venerdì 28 maggio 2021

Orrore Bianco - La campagna di Russia 1942-43

Il documentario "Orrore Bianco - La campagna di Russia 1942 1943".

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



Immagini, batteria antiaerea

Batteria antiaerea da 20/65 mm Breda con serventi posizionata sul Fronte Russo. Peso 72 kg, gittata 5500 metri, tiro utile 2500 metri.

MOVM - Gualdoni Fedele

Le Medaglie d'Oro al Valor Militare della Campagna di Russia, Sottotenente GUALDONI Fedele - 4° Reggimento Genio R.T.

Motivazione: "Comandante compagnia T.R.T. in un momento particolarmente difficile dava il valido volontario contributo del suo reparto per la costituzione di importante caposaldo, tosto investito da poderose forze nemiche. Su terreno ghiacciato e scoperto, durante 14 giorni di attacchi avversari, manteneva integra la linea affidatagli, trascinando più volte al contrattacco i suoi genieri. Il 15° giorno, ferito ad un braccio, mentre respingeva nuovi poderosi attacchi, continuava la lotta riuscendo ad impedire lo scardinamento della difesa e, sostituendosi al puntatore dell’unica mitragliatrice rimasta efficiente, infliggeva al nemico gravissime perdite. Ferito gravemente al petto, non desisteva e, con supremo sforzo, volgeva il suo fuoco su altre colonne avversarie tendenti ad aggirare la posizione. Impegnati i suoi eroici genieri in un cruento corpo a corpo, ne proteggeva ancora il ripiegamento; colpito a morte sull’arma, cadeva da purissimo eroe. - Tscherkowo (Russia), 19 dicembre 1942 - 4 gennaio 1943".

giovedì 27 maggio 2021

Ricompense - 8a Armata - Unità del Genio

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

8a ARMATA - UNITA' VARIE DEL GENIO

MOVM Sottotenente GUALDONI Fedele, alla memoria
MAVM Tenente Colonnello MASSARO Cino
MAVM Tenente MASSO Ottavio
MAVM Tenente MORETTI Pietro
MAVM caporal maggiore PEREGO Romeo
MAVM soldato POLLO Silvio, alla memoria
MBVM Maggiore D'AMICO Guido
MBVM Maggiore FERNE' Enzo
MBVM Capitano GHIGLIA Vincenzo
MBVM Tenente LOMBARDINI Giovanni
MBVM Sottotenente GAMBOGI Solitario
MBVM caporale VALENTI Teobaldo, alla memoria
MBVM soldato GULLI Francesco, alla memoria
CGVM Tenente DI GIULIO Antonio
CGVM Tenente FAGIOLI Duilio
CGVM Sottotenente AZZOLINI Erasmo
CGVM Sottotenente PERINI Teodoro
CGVM sergente maggiore BESSE' Roberto
CGVM sergente maggiore FOSCHI Filippo, alla memoria
CGVM caporal maggiore CINTI Luigi
CGVM caporal maggiore CORRADI Enrico
CGVM caporal maggiore PARISE Francesco
CGVM caporale RASTELLI Guido
CGVM caporale SACCHI Enea
CGVM caporale SECCHI Renato
CGVM soldato ARICCI Arnaldo
CGVM soldato CECCARELLI Giuseppe
CGVM soldato CLERICO Luigi
CGVM soldato CROCE Vito
CGVM soldato FERRINI Rodolfo
CGVM soldato MONTANO Francesco
CGVM soldato MORANDINI Francesco
CGVM soldato PAGLIOLICO Francesco
CGVM soldato PIERANTOZZI Giovanni
CGVM soldato PROPATO Carmelo

mercoledì 26 maggio 2021

Rievocazione 2018 a Rossosch, parte 1

Pubblico la prima serie di fotografie scattate il 14.01.2018 a Rossosch e dintorni, e segnalatemi dal Signor Pasquale Granata, relative alla rievocazione storico-militare dedicata al "75° anniversario della liberazione di Rossosh dagli invasori nazisti" con la partecipazione del "FORZA ITALIA! Italian reenactors group in Russia". Una manifestazione che ha visto protagonisti russi ed italiani insieme, ieri nemici e oggi amici, nel ricordo di tutti i caduti.





















La guerra sul fronte orientale, parte 7

Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo settimo video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.

Il processo D'Onofrio, parte 8

Il processo D'Onofrio, ottava parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA DODICESIMA UDIENZA.

8 giugno 1949 - A questo punto si comincia ad avere la sensazione che le parti si vadano mettendo d’accordo per ridurre il numero dei testi. Del resto ormai poche sono le cose nuove che si sentono dire dai reduci che s’avvicendano sulla pedana e, certamente, l'escussione di tutti i 130 testi indotti da una parte e dall'altra non potrebbe portare elementi nuovi in giudizio.

