lunedì 24 dicembre 2018

Natale 2018

Vorrei augurare a tutti voi che seguite questa pagina un sereno Natale sempre con un pensiero rivolto a tutti loro che al contrario nostro nel 1942 e nel 1943 morivano sulla neve, lontano da casa e dalle proprie famiglie.

sabato 15 dicembre 2018

Raoul Achilli 1

La Campagna di Russia in memoria di Achilli Raoul al Castello Visconteo per non dimenticare.

Una conferenza storica con grandi relatori fortemente voluta dall’ Assessorato alla Cultura del Comune di Legnano, insieme alla Biblioteca Civica per raccontare una pagina di storia che toccò anche la città di Legnano, la quale inviò al fronte 54 dei suoi giovani. Un messaggio che arrivi ai nostri ragazzi perché possano apprezzare la pace e la fratellanza.

https://www.sempionenews.it/cultura/la-campagna-di-russia-in-memoria-di-achilli-raoul/

Serata a Legnano 2

Legnano (MI) 14.12.2018 - Con Francesco Cusaro presidente dell'UNIRR a raccontare ancora e sempre sei nostri ragazzi in Russia.







venerdì 14 dicembre 2018

Da "Ritorno sul Don"

Da «Ritorno sul Don» di Mario Rigoni Stern.

Ogni anno, quando cadeva la prima neve e dalla finestra che guarda gli orti vedevo tetti e montagne imbiancarsi, mi prendeva una malinconia che stringeva il cuore e mi isolava da tutto il resto. Come se questa neve avvolgesse e coprisse la vita che è nel corpo. Anche di notte mi svegliavo quando nevicava. Lo sentivo che nevicava, e stavo immobile dentro il letto. I primi anni prendevo gli sci e andavo. Andavo da solo dove non avrei incontrato nessuno. Nessuno, tranne quello che avevo lasciato là… Ma io sapevo. Avevo visto cose che non si possono dire alle madri. Così, ogni volta che nevicava era come morire un poco.

Ecco, sono ritornato a casa ancora una volta; ma ora so che laggiù, quello tra il Donetz e il Don, è diventato il posto più tranquillo del mondo. C’è una grande pace, un grande silenzio, un’infinita dolcezza. La finestra della mia stanza inquadra boschi e montagne, ma lontano, oltre le Alpi, le pianure, i grandi fiumi, vedo sempre quei villaggi e quelle pianure dove dormono nella loro pace i nostri compagni che non sono tornati a baita.

giovedì 6 dicembre 2018

Serata a Legnano 1

Venerdì 14 dicembre alle ore 21.00 a Legnano (MI) parleremo di Russia e dei viaggi che abbiamo fatto... vi aspettiamo!

lunedì 26 novembre 2018

Serata a Rescaldina

BROGGI FAUSTO Disperso
CAIRONI ERMENEGILDO Prigionia
CAPROTTI GIUSEPPE Disperso
CASSANI MARIO AMBROGIO Disperso
COLOMBINI SILVIO Disperso
COLOMBO ANGELO Disperso
COLOMBO ETTORE Prigionia
COLOMBO LUIGI Disperso
CRIBIOLI GIUSEPPE Disperso
DE SERVI LUIGI Disperso
GAMBINI MARIO Prigionia
GRIMOLDI EMILIO Disperso
LOSA CESARE Disperso
LOSA PASQUALE Disperso
MAERNA DANTE Disperso
MAERNA LUIGI Disperso
PEZZONI CELESTE Disperso
PEZZONI FRANCESCO Disperso
PRAVETTONI GIUSEPPE Disperso
RAIMONDI GIUSEPPE Disperso
RAIMONDI PIETRO Prigionia
ROSSINI GIUSEPPE Disperso
SAMPIETRO ALFREDO Disperso
TREZZINI ANGELO Disperso
TURCONI AGOSTINO Prigionia

Sembra solo un elenco di nomi... questi sono i ragazzi nati a Rescaldina (MI), partiti per la campagna di Russia durante la seconda guerra mondiale e mai più tornati a casa. Forse qualcuno troverà nell'elenco un parente mai conosciuto, forse molti di voi chiedendo a qualche nonna o zia scopriranno che ad un parente lontano toccò analoga tragica sorte.

Martedì 4 dicembre dalle ore 21.00 presso Villa Rusconi a Rescaldina (MI) vi racconteremo la loro storia con immagini di ieri e di oggi.

venerdì 23 novembre 2018

I piastrini in Russia

Perdonerete se ho scelto un'immagine così triste e forte, ma a tutte le persone che accolgono con entusiasmo la distribuzione di piastrini in arrivo dalla Russia mi sento di fare presente un mio pensiero ed una riflessione. Io in Russia ci sono stato già 4 volte e ho riconsegnato qualche piastrino, perché mi è stato consegnato sul posto dai russi. Ma in qualsiasi modo si fomenti questo commercio, si provoca un danno enorme proprio a voi parenti di quei caduti. I russi scavano per vendere i piastrini senza nessun riguardo e dove c'è un piastrino potrebbe esserci il corpo o quello che resta di vostro padre o zio o nonno. Si, forse, vi arriverà un oggetto prezioso ma così non vi arriveranno mai gli eventuali resti. Mi si dirà che se aspettiamo che qualcuno vada in loco a recuperarli possiamo anche scordarcelo e forse è anche vero. Ma l'immagine che ho scelto mostra lo scempio che i russi fanno sui cadaveri per recuperare qualche cosa da vendere. Lo faranno probabilmente lo stesso, ma io non concorrerò mai a tutto questo. A voi che aspettate un padre o uno zio o un nonno è dedicata questa mia riflessione.

