martedì 28 marzo 2023

Le fotografie di Mario Bagnasco, 33

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"Disgelo".

Intervista a Cattaneo Alberto

Intervista all'Alpino Cattaneo Alberto, classe 1917.

A seguito della serata organizzata al Teatro Sterna di Quarona, il Presidente Gianni Mora, il gentilissimo Valter Stragiotti e tutto il Consiglio Sezionale, in occasione del 100° anniversario della Sezione Valsesiana hanno aderito alla mia richiesta di diffondere il contenuto del dvd "Ciau Pais", 34 storie di Alpini che sono tornati; obiettivo come sempre quello di fare tesoro e memoria dei nostri soldati e raccontare alle nuove generazioni la loro storia ed il loro sacrificio. Dal bel dvd prodotto dalla Sezione Valsesiana sono state estratte le singole interviste. Un grosso grazie a tutta la sezione per il permesso accordatomi.

Il viaggio del 2013, da Podgornoje a Postojalyi

Trekking 2013 lungo il percorso della ritirata del Corpo d'Armata Alpino in Russia nel gennaio 1943, dal Don a Nikolajewka; da Podgornoje a Postojalyi... isbe nei pressi di Postojalyi.

giovedì 23 marzo 2023

Ancora una volta sul nuovo progetto

Ho scelto questa bellissima immagine di Sofia Loren presa dall'altrettanto bel film "I girasoli" per tornare ancora una volta a promuovere e portare a conoscenza di tutti del nuovo progetto al quale stiamo lavorando con lo stesso gruppo di persone che mi hanno aiutato a realizzare il cortometraggio dedicato ai caduti e ai dispersi della Campagna di Russia nell'80° anniversario delle ritirate verificatesi da dicembre 1942 a gennaio 1943.

Questa volta vogliamo raccontare una storia parallela a quella dei nostri soldati impegnati sul fronte orientale, una storia che forse in maniera così organica non è mai stata trattata... quella di chi aspettava a casa quei nostri ragazzi, quella di chi non li ha più visti tornare, quella di chi li ha aspettati per anni.

L'invito a collaborare è dunque rivolto esclusivamente ai parenti dei caduti e dispersi della Campagna di Russia che vogliano raccontare la storia della loro famiglia, che vogliano testimoniare, attraverso racconti, fotografie e documenti, la sofferenza di quei genitori, fratelli o figli che non hanno più visto ritornare a casa il loro figlio, il loro fratello o il loro padre.

Cosa chiediamo? La disponibilità a partecipare ad un'intervista di circa 10 minuti (verremo noi a realizzarla previo appuntamento), la disponibilità a raccontare la vostra storia, a mostrarci fotografie, documenti o lettere eventuali. Questa breve intervista dovrà essere "sentita" nel senso che vorremmo raccogliere testimonianze toccanti, importanti, che una volta montate insieme consentano di realizzare un video che "lasci il segno" e che porti attenzione su queste vicende. Altro requisito fondamentale è risiedere nel Nord Italia, semplicemente per una nostra questione logistica.

E' per noi un atto dovuto a chi ha sofferto per anni di una perdita incolmabile; scrivetemi all'indirizzo email 𝒅𝒂𝒏𝒊𝒍𝒐.𝒅𝒐𝒍𝒄𝒊𝒏𝒊@𝒈𝒎𝒂𝒊𝒍.𝒄𝒐𝒎 e vi spiegherò in tutti i dettagli questo nuovo progetto che vi potrebbe vedere coinvolti in prima persona. Grazie!

Serata a Novedrate

Una nuova serata per parlare della Campagna di Russia; per chi avrà piacere sarò presente a Novedrate (CO) il giorno 31 marzo 2023 alle ore 21.00 presso il Salone Polivalente del Municipio, in via Taverna 3 accompagnato dal Coro A.N.A. "Sandro Marelli" di Fino Mornasco.

Una colonna di bersaglieri...

COME UNA COLONNA DI BERSAGLIERI SBARRO’ AI RUSSI LA VIA DEL NIPRO (Dniepr).

di Cesco Tomaselli dal "Corriere della Sera" dell'11 maggio 1943.

