martedì 29 giugno 2021

Palù, la Bigia e tutti gli altri, parte 1

Amo gli animali, più degli esseri umani, e quando ho letto la storia di Palù i giorni scorsi, ammetto, ho "sofferto" tanto quanto leggo le storie dei nostri soldati nella Campagna di Russia.

Tempo fa ho parlato prima di Albino, cavallo del Savoia Cavalleria, e poi di Buck, pastore tedesco che seguì gli alpini dall'Italia e fu anche lui uno dei tanti dispersi... di Palù avevo letto qua e là qualche notizia, ma mai tutta l'intera storia che potete trovare sul bel libro " Muli in guerra - Storia di Palù e del suo alpino 1940-1943" di Gino Ascani e Francesco Fatutta.

Voglio condividere alcuni estratti del libro per rendere omaggio anche a questi soldati a quattro zampe che tanto diedero su quel fronte lontano.

Ma chi era Palù? Per l'anagrafe alpina, il suo vero nome era Palun, così era scritto nel foglio matricolare del quadrupede, schedato secondo le regole, come ogni uomo sotto le armi. Era un bestione grande, di pelame nero, con due grossi zoccoli e solide zampe. Nato in Argentina da un asino della razza Poitu, alto, possente e nero, e da una bella giumenta dal pelame color Isabella, con occhi lucenti, vividi di intelligenza, è un grande senso dell'orientamento fra i pericoli della Pampa, aveva ereditato dal fattore la forza e la statura (era 1,75 al garrese, il punto di attaccatura del collo alla schiena) e dalla fattrice gli occhi vivaci, con una luce umana penetrante; si aveva l'impressione che con quegli occhi sapesse leggere i pensieri degli uomini e del suo conducente Davide in particolare [...] Poi era stato caricato su una nave ed era sbarcato in Italia in una fredda mattina d'inverno, dopo una lunga traversata che lo aveva terrorizzato, fra il rumore degli zoccoli di decine di quadrupedi [...] Dopo poco tempo era diventato "artigliere da montagna", aveva subito le rituali visite di controllo che lo avevano dichiarato "abile" e poi l'addomesticamento, la ferratura degli zoccoli, il basto sulla schiena e il carico di due quintali sul basto; e camminare, camminare, ancora camminare, su per le mulattiere delle Alpi Liguri. Notti passate all'addiaccio, legato al filare con gli zoccoli immersi nella neve, e poi a pestare neve e ghiaccio ancora sulle mulattiere, sempre con la schiena gravata di carichi pesanti, ingombranti che rischiavano spesso di fargli perdere l'equilibrio.

Scotto, felice per essere tornato a governare il suo mulo, lo aveva preso per la briglia ed era disceso per la maledetta mulattiera fangosa. Era tanto allegro che, in un punto pericoloso perché stretto e con uno spesso strato di fango nel quale lo scarpone affondava al completo, si era voltato verso il muro per osservare che non urtasse col carico contro la parete della montagna ed era scivolato giù, verso il burrone, rimanendo attaccato alla testa del mulo solo per mezzo della briglia che aveva stretto freneticamente fra le mani, mentre lo zaino e il fucile lo spingevano in basso. Il mulo aveva affondato le zampe anteriori nel fango, fino a trovare una base solida dove si era puntato e, malgrado il dolore lancinante che quasi cento chili di uomo e armi gli procuravano al morso, stretto fra i denti, tenne duro e retrocesse lentamente, alzando la testa e sollevando il povero conducente, fino a portarlo su, fuori dal burrone. Gli aveva salvato la vita e lo osservava, mentre quello tremava in tutte le membra per lo spavento. Scotto gli accarezzò il muso: "Grazie Palù!". Questo fece cenno di sì con la grande testa e ripresero insieme la discesa.