mercoledì 7 novembre 2018

Noi protagonisti

150 km percorsi a gennaio in Russia nella steppa dal Don a Nikolajewka, dormendo nelle isbe dei russi che ci hanno ospitato; 2 piastrini militari recuperati di altrettanti nostri soldati dichiarati dispersi nel 1943; in condizioni molto differenti dai nostri alpini e fanti ma comunque patendo freddo e stanchezza per 7 giorni con tutto il necessario nello zaino; il ritorno a casa con due piastrini in valigia, due pezzi di metallo che erano a contatto con la pelle di due ragazzi partiti e mai tornati; il pensiero fisso per mesi alla disperazione di due famiglie che avevano perso i propri cari in una guerra che ha inghiottito in Russia quasi 100.000 dei nostri nonni e padri; lo sforzo continuo per dover trovare a tutti i costi i parenti per riconsegnare i piastrini che come delle reliquie abbiamo riportato a casa... questo in sintesi è stato il mio 2018.

Finalmente il 4 novembre abbiamo riconsegnato anche il secondo piastrino ai parenti di questi sfortunati ragazzi; ho scelto questa fotografia perchè raffigura quasi tutti noi protagonisti della nostra piccola avventura/impresa; ma in questa immagine non si può percepire ne la commozione, ne la gioia che abbiamo provato a fare tutto ciò. Non credo che nella mia vita potrò provare analoghe emozioni, so però che questa esperienza, tutta quanta, è stata unica! Tornerò in Russia ancora, per forza di cose, e mi auguro anche con le stesse persone con cui sono stato a gennaio, ma non so se potrò rivivere la stessa situazione. Abbiamo chiuso il cerchio proprio il 4 novembre, una data che per noi pochi che ci sentiamo totalmente ITALIANI, nel bene e nel male, ha una profonda importanza; seppur stravolta nel suo significato originale da una cerchia non ristretta di persone, noi la sentiamo tutta anche se all'epoca non c'eravamo e non abbiamo provato. Non festeggiamo le armi e la guerra, forse festeggiamo di più la fine della stessa e quegli uomini che presero parte alla Grande Guerra e che contribuirono a vincerla, come mio nonno che all'epoca tornò a casa con un occhio di vetro.

Lino Incerti di Baiso (RE) e Aurelio Mangiavacca di Castell'Arquato (PC) sono così in parte tornati a casa...

sabato 27 ottobre 2018

lunedì 22 ottobre 2018

El Alamein

Permettetemi una divagazione, ma erano tutti nostri soldati... prima che "un italiano in Russia" sono stato anche "un italiano ad El Alamein"... E anche quest'anno è El Alamein... fra le centinaia di fotografie scattate nell'Aprile 2009 quando mi sono recato per l'ultima volta in Africa, voglio ricordare quei ragazzi e quella tragica battaglia con questa immagine. Era l'alba di uno di quei giorni in cui ho visitato il fronte dalla litoranea alla depressione di Qattara, e poi ancora più a sud; avevo appena dormito nel sacco a pelo nella zona di Naqb Rala. Come tetto un cielo di stelle che mai avevo avuto modo di vedere prima nella mia vita... un'emozione unica! All'alba dunque mi sono alzato per primo ed indossati gli anfibi sono salito su una delle quote circostanti, mi sono sdraiato dentro una delle trincee ancora presenti e poi "visto". Nel silenzio più assoluto ho "respirato" El Alamein e il deserto: le emozioni non possono essere scritte, ma in qualche modo e per la prima volta ero lì con loro...

Aurelio Mangiavacca 2

Aurelio ha un volto! Da quando in Russia ci è stata donata la sua piastrina tutti noi ci siamo sempre chiesti chi c'era dietro a quell'oggetto tanto importante ed alla sua storia. Aurelio a destra e il fratello Giuseppe a sinistra... entrambi caduti in Russia, Aurelio durante la ritirata e Giuseppe in prigionia. Domenica 4 novembre a Vernasca (PC) avremo l'onore di riconsegnare alla figlia di Giuseppe la piastrina dello zio scomparso.

lunedì 15 ottobre 2018

Aurelio Mangiavacca 1

Si chiamava Aurelio, Aurelio Mangiavacca; è partito nel 1942 per la Russia con l'8° Reggimento Alpini della famosa Divisione Julia, dissanguatasi dal dicembre 1942 al gennaio 1943 al tristemente famoso quadrivio di Selenyj Yar. Aurelio è nato il 1 aprile 1920 a Castell'Arquato, un piccolo paesino sulle colline in provincia di Piacenza. Con lui è partito anche il fratello Giuseppe, nato il 25 dicembre 1912. Due fratelli partiti insieme per la guerra.