Il primo teste della udienza è il colonnello dei bersaglieri Luigi Longo, omonimo del deputato comunista, già comandante del 3° reggimento. Fu destinato al campo di Susdal e lì conobbe il primo fuoruscito italiano, un certo Roncato, il quale si presentò ai prigionieri parlando in rumeno. Il col. Longo volle conoscerlo personalmente ma sulle prime la cosa fu difficile perché il Roncato finse di non comprendere la lingua italiana. Poi si decise a parlare nella nostra lingua e finì addirittura per esprimersi in dialetto veneto. Il colonnello fu contento di aver trovato un italiano e sperò che potesse venire qualche vantaggio ai prigionieri. Si rivolse infatti al Roncato per ottenere che il comando del campo, tenuto fino allora dai rumeni, fosse affidato ad ufficiali italiani ma si senti rispondere dal fuoruscito che non lo seccasse con le sue chiacchiere.

Non migliore risultato sortì un’altra proposta del colonnello al fuoruscito: quella di ottenere da lui che ai prigionieri italiani venissero restituiti gli indumenti che i soldati russi e quelli croati avevano loro tolto dopo la cattura. Roncato gli rispose che si pretendeva una cosa che 'non era democratica'.

Nel mese di febbraio scoppiò una violenta epidemia di tifo petecchiale e oltre il cinquanta per cento degli ufficiali italiani prigionieri morirono. Anche il Roncato s’ammalò e per un certo periodo di tempo non si vide più. Ma prima di andarsene fece una ispezione alle latrine del campo che, naturalmente, essendo la maggior parte degli internati ammalati, non potevano essere pulite. Andò a cercare il col. Longo e gli disse: 'Colonnello, questa... se non la fai sparire subito, te la faccio mangiare...'.

Il teste subì un solo interrogatorio dal maggiore russo Nowicoff cui assistette il Roncalo che fungeva da interprete. Una volta sola il fuoruscito intervenne per accusare l'esercito italiano di atrocità e di ribalderie di ogni sorta commesse nel territorio occupato. Il teste ha poi ricordato che nell’aprile del 1943 il Roncato riunì tutti gli ufficiali prigionieri e tenne loro un discorso politico al termine del quale domandò quale fosse il nostro parere sugli avvenimenti italiani. I maggiori Massa e Russo, i quali fecero presentile loro idee contrarie a quelle del Roncato, si trovano tuttora in Russia.

Presidente: 'Lei ebbe occasione di vedere altri emigrati italiani durante il periodo della sua prigionia?'.

Longo: 'Sì. Conobbi il fuoruscito Rizzoli il quale svolgeva fra i prigionieri una attiva propaganda filosovietica. Ricordo con precisione che un giorno il comandante russo del campo, il colonnello Krastin, radunò tutti noi ufficiali per dirci che gli emigrati, nella loro qualità di commissari politici, erano funzionari del governo sovietico e che come tali andavano rispettati'.

Fra i prigionieri — ha raccontato — c'era un certo cap. Salvagno, che fu preso particolarmente di mira dal Roncato e sottoposto ad interrogatori estenuanti. Da un ultimo interrogatorio subito il Salvagno uscì talmente disfatto che dette segni di alienazione mentale e tre giorni dopo morì. A questo punto l'avv. Paone ha voluto sapere dal teste se fosse vero che dopo il 25 luglio egli firmò un appello rivolto al popolo italiano perché ponesse fine alla guerra.

Longo: 'È vero'.

Avv. Taddei: 'Sì, ma sarebbe anche bene che si sapesse come il col. Longo fosse indotto a firmarlo dopo quattro giorni di insistenti interrogatori'.

Viene chiamato successivamente a deporre il prof. Germano Mancini che durante la campagna in Russia fu ufficiale medico. Egli ha precisato quali fossero le condizioni sanitarie dei campi di concentramento e ricordato come avvenne la sua cattura. Il Mancini cadde in mano russa mentre si trovava in servizio presso l'ospedale italiano di Kantemirovka nel quale erano ricoverati 386 malati. A tutti fu imposto dai sovietici di firmare un documento in cui si attestava che il trattamento ricevuto dalle autorità russe era stato ottimo. Dovettero firmare anche alcuni moribondi in stato comatoso.

Mancini: 'In vero soltanto di una cosa dovevamo ringraziare i russi: di non essere stati fucilati. Infatti quando l'ospedale fu occupato, quattro dei nostri, fra i quali il cappellano, furono immediatamente fucilati. Quanto alla distinzione fisica che si dice i russi facessero fra i prigionieri per la distribuzione di differenti razioni di viveri, la cosa è vera, ma l'assegnazione alle diverse categorie veniva fatta soltanto in rapporto alla apparenza dei muscoli di ciascuno senza altro esame delle condizioni generali del prigioniero'.

