mercoledì 23 giugno 2021

Il processo D'Onofrio, parte 10

Il processo D'Onofrio, decima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA SEDICESIMA UDIENZA.

15 giugno 1949 - Ancora una volta l'udienza è stata caratterizzata da un grosso incidente. Davvero non peccano di monotonia le udienze di questo processo, movimentate come sono, dai continui battibecchi, tra le parti e i loro difensori, accompagnati dal rumoreggiare in sordina del pubblico sempre numeroso.

Anche l'udienza di oggi non è passata senza che un altro vero e proprio alterco sorgesse fra gli avvocati con intervento dello stesso D'Onofrio e del teste che lo aveva provocato. S'è cominciato con Luigi Brunetti il quale ha raccontato al Tribunale come, ricoverato in un ospedale nella regione di Ivanovo, i russi gli fecero fare il bagno, gli fecero cambiare i vestiti e poi lo sistemarono in un padiglione con riscaldamento, materasso, coperte e lenzuola e ve lo fecero rimanere per sei mesi. La mortalità per il tifo petecchiale, malgrado le cure, superò in quel periodo il trenta per cento dei prigionieri.

Fatta la storia delle sue peregrinazioni nei vari campi, il teste ha voluto rendere grazie ai fuorusciti per l'opera che essi svolsero in favore dei prigionieri italiani. Il Sartori, ad esempio si interessò molto presso il comando sovietico del campo numero 185 perché agli italiani fossero dati quegli incarichi che potessero rendere meno dura la prigionia per tutti. I prigionieri potevano lavorare o no a loro scelta. Quelli che lavoravano, però, avevano un supplemento di viveri di 150 grammi di pane (oltre i normali 600) e altrettanto di zuppa (oltre le tre giornaliere di 600 grammi) e quelli che erano adibiti a lavori pesanti avevano diritto ad un chilo di pane, a tre zuppe di 750 grammi e al secondo piatto.

Il giorno che l'Italia dichiarò la guerra alla Germania fu distribuita anche una razione di pasta asciutta. L’emigrato Sartori diffondeva il settimanale 'L'Alba' attraverso la lettura del quale il teste apprese della mutata situazione in Italia e potè modificare le proprie idee e comprendere meglio la propria situazione.

Avv. Taddei: 'Allora lei si è accorto di essere prigioniero di guerra soltanto dopo aver letto 'L'Alba'...'.

Brunetti: 'Naturalmente frequentai con profitto la scuola di antifascismo nella quale si insegnava fra l'altro filosofia crociana e la storia dell'uomo...'.

Avv. Taddei: 'Sentì mai parlare il teste di Darwin?...'.

Brunetti: 'No, mai... Non conosco questo signore.... Alla fine del corso Sartori ci radunò per dirci che sperava d’aver fatto di noi dei veri antifascisti pronti a lottare per gli interessi del popolo italiano. Il giuramento che si prestava alla fine dei corsi di antifascismo non era affatto obbligatorio (però tutti lo prestavano...)'.

È la volta dì Fidia Gambetti, ex camicia nera, poeta e fascista convinto, ma non gerarca, segretario di redazione del fascista 'Popolo di Romagna', oggi redattore capo de 'L'Unità', edizione milanese.

Gambetti: 'Fui internato nel campo di Tamboff dove ebbi la fortuna di conoscere la signora Torre la quale mi sollevò fisicamente e spiritualmente. Le affidai anche delle cartoline perché le spedisse ai miei in Italia. Furono spedite, ma purtroppo non arrivarono mai a destinazione. La cattura provocò in me una vera crisi di coscienza. Fascista cosi convinto da arruolarmi volontario nei battaglioni di camicie nere allo scoppio della guerra, rinunciai perfino di partecipare ai corsi allievi ufficiali per avere la possibilità di essere inviato immediatamente a combattere in prima linea sul fronte occidentale e poi su quello orientale dove fui catturato. In complesso nei campi di concentramento si stava bene. Vi furono, sì, dei morti ma i prigionieri che arrivavano già malati, preferivano cambiare il pane che veniva loro distribuito con del tabacco e così si produceva un veicolo di infezione'.

Avv. Taddei: 'Già, i nostri soldati preferivano fumare e morire piuttosto che mangiare e vivere...'.

Gambetti: 'Fui contagiato e venni trasferito all'ospedale di Slavgorod dove mi trovai molto bene. Vissi anche nel Campo 58 e li scrissi alcune commedie che furono recitate dagli stessi prigionieri, durante alcuni trattenimenti artistici'.

Avv. Taddei: 'È vero che il teste nel 1936 vinse il premio letterario 'Poeti del tempo di Mussolini'?'.

Gambetti: 'Sì è vero. Scrissi un'ode...'.

Avv. Taddei: 'È vero anche che il teste fu capo dell'ufficio Stampa della federazione fascista di Forlì?'.

Gambetti: 'È falso. Fui soltanto segretario di redazione del 'Popolo di Romagna'.

Le domande della difesa si fanno incalzanti, pressanti, e mano a mano l'atmosfera nell'aula si va riscaldando. Un certo nervosismo serpeggia e si capisce bene che basta un nulla per far scoppiare l'incidente.