Aurelio risulta disperso dal 21 gennaio 1943; Giuseppe fu catturato dall'Armata Rossa e morì il 4 luglio 1943 al campo di Tiomnikov. Non sono mai più tornati a casa, inghiottiti in un buco nero che per noi italiani si chiama Campagna di Russia. A noi 11 persone che abbiamo ripercorso a piedi il tragitto della Divisione Tridentina dal Don a Nikolajewka nel gennaio 2018 ed in occasione del 75° anniversario, la sera prima della nostra ultima tappa, da Nikitowka a Nikolajewka appunto, si avvicinò un giovane russo, Sergej, e ci consegnò gratuitamente la piastrina di Aurelio. Sergej non volle nulla in cambio, certamente contento se fossimo riusciti a riconsegnare quel piccolo oggetto così tanto importante per la famiglia che lo aspettava a casa.

Dopo settimane di ricerche e qualche intoppo burocratico che ha allungato i tempi più del previsto, Domenica 4 novembre consegneremo il piastrino di Aurelio ai familiari; lo consegneremo presso il comune di Vernasca, sempre in provincia di Piacenza e località dalla quale la famiglia Mangiavacca proviene. Quale data più simbolica del 4 novembre, anniversario della fine e della vittoria nella Grande Guerra?

Grazie al fondamentale contributo delle persone che lavorano agli Uffici Anagrafe dei comuni di Castell'Arquato, Vernasca, Salsomaggiore Terme e Fidenza, siamo riusciti ad arrivare alla Signora Marisa, figlia di Giuseppe, ed alla Signora Simona, nipote di Giuseppe, il povero fratello di Aurelio. Domenica 4 novembre sarà per noi 11 una giornata importante, finalmente conosceremo i parenti più stretti di Aurelio e finalmente una parte di lui tornerà a casa. Ho custodito a nome di tutti la sua piastrina in un mio cassetto come una reliquia; uno di noi 11, probabilmente uno degli alpini del gruppo, la consegnerà nelle mani della Signora Marisa. Quella Signora Marisa che il primo giorno in cui ci siamo sentiti al telefono mi disse "E del mio papà non avete trovato nulla?"...

mercoledì 10 ottobre 2018

Ancora una volta tutti insieme

Eccoci ancora una volta quasi tutti insieme... la nostra esperienza in Russia ci ha legati anche nella vita di tutti i giorni. Alla prima occasione ci ritroviamo... anche per ricordare tutti i nostri caduti e dispersi!




domenica 16 settembre 2018

Christian torna in Russia

Christian, uno di noi che abbiamo camminato in Russia a gennaio è già tornato a rendere omaggio a tutti i nostri caduti e dispersi... bravo Christian!!




Don Guglielmo Biasutti

Sabato sera 15 settembre a Cargnacco ricorderemo Don Guglielmo Biasutti e con lui tutti i legionari della Legione Tagliamento. Un motivo in più per esserci.



domenica 9 settembre 2018

Cargnacco 2018

Anche quest'anno sarò presente per ricordare tutti quei ragazzi e saranno presenti anche alcuni dei "ragazzacci" con cui ho fatto il mio viaggio in Russia a gennaio. Cercate di esserci perché la presenza conta. Purtroppo ogni anno i presenti sono sempre di meno.

lunedì 27 agosto 2018

Dal blog di Pino Scaccia

Voronetz mi ricorda istintivamente una lettera drammatica che il generale Benito Gavazza, capo allora di Onorcaduti, mi consegnò nel 1992 subito dopo l’apertura degli archivi russi. Chiudo con questo racconto drammatico, già pubblicato in “Armir, l’esercito perduto”. Lo ripropongo perché da solo può spiegare tutto l’orrore della guerra.

Sono un russo che abita nella regione di Voronetz, dove voi italiani state cercando i resti dei soldati morti durante la guerra tra Unione Sovietica e la Germania, settanta anni fa. Vorrei aiutarvi perché sono stato testimone di ciò che è successo durante la vostra ritirata e conosco tante fosse dove i prigionieri italiani sono stati sepolti. Ce ne sono centinaia: quante siano esattamente nessuno lo sa e non lo saprà mai perché il tempo le ha cancellate.

Quando è cominciata la guerra avevo dieci anni. Al momento degli avvenimenti che descrivo ne avevo dodici tredici e ricordo bene tutto. Vi parlo della distruzione di un centinaio, forse di centinaia di prigionieri italiani da parte di una scorta sovietica che li accompagnava. Tutti i vostri compatrioti sono stati annientati, fino all'ultimo, e gettati in un burrone. Ricordo e conosco perfettamente questa voragine: si trova nella federazione russa, regione di Voronetz, provincia di Vorobiovka, stazione Lescianaia, uliza Podlesnaia. Alla fine della via Podlesnaia attualmente vivono quattro famiglie: Jridnec, Nasalova, Volkov e Jolovanov. A cento metri da questa casa, subito oltre gli orti, si trova quel dirupo.

