martedì 11 maggio 2021

Immagini, Italo Gariboldi

Il generale Italo Gariboldi, comandante dell'ARMIR, a colloquio con altri ufficiali italiani.



Commissione speciale dell'ONU, parte 7

Pubblico la settima parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

Questo noi domandiamo, poiché non possiamo considerare esatte le dichiarazioni ripetute dal Governo sovietico circa il rimpatrio totale dei prigionieri italiani. In effetti queste sono delle affermazioni che hanno avuto una smentita dal fatto già rammentato, del ritorno in Italia di un certo numero di prigionieri a una data successiva alle dichiarazioni sovietiche ed inoltre dall'arrivo recentissimo di un certo numero di lettere di prigionieri alle loro famiglie. E' evidente che in questa situazione, noi pensiamo che è necessario che la Commissione prosegua il suo lavoro. Noi abbiamo la certezza che l'opinione pubblica di tutto il mondo si renda conto delle ragioni della nostra ostinazione. Il problema dei soldati italiani dispersi nell'Unione Sovietica è talmente imponente - pensate a queste 63.000 famiglie che piangono e che ancora hanno qualche speranza! - che ci obbliga a usare tutti i mezzi perché il problema possa essere chiarito. Noi non indirizziamo delle accuse a nessuno. Noi siamo anche disposti a rinunciare a tutte le recriminazioni, a tutte le lagnanze, purché ciò possa apportare della comprensione e dell'aiuto a tanta sofferenza.

Signor Presidente, nel Vostro discorso di apertura della seconda Sessione avete lanciato un appello al sentimento umanitario dei popoli e dei governi. Ebbene, per il rispetto di questo sentimento, purché la causa della giustizia possa trionfare, per l'osservanza di questi principi della libertà e della democrazia per i quali noi speriamo di creare un mondo nuovo, tenendo presente allo spirito l'insegnamento e la venerazione di quelli che sono caduti nel compimento del proprio dovere, oggi noi siamo ancora in questa sala, non solamente per domandare il Vostro aiuto, ma per dare anche il nostro ed appoggiare con tutte le nostre forze le richieste degli altri paesi che chiedono il rimpatrio dei loro cittadini ancora in prigionia.

Può darsi che la tristezza delle nostre anime - poiché non possiamo dimenticare in questo momento che siamo gli inviati di tutti quelli che sono nella sofferenza a causa di questo problema angoscioso - potrà essere meno dolorosa se avremo fra noi i delegati dell'Unione Sovietica. Noi non vogliamo, d'altra parte, perdere tutte le speranze di un cambiamento di questa incomprensibile posizione presa dal Governo sovietico. In tutti i casi il Governo italiano, da me rappresentato, desidera che si sappia che l'interesse tenace al problema dei soldati italiani dispersi nell'Unione Sovietica sarà e resterà tale sino a che avremo la certezza che la posizione di tutti, assolutamente di tutti i nostri cittadini sia stata chiarita. Questa è la volontà precisa e il sentimento unanime del popolo italiano che è fraternamente ed affettuosamente solidale con tutti questi perché la tragedia della guerra non è ancora terminata e tuttavia sette anni sono già passati dal giorno in cui si sono deposte le armi.

Si è molto detto e molto scritto sulla nostra attività in questi giorni; questa attività che è cominciata, resta e resterà puramente umanitaria, che è il segno sotto il quale ha preso vita la Commissione creata dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Fedele a questa parola d'ordine, voi ci avete informato Sig. Presidente che in questo spirito la Commissione presenterà un primo rapporto dettagliato all'organo superiore dell'O.N.U. Noi siamo portati a credere che questa prima conclusione sia il principio di una nuova tappa della nostra missione che ci permetterà di ottenere i risultati che ci siamo proposti. Ancora una volta la Delegazione Italiana, sensibile più Che mai agli appelli e alle preghiere delle famiglie dei dispersi rivolge un invito all'Unione Sovietica, perché voglia considerare, comprendere ed aiutare il lavoro della Commissione.

Il popolo italiano non ha dimenticato la nobiltà d'animo di cui sono stati capaci, i lavoratori ed i cittadini della piana ucraina verso i nostri soldati durante le drammatiche giornate dell'inverno 1942-1943. Noi abbiamo una lunga lista di episodi di fraternità umana di questa popolazione verso i nostri connazionali, che si trascinavano senza aiuto e senza protezione lungo le strade. Sono questi episodi che dimostrano come la popolazione russa è stata sensibile - e una tale sensibilità noi pensiamo ancora vivente - a queste regole e a questi sentimenti umanitari in nome dei quali noi siamo qui riuniti e ci battiamo sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Sig. presidente nel ringraziare, la contessa Bernadotte, il Sig. giudice Aung-Khine ed i membri della Segreteria, con la più profonda riconoscenza per quello che avete fatto, non vi dico addio ma arrivederci.

Arrivederci in questo giorno non lontano quando il sorriso sarà di nuovo la ove oggi è solamente tristezza, arrivederci in questo giorno non lontano quando le madri, le spose gli orfani potranno mettersi in ginocchio sulla terra sacra dei cimiteri ove riposano i nostri soldati morti in Russia. Arrivederci in questo giorno non lontano quando l'angoscia dell'incertezza e del mistero sarà svelato a seguito delle comunicazioni ufficiali, che ci rassicurano sulla sorte di tutti i nostri concittadini travolti dalla tragedia della guerra. Se noi non avessimo una grande fede in tale avvenimento e se non avessimo una grande speranza in questo avvenire, noi mostreremmo di considerare distrutti in questi giorni i principi di libertà e di giustizia, senza i quali una comunità di vita tra i popoli non è possibile, noi mostreremmo di aver perduto la fede nelle possibilità di difesa e di mantenimento della pace nel mondo".

In definitiva i risultati della IIIa Sessione della Commissione dell'O.N.U. - che chiuse i suoi lavori il 12 settembre 1952 - possono riassumersi: - completamento della documentazione ed aggiornamento dei termini della questione; - stesura di un rapporto speciale da presentare al Segretario Generale dell'O.N.U.; - proposta di continuazione dell'esistenza e dell'azione della Commissione speciale. Praticamente nessun risultato concreto, il quale non si sarebbe mai potuto raggiungere sino a quando non fosse intervenuta nella discussione, una delegazione russa che potesse rispondere, chiarire e precisare la situazione e convenire ad accordi per la definitiva soluzione del problema.

