedente, non aveva potuto concludere la sua deposizione, è tornato stamane alla pedana dei testimoni per spiegare ancora qualche particolare cui finora non si era accennato. Interessante è stato quello che il teste ha detto a proposito del giornale murale che si pubblicava nei campi di concentramento.

Avv. Taddei: 'Che cosa era il giornale murale?'.

Alfieri: 'Non era altro che una specie di copia del settimanale 'L'Alba' o per lo meno era compilato sulla falsariga di quello che a sua volta si ispirava apertamente alla stampa sovietica. La caratteristica essenziale di quei fogli murali era quella di additare al disprezzo di tutti i prigionieri quegli ufficiali i quali nutrivano sentimenti fascisti, nonché di mettere in rilievo l'organizzazione interna sovietica in rapporto a quella italiana - naturalmente vista dall'angolo visuale degli scriventi - che così ne risultava sempre denigrata. Ricordo di aver letto su uno di quei fogli un articolo intitolato 'Carogne' a firma del maggiore Sorbara, al quale da quel giorno venne attribuito, dal disprezzo dei compagni di prigionia, quello stesso appellativo.

Un altro articolo, dovuto alla penna del tenente Beraudi, era diretto contro il tenente Stagno, ex consigliere nazionale, il quale in conseguenza di quella pubblicazione, dopo essere stato interrogato a lungo dal commissario Rizzoli fu trasferito in un campo di punizione e non ha fatto più ritorno dalla Russia.

Alfieri: 'Su quel giornale murale ebbi occasione di leggere cose di una assurdità addirittura incredibile. Ad esempio vi si scriveva che un 'fritz' (cioè un tedesco) valeva almeno dieci bersaglieri italiani; che agli italiani si metteva la museruola per impedire che rubassero l'uva; e che il Papa aveva fatto cardinale Guglielmo Marconi!'.

Avv. Sotgiu: 'Le risulta che il tenente Stagno scrisse articoli per il giornale murale?'.

Alfieri: 'Sì, uno, su questioni sindacali. Mi pare sugli uffici di collocamento'.

Avv. Taddei: 'Da dove venne attinta la notizia pubblicata sul numero unico 'Russia', in cui si diceva che furono presi 80 mila prigionieri italiani?'.

Alfieri: 'Esattamente dal primo numero del settimanale 'L'Alba', uscito nel febbraio del 1943. In esso si diceva appunto che erano stati catturati 50 mila prigionieri italiani, appartenenti al 2° e al 35° corpo d’armata e 33 mila appartenenti al corpo d’armata alpino'.

Il teste poi, a richiesta dell’avv. Taddei, è tornato sull'argomento che determinò l'alterco del giorno precedente, cioè in quali circostanze furono aggrediti e picchiati, all’atto del rientro in Patria, alcuni degli ufficiali.

Alfieri: 'Non è vero che vennero picchiati quegli ufficiali che avevano fatto parte dei gruppi antifascisti. Per esempio i tenenti Bizzocchi, Zami, Bancalari, Zan, Aimone Marsan ed altri non subirono alcuna violenza eppure avevano aderito a quei gruppi. Lo furono soltanto coloro che avevano fatto i delatori nei campi di concentramento'.

Tornano alla ribalta i testi d’accusa. I primi tre di questo secondo gruppo, ascoltati nel corso della udienza non hanno portato alcun elemento nuovo di giudizio. Essi hanno ripetuto in sostanza quello che già ci avevano raccontato i primi dieci favorevoli all'attuale querelante: hanno confermato che dopotutto nei campi di concentramento non si viveva male; che i viveri erano sufficienti; che i fuorusciti fecero del loro meglio per alleviare i disagi e le sofferenze dei prigionieri.