A quel tempo l'abitato non si chiamava stazione Lescianaia, ma stazione Vorobiovka e c'erano venti o trenta case dove viveva molta gente. A quel tempo non esisteva neppure via Podlesnaia. Il fosso era in un terreno abbandonato. La zona abitata vicino alla stazione Vorobiovka è cresciuta più tardi. Il burrone allora era coperto da pochi cespugli: ora non si può riconoscere perché è nascosto da un bosco piuttosto esteso. Io sono uno dei pochi testimoni di quella tragedia.

A quei tempi, noi ragazzi vivevamo in miseria, eravamo seminudi e avevamo sempre fame. L'indigenza ci costringeva ad uscire nei giorni freddi d'inverno sulle strade dove le scorte russe continuavano a seguire colonne e colonne di prigionieri italiani. Da noi non passavano né tedeschi né ungheresi, ma sempre italiani: li riconoscevamo subito per i cappotti verdi. Gli italiani avevano più fame di noi: davano tutto quel che potevano per un pezzo di pane, per una patata o una mezza bietola. Cedevano fazzoletti da naso, l'ultima coperta, cravatte, uniformi e cappotti; insomma, tutto e andavano avanti semisvestiti anche se l'inverno era molto freddo.

Vedevamo gli italiani che gelavano durante la marcia. I soldati di scorta facevano uscire dalla colonna quelli che non potevano più andare avanti da soli, li portavano a cinque-sei metri dalla strada e li fucilavano. Una slitta trainata da un cavallo che doveva servire per trasportare i prigionieri indeboliti accompagnava quasi sempre le colonne da un villaggio all'altro. Ma su queste slitte stavano sempre a turno i soldati di scorta. Cosi le file dei prigionieri andavano avanti lasciando per strada gli italiani fucilati. Sui fucilati, giovani a volte ancora vivi o appena feriti, si gettava subito una banda di noi, adolescenti e ragazzi dei villaggi. E due minuti dopo, il cadavere ancora caldo diventava nudo. Spesso si veniva alle mani accanto ai cadaveri, ognuno cercava di togliere per primo al morto tutto quel che capitava. C'era fretta perché con quel freddo il cadavere gelava molto presto. Era impossibile togliere intatti stivali e vestiti a un cadavere gelato. In tali casi la popolazione locale, non più noi ragazzi ma gli adulti, ricorreva all’ascia.

Di notte, quando nessuno li vedeva, gli uomini del villaggio andavano nei posti dove stavano i morti gelati. Per non distruggere il cappotto, la giubba e la camicia tagliavano le braccia al prigioniero. Poi tutto veniva sfilato dall’italiano congelato senza danneggiare le calzature. E di nuovo ricorrevano all'ascia. Tagliavano i piedi insieme alle calzature e li portavano a casa. Lì, al caldo, scongelavano i piedi, in tal modo le scarpe si toglievano bene. Poi gli uomini uscivano e andavano a sotterrare i resti lontano da casa. Tutta la strada dalla città di Kalag, alla stazione Voriobvka, era piena di cadaveri dei prigionieri di guerra italiani. In alcuni posti per un tratto di cento metri si potevano contare anche nove corpi. I resti erano veramente molti, nessuno contava e se ne fregavano tutti; c'erano abituati.

Ma poi è arrivata la primavera con il caldo, le salme hanno cominciato a decomporsi. E volente o nolente la gente ha cominciato a seppellirle vicino alla strada. Scavavano una fossa non profonda, vi gettavano il soldato e lo sotterravano alla meno peggio. Dopo la fine della guerra hanno cominciato ad arare la terra vicino alle strade per seminare. Durante l'aratura tiravano fuori dalla terra i resti degli italiani. Per molti anni, teschi e ossa sono rimasti allo scoperto nei campi vicini alle strade e in fossati. Dietro agli orti e nei prati, lontano dalla strada dove passavano i prigionieri, giacevano le estremità inferiori.

Tra la città di Kalag e la stazione di Voriobvka c'erano due abitati: il villaggio Novo-Tulugheevo e il villaggio Rudnia. In ogni villaggio c'era una chiesa. Tutte le chiese però erano semidistrutte e abbandonate, non c'erano vetri né riscaldamento. Di notte le scorte sistemavano i prigionieri italiani in questi templi. Alla mattina molti erano congelati e altri lo erano per metà, ma per quanto ancora vivi non potevano alzarsi in piedi. I soldati di scorta accompagnavano fuori dalla chiesa chi poteva camminare e fucilavano quei prigionieri che non erano congelati del tutto, ma che non potevano muoversi da soli. Nessuno cercava di distinguere chi era congelato del tutto e chi no e quindi fucilavano spesso anche i vivi. C'era allora i problema di seppellire tutti quei morti. Proprio nel centro del villaggio, vicino alla chiesa, si scavava una grande fossa comune. Su slitte si portavano dalla chiesa i cadaveri degli italiani e si gettavano dentro. In mezzo a tanti caduti, come ho detto, c'erano anche italiani ancora vivi che cercavano di strisciare fuori dalla sepoltura comune, ma i soldati sovietici li finivano a calci, con le pale o semplicemente con palle di terra, li gettavano indietro nella fossa e poi sotterravano tutti insieme, i morti e i vivi.