La Divisione Celere, veterana del C.S.I.R con la Pasubio e la Torino, non era nuova ai traslochi improvvisi, alle partenze lampo. Non per niente si chiamava Celere. Aveva dei bellissimi reggimenti, il Terzo e il Sesto bersaglieri, Il 120° artiglieria e, ancora, un battaglione di motociclisti, uno di cacciatori dl carri, e la Legione croata. Ma mettersi in marcia aveva questa volta diverso significato. Fra il 17 e il 20 dicembre avvenimenti importanti si erano verificati sul medio Don, e la Divisione, che si trovava quasi all’estremità orientale dello schieramento della VIII Armata, era seriamente esposta sul fianco sinistro, tanto che dovette in fretta e furia costituire da quella parte un caposaldo difensivo. Non era disponibili al momento che due battaglioni del Sesto bersaglieri , uno dei quali anzi fu dovuto richiamare indietro mentre viaggiava in autocarro verso altra direzione. Il gruppo che ne risultò prese provvisoriamente il nome del colonnello cui era stato affidato. Le vicende della battaglia sono spesso generatrici di formazioni nuove, autonome, che talora si sciolgono dopo qualche giorno, o qualche ora, talaltra durano e si fanno una storia. Sul Ticiaja, un affluente del. Don, nacque in quei giorni la colonna Carloni, che farà gloriosamente parlare di sé per alcuni mesi. Nella famiglia dei fanti piumati si sanno molte cose sul conto di questo colonnello, che inganna con una apparenza placida, con un che di mesto e bonario nello sguardo. Lo chiamano il “vendicatore” ed è commovente la ragione di quell’epiteto.

Carloni aveva un figlio sottotenente nel 6°, che nell’estate del 41 tenne fede alla tradizione paterna con si generoso impegno che, ferito una volta e poi una seconda, sanguinando tornò all’assalto finché la morte lo stese ancora furente di lotta come l’eroe che i popoli primitivi onorano dandogli il nome di una fiera. Allora il padre chiese di essere mandato in Russia. Ecco, e venuta l’ora di vendicare il figlio nella carne dallo stesso nemico. Carloni porta al combattimento i suoi bersaglieri con una foga che ha del mistico. E’ in piedi giorno e notte, non si sa quando dorma, neanche la testa abbassa quando rugge un colpo in arrivo, e soldati, che sul campo di battaglia diventano ragazzi, vanno allo sbaraglio con le mascelle serrate. Sono i miracoli dell’esempio. Il 24 dicembre, alle undici di notte, Carloni espugnerà un villaggio lanciandosi di corsa alla testa di un battaglione. Tale è il fascino del gesto che un reparto di tedeschi si unisce ai bersaglieri, e il grido ch’esce dalle loro gole è lo stesso che trascina i nostri: Savoia!

Infine anche la Celere si svincola dalla morsa, e le superstiti forze si radunano e si radunano dietro il solco del Donez. Ultima ad arrivare all’appuntamento perché è sempre stata di retroguardia, la colonna Cartoni non viene sciolta, ma si ritiene anzi che convenga rinforzarla. Al momento del nuovo impiego essa risulta costituita da un battaglione del Sesto col Comando di reggimento, da un altro battaglione misto di carristi e di motociclisti pure del Sesto, da due battaglioni appiedati del 120° artiglieria e dal secondo Gruppo e del 17° artiglieria da campagna, il bellissimo reggimento della Sforzesca che ha il primato dei pezzi portati in salvo. I nuovi compiti della colonna consistono nella protezione delle nostre unità in trasferimento verso occidente.

Siamo già a febbraio 43. In una vasta area compresa fra il Donez e il Nipro si sviluppa il movimento dell’VIII armata che ha necessità di concentrasi e di riordinarsi. E’ uno spostamento considerevole di uomini, di automezzi, di materiali (basti dire che c’è tutta l’intendenza coi suoi cospicui magazzini, con le officine automobilistiche, con gli impianti sanitari, con l’organizzazione delle tappe), e questo spostamento è effettuato da scaglioni procedenti a diversa andatura, con soste che spesso si prolungano oltre il previsto per le condizioni delle strade e delle piste, il ritardato arrivo del carburante, la convenienza a modificare all’ultimo momento l’itinerario. Già lo scacchiere è immenso. Per dare un’idea, fra gli alpini che sono in marcia nella regione a nord dl Poltava e la Divisione Ravenna, che è l’estrema unità di ala destra, corrono non meno di 500 chilometri. Nello stesso verso, cioè da est a ovest, camminano le colonne dell’Armata romena e dell’Armata ungherese, anch’esse avviate in zona di riordinamento; in senso opposto, usufruendo delle medesime vie di comunicazione, avanzano le Divisioni germaniche che vanno a sostituire le Unite alleate e ad arginare l’avanzata sovietica.