Ai chiarimenti del prof. Mancini, interessanti anche dal punto di vista sanitario, è seguita la deposizione del capitano di fanteria Ferdinando De Ninni che ha spiegato quale fosse l'attività della scuola di antifascismo aggiungendo, a quanto era stato già detto dagli altri testi, che coloro che la frequentavano avevano diritto ad un supplemento di rancio. Personalmente la ritenne sempre una cosa molto poco seria.

Il teste conobbe D'Onofrio nel campo di Skit e da lui fu sottoposto a numerosi interrogatori durante i quali, essendosi rifiutato di 'allinearsi ai nuovi tempi' si ebbe minacce e intimidazioni. Anticipando poi le dichiarazioni che dopo di lui farà lo stesso interessato, il cap. De Ninni ha riferito alcune battute che ebbe occasione di ascoltare, del colloquio svoltosi fra il D'Onofrio e il ten. Sandali. Egli ricorda che l'attuale querelante chiese al Sandali: 'Perché lei non si è iscritto al gruppo antifascista?'. Al che questi rispose: 'Io ho un regolamento da rispettare' avendosi come immediata replica dal D'Onofrio: 'Se lei non la finisce di fare il testardo, se ne pentirà'.

E finalmente, nell’aula, si è sentito parlare del famoso campo di Elabuga da uno che c'era stato: il ten. Rodolfo Sandali il quale fu compreso, come si ricorderà, nella lista nera di quelli che si opposero apertamente all’ordine del giorno proposto dal D'Onofrio dopo il 25 luglio 1943.

Sandali: 'Fui interrogato per la prima volta dal D'Onofrio, appena giunto nel campo convalescenziario di Skit. Nel periodo in cui subii gli interrogatori pesavo meno di 38 chili e anche le mie condizioni morali erano precarie perché da moltissimo tempo non avevo notizie della mia famiglia. Fummo chiamati nell’ufficio del commissario politico ed io fui interrogato per primo. Mi chiese per quale ragione non mi fossi ancora iscritto al gruppo antifascista e quale fosse la mia opinione intorno alla situazione creatasi in Italia dopo la caduta del fascismo. Risposi che la mia qualità di ufficiale mi impediva di pronunciarmi e che comunque avevo intenzione di rimanere fedele al nuovo governo che in Italia si era costituito. Pregai poi D'Onofrio di desistere dall'interrogarmi perché ero letteralmente estenuato. Fu questo a far andare su tutte le furie il commissario politico.

Con tono irato, D'Onofrio mi chiese se amavo la mia famiglia e se avessi il desiderio di rivederla e finì con voce minacciosa: 'Se lei vuol tornare in Italia a rivedere i suoi, deve cambiare le sue idee. Altrimenti se ne pentirà'. Fui terrorizzato dalla minaccia e ciò peggiorò ancora il mio stato di salute. Per tutto il periodo della prigionia quella minaccia mi perseguitò e non ebbi più pace. Il cap. Magnani, il capomanipolo Ferretti, il ten. Santoro, il ten. Ioli erano con me, quel giorno, e le stesse minacce furono fatte a tutti loro. Due giorni dopo l'interrogatorio fummo trasferiti in dieci al campo di Elabuga. Appena arrivammo ci isolarono da tutti gli altri prigionieri'.

Sandali: 'In quel campo vi erano due zone: in una di esse erano raccolti tutti i prigionieri che avevano manifestato tendenze filosovietiche, nell’altra coloro che venivano considerati reazionari. A noi fu vietato nel modo più assoluto di parlare con gli altri prigionieri italiani che si trovavano nell'una e nell'altra zona del campo'.

Presidente: 'Lei è mai stato interrogato in questo campo?'.

Sandali: 'Sì. Fui sottoposto ad interrogatori di carattere politico, ma da un ufficiale russo e da un fuoruscito tedesco. Mi fu chiesta la mia opinione politica e siccome io risposi che non potevo pronunciarmi essendo un militare, l'ufficiale che m'interrogava replicò: 'Questo lei lo ha già detto. Ora sia più preciso nelle sue risposte'. Erano le risposte che avevo dato al D'Onofrio. L'Italia aveva già dichiarato guerra alla Germania e in relazione a questo fatto mi fu chiesto se ero disposto a combattere contro i tedeschi. Risposi di sì e che non avevo mai avuto alcuna simpatia per Hitler. L’ufficiale sovietico mi propose allora di riferirgli i discorsi che i miei colleghi tenevano nella baracca che occupavamo. 'Ciò, aggiunse, migliorerebbe sensibilmente la sua posizione'. Naturalmente io opposi un netto rifiuto a questa proposta'.

Avv. Taddei: 'Il prigioniero aveva una sua cartella personale?'.

Sandali: 'Sì. Anzi io ebbi occasione di vedere la mia. C'erano la fotografia e le mie impronte digitali. Seppi che questa cartella accompagnava il prigioniero nelle sue peregrinazioni attraverso i vari campi'.