Fu in quel momento che Scotto rammento la sua scivolata verso il burrone e lo strappo che, tenendo stretta la briglia, aveva impresso alla testa dell'animale e, quindi, alla sua bocca che stringeva il morso di ferro. Palù non aveva mollato la presa, aveva stretto i denti e, sopportando il grande dolore di quella trazione, lo aveva salvato; ma il dente si era rotto e, a distanza di oltre un mese e mezzo, l'infezione causata da quella ferita aveva messo fuori uso definitivamente quel grosso molare. Mentre il mulo dormiva, sotto l'effetto dell'iniezione, il suo amico conducente continuava ad accarezzare la grande testa, con un senso di infinita tenerezza e di affetto. Ma il giorno seguente il mulo aveva superato la crisi, la sua bocca non sanguinava, la gengiva andava rimarginandosi e, per prudenza, il conducente non gli mise il morso ma usò solo la cavezza e le cinghie della testa per condurlo nella marcia che non poteva subire soste o rallentamenti.

Quel mattino del 28 aprile Scotto entrò in scuderia vestito a nuovo, dal cappello alle scarpe, ancora odoroso di naftalina. Il mulo lo squadrò da capo a piedi e lo rivide com'era il primo giorno del loro incontro, ma meno imbranato di allora. Pensò che forse quel suo caro compagno andava in congedo e lo avrebbe lasciato, come tanti altri conducenti prima di lui; ma Davide lo tranquillizzo, gli accarezzo la grossa testa, liscio il pelo della groppa e gli disse "Caro bestione! Io vado in licenza, a casa, ma torno fra 15 giorni, tu fai il bravo neh!". E il mulo rispose che aveva capito, facendo segno di sì con la testa, poi gli aveva leccato le mani e il conducente, come ultimo ricordo, gli aveva dato sei zollette di zucchero, che aveva preso allo spaccio, prima di andare a salutarlo. Poi l'alpino se n'era andato via e il suo mulo lo aveva osservato girando la testa verso la porta, alzando il muso verso la finestra per vederlo ancora ma non era riuscito nel suo intento perché la finestra dava sulla valle e non sul cortile della caserma.

La sera, quando la compagnia si accampa, il conducente stacca il mulo dal carro e, malgrado sia stanco e assetato, come prima cosa ripulisce il pelame di Palù dal grande strato di polvere che lo ricopre, poi lo fa bere e gli lega al collo il sacco col mangime che il muro divora. Poi pensa a sè stesso, toglie la polvere dalla camicia di flanella, immerge la testa nel fontanile vicino al quale si sono accampati e ritrova l'energia consumata sulla pista polverosa.

Ma Palù, come sta vivendo quella grande avventura? Abbiamo seguito da vicino le vicende dei conducenti, i loro incontri con la popolazione russa, e loro esperienze, ma qual è l'impressione che, da tutto quel trambusto, trae il povero mulo, attore e spettatore ignaro di tutti quegli avvenimenti? Nella sua testa è ancora presente, sebbene un po' confuso, il ricordo di quel lungo viaggio, chiuso nel carro ferroviario, nel gran caldo dell'estate, e discorsi di gente che parlava una diversa lingua, anzi diverse altre lingue; poi rivede le piste polverose che lo soffocavano, mentre tirava la carretta; le carogne di animali sul ciglio della strada, popolate di mosche ed emananti un odore tremendo di morte; le stesse piste in autunno, con la pioggia continua sul carico e il basto, lo faceva scivolare obbligandolo a prestare grande attenzione dove posava gli zoccoli per non finire nel fango. Rivede La notte dei grandi fuochi, quando le altre carrette bruciavano e gli uomini sparavano, e lui li sulla pista, immobile, con la paura che gli serpeggiava fra pelle e muscoli in attesa di qualche fuoco che lo avrebbe divorato, come gli altri muli colpiti dalle bottiglie incendiarie. La notte era illuminata da bagliori rossastri che davano risalto alle gocce di pioggia che cadeva senza intervalli, senza curarsi di quel combattimento, senza riguardo per gli uomini e per le povere bestie che con loro dividevano la sorte. Ha visto il suo amico conducente correre avanti imbracciando il fucile, con la baionetta che luccicava rossastra, come di sangue, e affrontare un altro uomo. E pensa a quello sterminato territorio, tutto piano, con boschi di betulle, campi di girasole dorati, senza montagne.

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