mercoledì 14 aprile 2021

Commissione speciale dell'ONU, parte 3

Pubblico la terza parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

CAPITOLO II.

Non é il caso di dilungarsi sull'azione politica e diplomatica degli organi governativi, iniziata fin dal 1943, poi attenuata e quindi ripresa con maggior interesse, perché non è questa la sede adatta e perché non si avrebbe la necessaria competenza. Comunque, per quanto è dato conoscere, si peccherebbe di insincerità se non si desse atto agli interventi del Governo, in ogni epoca ed in ogni occasione, per avere dal Governo sovietico notizie atte a chiarire il doloroso problema dei nostri prigionieri. Si riassumono gli avvenimenti di maggior rilievo che risultano aver dato motivo di costante e graduale interessamento alla ricerca di notizie. Nel 1943 purtroppo esse furono vaghe e scarse a causa della situazione politica e militare del nostro paese.

Solo da una intervista con persona che abitò nell'URSS per lungo tempo, si ebbe qualche riferimento sulla situazione dei nostri prigionieri, i quali potevano considerarsi divisi in due categorie: quelli ristretti nei campi di concentramento e quelli dispersi per il vasto territorio delle repubbliche sovietiche. Ai campi arrivarono quelli che riuscirono a superare le lunghe marce di trasferimento nel clima rigidissimo dell'inverno, malvestiti ed ancor peggio nutriti. Gli altri meno resistenti si adattarono volontariamente a lavorare in case di contadini russi. I primi, ma non tutti, hanno potuto dare notizie, scrivendo alle famiglie dai campi di concentramento o attraverso messaggi trasmessi da Radio Mosca, per i secondi le notizie furono più difficili giacché essi stessi cercarono di sottrarsi al controllo ufficiale, per tema di persecuzioni e maltrattamenti. La posta dei prigionieri funzionò, sia pure in modo non regolare fino al settembre del 1943 e poi non fu più inoltrata, mentre Radio Mosca continuò periodicamente e fino al Natale del 1945 a trasmettere i messaggi di alcune decine di migliaia di prigionieri; messaggi captati in gran parte dalla Radio Vaticana e comunicati alle famiglie.

Nel 1944, con la Costituzione del nuovo Governo Italiano ebbe inizio l'azione di ricerca di notizie e le richieste ufficiali al Governo russo per conoscere essenzialmente il numero ed i nomi dei prigionieri catturati dalle truppe sovietiche ed internati nei campo dell'URSS. La Presidenza del Consiglio dei Ministri invitò il Signor Kostilev - addetto militare russo presso la Commissione Alleata in Italia - ad interessare il suo governo perché fornisse l'elenco dei prigionieri italiani e consentisse loro di scrivere alle famiglie, ma l'esito fu negativo. Uguale richiesta venne inoltrata per via diplomatica dal Ministero degli Affari Esteri Italiano, ma con uguale risultato. Si tentò di avere notizie attraverso un Ministro italiano dell'epoca facente parte del Governo e che era stato per vari anni nell'URSS; nel colloquio avuto con l'Alto Commissario per i prigionieri di guerra egli poté solo riferire: "Ho visitato un campo di nostri prigionieri di guerra in Russia, campo misto di ufficiali e soldati. Stavano discretamente bene. I nostri prigionieri hanno sofferto molto freddo. Da quanto mi risulta molti nostri soldati sono morti. Non so precisare il numero dei nostri prigionieri in Russia".

Seguirono altre due identiche richieste attraverso la nostra rappresentanza diplomatica a Mosca e all'Ambasciata dell'URSS a Roma ma nessuna risposta; le autorità sovietiche rimasero sorde anche all'appello della stampa italiana, che, facendo eco alle richieste del nostro Governo e del popolo italiano cosi si rivolgeva al popolo russo: "Dare una notizia che, nelle condizioni di tutti i popoli, non si nega neppure ad un nemico, è atto di umanità, di carità, di solidarietà tanto più non si può negare ad una nazione amica che combatte la stessa guerra". In un colloquio tra l'Alto Commissario per i prigionieri di guerra ed il Colonnello russo Jacolev, si ebbero scarse notizie. L'alto ufficiale russo, premettendo di non avere specifiche e precise notizie sui nostri prigionieri asserì che i prigionieri italiani in Russia erano trattati bene, che non era da escludersi che alcuni di essi fossero ospitati da famiglie russe, che si stavano preparando a cura della nostra Ambasciata a Mosca gli elenchi da comunicare al Governo italiano e che i prigionieri stessi sarebbero stati rimpatriati in un prossimo futuro. Il rimpatrio di parte dei prigionieri si verificò, ma gli elenchi di tutti i prigionieri non giunsero mai.

Quanto fin qui brevemente esposto, formò oggetto di un promemoria dell'Alto Commissariato per i prigionieri di guerra italiani al Segretario Generale della Confederazione Italiana del Lavoro, perché nella sua missione in Russia potesse svolgere opera certamente meritoria nei contatti con le personalità sovietiche particolarmente interessate al problema, allo scopo di ottenere: - le liste nominative dei nostri connazionali; - l'organizzazione di un scambio di corrispondenza tra essi e le loro famiglie in Italia; - informazioni circa il loro trattamento e protezione dei loro interessi sulla base della convenzione di Ginevra; - attuazione degli stessi criteri adottati dai governi inglese ed americano per il rimpatrio di quelli rientranti in determinate categorie: ammalati, anziani età, ecc. Pur tenendo presente che la Russia non aderì alla Convenzione Internazionale di Ginevra del 1929, si sperava che essa si sarebbe indubbiamente attenuta all'osservanza di quelle norme umanitarie e di diritto internazionale che ogni paese civile si onorava di rispettare.