Nel 1953, il 24 Agosto, venne convocata la IVa Sessione della Commissione Speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra a Ginevra. Alla Sessione intervennero le Delegazioni di: Australia - Belgio - Francia - Germania - Italia - Giappone - Lussemburgo - Olanda - Gran Bretagna e Stati Uniti. Molte speranze nutrirono le Delegazioni circa il probabile intervento di una rappresentanza russa sebbene tale eventualità si palesava quanto mai difficile. In seduta privata il presidente della Commissione ad hoc annunciò che a New York erano in corso trattative fra la Segreteria Generale dell'O.N.U. e i rappresentanti dell'U.R.S.S per una reciproca collaborazione alla soluzione del problema e in conseguenza si decise di rimandare la seduta plenaria e pubblica a data da determinarsi per non compromettere quelle trattative e per permettere ai Capi delle delegazioni dei paesi intervenuti di approntare le dichiarazioni ufficiali dei rispettivi Governi in relazione all'intervento o meno della delegazione russa.

Il fallimento dei colloqui di New York, durante i quali il Ministro Vichinsky non avrebbe dimostrato la minima volontà di collaborazione con la Commissione Speciale, indusse il Segretario Generale dell'O.N.U. ad includere l'argomento dei prigionieri di guerra nell'ordine del giorno dell'VIIIa Sessione dell'Assemblea Generale e far aprire, a Ginevra, la seduta pubblica nel corso della quale i Capi delle Delegazioni lessero le dichiarazioni dei rispettivi Governi redatte con tono conciliante e soprattutto umanitario, elogiando il lavoro della Commissione Speciale ed auspicando che essa continuasse la sua azione. In particolare il Capo della Delegazione Italiana pronunciò un atto di fede circa i risultati che si sarebbero potuti avere nella soluzione di un problema che, lungi dall'avere pretese politiche, andava concepito soltanto come un'atto di umanità e come desiderio di diminuire le sofferenze degli uomini.

Sulla questione dei prigionieri e dispersi in Jugoslavia, la Delegazione Italiana, data la tensione del momento fra i due Paesi, non si pronunciò nella seduta pubblica, cosa che fece in quella privata nel corso della quale la Commissione Speciale accolse la richiesta e si impegnò a farne cenno nel rapporto conclusivo da trasmettere, a chiusura dei lavori, all'Assemblea Generale dell'O.N.U. Questa la dichiarazione ufficiale del Delegato Italiano: "Sig. Presidente - l'atto di fede nella Commissione Speciale che io avevo espresso al momento della chiusura della terza sessione, ha trovato più di una eco: e, se noi siamo ancora riuniti qui oggi, è perché noi abbiamo avuto tutti anche questa volta, la sensazione della necessità di continuare il nostro compito. Il detto latino «gutta cavat lapidem» potrebbe essere il motto della vostra opera, opera paziente, opera che noi tutti perseguiamo con la convinzione di poter attendere lo scopo che ci siamo prefissi. Siamo persuasi che le difficoltà che ancora si frappongono sul vostro cammino saranno eliminate e che spariranno certi pregiudizi sullo spirito e sul fine della vostra e della nostra attività.

Tutti noi abbiamo sempre dichiarato che non c'era mai alcun partito preso contro alcuno e che vogliamo agire unicamente a nome dell'umanità per diminuire le sofferenze degli uomini. La vostra opera era ed è sempre una manifestazione ideale generata da uno spirito di solidarietà verso coloro che oggi ancora soffrono in conseguenza della guerra. Su questo terreno sappiamo che vi è un accordo fra tutti i popoli e crediamo che tutti i governi finiranno per riconoscere il loro dovere di aiutare questi sforzi. In questi ultimi mesi si è molto parlato e si parla ancora di una più forte volontà di pace e di un più leale e franco intento universale. Ebbene come si potrebbe più chiaramente dimostrare la sincerità di tali propositi che risolvere il problema dei prigionieri di guerra e dei dispersi?

Siamo felici di constatare che la Commissione Speciale ha potuto concludere la prima fase della sua attività con l'elaborazione di un rapporto che sarà presentato alla prossima assemblea generale dell'O.N.U. In questa maniera l'Assemblea potrà essere informata del problema dei prigionieri e dispersi della grande guerra e gli stati membri che non hanno potuto prendere parte ai lavori della Commissione Speciale, potranno fare ascoltare la loro parola. L'Italia, pur avendone il diritto non è stata ancora messa nell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Tuttavia noi pensiamo che l'Italia dovrà ben essere considerata presente alla prossima Assemblea per le sue ragioni e i suoi diritti consacrati nella documentazione che dovrà essere ascoltata dall'Assemblea come una eco delle voci di centinaia di migliaia di italiani, che direttamente o indirettamente sono colpiti dal dramma dei dispersi in guerra.

Signor Presidente - il metodo democratico che ispira e dirige l'azione del mio Governo trova il suo principio fondamentale nell'uguaglianza di tutti i cittadini nei loro diritti e nei loro doveri. Ebbene i nostri cittadini esigono, nella pienezza dei loro diritti, che lo Stato non si stanchi nella sua azione avente il fine di conoscere la sorte dei nostri soldati dispersi sui diversi fronti di guerra e del rimpatrio immediato di questi italiani che noi sappiamo viventi e detenuti contro la loro volontà. Quasi una decina d'anni è già trascorsa dalla fine della guerra. E il nostro popolo non può comprendere perché non si sia ancora potuto trovare per risolvere questo problema una collaborazione generale che avrebbe potuto già portare un sentimento di sicurezza e di pace nelle famiglie, particolarmente se si considera che la maggior parte della gente che soffre di questa situazione è composta di contadini; di operai, d'impiegati: sono dei proletari che domandano con insistenza comprensione, assistenza e una dimostrazione di solidarietà e di amore. Perché negare questa consolazione, perché non rispondere a questa invocazione?

Signor Presidente noi siamo convinti - lo ripeto - che un giorno non lontano voi avrete la profonda soddisfazione di vedere la vostra opera coronata da un successo rilucente. Questa certezza che è nello stesso tempo la nostra speranza ci consiglia la pazienza e ci aiuta a perseverare. Quando l'Assemblea delle Nazioni Unite decideva nel dicembre 1950 la costituzione della Commissione Speciale dimostrava di rendersi conto che una questione di tale importanza non poteva essere lasciata in sospeso. Nel momento in cui, in seguito, il Segretario Generale dell'O.N.U. vi conferiva, la presidenza della Commissione Voi, Sig. Presidente diveniste anche l'insegna di una delle più sante e nobili missioni. Una missione di cui il compito allevierà le lacrime di un dolore vivo e profondo, Voi e i Vostri collaboratori avete tenuto ben alta la bandiera della Commissione Speciale e voi la terrete ancora ben atta fino a che le lacrime siano sostituite dal sorriso e dalla serenità. Se, prima di tale giorno, questa bandiera dovesse essere abbassata, si deve credere che è la stessa bandiera dell'O.N.U. che è caduta mortificata e avvilita".

lunedì 10 maggio 2021

MOVM - Briscese Donato

Le Medaglie d'Oro al Valor Militare della Campagna di Russia, Caporal Maggiore BRISCESE Donato - 1° Battaglione Genio Pontieri.