La sepoltura dei prigionieri era sempre accompagnata dal saccheggio. Nel villaggio Rudnia c'era un uomo, Lunin Kfarifon che non era andato alle armi perché malato mentale. Quando questi notava in bocca di un italiano, morto o vivo, un dente o una capsula d'oro, prendeva una pala o una pietra, spaccava la mascella ed estraeva l'oro. E successo veramente di tutto in quei giorni, ma non c'era un censimento dei prigionieri italiani. La scorta spesso si dimenticava qualche congelato in fondo alla colonna, magari pensando che fosse morto. Ci sono stati molti casi di italiani rimasti indietro che si sono rifugiati nel villaggio, andando per le case, a riscaldarsi e chiedere cibo. Poi la scorta della successiva colonna li prendeva e li portava avanti.

Da noi c'è stata una storia con un italiano. Un prigioniero rimasto indietro rispetto ai suoi compagni. Le scorte non se lo sono preso. Lui e rimasto al villaggio. Ha girato un giorno intero e poi ancora per un altro giorno. Alcuni hanno avuto anche il coraggio di lasciarlo entrare per pernottare. Era un bel giovane e soprattutto era in grado di arrangiarsi. Sapeva riparare una serratura, rappezzare un secchio, spaccare legna e cucire gli stivali. Sapeva fare tutto. L'ospitò alla fine una vecchietta ed egli cominciò a vivere da lei, come un inquilino. La gente nel villaggio parlava spesso di questo "inquilino dell'Italia". Gli abitanti cominciarono ad andare da lui con ordinazioni ed egli faceva tutto a tutti e riusciva a terminare tutte le commissioni. Cominciava a piacere agli uomini del villaggio.

Per il lavoro gli portavano quel che potevano, un pezzo di pane, patate, latte e altro cibo. L'italiano era diventato uno dei nostri simili, nel villaggio. Arrivò la primavera. Nel kolkos nessuno sapeva riparare ruote e carri. Il presidente del kolkos allora chiese l'aiuto dell'italiano. Anche in questo caso se la cavò bene, riparando tutto. Lavorava nel kolkos insieme a tutti gli uomini non chiamati alle armi per ragioni di salute; era stato addirittura nominato capo-brigata di falegnameria. Se qualcosa andava male negli affari del kolkos, il presidente diceva: “Va dall'italiano, lui sbroglierà la faccenda”. E l'italiano risolveva tutto. Per esempio, nel mulino-oleificio per molto tempo non riuscivano ad avviare il diesel; il giovane mise a posto anche quello.

Ma la dirigenza come poteva giustificare la permanenza illegittima di un prigioniero di guerra italiano nel villaggio? Semplice. Egli era amico del presidente del kolkos, perché lavorava bene. Inoltre, aveva cucito nuovi stivali al presidente del Soviet Rurale su sua richiesta. Non c'era nessun danno da parte del soldato, la gente si era abituata a lui e poteva vivere nel villaggio tranquillamente. Cosi passarono circa due anni.

Alla fine della guerra, quando le truppe hitleriane erano già state cacciate dal territorio dell'URSS, le autorità locali si ricordarono improvvisamente che nel loro villaggio viveva illegalmente, senza registrazione all'anagrafe, un prigioniero. A ricordarlo era stato un telegramma del reparto provinciale del NKVD, progenitore del KGB, che chiedeva notizie su quel prigioniero di guerra italiano vissuto per due anni nel villaggio. Non fu facile per le autorità locali spiegarne le ragioni. Il presidente del Soviet Rurale e quello del kolkos cominciarono a scaricare la colpa l'uno sull'altro. Dopo molte discussioni non riuscirono a mettersi d'accordo e allora decisero di chiamare l'italiano al Soviet Rurale e l'uccisero con un fucile da caccia.

La gente del villaggio ha sempre saputo chi ha premuto il grilletto: un certo personaggio che tutti chiamavano con il soprannome di «Gallo». La storia di quest’italiano, che ricordo benissimo, mi ha distratto dal tema principale. Ritrovare il burrone di quel massacro. Chiarisco che su questa fossa non ci sono croci o pietre sepolcrali, né altro che possa farlo riconoscere. Solo io e pochi altri sappiamo del posto. Migliaia di corvi hanno volato sopra il burrone per tutta la primavera e tutta restate, fino all'autunno: perché quel mucchio di corpi umani si è trasformato presto in un mucchio di teschi, scheletri e ossa. Nessuno ha mai sotterrato i resti. Le acque di primavera li hanno dispersi nel dirupo per molti chilometri o li hanno portati via i cani. Forse alcune povere spoglie calcate dal tempo in fondo al ruscello, si trovano ancora là.