Avv. Taddei: 'Logico, eravate dei criminali di guerra...'.

LA TREDICESIMA UDIENZA.

10 giugno 1949. - La richiesta del Tribunale al Ministero della Difesa è stata soddisfatta e oggi si sono saputi, finalmente, i nomi degli ufficiali italiani accusati dalla Russia di crimini di guerra. Dei dodici indicati, dieci sono stati identificati e precisamente: i gen. Roberto Lerici e Paolo Torriassi, il ten. col. Raffaello Marconi, il ten. col. medico Bernardo Giannetti, il magg. Giovanni Biasotti, i cap. C.C. Dante Jovino e Mariano Piazza, il cap. Luigi Groppelli, il ten. Renato Barile, il ten. col. Romolo Romagnoli. Di questi dieci ufficiali tre sono deceduti e precisamente: il gen. Torriassi, i ten. col. Marconi e Romagnoli. Uno soltanto è trattenuto ancora in Russia: il cap. Dante Jovino. I due ufficiali non identificati sono un certo Plass, comandante la regione di Pisarevo e Franzi Piliz, comandante la guarnigione di Kantemirowka.

E questo è stato uno dei due argomenti più importanti della udienza. L’altro è costituito da un caratteristico ordine del giorno del maresciallo Stalin, il quale, evidentemente impressionato dalla alta percentuale di mortalità registrata nei campi di concentramento, avrebbe stabilito: proibito morire! Per il resto poche novità nelle deposizioni dei testi escussi nel corso dell’udienza; com’era prevedibile.

Il prof. Aldo Sandulli, ordinario di diritto amministrativo nell'Università di Trieste, il quale ha fatto la rivelazione sull'ordine di Stalin, ha confermato che nel campo di Krinovaia, dove fu internato subito dopo la cattura, la percentuale della mortalità fu spaventosa: di 400 ufficiali solo 270 sopravvissero. Il teste ha confermato ancora i casi di cannibalismo, citati da quanti lo hanno preceduto sulla pedana, aggiungendo che durante le marce di trasferimento ai prigionieri non veniva somministrato cibo di nessun genere e che nel campo di Krinovaia sola razione distribuita era una zuppa al giorno consistente in acqua calda e ossa.

P.M.: 'Quali erano le condizioni fisiche dei soldati al momento della cattura?'.

Sandulli: 'Non buone, ma ancora efficienti. Trasferito ad Oranki venni ricoverato al lazzaretto, dove unico mezzo di cura era un termometro per tutti gli ammalati, per misurare la febbre. Ai primi di maggio 1943 arrivò un generale sovietico il quale, con grande solennità annunciò a tutti i prigionieri che per 'ordine' (il teste riferisce con precisione la corrispondente parola in russo) delle autorità superiori 'nessun prigioniero doveva più morire'.

Avv. Taddei: '... E coloro che fossero morti sarebbero stati dei sabotatori...'.

Sandulli: 'Proprio così, purtroppo. Malgrado l'ordine però i prigionieri continuarono naturalmente a morire. Sopraggiunsero rifornimenti americani e le condizioni dei prigionieri andarono leggermente migliorando con una più abbondante distribuzione di viveri, ma, come ho detto, questo non eliminò la mortalità. Io fui uno dei pochi che ebbi la fortuna di salvarmi e fui così spedito al convalescenziario di Skit dove mi accorsi che per essere un luogo di cura, il trattamento non era affatto migliore, se non addirittura peggiore di quello usatoci negli altri campi. Fra l’altro eravamo letteralmente mangiati dagli insetti, tanto che il poter essere inviati al lavoro era considerato come una liberazione.

D'Onofrio arrivò poco prima del 25 luglio 1943. Radunò tutti i prigionieri italiani e si presentò con queste precise parole: 'Signori ufficiali italiani, permettetemi di fare la vostra conoscenza. Sono Edoardo D'Onofrio, di professione cospiratore', e, dopo questo esordio, illustrò ampiamente la situazione italiana. Tornò dopo un paio di mesi per far sottoscrivere il noto messaggio al popolo italiano. Vi furono notevoli pressioni di carattere morale perché il messaggio venisse firmato.

Fui in seguito trasferito al campo 27/2 e qui interrogato da ufficiali sovietici che mi trattarono con una delicatezza che era del tutto sconosciuta ai fuorusciti italiani. Fu in questo campo che vidi il sottotenente Melchionda (il quale depose alcuni giorni or sono come teste a favore del querelante e a carico degli imputati) e sembra svolgesse attività delatoria nei confronti dei colleghi. Infatti il cappellano Don Bertoldi trovò nello zaino di lui un taccuino per appunti nel quale erano scritte frasi come queste: 'Il tenente Tizio non ha applaudito alla conferenza su Garibaldi'; 'il sotto-tenente Caio ha dichiarato che l'Italia non può fare a meno delle sue colonie'.