Motivazione: "Pontiere caposquadra mitraglieri, in aspro combattimento contro rilevanti forze, portava i dipendenti con ardita decisione all’attacco, infliggendo gravi perdite al nemico. Caduti alcuni serventi, benché ferito una prima volta, rimaneva al proprio posto incitando i suoi uomini alla resistenza ed assicurando l’efficace fuoco dell’arma. Ferito una seconda volta al capo da una scheggia di mortaio, cosciente della critica situazione per la grave minaccia nemica, rifiutava ogni cura e continuava audacemente la lotta. Rimasta l’arma inutilizzabile, si poneva alla testa dei superstiti e cercava ancora di arrestare il nemico con lancio di bombe a mano, finché colpito a morte da raffica di mitragliatrice, immolava la propria vita, fiero di avere contrastato il passo al nemico prodigandosi oltre gli umani limiti del dovere. — Nikolajewka (Fronte russo)".

MOVM - Nicolai Filippo

Le Medaglie d'Oro al Valor Militare della Campagna di Russia, Sottotenente NICOLAI Filippo - 9° Battaglione Genio Pontieri.

Motivazione: "Esemplare figura di ufficiale e di combattente, che, a spiccate qualità di comandante, univa integro sentimento e marziale carattere. Decorato di medaglia d’argento per avere, quale comandante di plotone pontieri in difficili condizioni, riattivato numerose volte un ponte interrotto dalla artiglieria nemica. Destinato, durante la lotta invernale, a difendere, in una fase incerta di aspro combattimento, un abitato contro cui faceva leva la pressione schiacciante di superiori forze avversarie, reagiva con strenuo impeto ed indomita tenacia, anche quando gli assalitori lo avevano accerchiato su posizioni avanzate. Asserragliatosi, anziché arretrare, teneva testa ai rinnovati urti del nemico, sul quale, sprezzando lo strazio di mortale ferita, si avventava con un pugno di superstiti e, vietato ai suoi di soccorrerlo, cadeva, incitando alla mischia. - Pesrouìka (Fronte russo), 21 febbraio 1942".

Ricompense - 1°, 2°, 9° Btg. Genio Pontieri

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

1°, 2°, 9° BTG. GENIO PONTIERI

MOVM Sottotenente NICOLAI Filippo, alla memoria
MOVM caporal maggiore BRISCESE Donato, alla memoria
MAVM Capitano CIOCCHI Italo, alla memoria
MAVM Capitano RINALDI Lorenzo
MAVM Sottotenente FIANCHISTI Adolfo
MAVM Sottotenente NICOLAI Filippo
MAVM caporale BUTTURINI Pietro
MAVM caporale ROCCA Ferruccio
MAVM soldato DRESTI Costante
MAVM soldato MONTECUCCO Giovanni
MAVM soldato PANCRAZI Dante
MAVM soldato SCOPEL Mario
MAVM soldato VESCOVO Alfio
MBVM Tenente Colonnello BIANDRATE Evasio
MBVM Capitano GABARDINI Gaetano
MBVM Capitano TUMINELLI Mauro
MBVM Tenente MONACELLI Fausto
MBVM Tenente medico MUZZIO Domenico
MBVM Sottotenente CRISTIANI Roberto
MBVM Sottotenente FREDIANI Walter
MBVM Sottotenente MONTI Francesco
MBVM Sottotenente POZZI Franco
MBVM Sottotenente RE Mario
MBVM Sottotenente SOSTER Edmondo
MBVM Sottotenente TRESCA Vittorio
MBVM sergente maggiore ACCATINO Ernesto
MBVM sergente maggiore AGUIARI Giuseppe
MBVM sergente maggiore AGUIARI Giuseppe
MBVM sergente maggiore CANTARUTTI Ettore
MBVM sergente maggiore FELIZIANI Gianpaolo, alla memoria
MBVM sergente maggiore PENATI Angelo, alla memoria
MBVM sergente RAGIONIERI Gino
MBVM sergente VIEL Pietro
MBVM caporal maggiore CAVICHINI Dino
MBVM caporale BANDIERA Emilio
MBVM caporale BLONDI Pietro
MBVM caporale MORONI Secondo, alla memoria
MBVM caporale NESTI Egeo, alla memoria
MBVM caporale SCARPETTA Eugenio
MBVM soldato BASSOTTINI Giovanni
MBVM soldato BERTOLDI Angelo
MBVM soldato BRUNI Arturo, alla memoria
MBVM soldato D'ANGELO Pasquale, alla memoria
MBVM soldato DE CAROLIS Mario
MBVM soldato DEL PUP Ennio
MBVM soldato FERRABOSCHI Enzo
MBVM soldato FREGUGLIA Carlo
MBVM soldato FRIGERIO Alessandro, alla memoria
MBVM soldato GHIRIMOLDI Eusebio
MBVM soldato ILLARIETTI Pietro, alla memoria
MBVM soldato MALVICINI Ezio
MBVM soldato MANNA Giulio
MBVM soldato MEINARDI Giuseppe
MBVM soldato NELVA Stelio, alla memoria
MBVM soldato PANZA Ettore
MBVM soldato PEVERELLI Angelo
MBVM soldato SCARPA Bruno
MBVM soldato TRIVELLA Mauro
MBVM soldato VALLINO Firmino, alla memoria
CGVM Tenente Colonnello BIANDRATE Evasio
CGVM Tenente Colonnello PARISI Giuseppe
CGVM Capitano PRADELLA Carlo
CGVM Tenente CURCIO Domenico
CGVM Tenente MADERNA Luigi
CGVM Tenente PADOVA Secondo
CGVM Tenente SEREGNI Ettore
CGVM Tenente ZULIANI Elio
CGVM Sottotenente CERDONELLI Carlo
CGVM Sottotenente CHIESA Pietro
CGVM Sottotenente GROSSO Emilio
CGVM Sottotenente INVERNIZZI Mario
CGVM Sottotenente MAGNIFICO Alfonso
CGVM Sottotenente TOGNARELLI Francesco
CGVM sergente maggiore BASILE Angelo
CGVM sergente maggiore LANDINI Visino
CGVM sergente maggiore TOMASSONI Telemaco, alla memoria
CGVM sergente CERESONI Ercole
CGVM sergente GAFFURINI Emilio
CGVM sergente MIGLIETTA Rosario
CGVM caporal maggiore BOSIO Luigi
CGVM caporal maggiore DE FRANCESCO Sante, alla memoria
CGVM caporal maggiore GNAN Oscar
CGVM caporal maggiore QUADRI Angelo, alla memoria
CGVM caporal maggiore SEGNINI Mario
CGVM caporale BRESSAN Arturo
CGVM caporale CUNIETTI Anselmo, alla memoria
CGVM caporale PEDOL Ignazio
CGVM soldato BERNARDI PIRINI Dino
CGVM soldato BOLZAN Paolo, alla memoria
CGVM soldato BOZZOLI Dello
CGVM soldato BRIVIO Vittorio
CGVM soldato BROMBIN Alessandro
CGVM soldato CARPANE' Alberto
CGVM soldato CASINI Viterbo
CGVM soldato CATALANI Fabio, alla memoria
CGVM soldato CORNELI Pietro
CGVM soldato CROVETTI Fioravante
CGVM soldato DE PAOLIS Gino, alla memoria
CGVM soldato DE RADA Angelo
CGVM soldato FERRERO Sergio
CGVM soldato GANDINO Filippo, alla memoria
CGVM soldato GARBOLINO Michele
CGVM soldato GEROSA Antonio, alla memoria
CGVM soldato MAGNI Vittorio, alla memoria
CGVM soldato MARCHI Emilio
CGVM soldato MENEGAZZI Gino
CGVM soldato MININEL Lionello
CGVM soldato NIERI Luigi
CGVM soldato NOACCO Antonio
CGVM soldato PAGAN Guglielmo
CGVM soldato PARDINI Ovidio, alla memoria
CGVM soldato PERINETTO Mario
CGVM soldato SANSON Alfredo
CGVM soldato SICILIOTTI Verino
CGVM soldato SOREGOTTI Anselmo
CGVM soldato TORTIA Giuseppe, alla memoria
CGVM soldato ZULIANI Marcello