No, per quanto si dica e si scriva, non è possibile rappresentare con evidenza questo colossale movimento e le difficoltà di ogni genere che incontrava. La neve ricopriva ancora il suolo, ma non era più quella di gennaio, spessa ed asciutta, era una neve fradicia, su cui le gomme degli automezzi non avevano più presa. Anche lo stato dell’atmosfera variava continuamente. Nei grossi centri, per effetto di queste alternative nel deflusso del reparti in marcia, si verificavano all’ improvviso ammassamenti di migliaia di uomini, che bisognava alloggiare, nutrire e sfollare al più presto possibile. Le linee ferroviarie, poi, erano addirittura congestionate: convogli dietro convogli si inseguivano a tutte le ore: lo spettacolo ai passaggi a livello era impressionante.

Dall’altra parte, il comando sovietico aveva intuito quanto avveniva e il maresciallo Sciaposnikof, che ora è stato esonerato dalla carica di capo dl Stato Maggiore, doveva mordersi le labbra dal dispetto. Evidentemente l’Armata rossa si era sanguinosamente esaurita sul Don e nella fornace dì Stalingrado. Dal Cremlino partivano ordini furenti di far presto, di serrar sotto, di dare addosso, perché perdere una simile occasione era militarmente un delitto; ma i Comandi operanti non avevano più riserve, dovevano limitarsi a portare avanti l’offensiva con unità logore e decimate. Nella seconda metà di febbraio fu fatto dai russi l’estremo sforzo. Questo li portò a quaranta chilometri dal Nipro. Mosca cantava vittoria, Londra faceva coro. Si udivano recitare alla radio bollettini rimbombanti. Non accadde nulla di risolutivo. L’Armata rossa dimostrava un’altra volta di non avere la capacità di sfruttare il successo iniziale, ottenuto facendo massa in un settore ristretto.

Per noi Italiani è motivo di orgoglio ricordare che in quei giorni, che potevano essere fatali, uno scaglione dei nostri combatteva accanitamente per impedire ai russi di passare Il Nipro. E’ l’episodio di Pavlograd che ora mi viene alla penna. Pavlograd a un centinaio chilometri a est di Nipropetrovsk, è una città di ottantamila abitanti, con alcune fabbriche e una stazione da cui passa la ferrovia da Carcov alla Crimea. Di primo acchito sembra un grosso villaggio per essere l’abitato sparso e allungato su un percorso di alcuni chilometri. Mista, cioè per metà operaia e per metà rurale è la popolazione, e noi, che ci stemmo un paio di giorni, riportammo l’impressione di gente operosa e tranquilla di natura ospitale. Rammento che avendo bisogno di un pezzo di fune per legare la cassetta mi vidi offrire, nella casa dove avevo pernottato, la corda per stendere la biancheria, e non ci fu verso che accettassero il compenso.

Anche i bersaglieri giunti in retroguardia ai primi di febbraio, ebbero la stessa impressione. Ma poi subentrò un intiepidimento che di giorno in giorno volgeva in freddezza. A mano a mano che i sovietici venivano avanti la gente diventava ritrosa e scontrosa. Era una zona infestata di partigiani, bisognava stare all’erta. Il colonnello Carloni, quando seppe che doveva difendere Pavlograd, prese le sue misure, e fu avveduto, perché la rivolta scoppiò improvvisamente il 13 mattina in una fabbrica alla periferia. Non servì a nulla, bastarono alcune cannonate con proietto incendiario a soffocarla sul nascere, e il tenente della Ghepeu che l’aveva fomentata si fece saltare le cervella. O lui aveva anticipato le cose, o gli altri, che venivano avanti un po’ lentamente, erano in ritardo sulla data. Come sempre ne andò di mezzo la popolazione.