Avv. Taddei: 'È vero che il teste, durante la prigionia, pubblicò a puntate, sul settimanale 'L'Alba' il 'Diario di una generazione sbagliata'?'.

Gambetti: 'Questo è vero...'.

Avv. Sotgiu: 'Ma cosa c'entrano queste domande con il processo?'.

Avv. Taddei: 'È interessante, invece, tutto ciò. Ci permette di misurare le oscillazioni del pendolo politico del teste il quale, se non sbaglio, oggi è redattore capo de 'L'Unità' di Milano'.

Gambetti: 'Infatti, lo sono'.

Avv. Taddei: 'Basta così...'.

Avv. Sotgiu: 'No. Non basta affatto. La difesa vuole speculare su questo argomento e il teste deve ora spiegare perché prima era fascista e diventò in seguito comunista'.

Gambetti: 'Ero convinto che il fascismo instaurasse in Italia una nuova giustizia sociale, che il fascismo portasse ad un accorciamento delle distanze, ad un trattamento migliore dei lavoratori, alla fine delle speculazioni. Per questo ero fascista. M'accorsi poi che il fascismo non aveva mantenuto le promesse fatte e allora...'.

P.M.: 'Non ci interessa la sua biografia...'.

Presidente: 'Si limiti ad accennare...'.

Gambetti: 'Ma come posso accennare soltanto se i primi dubbi sboccarono in crisi di coscienza proprio per le angherie che i soldati subivano, tanto più che avevo modo di osservare da vicino quale fosse l'organizzazione sovietica?... Eravamo addirittura obbligati ad indossare la camicia nera durante i combattimenti e il capomanipolo Taddei lo sa perfettamente'.

Avv. Taddei: 'Se il teste torna a chiamarmi capomanipolo io lascio l'aula. Io ho combattuto in grigio verde, buffone!'.

È stato il fulmine che ha fatto scoppiare il temporale.

Gambetti: 'Canaglia!'.

Avv. Taddei: 'Buffone!'.

Avv. Sotgiu: 'È ora di finirla. Qui non si fa che insultare i nostri testimoni. Abbiamo sopportato fino ad ora, ma adesso...'.

Avv. Taddei: 'Sopportate ancora...'.

Il Sen. D'Onofrio che ha seguito, attentissimo, le fasi del violento battibecco, non resiste più e, rosso in viso, scatta in piedi come se volesse slanciarsi contro l'avv. Taddei.

D'Onofrio: 'Lei è un buffone. Buffone!!'.

Avv. Taddei: 'Lei se ne vada e si vergogni...'.

Avv. Paone: '...organizzatore di false testimonianze...'.

Avv. Taddei: 'Caro Paone, quando avrai finito di urlare, se ci riesci, mi farai il piacere di ritirare quello che hai detto'.

Frasi grosse, invettive, accuse personali volano da una parte all'altra dell'aula. Tutti sono in piedi: avvocati, presidente, pubblico ministero, imputati, tutti gridano, tutti sono paonazzi in volto. Vediamo il capitano dei carabinieri, che regola il servizio d'ordine, dare brevi ordini ai suoi uomini i quali si preparano ad intervenire nel caso deprecato che le cose si mettessero al peggio. Ma finalmente un più energico intervento del Presidente pone, fine all'alterco e piano piano tutto ritorna calmo mentre il mormorio del pubblico si va smorzando lentamente, come il rumore del temporale che s’allontana.

P.M.: 'Il Tribunale non ha sentito l’ultima accusa lanciata dall'avv. Paone all'avv. Taddei'.

Avv. Taddei: 'Meglio cosi. Tanto la verità non ha bisogno di essere organizzata'.

Placati gli animi l'udienza riprende con le deposizioni degli ex sottotenenti Luigi Sandirocco e Mario Gonnelli i quali naturalmente riferiscono su circostanze già note, elogiano il comportamento dei fuorusciti, assicurano che il giuramento, nelle scuole antifasciste, che entrambi frequentarono, non era obbligatorio e impegnava soltanto alla fedeltà alla causa del popolo italiano.

LA DICIASSETTESIMA UDIENZA.

17 giugno 1949.

Pugliese: 'Una commissione della Croce Rossa Internazionale venuta a visitare il Campo di Oranki nell’aprile del 1943, fuggì inorridita per le condizioni in cui versavano i prigionieri. Nel lazzaretto di Oranki, 400 ufficiali, erano gettati su letti di legno a due posti (i cosiddetti 'castelli'), senza pagliericcio, senza lenzuola, quasi completamente nudi. C'erano nel gruppo 15 medici italiani, ma date le loro disperate condizioni fisiche non erano in grado di prestare la loro opera di sanitari. Tutti i malati erano assistiti da un solo medico italiano, aiutate da Don Franzoni in qualità di infermiere. Non vi erano reparti separati per le diverse malattie epidemiche cosicché affetti di tifo petecchiale e di difterite, di dissenteria e di tifo esantematico giacevano gli uni accanto agli altri.