La sorte ha voluto che per cinque anni, dal 1957 al 1961, vivessi a cento metri dal burrone. Andando nel bosco per tagliare legna trovai molto spesso ossa umane, anche se tutti noi cercavamo di aggirare il posto. Quando vivevo vicino al burrone alcuni vecchi affermavano di sentire la notte gemiti e pianti. Altri sostenevano di vedere nel burrone luci simili a candele accese. Altri ancora raccontavano di ritrovarsi di notte scheletri umani vicino alle loro case. Un uomo di nome Miroshnicenko, che abitava proprio vicino al burrone, riuscì faticosamente a vendere la casa e a trasferirsi in un altro posto. Conoscevo personalmente quest’uomo. Gli ho chiesto perché vendeva una bella casa e un buon terreno. Per molto tempo non mi ha risposto; poi una volta, davanti a una vodka, mi ha svelato il segreto. Miroshnicenko mi ha raccontato che non poteva vivere vicino al burrone perché quasi ogni notte, specie d'estate, lui e la sua famiglia sentivano lamenti e pianti. E se andavano alla finestra vedevano scheletri andare di qua e di là. Mi ha pregato di non raccontarlo a nessuno: temeva di non riuscire a vendere la casa.

Personalmente non ho sentito né visto certe cose nei cinque anni che ho vissuto vicino al burrone. Ma io stesso ho dovuto molte volte sotterrare i resti di prigionieri italiani. Avevo un grosso cane che liberavo ogni notte e che portava nella sua cuccia tutto quel che trovava. Quasi ogni mattina, vicino alla cuccia, trovavo un teschio umano o altre ossa. Prendevo queste spoglie, le portavo nel bosco e le sotterravo. La mattina dopo tutto si ripeteva. E cosi per molte mattine, finché ho capito che la situazione poteva durare in eterno. Allora ho venduto il cane. E non ne ho presi altri perché tutti i cani della zona andavano naturalmente in cerca di ossa the giacevano dappertutto nel villaggio: dietro gli orti, vicino alle strade, nei fossati.

Nel 1987, d'estate, sono tornato in ferie vicino al burrone, perché la vive ancora mia sorella. Andando a fare una passeggiata nel bosco, dopo tanti anni, sul fondo del ruscello ho visto ancora un teschio. Ma non vi ho raccontato com'è avvenuto il massacro.

Era l'inverno del 1942 o del '43, non ricordo bene; era sicuramente quasi buio. I soldati di scorta hanno portato vicino al burrone un'intera colonna di prigionieri italiani, centinaia. Poi li hanno cacciati dentro, sul fondo del burrone, stretti l'uno all'altro. Terminato questo lavoro, i soldati sovietici sono usciti dal dirupo e hanno cominciato a lanciare granate contro i prigionieri. C'erano molti soldati di scorta e tutti lanciavano granate, per un tempo abbastanza lungo. Negli intervalli tra le esplosioni delle granate si sentivano le grida dei condannati. Terminato il massacro i soldati di scorta sono scesi di nuovo sul fondo. Si sono sentiti spari, molti spari. Sebbene fossimo ragazzi noi capivamo bene cosa succedeva li dentro: i sovietici stavano finendo i vivi con colpi di fucile e di baionetta. Poi i soldati di scorta sono saliti sui carri trainati da cavalli e sono partiti.

Prima di cominciare il massacro, ci avevano cacciato via ma non molto lontano. Perciò noi abbiamo visto e sentito tutto. Anche stavolta i soldati italiani non erano tutti morti. Sentivamo sospiri e gemiti. Sul fondo del burrone giaceva una montagna insanguinata di corpi. Anche la neve, per alcuni metri intorno, era inondata di sangue. I cadaveri giacevano con le viscere di fuori, senza testa e senza estremità. Teste, braccia, piedi e altre parti erano sparsi per molti metri intorno. E scesa la notte e il freddo ha finito quello che avevano lasciato in sospeso i soldati. Cosi sono scomparsi centinaia di italiani. Quella notte è nevicato e al mattino tutto era sepolto sotto uno strato spesso di neve. Non è un segreto per nessuno che nel burrone, ora nascosto da un bosco, ancora marciscano i resti di poveri prigionieri mai sepolti. Non è neanche un segreto che le ossa siano proprio italiane. Lo può confermare qualsiasi abitante della via Podlesnaia. Molti testimoni sono morti, come i miei amici Ivan Mikhailovic e Vasilj Popov che stavano accanto a me quella sera. Ma molti altri invece ancora vivono e ricordano.