Ciò anche perché per quanto si riferiva particolarmente alle liste dei prigionieri e dei caduti era intervenuto un accordo reciproco di scambio di notizie che, nel 1942, secondo il Governo russo, l'Italia avrebbe denunciato per inadempienza da parte sovietica. Che il Governo Italiano non intendesse comportarsi in tal senso fu provato dal fatto che la Commissione Interministeriale - l'unica che avesse veste di agire in nome del Governo - nella sua seduta del 3 luglio 1942 decise di interessare il Ministero degli Esteri perché a mezzo della potenza detentrice e degli stessi alleati dell'U.R.S.S. tentasse di ottenere da parte delle autorità sovietiche l'esecuzione dell'obbligo intervenuto col Governo Italiano. Pertanto la pretesa sovietica non trovò appoggio legale e denunciò palesemente l'intenzione di volere con essa mascherare un rifiuto, troppo contrario ad ogni forma di legalità e di giustizia. Si sconosce quanto abbia potuto fare in proposito il Segretario della C.G.I.L. (On. Di Vittorio) nel corso della sua missione in Russia compiuta nel 1945. Comunque al suo rientro in Italia si è potuto sapere solo che in Russia vi erano circa 20 mila italiani in procinto di rimpatriare: notizia già nota per comunicazione delle stesse autorità sovietiche.

Nel settembre 1945 ebbero inizio i rimpatri che si conclusero nell'ottobre del 1946 per un totale complessivo di 10.030 fra ufficiali e militari di truppa appartenenti all'ARMIR. Affluirono ai Centri Alloggi dell'Italia Settentrionale dai valichi del Brennero e di Tarvisio, provenienti dalla Germania e dall'Austria ove furono presi in consegna dalle autorità militari alleate che li ricevettero dai russi numericamente: solo uno scaglione fu preso in consegna il 7 luglio 1946 da un rappresentante italiano in Austria e comprendeva circa 550 ufficiali per la maggior parte dell'ARMIR e pochi sottufficiali; solo uno scaglione di 145 prigionieri giunse in Italia con il ruolino di marcia - lista nominativa - consegnata all'ufficiale più elevato in grado dello stesso scaglione all'atto della partenza per il rimpatrio. Il modo col quale fu effettuato il rimpatrio dei nostri prigionieri evidentemente non fu normale e nella sua sollecita improvvisazione sorprese le nostre autorità che avrebbero gradito inviare proprie commissioni di controllo in Germania ed in Austria per ricevere i reduci dai russi.

Ne conseguì che l'opinione pubblica italiana ritenne di ravvisare nell'iniziativa russa una procedura apprezzabile per la sollecitudine e la buona volontà manifestata nella restituzione dei prigionieri, ma allo stesso tempo poco chiara, quasi che l'iniziativa stessa volesse mascherare e confondere la provenienza dei prigionieri restituiti che infatti risultarono solo per metà quelli appartenenti all'ARMIR, mentre l'altra metà si riferiva a prigionieri in Germania. Perciò al governo sovietico non dovette meravigliare se la sua nota dichiarazione del 27 novembre 1946 con la quale annunziò ultimato il rimpatrio dei prigionieri italiani, fu, a suo avviso, colta dall'opinione pubblica italiana con poco entusiasmo e con scarsa riconoscenza per l'atto di benevolenza dimostrata dall'URSS nell'aver provveduto d'iniziativa al rimpatrio degli italiani.

Sta di fatto che ancora oggi rimane il dubbio sui 21.065 prigionieri che le autorità sovietiche avrebbero rimpatriato fra quelli che essi sostennero di aver catturato nella battaglia del Don e che il generale Golubev asserì che furono presi con le armi in pugno. L'uno e l'altra affermazione avrebbero dovuto far ritornare in Italia 21.065 prigionieri italiani dell'ARMIR mentre ne giunsero 10.030 e mai fu possibile dirimere tale atroce dubbio per il quale sarebbe stato sufficiente avere gli elenchi nominativi dei reduci componenti i singoli scaglioni. Elenchi che le autorità sovietiche sostennero di aver consegnato alle autorità alleate all'atto del passaggio in consegna dei prigionieri italiani da rimpatriare e dei quali ne conservavano copia per ricevuta. Purtroppo tali elenchi non sono mai giunti né le autorità alleate che all'epoca ricevettero in consegna i prigionieri italiani hanno potuto, a distanza di tempo, precisare sulla loro esistenza e consegna da parte delle autorità russe.

Comunque, se é vero che le autorità sovietiche dispongono tuttora di copie di detti elenchi, non si comprende perché si ostinano a non rimetterle al governo italiano che ripetutamente ha fatto richiesta. Ostinazione mantenuta anche quando ad una richiesta di rimborso delle spese sostenute per il rimpatrio di detti prigionieri si assicurò che da parte italiana si sarebbe provveduto al pagamento purché le autorità sovietiche avessero rimesso l'elenco nominativo dei prigionieri italiani rimpatriati. Nel 1947 una delegazione di donne italiane si recò nell'URSS ed ebbe modo di far visita al vice delegato del consiglio dei ministri dell'URSS per gli affari di rimpatrio tenente generale K. D. Golubev.

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