Il primo a presentarsi è stato il cap. Giuseppe Manzi, il quale ha voluto spiegare al Tribunale perché il cap. Magnani, il ten. Ioli ed altri ufficiali prigionieri furono mandati nel campo di Elabuga. Secondo il racconto del teste, il quale, peraltro si è affrettato a mitigare la sua versione dei fatti dicendo che riferisce soltanto congetture che si fecero a quel tempo fra i prigionieri e quindi sfornite di qualsiasi valore probatorio, il provvedimento sarebbe stato preso perché, giunto nel campo un asso della aviazione nazista, intorno a costui si sarebbe formalo un complotto al quale quegli ufficiali avrebbero preso parte.

Manzi: 'Durante i trasferimenti non è che l'acqua mancasse, ma il fatto è che quella che veniva distribuita, contesa dai più ingordi, finiva sempre per spargersi sul fondo del vagone'. Anche il cap. Manzi ebbe il tifo petecchiale e fu ricoverato nel lazzaretto di Oranki dove il commissario Fiammenghi si prodigava per venire incontro ed esaudire tutti i desideri che venivano espressi dai degenti.

Manzi: 'Io stesso chiesi di essere trasportato al campo di Skit per essere confessato da Don Franzoni. Fiammenghi mi accompagnò personalmente dal sacerdote. Non mi risulta che ufficiali prigionieri si siano mai lamentati di pressioni morali o di minacce da parte di D'Onofrio; e quanto alla scuola antifascista, alla quale io aderii spontaneamente, non vi venivano impartite che lezioni di storia e geografia economica dell'Italia, del movimento operaio italiano e qualche elemento della organizzazione interna sovietica. Gli allievi con il giuramento che prestavano alla fine del corso si impegnavano 'a non ricadere negli stessi errori ed aberrazioni commessi dal fascismo'. Conobbi il D'Onofrio ma non fui mai da lui interrogato e scrissi molte lettere e cartoline ai miei familiari delle quali una sola giunse a destinazione: quella consegnata alla signora Torre.

È ora il turno del sergente Angelo Santarziero il quale non sembra fosse troppo entusiasta dell’idea di far la conoscenza dei campi di concentramento, tanto che, subito dopo la cattura, caricato su un vagone merci insieme ad altri 89 prigionieri, si gettò dal treno in corsa, ma presto le guardie russe lo riacciuffarono. Ma poi la vita in prigionia gli fu resa meno dura, strano caso, dalla presenza dei fuorusciti italiani. Si trovava a Susdal quando nel 1944 si sparse la voce che in Italia era stato proibito il saluto fascista, ma molti ufficiali continuavano a salutare romanamente con ostentazione. Alcuni salutavano a quel modo anche il magg. Orloff e sorridevano.

Avv. Taddei: 'Allora non facevano il saluto romano, ma il sorriso romano...'.

Il terzo teste d’accusa è il soldato Michele Minici il quale fu catturato mentre era ricoverato per ferite riportate in combattimento, nell’ospedale di Kantemirowka.

Avv. Taddei: 'In quell'ospedale fu fucilato il cappellano al momento della resa. Ricorda il teste, per quale ragione?'.

Minici: 'Il cappellano organizzò una azione di resistenza ai russi insieme ad alcuni soldati della sanità che prestavano servizio nell'ospedale. I Russi allora spararono delle cannonate che fecero crollare una parte dell’edificio. Alcuni ricoverati morirono sotto le macerie. Il cappellano fu passato per le armi appunto per aver organizzato quella resistenza'.

Avv. Taddei: 'Ma via... E con che cosa potevano organizzare la resistenza i soldati di sanità? Tutti sanno che essi sono disarmati'.

Il teste fu trasportato nei pressi di Stalingrado, in una zona dal clima freddissimo; ma da lì, per il personale interessamento di Togliatti, lo trasferirono in un campo molto attrezzato ad Usbeghistan, un posto dal clima ideale, dove trovò anche dei fuorusciti italiani che si interessarono molto dei prigionieri, organizzarono una scuola per analfabeti e formarono persino una squadra di calcio. L'ultimo teste della giornata, Pietro Giuffrida, non ha fatto che ripetere circostanze già note, dilungandosi soprattutto sulla gentilezza e sull’interessamento dei fuorusciti italiani dei quali conobbe personalmente Buzzi, Rizzoli, Versari e Fiammenghi.

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