L’investimento di Pavlograd ebbe inizio il 17 febbraio, con un attacco da tre direzioni, il cui punto d’incrocio era il ponte sul Samara ch’è appena fuori dell’abitato, verso ponente. Dopo qualche ora la città era intenibile per la sparatoria degli abitanti, che i partigiani aizzavano distribuendo qualche esempio sommario: armi a chi voleva usarle e pallottole esemplari a chi nicchiava. Le forze, sovietiche sommavano a 3 reggimenti, appoggiati da carri, artiglieria e mortai. I nostri contrapponevano i 3 battaglioni di cui si componeva la colonna, più il gruppo del 17° artiglieria con cinque pezzi: c’erano inoltre un battaglione di movieri cioè di militi addetti al movimento stradale, mezzo migliaio di avieri tedeschi combattenti come fanteria e sette carri pure germanici. La sproporzione delle forze era evidente. Sgombrata la città, che divampava di vorticosi incendi e spandeva tutto intorno un calore ardente, insopportabile, la difesa s’era ristretta al ponte. Era una difesa rabbiosa, convulsa, perchè improvvisata sul terreno scoperto e concentrata su una breve striscia in corrispondenza di quel passaggio che i russi volevano forzare.

Le perdite non tardarono ad assottigliare le nostre file. I bersaglieri cadevano avvinghiati alla mitragliatrice, artiglieri erano colpiti da pallottole mentre servivano ai pezzi, i portaordini dovevano essere spediti a pattuglie perché almeno uno arrivasse, il cappellano militare, col pastrano mezzo abbruciato da un proietto incendiario, aveva preso il comando di un plotone (in mezzo al ponte una pallottola gli spezzò la canna della pistola che brandiva), il tenente colonnello comandante dei movieri cadeva alle prima raffiche. La posizione del difensori si faceva sempre più precaria, Carloni la rappresenta nella sua crudezza al Comando germanico. Ma che poteva fare questa se non affidarsi al valore del nostri? I rinforzi tedeschi erano ancora in viaggio, la Divisione di testa non era ancora arrivata a Nipropetrovsk, sui ponti del Nipro non c’erano che i guastatori che dovevano farli saltare, e a tutti i costi bisogna trattenere i russi, contenerli in ogni caso ritardare il più possibile la loro corsa al Nipro.

La consegna fu eseguita. I russi fecero ancora qualche progresso, giunsero in vista di il Novo Moscovsca, dove la strada che viene da Pavlograd si unisce a quella che scende da Cercovo, fecero avanzare le artiglierie per la nuova battaglia, ma la rivolta partigiana, che doveva aiutarli dal di dentro non scoppiò, perché il colonnello Carloni l’aveva sventata in tempo riuscendo ad impadronirsi delle armi segretamente approntate (in una fabbrica si scopersero persino sette cannoni, oltre a mortai, mitragliatrici, «pepescià», cioè fuciloni automatici con caricatore a tamburo), e nel frattempo erano arrivati sul Nipro i rinforzi tedeschi, Nipropetrovsk non correva più pericolo, a Kiev si aveva una felice ripercussione dl questi fatti con una repentina caduta dei prezzi, che erano saliti ad altezze fantastiche.

I bersaglieri e gli artiglieri della colonna Carloni furono colmati di elogi dai tedeschi, e il loro comandante citato più di una volta negli ordini del giorno. Ultimi nella marcia dal Don al Nipro, per oltre mille chilometri di gelata steppa sempre a contatto del nemico, essi furono i primi ad assaporare la riscossa, quasi si può dire che ne odorarono la fragranza. Ai primi di marzo la situazione era infatti radicalmente mutata.

mercoledì 22 marzo 2023

Il viaggio del 2013, da Podgornoje a Postojalyi

Trekking 2013 lungo il percorso della ritirata del Corpo d'Armata Alpino in Russia nel gennaio 1943, dal Don a Nikolajewka; da Podgornoje a Postojalyi... senza punti di riferimento.

sabato 18 marzo 2023

Capitano Pilota Giorgio Iannicelli, 9

La storia del Capitano Pilota GIORGIO IANNICELLI, Medaglia d'Oro al Valor Militare, nelle parole del figlio GianLuigi, nona parte. P.S. oggi questa testimonianza ha ancora più valore perché, seppur ho conosciuto il Signor Gianluigi una sola volta al telefono, ho appreso qualche settimana fa che ha raggiunto il suo povero padre; ad entrambi va la mia più profonda stima e il mio ricordo.