Dal fuoruscito Rizzoli che mi interrogava nel campo di Susdal, ebbi questo avvertimento che mi lasciò molto turbato: 'Il ritorno in Italia bisogna meritarselo! Si ricordi che i nemici del popolo pagheranno il loro fio!'.

Avv. Taddei: 'È vero che, come ha asserito il D'Onofrio, alcuni ufficiali ostentavano nei campi camicie nere e fez fascisti?'.

Sandulli: 'Ciò era impossibile perché la camicia nera non la indossava neppure la milizia, quando era in linea e quindi non poteva essere ostentata nei campi. È vero piuttosto che i russi avevano distribuito ai prigionieri le giacche nere tolte alle SS tedesche'.

Desiderio Ebene, tenente degli alpini, passò il periodo della prigionia nei campi di Tamboff, Oranki e Skit dove conobbe il D'Onofrio il quale tenne due conferenze. Al termine di esse propose il famoso messaggio cui, come è noto, si oppose, a nome di tutti, il cap. Magnani. Per l'ostilità dimostrata nei confronti del D'Onofrio, ha confermato il teste, il capitano venne trasferito al campo di punizione di Elabuga dove gli venne prospettata la possibilità di migliorare notevolmente la propria posizione. L'ufficiale sovietico che lo interrogava, gli sottopose, infatti, una dichiarazione con la quale si impegnava di fornire ai russi informazioni dettagliate sul comportamento dei compagni di prigionia. Il cap. Magnani oppose alla proposta un categorico rifiuto aggiungendo che quello non era un mestiere per lui e che avrebbe piuttosto preferito essere fucilato immediatamente. L’ufficiale russo non insistette.

Ultima deposizione della giornata, quella del tenente degli alpini Carlo Girometta il quale conferma tutti i punti esposti dai testi che lo hanno preceduto, per quanto riguarda gli interrogatori subiti e le condizioni di vita nei vari campi. Ma anche lui ha voluto portare qualche cosa di nuovo da aggiungere al materiale di giudizio. S'è diffuso, perciò, a parlare della situazione viveri nel campo di Oranki, nella sua qualità di addetto a quella cucina nello stesso periodo in cui il Fiammenghi se ne interessava direttamente. Ed ecco in sostanza la situazione: una zuppa di venti grammi di miglio, pane nero, venti grammi di zucchero e venticinque di burro, al mattino; una zuppa dì miglio, orzo, avena e pane nero alla sera.

Girometta: 'Il pane era tale però che, sono certo, nessuno di quanti si trovano oggi in quest'aula ne avrebbe mangiato neppure un boccone'.

Il Girometta ha poi detto qualche cosa anche della scuola di antifascismo che si trovò a frequentare di autorità. Materie di insegnamento: Storia del leninismo, Storia della Russia, Principi di marxismo e Storia d'Italia.

Avv. Taddei: 'Si è voluto far credere qui, che la scuola fosse una specie di seminario, che accoglieva anche i cattolici. Cosa risulta a lei?'.

Girometta: 'Veramente non tutti i frequentatori della scuola erano marxisti, ma è anche vero che manifestare idee non conformiste era tutt'altro che facile e poteva essere anzi pericoloso. L'indirizzo della scuola era perfettamente comunista. Non era proprio facile, né tanto meno conveniente, esprimere idee diverse. Un emigrato italiano vestito con la divisa russa, al quale ebbi a chiedere aiuto durante la permanenza a Krinovaia mi rispose con tono di sufficienza: 'Ma cosa volete!... È già tanto che non vi abbiamo fucilato!...'.

venerdì 21 maggio 2021

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



Commissione speciale dell'ONU, parte 10

Pubblico la decima e ultima parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

CAPITOLO IV.

A questa complessa attività degli organi nazionali ed internazionali nella trattazione del problema dei prigionieri e dispersi italiani hanno partecipato direttamente alla ricerca degli elementi necessari a sostenere e a dimostrare i termini della questione, vari uffici governativi. Progressivamente nella successione dei tempi i principali sono stati: Croce Rossa Italiana - Alto Commissariato per i prigionieri di guerra - Ufficio Prigionieri di guerra del Ministero Assistenza Post Bellica - Ufficio Autonomo Prigionieri e Reduci del Ministero della Difesa - Ufficio Prigionieri del Ministero Difesa Esercito - Ufficio Ricerche Dispersi e Stato Civile del Ministero Difesa Esercito, che nel 1948 raccolse tutta la documentazione dei precedenti uffici disciolti ed iniziò l'imponente lavoro, con circa 300 impiegati, di selezione del materiale, abbinamento dei fascicoli individuali, impianto dello schedario generale, sistemazione degli archivi, classificazione e un primo rilevamento statistico dei morti, feriti, dispersi e prigionieri. Detto Ufficio forni quindi la prima documentazione sui prigionieri e dispersi alla Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra.