Ho gia fatto i nomi e sono pronti a raccontare. Vi ho descritto tutto quello che ho visto con i miei occhi e sentito con le mie orecchie. Ciò che non riuscirò mai a spiegarvi è quel che ho sentito, e che sento, dentro di me.

sabato 23 giugno 2018

Rientrati dalla Russia

Purtroppo per impegni non sono potuto essere presente... ma il mio cuore oggi era tutto là.

venerdì 6 aprile 2018

Tutto ciò che resta di Lino

Domani Lino torna a casa... per me si chiude un cerchio... nel 2011 mi sono recato per la prima volta in Russia in pieno inverno ed è stata un'emozione fortissima. Era necessario dopo tante letture e tanti sogni ad occhi aperti, esserci di persona per vedere e sentire. Ora con la riconsegna del primo piastrino tutto ha molto più senso... li ho cercati, lo ho sognati, li ho sentiti e ora uno di loro sono riuscito a portarlo a casa. Per me sarà sempre una grande cosa!


venerdì 30 marzo 2018

Libri: "UNA BUGATTI DA GUERRA"

Giovedì 5 aprile sarà presente anche Chiara Orlandini con il suo bel libro "Una Bugatti da guerra"... un motivo in più per presenziare alla nostra serata.

mercoledì 28 marzo 2018

Le parole di Stefano Lupi

La ritirata di Russia di Stefano Lupi.

perché ad oltre 70 anni di distanza parlare ancora di questi avvenimenti?
per tanti motivi. 90.000 motivi.
anzi 90.000 + 1
90.001 soldati italiani che in quella tragedia non tornarono più a casa.
tra loro anche enrico magnanensi, tenente della divisione pasubio. mio nonno.
da quando mi sono messo sulle tracce del suo “percorso militare” l’unico pensiero è stato il poter un giorno solcare quelle terre per sentire e provare ad immaginare quello che un ragazzo di 27 anni, ha potuto vivere a migliaia di km lontano da casa.
una casa dove lo stava aspettando sua moglie in attesa della sua bambina che non ha mai potuto conoscere. mia mamma.

in occasione del 75° anniversario della ritirata del corpo d’armata alpino in russia, dal 18 al 27 gennaio 2018 insieme a: andrea, christian, danilo, davide, ezio, federico, giancarlo, roberto, silvia, vittorio e grazie all’associazione “sulle orme della storia” ho coronato questo forte desiderio: ripercorrere negli stessi giorni di quel gennaio 1943, il tragitto intrapreso, in ben peggiori condizioni, dai nostri soldati.

circa 180 chilometri che ognuno di noi ha affrontato alla scoperta di quei luoghi, di quel silenzio ma anche alla scoperta di se stesso.

a due mesi di distanza sono qui.
a ricordare quei giorni.
a ricordare quella parentesi lontana geograficamente e mentalmente.
una parentesi aperta da aspettative, eccitazione e con più interrogativi (pratico/logistici/fisici) che certezze (arriverò alla fine?).
ma che ho chiuso con un bagaglio ben più pesante dei 14kg del mio zaino e con un numero di interrogativi ben superiore dei primi. morali.
a ricordare quel mondo dove ho lasciato un pezzo di me.

dove ho lasciato i sorrisi sdentati o dorati e gli sguardi interrogativi delle tante persone incrociate nel vederci “sfilare” così colorati davanti alle loro grigie strade.
dove ho lasciato la loro gentilezza e ospitalità genuina.
dove ho lasciato la gioia per le piccole cose, come il trovare un dispenser di sapone dopo giorni di saponetta condivisa.
dove ho lasciato la tolleranza dell’imprevisto, io che, con stress, pianifico tutto e rincorro il tempo per “fare”.
dove ho lasciato un mondo indietro di 50 anni, ma autentico.
dove ho lasciato la nostra guida russa, sasha che senza garmin ma con un blocchettino a quadretti e una matita ci ha guidati nel nulla fino a destinazione.
dove ho lasciato un mondo dove ceni con 2 euro e dormi con 4.
dove ho lasciato il pope e la sua generosità, la cameriera con piega anni 60, l’autista folle in manica di camicia, zina e la sua la casa senza bagno, il padrone dell’hotel fiero di mostrarci le sue “suites” kitch e intonse e 100 altri personaggi.
dove ho lasciato la neve.
densa, avvolgente, infinita. rispettata e odiata.
si, perché quella che ritroverò un domani qui a milano o davanti a qualche alpen resort&spa trentino non sarà la stessa.
mai più!

dove ho lasciato la fatica e le lacrime.
dove ho lasciato i miei compagni. le loro parole, i loro racconti, le loro idee così lontane dal “mio mondo” ma che grazie ad esse sto vivendo una vita parallela. vera, mia!
dove ho lasciato il loro aiuto che mi ha permesso di scrivere “è finita, sono arrivato”
dove ho lasciato.....
dove ho lasciato?
no, non è vero
sono qui a ricordare, a scrivere.....
non ho lasciato niente, è tutto dentro di me
e li resterà per sempre!

ciao nonno, sii orgoglioso, la tua bambina è una grande donna.