Breve biografia.

Fin qui il capitano Minguzzi, ma il giornalista cosi prosegue nel suo articolo: "Proprio cosi, perché questa gente che vola, che fa la guerra a cinquemila metri, è gente giovane, esuberante, sono ragazzi e se sembrano addirittura temerari ciò solo perché quella vigoria che hanno nel sangue e nei muscoli li rende tremendamente padroni di sé. Ne hai portati tu stesso tanti nei cieli di Spagna, indiavolati, furiosi, dannati cacciatori della Cucaracha, li hai portali a due metri dal suolo in Jugoslavia, a vedere, come dicevi tu, il campo di Mostar da vicino, li hai portati per la Grecia a saltellare sulle cime epirore e sui campi nascosti tra collina e collina: li hai portati in terra ucraina, tu rodevi più di loro il freno quando i piloti bolscevichi peccavano di eccessiva prudenza. Ecco, questo il suo amico giornalista dovrebbe cominciare a scrivere, elencare, spiegare, additare, e tu sai che tutto questo non lo posso fare: tu per me non sei lontano, tu m'hai lascialo sulla linea di volo, insieme ai tuoi ragazzi, ancora ad aspettarti e nessuno mi toglie la certezza che stasera mi prenderai sotto braccio, all'uscita della mensa, e ce ne andremo insieme a casa: se c'è il dottore e se Buono ha ospiti nel suo "appartamento" faremo anche una partitina a scopa, altrimenti saliremo su a sentire la radio, e, come al solito, tu mi leggerai la solita lettera di casa dove c'è sempre qualche critica severa per i giornalisti del fronte orientale, non è forse cosi?

Cosi sarà, perché io non mi vedo a spulciare fra le splendide motivazioni delle tue medaglie al valore per esaltare ciò che il tuo nome, a chi vola, ha di per se stesso indicato come esempio. Poi me ne andai a casa tua, dove tu hai sempre trovato un angolo per l'amico giornalista, e Fienco, il tuo attendente, mi guardava con gli occhi stralunati, si aspettava che io gli dicessi, si è vero, è vero. Io mi rimisi a sedere alla radio, la radio del campo di Mostar; c'erano le lettere arrivate da casa, c'erano le fotografie dei tuoi, c'erano quei pochi libri comprati in una rapida corsa a Bucarest, qualche carta geografica. Mi venne in mente che nel taschino della tuta portavi sempre il più prezioso dei portafortuna, le scarpette di lana del tuo piccolo. Fienco aveva acceso la stufa a muro e l'aveva rimpinzata di legna, a scoppiare, proprio come non piaceva a te. Io lo chiamai, ero seduto sulla tua brandina: si fermò sulla porta e disse, che volete Comandante? Non diceva a me. Io sapevo che noi due che ti eravamo cosi vicini, non c'eravamo rassegnati a rinunciare ad attenderti. Dissi, Fienco, la stufa tira troppo. L'attendente rispose che la neve stava riprendendo a cadere, che non sarebbe stato male un po' più di caldo. Gli dissi di non aprire, se avessero bussato alla porta: e me ne andai nel mio sgabuzzino a sviluppare le fotografie che t'avevo fatto il giorno prima. Al tuo ritorno saremmo andati a mensa...".

Il generale Giovanni Messe, Comandante del C.S.I.R, dirama il seguente ordine del giorno alle truppe con il quale ricorda il sacrificio del capitano Iannicelli, comandante del Gruppo caccia: "Ordine del giorno dell'Eccellenza il Generale Messe, Comandante del C.S.I.R. Per conoscenza al comandi dipendenti: Con vivo cordoglio apprendo che oggi in combattimento aereo generosamente ingaggiato contro un nemico numericamente assai superiore per proteggere le nostre fanterie, è caduto il capitano Iannicelli Giorgio, comandante del nostro Gruppo Caccia. Con Lui il C.S.I.R. perde uno dei più superbi cavalieri dell'aria e l'Aviazione Italiana un gregario prode e generoso. A tutti gli aviatori itallani che in terra di Russia rappresentano tanto degnamente l'Ala Nostra, le truppe del Corpo di Spedizione esprimono il loro fiero cordoglio".