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



Buck e il Tenente Rosolino Cenni

Ricevo e pubblico dal Signor Roberto Medri questa bellissima fotografia di Buck e del nonno Rosolino Cenni, tenente del Gruppo Conegliano, Reparto Munizioni e Viveri.

Approfitto così per far conoscere anche la figura del Tenente Rosolino Cenni, presentata dal Signor Giuseppe Martelli nel suo interessante sito "Noi alpini bolognesi romagnoli"; lo scritto e molto altro ancora è consultabile al link http://www.noialpini.it/cenni-rosolino.html.

Rosolino Cenni, detto Lino, nasce a Imola, Bologna, il 3 ottobre 1913 di Tullo e Maria Morelli. Chiamato alla visita di leva dal Distretto Militare di Ravenna dal quale dipende Imola, il 29 luglio 1933 è lasciato in congedo e indicato come professione studente al 2° anno del Liceo Classico. Chiamato alle armi il 18 settembre 1934 viene lasciato in congedo provvisorio in attesa dell'apertura dei corsi per ufficiali di complemento presso l'Accademia militare di Modena. Con la cartolina precetto arriva all'Accademia di Modena il 20 ottobre ma non viene accettato "per deficienza del titolo di studio".

Il 24 ottobre, rivisitato, viene assegnato ai servizi sedentari con responso della Divisione dell'Ospedale Oculistico di Bologna perché affetto da blefarocongiuntivite e da obesità. Viene quindi dispensato dal compiere la ferma militare ed iscritto nella forza in congedo dei non assegnati temporanei del distretto militare di Ravenna. Il 1° dicembre 1938, nel frattempo si è iscritto e frequenta l'Università di Bologna nella facoltà di Agraria, viene ammesso al primo periodo del corso allievi ufficiali universitari presso la 7a Legione Universitaria della M.V.S.N. (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale) in Bologna designato per l'Arma Artiglieria.

Il 13 febbraio 1939, presenta domanda affinché gli sia revocato il provvedimento di assegnazione ai servizi sedentari chiedendo di essere rivisitato per essere assegnato a reparti in armi. Dopo accertamenti medici e con responso del Direttore di Sanità del Corpo d'Armata di Bologna viene riconosciuto idoneo al servizio militare incondizionato. Il 1° dicembre 1939 viene ammesso al 2° periodo del corso allievi ufficiali universitari sempre presso la 7ª Legione Universitaria della M.V.S.N. (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale) in Bologna designato per l'Arma Artiglieria. Il 20 marzo 1940 viene ammesso alla continuazione del ritardo al servizio in armi nel Regio Esercito. Il 12 luglio 1940 viene ammesso al periodo applicativo dei corsi universitari presso la Scuola Allievi Ufficiali di Complemento in Lucca. Concluso dopo tre mesi il corso e dichiarato idoneo alla nomina a Sottotenente di complemento, il 19 novembre viene inviato in licenza straordinaria, senza assegni, in attesa della nomina a Sottotenente di complemento pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

Il 4 febbraio 1941 con la nomina a Sottotenente di complemento nell'arma Artiglieria, viene assegnato per il servizio di prima nomina al Deposito del 3° Reggimento artiglieria alpina della Divisione Julia in Gorizia. Trattenuto alle armi con circolare del Ministero della Guerra, viene destinato in servizio al Gruppo artiglieria alpina "Conegliano" nella cittadina di Osoppo, dove ha sede la batteria del Gruppo alla quale è stato assegnato. Il 12 gennaio 1942 si sposa ad Imola con la fidanzata Lea Visani e si trasferiscono ad Osoppo dove presta servizio e dove aspettano assieme la mobilitazione per il fronte russo.

Nel luglio 1942 giunge l'ordine di mobilitazione del Corpo d'Armata Alpino per il fronte russo che inizia le partenze dei suoi reparti dal 17 luglio. La Divisione Julia sta completando la sua preparazione e nella seconda quindicina di agosto partono scaglionati tutti i suoi reparti per la Russia. Con l'ordine di mobilitazione viene promosso Tenente ed assegnato al Gruppo "Conegliano" in servizio al Reparto munizioni e viveri comandato dal Capitano Riccardo Manzone, reparto del quale, come ufficiale "più anziano" ne è il vice comandante. La giovane moglie rientra ad Imola, dove per diversi mesi, fino al tragico gennaio 1943, il Tenente Cenni indirizza le lettere alla piccola Giuliana nata il 22 ottobre ed alla giovane moglie che purtroppo, come molte e troppe, saranno le “giovani vedove di guerra”.

Fra il 20 ed il 25 settembre tutta la Divisione Julia ha preso possesso delle posizioni assegnate nel settore fra l'abitato di Kuvlin e quello di Karabut, a nord della divisione alpina Cuneense. Nel villaggio di Popowka ha sede invece la base logistica della Julia mentre il comando operativo ha sede a Kurenny. Il Reparto Munizioni e Viveri del Gruppo "Conegliano" viene dislocato nel villaggio di Popowka, sede della base logistica della Julia, a circa una quarantina di chilometri dal fronte del Don, villaggio che forma un triangolo fra il fiume Don e la città di Rossosh, dove ha sede il comando del Corpo d'Armata Alpino.

Ai primi di gennaio il comando del Reparto Munizioni e Viveri (cap. Riccardo Manzone, il vice comandante Ten. Rosolino Cenni ed il Ten. Fulvio Bonafini) viene spostato per esigenze operative a Podgornoje. Con lo sfondamento del fronte da parte dell'esercito russo, fra il 15 e 16 gennaio 1943, prima bombardano e poi occupano la città di Rossosch con grave possibilità di accerchiamento alle spalle anche della Divisione Julia. Il giorno seguente domenica 17 gennaio ha inizio il ripiegamento della Julia con direttrice che passa da Popowka, base logistica della Divisione, con l'ordine di dare la precedenza ai rifornimenti delle munizioni e viveri e di distruggere tutto il resto ammassato nei magazzini-depositi. Anche il comando del Reparto munizioni e viveri riceve l'ordine di rientrare a Popowka.