Nel 1955 fu istituito l'Ufficio della Delegazione Italiana presso la predetta Commissione che senza soluzione di continuità nell'opera del predetto ufficio, si dedicò esclusivamente alla ricerca di notizie sui prigionieri e dispersi italiani, ad ampliare ed arricchire la documentazione per la Commissione dell'ONU e per le autorità sovietiche e a promuovere iniziative per la ricerca di ogni mezzo di collaborazione con gli enti nazionali ed internazionali, per reperire sempre più fonti di informazioni sul conto degli italiani in URSS. A dirigere detto ufficio fu chiamato lo stesso funzionario che aveva diretto l'Ufficio del M.D.E. In sintesi si accenna all'attività svolta e che svolge detto Ufficio della Delegazione Italiana presso la Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra, distaccato presso il Ministero Difesa Esercito, che ha messo a disposizione, per il suo funzionamento, locali e personale, e che è alle dirette dipendenze del Ministero degli Affari Esteri.

Il suo primo compito è quello di conoscere una e senza dubbio la più interessante delle incognite del problema; stabilire cioè attraverso un lungo e paziente lavoro, silenzioso e sconosciuto - di ricerche e di indagini - i nomi dei militari italiani catturati prigionieri dalle truppe russe e che vissero per qualche tempo nei campi di concentramento. Non sempre l'impresa è facile, perché spesse volte ha origine da vaghe informazioni raccolte da congiunti di dispersi, da reduci italiani e stranieri, da fonti informative nazionali ed estere, e solo dopo uno scrupoloso e minuzioso lavoro di successive e lunghe indagini, si giunge, quando l'informazione non è frutto di fantasia, a raccogliere la prova inconfutabile dell'esistenza, ad una determinata epoca, di alcuni militari italiani che hanno vissuto in campi di prigionia dell'URSS o Stati satelliti che di essi, non più tornati in patria, non si conosce la sorte. Per questi militari sicuramente caduti prigionieri per prova testimoniale resa in forma di legge da chi li ha visti e conosciuti, quando non esista addirittura lo scritto del prigioniero ai famigliari, vengono allestiti dei volumi e per ogni pagina riprodotti: l'immagine del prigioniero, i dati anagrafici e militari dello stesso, e una breve cronistoria sulla sua cattura e vita in prigionia, oppure la fotocopia della cartolina per prigionieri di guerra della Croce Rossa Sovietica e Mezza Luna Rossa dell'URSS che ebbe ad inviare dai campi di concentramento alla propria famiglia.

Questi casi documentati di prigionieri danno la possibilità di chiedere conto del loro mancato ritorno alle autorità sovietiche, alle quali vengono rimessi detti volumi, tramite l'Ambasciata dell'URSS in Italia. Sempre per raccogliere un maggior numero, che purtroppo è molto lontano dal totale dei dispersi, di nominativi di militari italiani prigionieri non rimpatriati, si è proceduto in questi ultimi tempi alla selezione di alcune decine di migliaia di messaggi di Radio Mosca captati dalla Radio Vaticana dal 1943 alla fine del 1945 e con senso di nobile solidarietà passati dalla S. Sede al nostro Delegato. Cosi come si è provveduto a selezionare alcune migliaia di nominativi di nostri prigionieri riportati sul giornaletto "Alba" distribuito nei campi di concentramento dell'URSS dal 1943 ai primi mesi dell'anno 1946. L'uno e l'altro lavoro hanno dato risultati positivi, ma non nella quantità che si sperava; anche per questi casi verranno avanzate richieste di notizie alle competenti autorità sovietiche.

Ai margini di questo ponderoso lavoro si provvede a rispondere alle decine di migliaia di lettere dei familiari di dispersi, a mantenere continuo contatto epistolare con gli uffici nazionali ed internazionali che collaborano alle ricerche, particolarmente col Servizio Italiano del Comitato Internazionale della Croce Rossa di Ginevra e con l'Ufficio Ricerche della Croce Rossa germanica di Monaco di Baviera. Ancora nel decorso anno si è provveduto ad un nuovo censimento di dispersi attraverso elenchi inviati all'Ufficio del Delegato Italiano da tutti i Comuni d'Italia, tramite le Prefetture. Si è trattato di un lavoro imponente attraverso il quale si sono potute chiarire incertezze e correggere errori. Per quanto gli elementi preposti a tale compito siano ritenuti degli esperti, per aver trattato già in precedenza la materia, non si può disconoscere la mole del lavoro che è stato necessario compiere e che continua ad essere svolta, perché nulla venga trascurato al fine di reperire il maggior numero possibile di nomi di nostri prigionieri nell'URSS che nessuno ha saputo o voluto mai dirci.