Quasi preannunciata dal tenore del predetto ordine del giorno, gli viene poi concessa, "alla memoria", su proposta del generale di brigata aerea Enrico Pezzi, divenuto da poco Comandante dell'Aeronautica di Russia (con l'ARMIR), la sua ultima decorazione, la più alta, la medaglia d'oro al v.m. La motivazione cosi dice: "Medaglia d'Oro al Valor Militare (alla memoria) - Intrepido pilota da caccia, già distintosi per altissime doti di comandante e di soldato, non esitava, nonostante la proibitiva temperatura e le disperate condizioni di tempo ed ambiente, per cui solo ire apparecchi potevano mettersi in moto, a partire in volo alla testa di pochi gregari per compiere l'ardua missione di proteggere ad ogni costo le nostre linee. Avvistata una formazione di bombardieri avversari scortata da 15 caccia, incurante della superiorità numerica del nemico, impegnava con superbo ardimento l'asperrima lotta, riuscendo nello scopo affidatogli ed abbattendo un bombardiere. Persisteva nell'arduo ed impari combattimento fino a quando, colpito a morte, precipitava in fiamme, immolando cosi, nella luce della gloria, la balda giovinezza tutta dedicata alla lontana Patria immortale. (Cielo di Russia, ottobre - dicembre 1941)".

Con quella attribuita, esattamente un anno dopo, allo stesso generale Pezzi, caduto eroicamente il 29 dicembre 1942 nell'intento di portare soccorso alle nostre truppe accerchiate a Certkovo, sono le due massime ricompense al valor militare riconosciute a componenti della Regia Aeronautica in quella campagna. Illuminante è la lettera del sotto tenente medico Angelo Facchinelli Mazzoleni alla vedova del capitano Iannicelli: "Fronte russo - 15 marzo 1942. Gentilissima Signora, ho ricevuto in questi giorni la vostra lettera del 20 gennaio con la richiesta di particolari sull'eroica morte di vostro marito. Ho raccollo le seguenti informazioni dal Ten. Medico Ilario del locale campo d'aviazione. Il Capitano Iannicelli si era levato in volo il 29 dicembre al mattino per controbattere l'aviazione russa che in quei giorni, particolarmente difficili per tutti noi, era molto attiva. Nella mattinata si scontrò con forze molto superiori e colse più di una vittoria. Rientraro al campo, a mensa espresse l'opinione che nel pomeriggio si dovesse volare con formazioni più numerose per non essere sopraffatti dal numero degll avversari. Ma, nelle prime ore del pomeriggio i comandi delle truppe in linea richiesero nuovamente l'intervento della nostra caccia per alleggerire la pressione aerea russa. Per le enormi difficoltà, create dalla temperatura bassissima, solo tre apparecchi furono potuti approntare per il volo. Il Capilano partì con due compagni. Essi sapevano che avrebbero trovato forze infinitamente superiori. Sapevano che era un volo senza speranze di ritorno. Chi li vide partire mi disse che avevano la grande serenità degli eroi che sanno d'immolarsi. Sapevano che molti nostri fratelli in quei momenti morivano sotto l'offesa aerea ed imploravano l'aiuto dei camerati aviatori. E vostro marito parti per morire con loro. E non fece rirorno. Lo trovarono i nostri fanti il giorno dopo fra i resti del suo apparecchio. Fu colpito da pallottola nemica che fermò il suo grande cuore nell'esaltazione del combattimento e della vittoria.