Durante il tragitto, nella mattina del 17 in località non precisata, la piccola colonna del Reparto viene attaccata con una imboscata dei partigiani russi, in attesa dell'arrivo dei reparti regolari dell'esercito russo provenienti da Rossosch, che causa morti, feriti e diapersi. Nella notte fra il 17 e 18 i reparti in sosta a Popowka subiscono un violento attacco dei reparti regolari dell'esercito russo che stanno sopraggiungendo da Rossosch conquistata. Fra il 18 e 19 gennaio a Popowka sarà un'ulteriore "massacro" fra morti, feriti, prigionieri e dispersi. Anche il Reparto Munizioni e Viveri subisce notevoli perdite. Fra i sette ufficiali due vengono fatti prigionieri e moriranno in marzo nei campi di prigionia, uno morirà successivamente durante il ripiegamento e due risultano dispersi all'appello sulla forza presente del giorno 19 gennaio. Solo due rientreranno in Italia. Dopo la battaglia sostenuta martedì 19 la Divisione Julia riprende la marcia del ripiegamento ed i reparti dipendenti cercano in qualche modo di riordinarsi compilando anche i ruolini della "forza presente". Nel Reparto Munizioni e Viveri non essendovi testimoni oculari sulla sua sorte, viene temporaneamente indicato "disperso dal 17 gennaio" il Tenente Cenni Rosolino di Tullo, nato a Imola classe 1913, distretto di Ravenna.

Al rientro della Divisione Julia in Italia nel marzo 1943, quando ormai si sono perse le speranze di singoli rientri di "dispersi" dalla Russia e non essendovi ulteriori notizie ne testimoni oculari viene rilasciata dichiarazione di irreperibilità dal Deposito del 3° Rgt. Artiglieria Alpina in Gorizia per essere trascritta sullo Stato di Servizio dell'ufficiale e comunicata al Distretto Militare di Ravenna, verificato, cioè ufficializzato, il 3 settembre.

Il processo D'Onofrio, parte 6

Il processo D'Onofrio, sesta parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

L'OTTAVA UDIENZA.

31 maggio 1949 - Quattro ore è durata la deposizione del grande invalido di guerra Danilo Ferretti, unico testimone ascoltato oggi dal Tribunale. Danilo Ferretti ha cominciato con il raccontare tutta la storia della sua conversione politica: partecipò alla guerra civile di Spagna a fianco dei falangisti, poi, finita la guerra spagnola, tornò in Italia dove si interessò attivamente della vita dei sindacati fascisti e finalmente si arruolò in un battaglione di camicie nere con il grado di capo manipolo. Fu dopo la sua cattura sul fronte russo che si verifica in lui la crisi di coscienza che lo portò al comunismo.

Siccome il teste continua a dilungarsi nelle sue divagazioni sulle varie operazioni belliche alle quali prese parte, il Presidente lo invita ad entrare in argomento.

Avv. Paone: 'I soldati italiani erano attrezzati per una campagna in Russia?'.

Ferretti: 'Assolutamente no. Invece arrivati nel campo di Oranki, trovammo buone accoglienze: ci furono disinfettati gli indumenti, facemmo il bagno, i malati furono immediatamente trasferiti al lazzaretto, ci furono distribuite razioni alimentari che ci consentirono di vivere. E soprattutto ci fu di grande conforto sentire dai commilitoni catturati prima di noi che in quel campo si stava discretamente bene e che lì ci saremmo rimessi in salute.

Fui fatto prigioniero nel dicembre del 1942 e condotto nell'interno della Russia con una lunga marcia, durante la quale fummo costretti a trovarci il cibo perché nessuno ce ne dava. Solo dopo quattro giorni di cammino ci fu distribuito un pezzo di pane nero. Appena mangiata la mia razione fui colto da atroci dolori al ventre e mi gettai in terra. M'abbandonarono al mio destino. Ripresa conoscenza dopo qualche ora chiesi ospitalità ad alcuni civili.

Venni accolto cortesemente in una casa e rifocillato. Furono così gentili che lasciai loro in segno di riconoscenza la mia fede d'oro. Ma non sempre era la stessa cosa. Una volta, ad esempio, trovammo rifugio in cinque in un sotterraneo. Poco dopo però fummo costretti a sloggiare. Altra volta fui aggredito da un individuo che a forza mi tolse la pelliccia che avevo indosso. Soltanto il primo gennaio del 1943 arrivai ad una stazione ferroviaria dove trovai un treno pronto che conduceva prigionieri in un campo di concentramento. Molti di noi giunsero a destinazione colpiti da dissenteria'.

Avv. Paone: 'La malattia fu provocata dalla quantità di neve che i soldati ingerirono in mancanza di acqua?'.

Ferretti: 'Certamente sì'.

I primi contatti con i fuorusciti italiani, il teste li ebbe una quindicina di giorni dopo l'arrivo ad Oranki. Il fuoruscito o istruttore politico, promise agli internati tutto l'aiuto possibile nel più breve tempo e si rivolse loro con parole di incoraggiamento. Poi invitò i prigionieri a gruppetti nel suo ufficio. Il capomanipolo Ferretti fu chiamalo insieme al sottotenente Martelli e il fuoruscito - che nessuno sapeva come si chiamasse - chiese loro quali fossero le idee politiche che professavano. Il teste afferma che dichiarò di essere fascista convinto e di desiderare vivamente la vittoria delle armi italiane.

Il teste ha narrato poi come, colpito da tifo petecchiale, venisse ricoverato immediatamente al lazzaretto; come nel frattempo le condizioni del campo fossero notevolmente migliorate con l'arrivo degli aiuti americani e come i prigionieri, sottoposti ad una accurata visita medica, fossero divisi in tre categorie a seconda delle condizioni di salute. Egli fu trasferito al campo di Skit dove trovò il trattamento alimentare ancora migliore. La sola cosa che lasciasse molto a desiderare erano le condizioni igieniche del campo. Ma il fatto che si mangiasse discretamente ebbe naturalmente influenza sul morale dei prigionieri i quali presero ad interessarsi vivamente degli avvenimenti politici. A Skit il teste conobbe Fiammenghi e, successivamente, il D'Onofrio.