E per tutti c'era una sola medicina: una soluzione di permanganato di potassio che veniva spalmata con batuffoli di ovatta sui corpi di coloro che avevano la scabbia e bevuta, invece, da chi aveva la dissenteria o il tifo o un’altra infezione qualunque. La maggior parte dei degenti, poi, soffriva anche per delle piaghe che il continuo e lungo contatto del legno dei tavolacci con la loro magrezza aveva prodotto sulla schiena e specialmente nella regione sacrale. Le condizioni sanitarie e igieniche non migliorarono neppure quando scoppiò l'epidemia di tifo esantematico e l'altra più grave di 'distrofia' (cosi i russi chiamavano una malattia che altra origine non aveva che la fame). La mortalità raggiunse in quel periodo una percentuale spaventosa che toccò punte dell’80 e del 90 per cento.

Conobbi il commissario Fiammenghi dopo la guarigione. Egli usava invitare i prigionieri a manifestare liberamente le loro idee, ma se queste non collimavano con le sue andava su tutte le furie, bestemmiava e minacciava'.

Pugliese: 'Quanto alla corrispondenza, vennero sì distribuite delle cartoline in franchigia per scrivere alla famiglia ma non arrivarono mai a destinazione perché le trovammo strappate in mezzo all'immondizia'.

Circa l'attività del D’Onofrio il Pugliese non ha fatto che riconfermare le deposizioni dei colleghi che lo avevano preceduto nella testimonianza. Prima che il teste venga congedato l'avv. Taddei esibisce la copia del 'Risorgimento Liberale' del 1 aprile 1948 in cui è pubblicata una lettera di D'Onofrio in risposta ad un articolo scritto dal Pugliese. Il teste allora spiega al Tribunale che a sua volta rispose al sen. D'Onofrio per dimostrare quanto false fossero le cose che egli aveva scritto nei suoi riguardi e come nella polemica si inserirono successivamente altri reduci.

All'inizio dell’udienza erano stati sentiti ancora due testi d’accusa: Franco Daniello, ex marinaio, e Cadorna Gardini, geniere. Il Daniello ebbe 'la fortuna' di conoscere il commissario Fiammenghi 'un vero padre', alla scuola di antifascismo. Terminato questo primo corso, il teste fu inviato ad una scuola di perfezionamento nei pressi di Mosca dove conobbe il fuoruscito Bobotti 'un vero amico' il quale lo sgridava perché lui voleva studiare anche la domenica e ciò poteva nuocere alla sua salute.

Il teste ha detto anche di essere stato in un primo tempo prigioniero dei tedeschi che lo catturarono a Lero insieme a tutto il presidio, dopo l'8 settembre 1943, e di esser stato, successivamente, liberato dai russi nel luglio del 1944 a Barissoff.

Avv. Sotgiu: 'Poiché il teste fu prigioniero e dei tedeschi e dei russi può dire da chi ricevette trattamento migliore?'.

Daniello: 'Posso solo dichiarare che, allorché caddi in mano russa, mi sembrò di essere tornato alla vita. Quando dovemmo lasciare i campi per fare ritorno in Patria, molti di noi piangevano'.

Più o meno le stesse cose ha ripetuto il Gardini, chiamato subito dopo. Conobbe il querelante alla scuola di antifascismo e ancora oggi darebbe la vita per D'Onofrio e per tutti gli altri fuorusciti italiani. Prima di rinviare a domani il seguito dell’esame testimoniale con gli ultimi quattro testi a discarico, è stato sentito ancora una volta il cappellano Don Franzoni il quale vuole fare una precisazione circa una cena che ebbe luogo, dopo il rientro dalla prigionia, a casa sua in San Giovanni in Persiceto, e alla quale intervenne anche il commissario Rizzoli.

La circostanza, così come è stata riferita da uno dei testi della l'arte Civile, risulta deformata.

Don Franzoni: 'Non mi consta che il Rizzoli, pur esplicando in Russia mansioni di commissario politico, abbia tramato ai miei danni. Questa mia stessa impressione la ebbero gli ufficiali che parteciparono alla cena, da me offerta. Non fui io, però, ad invitare il Rizzoli, bensì gli ufficiali miei amici. Ed io consentii di buon grado ad averlo con noi. A tavola, mentre si mangiava, invitammo il Rizzoli ad esprimere liberamente il suo pensiero sul trattamento che i russi e i commissari italiani avevano fatto ai nostri prigionieri e gli chiedemmo pure come spiegava l’ecatombe dei nostri compagni e la crudeltà con cui eravamo stati trattati. Il Rizzoli rispose vagamente che i russi a quei tempi avevano da pensare a ben altre cose, che la guerra incalzava, che i medicinali non bastavano neppure ai russi e quindi non potevano davvero darli ai prigionieri.

Qualcuno chiese al Rizzoli un parere personale nei confronti di D'Onofrio, e, lui, dopo un attimo di perplessità, rispose che lo riteneva un uomo intelligente, senza specificare di più. Gli chiedemmo ancora cosa pensasse di Roncato, e Rizzoli rispose che quello era un disgraziato e un delinquente'.

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