Naturalmente non si riuscirà mai ad elencarli tutti o in gran parte, possibilità questa che può avere solo l'autorità sovietica. Di essi si è giunti finora a reperirne oltre un migliaio e mezzo, dei quali per un terzo si è avuta dolorosamente notizia del decesso in prigionia per malattia e per i rimanenti riserva di informazioni appena ultimate le indagini da parte delle autorità sovietiche. Collateralmente all'azione della Commissione dell'O.N.U che peraltro non riusciva a far luce sull'oscura questione, si decise di attuare una propria diretta, nell'intento di pervenire in parte alla conoscenza dei dati e della situazione dei prigionieri e dispersi. Si presero diretti contatti con l'Ufficio Ricerche della Croce Rossa Germanica e si addivenne ad un reciproco accordo di collaborazione per lo scambio di notizie raccolte dai reduci italiani e tedeschi rimpatriati dall'URSS.

Lo stesso accordo fu in seguito convenuto con la Croce Rosse Austriaca, mentre per gli altri paesi, aventi pure prigionieri in Russia, fu dato incarico alle nostre autorità consolari di raccogliere le notizie relative a nostri connazionali visti nell'URSS o nei paesi oltre cortina. Verso la fine del 1955, in occasione del rimpatrio dall'URSS di circa diecimila prigionieri germanici, su proposta del Delegato Italiano fu inviata in Germania una Commissione, alla quale presero parte due genitori di dispersi ed esponenti delle Associazioni delle famiglie dei dispersi, per l'interrogatorio dei reduci. La commissione si trattenne per circa due mesi nel campo di raccolta di Friedland, ove affluivano i reduci e ne avvicinò migliaia chiedendo ansiosamente notizie degli italiani. Nello stesso periodo un'altra commissione si recava in Austria per ricercare notizie dai reduci austriaci. L'una e l'altra missione, se pure non hanno dato specifici e tangibili risultati hanno fornito elementi positivi sulla presenza in URSS di prigionieri italiani dei quali purtroppo i reduci non ricordavano che qualche nominativo di militare e civile, dei quali chiese e ottenne poi la restituzione.

La Direzione del Settimanale "Settimo Giorno", sempre su richiesta del Delegato Italiano offri una squisita, ammirevole e disinteressata collaborazione nella ricerca di notizie. Settimanalmente una pagina del suo giornale riportava fotografie di nostri militari dispersi e per ognuno un appello bilingue ai reduci italiani e tedeschi esortandoli a fornire eventuali notizie conosciute o apprese da altri sul conto di essi. Un certo numero di copie di detto giornale, per accordi intercorsi fra l'Ufficio del Delegato Italiano e gli Uffici Ricerche della Croce Rossa Germanica e Austriaca, vennero date in visione ai reduci dei due paesi. Anche questo tentativo dette qualche risultato, ma limitatamente a casi sporadici. Si dette inoltre incarico al Servizio Italiano della Croce Rossa Internazionale, al quale furono forniti gli elenchi nominativi dei militari italiani prigionieri e dispersi, di fare per proprio conto delle indagini attraverso i Comitati della Croce Rossa dell'URSS e d'oltre Cortina al fine di concorrere nell'azione di ricerche.

Ed infine, come si è detto in altra parte, il Delegato Italiano nel febbraio 1956, prese diretti contatti con l'Ambasciatore della URSS a Roma nel tentativo di avere il massimo contributo nella chiarificazione del problema. Nei vari incontri fra i rappresentanti dei due paesi, la questione dei prigionieri italiani fu ampiamente trattata, illustrata e documentata e non si può non riconoscere che essa sia stata presa in buona considerazione dal diplomatico sovietico il quale, pur facendo note le difficoltà che si sarebbero presentate alle competenti autorità sovietiche nel reperire gli elementi necessari a chiarirla, dava ampia assicurazione del suo interessamento e della sua collaborazione che avrebbero, nel quadro più ampio delle altre relazioni, anche in questo delicato problema, dimostrato l'intenzione di ristabilire sempre migliori rapporti fra i due popoli.

I primi risultati sono stati ottenuti, anche se per la maggior parte dolorosi. Si è verificato poi un rallentamento delle notizie che nei futuri prossimi incontri non si mancherà di sollecitare. Uguali contatti e allo stesso scopo, in scala più ridotta, il Delegato Italiano ha stabilito con l'Ambasciatore di Polonia in Italia. Anche da questo paese si è ottenuta la restituzione di qualche nostro prigioniero e l'assicurazione di indagare sull'effettiva esistenza di altri. L'azione sarà continuata ed estesa anche con i rappresentanti diplomatici di altri paesi nei quali si ha notizia di presenza di italiani ex prigionieri, trattenuti o rimasti volontariamente e tuttora considerati dispersi. L'Ufficio continua il suo lavoro confortato dall'appoggio morale e materiale che, Governo, Parlamento e Paese, Associazioni ed Enti, famiglie di dispersi e reduci, gli accordano per una causa cosi altamente sociale ed umana.