Lino torna a casa

Sabato 7 aprile 2018 finalmente riconsegneremo la piastrina di Lino Incerti al nipote! La cerimonia si terrà a Baiso (Reggio Emilia) dalle ore 10.30. Sarà un momento significativo per noi che abbiamo avuto l'onore di riportare in Italia un oggetto così importante di questo povero ragazzo e lo sarà anche per tutte le persone che interverranno alla cerimonia; sarà un modo per ricordare a tutti che questi ragazzi tanto sfortunati non devono essere dimenticati. Invitiamo chiunque ad intervenire!

martedì 27 marzo 2018

Le parole di Davide Mazzocato

A distanza ormai di 2 mesi dal termine del nostro trekking ho rivisto i miei compagni di viaggio; è stato un grande piacere per tutti. Abbiamo condiviso qualche cosa che ci porteremo dentro tutta la vita. Ho sentito quindi la necessità di far si che ognuno di loro potesse avere voce su questa pagina e ho quindi chiesto a tutti loro di scrivere qualche cosa in merito... li conosco ormai e non so se tutti si sentiranno di esternare quello che hanno provato e che ora pensano. Anche se non lo faranno apertamente io li ho visti in Russia, ho visto le loro emozioni a volte trattenute a fatica, li ho guardati negli occhi in certi momenti e so che le parole anche di uno solo di loro varranno per tutti quanti.

La Russia, il viaggio, i centomila che non tornarono, le emozioni di Davide Mazzocato.

Cari amici certo tutto questo scalpore un po' alla volta andrà a scemare, ma il nostro cuore custodirà per sempre quei luoghi, quella neve, quei boschi di betulle, quei villaggi tante volte descritti nei racconti di Mario Rigoni Stern, Giulio Bedeschi, e trovati esattamente così talmente precisi che a volte girandomi indietro mi aspettavo di vedere ancora qualche Alpino in ritirata, quante emozioni hanno attraversato il mio cuore, quante lacrime versate hanno solcato il mio viso, quelle piastrine ritrovate che emozioni forti e costudite con tanto rispetto e amore, quelle piastrine ci hanno detto riportateci in Italia siamo tutto quello che resta di due figli d'Italia, loro caduti in Russia questa Italia che se la potessero vedere sono sicuro non si riconoscerebbero. Ogni giorno era un giorno speciale perché siamo stati un gruppo speciale di compagni e amici speciali, i paesaggi immutabili sempre uguali un mare di neve, quelle interminabili camminate uno in fila all'altro senza dire una parola e lo sguardo perso oltre l'orizzonte innevato inevitabilmente i pensieri andavano a quei ragazzi di vent'anni impauriti, braccati dai Russi, affamati, inesorabilmente stretti nella morsa del gelo implacabile ti chiedevi quando grandi sono stati per affrontare tutto questo grazie Eroi, le sere rintanati all'interno delle isbe ospiti dei locali quanto calore, quanta passione, che ci abbiamo messo avevamo appena concluso la tappa giornaliera e già eravamo proiettati anima e corpo alla tappa del giorno dopo e poi...... eccola la in fondo a poco più di un kilometro Nikolajewka e ti accorgi che più ti avvicini più le gambe ti iniziano a tremare, la stanchezza l'affanno di colpo spariscono e gli ultimi duecento metri li fai correndo giù per il costone e poi all'improvviso ti si staglia davanti silenzioso avvolto dalla neve il sottopasso e il pensiero va a lui il Generale Reverberi e a tutti i ragazzi e se rimaniamo in silenzio sentiamo ancora riecheggiare il grido "TRIDENTINA AVANTI" e le lacrime non riesci più a controllarle e piangi, piangi a più non posso ce l'ho fatta noi tutti ce l'abbiamo fatta il nostro viaggio è giunto al termine, ora ci rimangono, ci rimarranno solo i ricordi. Ecco cari amici noi sappiamo quello che abbiamo fatto e per chi lo abbiamo fatto e loro tutti loro, per una decina di giorni facevano a gara per prendersi i posti migliori lassù in paradiso per poter guardare giù, loro si hanno parlato e continueranno a parlare di noi e alla fine è questo che mi riempie di ORGOGLIO, grazie Silvia, Danilo, Giancarlo, Christian, Roberto, Ezio, Vittorio, Andrea, Stefano, Federico, grazie amici miei per aver condiviso questo viaggio in memoria dei centomila che non tornarono mai più a baita!

Intervista a Christian Abate

I sentimenti ed i pensieri trasmessi da Christian sono quelli che ci hanno accompagnato per tutta la spedizione e che sono presenti in tutti noi anche oggi a distanza di due mesi da quell'esperienza... un 'esperienza che ha lasciato il segno in ognuno di noi.

lunedì 26 marzo 2018

L'inaugurazione

Un'inaugurazione della mostra fotografica davvero ben riuscita! In un bel contesto storico e con decine di persone presenti abbiamo aperto la nostra mostra fotografica al pubblico. Vi aspettiamo per un appuntamento da non perdere! Giovedì 5 aprile dalle ore 18.00 potrete visitare la mostra, mangiare in nostra compagnia con dei piatti tipici della cucina lombarda e seguire la conferenza tenuta da Francesco Cusaro, Presidente Nazionale dell'Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia. L'evento si terrà a Milano in Via Alessandro Volta 23, presso il Circolo Combattenti e Reduci, zona Bastioni di Porta Volta. Per info e prenotazioni chiamare il 349.6472823.