Ferretti: 'Di lui riportammo ottima impressione: il discorso che ci tenne fu applaudito da tutti specialmente perché esso era improntato a vivi sentimenti di italianità, dimostrando nell'oratore una certa tolleranza per l'ideologia e per l’organizzazione dello Stato Fascista e, conseguentemente, per quella che era la fede politica di tutti. D'Onofrio chiese allora al capitano quale fosse la nostra opinione sulla situazione italiana in generale e particolarmente sulla situazione bellica. Ma a questa domanda il cap. Magnani si limitò a rispondere che la nostra qualità di ufficiali ci impediva di fare delle affermazioni di carattere politico: i prigionieri dovevano mantenersi apolitici in attesa dello sviluppo degli eventi.

Io affermai, dal mio canto, di ritenere ormai perduta la guerra, ma che, ciononostante, desideravo lo stesso che le opere del fascismo non andassero distrutte. Il solo a rispondere in tono risentito fu il ten. Sandali. Fu allora che D'Onofrio gli spiegò che con quelle idee non si sarebbe trovato troppo bene al suo ritorno in Italia, perché, certamente, al nostro rientro, noi prigionieri avremmo trovato una situazione assolutamente diversa da quella che avevamo lasciata'.

Presidente: 'Prendeva appunti D'Onofrio?'.

Ferretti: 'No. Non ho mai visto che prendesse appunti'.

Il famoso ordine del giorno da inviare a Badoglio fu discusso poco dopo il 25 luglio. Il cap. Magnani si oppose dicendo che come ufficiali i prigionieri erano a disposizione del governo e che quindi non potevano intervenire in alcun modo. D'Onofrio fece rilevare il significato dell'ordine del giorno con il quale in sostanza si approvava l'operato del governo e del Re e disse agli ufficiali di riflettere. Dal canto suo era convinto che la loro adesione non fosse affatto contraria ai loro doveri.

Su cento ufficiali presenti una trentina aderirono. I consensi alla politica del sig. D'Onofrio non erano dunque così unanimi come poco prima lo stesso teste voleva lasciar credere se le adesioni si ridussero al trenta per cento.

Avv. Taddei: 'Lei fu tra quelli che aderirono all'ordine del giorno?'.

Ferretti: 'No. Io ero ancora troppo legato sentimentalmente al mio passato politico per poterlo fare'.

Avv. Taddei: 'È vero che il cap. Magnani fu trasferito in un campo di punizione?'.

Ferretti: 'Sì. Seppi di questo trasferimento ma non ne conosco le ragioni. Non mi risulta però che gli siano state usate delle violenze da parte russa. E del resto escludo che violenze siano state commesse ai danni degli ufficiali prigionieri. Il trattamento era, in genere, discreto, e le condizioni generali dei prigionieri buone tanto che si arrivò ad organizzare perfino delle squadre di calcio.

Frequentai una scuola di antifascismo, precisamente quella di Krasnokowsk. Non potei però ultimare il corso perché, colto da una grave infiltrazione polmonare, dovetti essere trasferito in un sanatorio dove rimasi fino al gennaio del 1946, data nella quale fui rimpatriato. I più zelanti del corso erano quelli che lavoravano di più e che studiavano con più impegno, senza conseguire speciali vantaggi materiali'.

Avv. Mastino Del Rio: '... e mangiavano di meno...'.

Il capo manipolo Ferretti ha poi affermato, contrariamente a quanto aveva deposto il caporale di fanteria Luigi Leggeri, l'apologeta della vittoria delle armi russe, che ai partecipanti ai corsi veniva imposto al termine delle lezioni un giuramento di fedeltà.

Esaurita la testimonianza il Presidente licenzia il teste, ma questi prima di allontanarsi vuoi esprimere la sua viva riconoscenza ai fuorusciti italiani che, in terra di Russia, seppero formarlo in maniera da avvicinarlo, almeno spiritualmente, agli italiani che in quel momento combattevano per il loro Paese.

LA NONA UDIENZA.

1 giugno 1949 - Il protagonista della seduta odierna è stato un ex collaboratore del settimanale 'L'Alba', stampato in Russia per i prigionieri italiani, il cap. Emilio Lombardo, ufficiale in servizio permanente effettivo, attualmente collocato a disposizione, il quale depone subito dopo il sergente maggiore del 52 reggimento artiglieria della Divisione Torino, Giovanni Troia, che in sostanza ha riaffermato quanto già avevano detto i precedenti testimoni.

Troia: 'Subito dopo il 25 luglio 1943 fu costituita una scuola di antifascismo che chiesi di frequentare, unitamente ad altri 150 prigionieri italiani'.

Presidente: 'Chi era il comandante della scuola?'.

Troia: 'Un ufficiale russo, ma vi erano anche istruttori italiani come Robotti e Vella che noi chiamavamo compagni'.

Avv. Taddei: 'Che uniforme indossava il Vella?'.

Troia: 'Quella russa. Ci illustravano che cosa fosse veramente il fascismo in contrapposizione con l’idea antifascista. Al termine del corso venne D'Onofrio, il quale si trattenne alcuni giorni e parlò ai prigionieri con parole ispirate ad alto sentimento di italianità. Giurai fedeltà al popolo italiano e alla causa antifascista. Personalmente finito quel corso chiesi di passare ad un’altra scuola'.

P.M.: 'Già una specie di università, dopo la scuola media...'.

Troia: 'Rimasi in questo campo fino al maggio del 1945 e successivamente fui trasferito a quello di Taskent di dove venni rimpatriato. Rividi D'Onofrio nel secondo campo-scuola che frequentai'.

Avv. Taddei: 'Come spiega il teste il fatto di aver veduto il D'Onofrio nel 1945 se l’attuale querelante aveva fatto ritorno in Italia fino dal 1944?'.

Teste: 'Può darsi che abbia fatto confusione nelle date. Certo è però che io parlai con il D'Onofrio al secondo corso che frequentai. Anzi, siccome il corso era anche per gli ufficiali, ebbi modo di parlare del D'Onofrio con molti di essi i quali mi dimostrarono apertamente i loro sentimenti di affettuosità e di simpatia verso di lui'.

L'ingresso del cap. Emilio Lombardo è salutato dai mormorii del pubblico e da un immediato attacco dell’avv. Taddei il quale rivolgendosi al Presidente chiede che, prima che il teste sia inteso, gli si domandi se gli risulti di essere sotto inchiesta per delazione e per vessazione dei suoi compagni di prigionia. La richiesta della difesa è stata prontamente rimbeccata dagli avvocati di parte civile.

Non si può dire certamente che la deposizione del teste sia stata di quelle tranquille; anzi si è svolta sotto un intenso fuoco di fila di interruzioni e di battibecchi e punteggiata dai sorrisi ironici degli imputati. Il teste esordisce affermando come al momento della resa, nel dicembre del 1942, abbia seriamente pensato al suicidio per non cadere in mano dei russi, che gli erano stati dipinti come soldati feroci e crudeli. Ma la realtà era molto diversa. I sovietici non fucilavano i prigionieri e i comandanti russi stringevano la mano ai nostri ufficiali superiori cordialmente.

Avv. Taddei: '... E per caso rimase loro in mano un orologio...'.