La sua salma fu ricomposta dagli stessi fanti che lo trovarono con quella religiosa pietà che sanno trovare nei loro umili cuori i nostri soldati. Non so, signora, se voi avete mai vista la commovente delicatezza dei nostri soldati in queste tristi incombenze. Io, che ormai ho già visto due dure guerre, vi posso assicurare che in loro c'è una meravigliosa tenerezza e mano di madre non potrebbe essere più lieve. Fu sepolto con gli onori militari ai primi di gennaio nel cimitero di guerra di Jussowo. La sua tomba porta il numero 33, è la quarta da sinistra a destra in terza fila. Il cimitero è sulla strada dalla stazione a Stalino, cento metri prima di arrivare al sottopassaggio, è contornato da un piccolo bosco. Conosco benissimo la località e ne ho rilevato un piccolo schizzo che accludo. Per ora non ci sono disposizioni per il trasporto in patria dei Caduti, forse a guerra vittoriosamente finita si potrà provvedere a questo. Se Dio mi concederà di ritornare in Italia, mi metterò a vostra disposizione per tulle quelle notizie che potranno esservi utili per rintracciare il luogo di sepoltura. Signora, sento tutto il vostro infinito dolore; non credo che parole di conforto possano lenire il vostro strazio. Permettete ad un soldato di dirvi che vostro marito cadde da eroe, che il suo sacrificio non fu vano. Questa terra è stata consacrata dal purissimo sangue italiano per una causa santa. Dal suo sacrificio sorgerà una nuova era ed anche questo popolo, tanto disgraziato, riceverà la fede di Cristo. Pensate che il cuore di vostro marito si era commosso il giorno di Natale vedendo rinascere Gesù Cristo in questa terra, che sembrava per sempre esclusa, a questo divino ed umanissimo mistero. E quando si muore per questo non si muore invano! Con rispettoso ossequio vi bacio la mano".

Scrive oggi Daniele Lembo, articolista esperto di cose militari, colpito da alcuni aspetti umani della vicenda del capitano Iannicelli, nel suo lungo e documentato articolo "Una scarpina di lana sulla neve di Russia", apparso sul supplemento "Ali Tricolori" al n.23 della rivista "Aerei nella Storia": "... la storia di Giorgio Iannicelli, pilota da caccia per dovere e per amore, potrebbe anche concludersi qui, ma in questo caso nulla di nuovo sarebbe stato aggiunto alla narrazione della vicenda della sua ultima missione di volo". Continua l'Autore: "... questa ricostruzione vuole invece indurre il lettore a soffermare la sua attenzione su una parte meno conosciuta della storia di quest'uomo, ma che forse è la più interessante; la vicenda umana e militare di Giorgio Iannicelli ha infatti un seguito, che continua a giungere fino ai nostri giorni. Come già ricordato, i fanti della Pasubio recuperarono dalla carlinga dell'aereo alcuni degli effetti personali di Giorgio Iannicelli che furono in seguito inviati in Italia alla giovane vedova del pilota. Ella, insieme alla fede, ad un orologio con la cinghietta spezzata e ad alcuni documenti bruciacchiati, ricevette anche una scarpetta di lana da neonato che l'Ufficiale aveva con sé al momento della morte, forse come portafortuna: si trattava di una scarpina del piccolo Gian Luigi, che al momento della scomparsa del padre aveva solo otto mesi di vita...".

Le fotografie di Mario Bagnasco, 32

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"Famiglia russa di Tarvidebowka".

giovedì 16 marzo 2023

A proposito dei viaggi, parte 2

Come nascono i viaggi in Russia, parte 2. I viaggi in Russia non hanno il solo scopo di effettuare un pellegrinaggio lungo il percorso della ritirata della Divisione Alpina Tridentina dal Don a Nikolajewka, ma molto spesso sono occasione per verificare sul terreno i racconti dei libri di testo e delle testimonianze dei reduci.

L'ANSA DEL CAPPELLO FRIGIO E IL CAPOSALDO OLIMPO.

Immagine 1: il caposaldo Olimpo nel dicembre 1942 con i fanti della Pasubio.

Immagine 2: sempre il caposaldo Olimpo il giorno 18 dicembre 1942 durante l'attacco sovietico.

Immagine 3: la testimonianza di chi c'era, tratta da "L'aurora a occidente" di Bellini.

Immagine 4: con opportuni ingrandimenti satellitari e sovrapposizioni di cartine militari dell'epoca sono riuscito a verificare l'esatta posizione del caposaldo sul terreno.

Immagine 5: infine e sul terreno, e con le opportune coordinate geografiche, abbiamo potuto individuare e visitare i resti del caposaldo Olimpo e la spianata prospiciente.