CONCLUSIONE.

Dalla breve sintesi dei fatti fin qui esposti si debbono necessariamente trarre delle considerazioni che non possono e non debbono essere ignorate, allo scopo di chiarire all'opinione pubblica l'angoscioso problema dei prigionieri e dispersi italiani, le insormontabili incontrate nel trattarlo e risolverlo nel modo più soddisfacente, nonostante continuo ed appassionato interessamento degli organi competenti del Governo, delle maggiori personalità politiche e diplomatiche italiane, e dagli sforzi compiuti dalla massima Organizzazione Internazionale, che, sua nobile, umanitaria e sociale azione non ha potuto dissipare in tutte le famiglie dei prigionieri e dispersi l'atroce dubbio sulla sorte dei loro cari.

Che in Russia non vi siano più prigionieri italiani, considerati tali nel vero termine della parola, può essere esatto, però non si può tassativamente escludere che non vi siano più italiani, già prigionieri di guerra. Sarà bene ricordare a tal proposito come : 1 - Nel 1946 il Governo dell'URSS DICHIARO' che il rimpatrio dei prigionieri di guerra italiani era ultimato. 2 - Successivamente segnalò di trattenere un numero non precisato di italiani detenuti per presunti crimini di guerra. 3 - Dal 1947 al 1951 rimpatriarono 26 prigionieri italiani, per alcuni dei quali non si aveva nessuna notizia di esistenza in vita. 4 - Il Governo sovietico trasmise un elenco di 34 prigionieri italiani trattenuti in attesa del procedimento giudiziario a loro carico per presunte atrocità commesse ai danni della popolazione civile russa durante la guerra. 5 - Nel 1954 il predetto gruppo di presunti criminali di guerra veniva rimpatriato e PER LA SECONDA VOLTA dichiarava di non detenere più alcun prigioniero italiano. 6 - Dal 1954 al 1957 rimpatriarono ancora 4 prigionieri, considerati dispersi e per i quali le famiglie beneficiavano già della pensione di guerra e 4 civili italiani.

Non si può pertanto placare l'ansia e far tacere il dolore di migliaia di famiglie con l'affermazione generica, già dimostrata inesatta, di non detenere più alcun italiano, oppure dire che se si pensa che ancora ne esistono in territorio sovietico le Autorità locali si adopereranno per rintracciarli e rimpatriarli, purché si indichino loro i nomi dei prigionieri e le località ove si trovano. Chi siano, ove si trovino e che fine abbiano fatto i prigionieri non rimpatriati lo possono sapere solo le autorità sovietiche. E' pertanto a loro che si è chiesto e si rinnova continuamente la domanda di una collaborazione fattiva. Il governo italiano ha formulato anche recentemente precise richieste invitando le autorità sovietiche a diffondere nel territorio appelli radiofonici sollecitanti gli eventuali italiani già prigionieri di guerra e ancora residenti in Russia a prendere contatto colle rappresentanze diplomatiche italiane. Ancora è stata chiesta l'autorizzazione all'invio in Russia di una Commissione Italiana composta di competenti alfine di svolgere, di intesa colle autorità sovietiche, ricerche laddove si ritiene possano esservi elementi atti a chiarire la sorte di taluni prigionieri. Tale Commissione dovrebbe anche visitare i cimiteri di guerra dove sono sepolti i caduti italiani cercando, nei limiti del possibile, di fare un censimento delle tombe, disponendo anche per la riesumazione, sempre nei limiti del possibile, dei resti delle salme da collocare in ossari che verrebbero costruiti a spese del Governo italiano.

Come si vede si tratta di realizzare un programma improntato unicamente ad un senso di profonda umanità e di rispetto per l'ancor insanabile dolore dei congiunti dei prigionieri non più ritornati. Definito in tali limiti, dai quali d'altra parte mai si scostato anche nel passato, il problema dei militari italiani dispersi sul fronte di guerra russo assume un carattere tale per cui il non considerarlo e il non cercare di risolverlo non può che essere definito come azione antidemocratica, antiumana e antisociale. Coloro che chiedono senza tregua che si chiarisca questo angoscioso dramma sono nella grande maggioranza cittadini italiani di umili condizioni, operai, contadini che vivono nel culto della memoria del loro congiunto e che non sono disposti a rinunciare alle estreme speranze fintanto che le autorità competenti non abbiano dimostrato di aver esaurito ogni possibilità di indagine assumendosi conseguentemente la responsabilità di dichiarare che il disperso è da considerarsi ormai deceduto. La Delegazione italiano della Commissione speciale per i prigionieri di guerra ha svolto e continuerà a svolgere la sua opera nell'ambito delle sue possibilità, mossa unicamente da tali motivi e considerazione di questa penosa e drammatica realtà.