L'interruzione provoca addirittura un finimondo. Per qualche minuto è un incrociarsi di vivaci invettive fra gli avvocati delle due parti, fra il rumoreggiare del pubblico e a stento si riesce a ristabilire la calma nell’aula, ove, l'atmosfera è veramente arroventata. Il pubblico e il collegio di difesa ridono clamorosamente. La parte civile interviene per deplorare il contegno degli imputati, che sorridono mentre ad essi è vietato commentare in alcun modo le deposizioni dei testi d'accusa.

Avv. Paone: 'Voi venite qui ben pasciuti ad insultare quelli che vi hanno salvato la vita!...'.

La frase è accolta da un lungo mormorio del pubblico, mentre uno degli imputati grida: 'Lo conosciamo bene, noi, il capitano Lombardo!...'.

Lombardo: 'Durante la lunga, snervante marcia a piedi verso il campo di concentramento di Tamboff, i soldati - qualche migliaio - a differenza degli ufficiali, non furono subito perquisiti e disarmati. Qualcuno, colto da improvvisa pazzia, per la spossatezza, si dette a lanciare bombe a mano, una notte, contro i partigiani sovietici che scortavano la colonna. I russi reagirono immediatamente e perquisirono tutti: coloro che furono trovati in possesso di rivoltelle o di bombe a mano furono fucilati sul posto. Poi il viaggio nella steppa riprese, finché un congelamento ai piedi, durante il cammino, mi costrinse ad una lunga permanenza in un lazzaretto.

A Tamboff, subito dopo l'arrivo di uno scaglione di ufficiali alpini catturati, si manifestò una grave epidemia di tifo petecchiale. Il comando del campo provvide immediatamente ad isolare tutte le baracche da quella dove erano stati alloggiati i nuovi arrivati, ma qualche contatto rimase colla baracca degli ufficiali contagiati per barattare del pane bianco. Si creò così un veicolo di infezione'.

Avv. Taddei: 'Quanti furono i morti?'.

Lombardo: 'Molti, moltissimi anzi. La mortalità toccò una percentuale del 60 per cento nonostante il buon trattamento che ci veniva fatto dai russi, i quali subito dopo aver provveduto all'isolamento dei malati, inviarono nel campo sanitari e infermiere, una delle quali, contagiata, morì nel campo'.

Presidente: 'Dove ha conosciuto D'Onofrio?'.

Lombardo: 'Lo vidi per la prima volta al campo di Oranki. Egli mi mandò a chiamare insieme al cap. Angelozzi. Non si trattava però di un interrogatorio: egli mi rivolse alcune domande per sapere cosa ne pensassi dell'andamento del conflitto, subito soggiungendo che, se non volevo, potevo anche rifiutarmi di rispondere'.

Presidente: 'Lei faceva già parte del gruppo antifascista?'.

Lombardo: 'Sì. Assistetti anche alle conferenze di D'Onofrio. Quanto al famoso ordine del giorno proposto dal querelante dopo il 25 luglio 1943 esso fu prima esaminato dal gruppo antifascista e poi approvato da tutti perché era molto moderato. Passai successivamente al campo di Skit'.

Presidente: 'Secondo lei, che cosa si proponeva D'Onofrio?'.

Lombardo: 'Secondo me voleva sapere se gli italiani intendevano continuare o no a combattere a fianco dei tedeschi. E infatti fu costituita nel campo una formazione garibaldina alla quale aderirono anche due degli attuali imputati...'.

Avv. Taddei: 'Ciò avvenne prima o dopo l’8 settembre?'. Lombardo: 'Dopo l’8 settembre'.

Avv. Taddei: 'Già. Come si vede è tutt’altra cosa. Anche il cap. Lombardo fu allievo della scuola di antifascismo che sorse nei pressi di Mosca. In essa, ha dichiarato il teste, si tenevano lezioni su problemi sociali, economici e filosofici nonché sulla organizzazione della nazione sovietica. Nella scuola vi era ampia facoltà di critica'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Ma davvero?!?!...'.

Lombardo: 'Certamente. Il giuramento che si pronunciava alla fine del corso non era affatto quello riferito dal teste indotto dalla difesa, ma con esso si giurava soltanto 'fedeltà al popolo e al proletariato italiano'. Un ufficiale non poteva trovare nulla in contrario a firmarlo'.

Avv. Taddei: 'Il teste sa se prima della sua cattura siano stati distribuiti nelle file dell’esercito italiano manifesti russi?'.

Lombardo: 'Sì. Effettivamente alcuni aeroplani gettarono sul nostro fronte volantini nei quali si assicurava che i prigionieri italiani erano trattati con la massima cura. I volantini erano firmati anche dall’imputato Avalli che era stato già catturato a quell'epoca. Fui anche nel campo di Susdal, per qualche tempo. Lì ogni domenica si celebrava la messa e i sovietici non facevano alcuna difficoltà. Nella ricorrenza del Natale, anzi, fu allestito un presepe artistico dai prigionieri e fu celebrata anche una solenne messa cantata. Il comandante russo del campo e parecchie autorità e funzionari sovietici vennero a vedere il presepe'.

Avv. Taddei: 'È vero che un funzionario sovietico, vedendo il presepe esclamò: 'Napoli bella...'?'.

La domanda rimane senza alcuna risposta, ma in compenso, a questo punto, siamo quasi alla fine dell’udienza, si scatena l'ennesimo incidente della giornata.

Avv. Taddei: 'Sa spiegarci lei, perché al rientro dalla prigionia, appena varcata la frontiera di Tarvisio, alcuni ufficiali furono schiaffeggiati da altri loro compagni di prigionia?'.

Lombardo: 'Fra gli aggrediti ero anche io. Fummo malmenati perché avevamo fatto parte del gruppo antifascista...'.

Avv. Taddei: 'O non piuttosto perché il teste fece parte al campo di Sighet, in Romania, di una commissione la quale ordinò che 50 nostri prigionieri fossero trattenuti, come lo furono, ancora per un mese?'.

Lombardo: 'È assolutamente falso'.

Avv. Taddei: 'Il cap. Lombardo, può dire, in tutta lealtà, se egli è attualmente sottoposto a sanzioni disciplinari?'.

Avv. Sotgiu: 'Mi oppongo alla domanda!'.

Avv. Taddei: 'Allora faccio istanza formale, perché il Tribunale richieda al Ministero della Difesa l'elenco degli ufficiali sottoposti ad inchieste disciplinari per crimini commessi nella loro qualità di prigionieri di guerra. E ciò per vagliare la attendibilità di certi testimoni'.

Avv. Sotgiu: 'Ritengo infondata la richiesta della difesa. Essa non contribuirebbe a chiarire nessun elemento del processo'.

P.M.: 'Mi associo alla domanda dell’avv. Taddei purché tale elenco sia accompagnato da notizie riguardanti l'esito di tali inchieste'.

Avv. Sotgiu: 'Dichiaro fin d'ora che, se la domanda viene accolta, il processo dovrebbe essere sospeso finché non sia stato reso noto l'esito definitivo dell’inchiesta'.

Il Presidente toglie la seduta dopo che il Tribunale ha stabilito di prendere un provvedimento una volta escussi tutti i testi. E il seguito è rinviato a lunedì.

martedì 4 maggio 2021

Commissione speciale dell'ONU, parte 6

Pubblico la sesta parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

In apertura dei lavori della Commissione il Delegato Italiano On. Meda fece la seguente dichiarazione: "Signor presidente, il Governo italiano ha accolto con la più profonda gratitudine l'invito che la Commissione speciale delle Nazioni Unite gli ha rivolto di prendere parte a questa riunione. Invito che il Governo ha accolto in uno spirito di fraterna solidarietà verso tutti coloro che ancor oggi, a tanta distanza dalla fine del secondo conflitto mondiale, hanno nel cuore un'angoscia, quella di non poter conoscere il destino dei loro congiunti, che i tragici eventi della guerra hanno strappato ai loro familiari. L'iniziativa che si realizza in seno alla commissione speciale, ha senza dubbio rafforzato nei cuori, provati da tanto dolore, la speranza, che è l'espressione dei più nobili e profondi sentimenti umani. A nome di questo spirito umanitario, di questo spirito che non conosce ne frontiere, né interessi ideologici, noi siamo pronti a dare il nostro modesto ma appassionato contributo, nella certezza di trovarci vicini a tutti i popoli sul fronte della umana solidarietà.

Noi non abbiamo altro desiderio che di far si che tutti gli italiani che si trovano ancora forzatamente lontani dalla loro patria a causa o a seguito della guerra possano ritornare alle loro case. Il nostro voto si formula anche per tutti i cittadini, e noi sappiamo che sono numerosissimi, che sono lontani dai loro Paesi in condizioni simili ai nostri connazionali. Noi sappiamo che in questo momento centinaia e migliaia di cuori seguono e vivono la nostra speranza, la speranza di far si che il nostro lavoro arrivi a dare risultati concreti, e noi crediamo che questo lavoro non potrà trovare ostacoli, perché il suo scopo è soltanto e sinceramente umanitario. Noi siamo d'avviso, ripeto, che quando si tratta di proteggere i diritti, i più sacrosanti diritti degli uomini e soprattutto degli uomini poveri, la coscienza ci invita ad unirci al di sopra di tutti i possibili contrasti. Davanti al dolore non possono sorgere che l'amore e la solidarietà. Noi abbiamo dunque speranza che, in rapporto ai fini cosi elevati perseguiti dalla Commissione speciale, tutti i Paesi invitati vorranno dare la loro collaborazione al suo lavoro. Possa questa collaborazione realizzarsi. Essa permetterà cosi che si verifichi anche la realtà di ritornare a ciascuna famiglia, che ancora piange nel dolore dell'incertezza, la certezza di una vita".

Nel corso delle sedute i Delegati delle Nazioni interessate svolsero le loro dichiarazioni sul problema in discussione mantenendosi puramente nel piano umanitario. Durante le sedute private la Commissione ascoltò le comunicazioni e le informazioni supplementari, dei Delegati che dettero chiarimenti alle domande loro poste dai membri della commissione. Il Delegato Italiano On. Meda fece a nome del suo Governo la seguente dichiarazione ufficiale nella seduta pubblica del 9 febbr. 1952: "Il sentimento di stima e di gratitudine che ho espresso a nome del mio Governo al principio della presente sessione della Commissione Speciale per i prigionieri di guerra trova la sua piena conferma in questo momento in cui stiamo per separarci dopo aver preparato insieme un lavoro destinato ad avere, senza alcun dubbio, in un prossimo avvenire uno sviluppo tale che ci permetterà di raggiungere lo scopo che ci siamo prefissi. Noi abbiamo detto che sul fronte russo circa 73.000 soldati italiani erano stati dati dispersi e che di questo totale circa 10.000 sono stati poi rimpatriati. Restano dunque 63.000 militari di cui non si conosce la sorte.

Inoltre, sul fronte dei Balcani vi furono 21.000 militari dispersi, un certo numero di civili. Ma noi abbiamo dichiarato che al di sopra di ogni ragione e passione di carattere politico avremmo agito solamente in uno spirito di umanità e di solidarietà. Non ci siamo scostati e non dobbiamo scostarci da questa linea di condotta, nella speranza che tutti possano collaborare con voi alla realizzazione di questo principio di carità umana e di giustizia. I lavori della Commissione sono stati seguiti da vicino dalle famiglie dei dispersi e dei prigionieri che, rendendosi conto delle difficoltà che sbarrano la strada, si sono più affettuosamente e più fraternamente affiancati a noi in questo sforzo. Questi lavori sono stati seguiti, siatene sicuri, da tutti quelli che hanno la speranza di rientrare alle loro case, e per i quali l'attività della Commissione rappresenta un viatico e un conforto che darà loro la forza di resistere a tutte le difficoltà e a conservare la loro fiducia nell'avvenire. E' nostro dovere indirizzare una parola di speranza e di formulare una promessa precisa a tutti coloro che attendono: la Commissione continuerà il suo lavoro fino a quando, nei limiti del possibile, la sorte dei dispersi sarà conosciuta. Noi abbiamo piena fiducia nell'avvenire, nella generosità degli uomini, e crediamo fermamente nella Divina provvidenza. E' per questo che ora, prendendo congedo cordialmente da voi, noi indirizziamo un arrivederci pieno di speranza e formuliamo un voto: l'augurio che la prossima sessione possa vedere realizzata la collaborazione di tutti gli Stati, e che nessuna poltrona resti vuota attorno a questo tavolo. Il nostro augurio, la nostra speranza, la speranza di tutti gli uomini di buona volontà, di tutti gli uomini onesti".

A chiusura dei lavori la Commissione decise di: - indirizzare a tutti i Governi che detenevano alcune persone, sia sotto l'accusa di crimini di guerra, sia dopo il giudizio che li aveva dichiarati colpevoli di tali crimini, una lettera chiedendo di inviare informazioni dettagliate; - inoltrare al Governo dell'Unione Sovietica una lettera con la quale si sarebbe chiesto di conoscere i nomi dei prigionieri di guerra che erano morti durante la prigionia in mano russa; - chiedere al Governo dell'Albania, su raccomandazioni, della Delegazione Italiana, le informazioni su un certo numero di italiani internati e trattenuti in Albania; - trasmettere al Governo dell'U.R.S.S. la domanda del Governo Italiano per il rimpatrio di quattro connazionali trattenuti in Russia, sotto l'accusa di crimini di guerra e che si sapevano gravemente ammalati.

Nel mese di agosto dello stesso anno 1952 venne convocata la IIIa Sessione della Commissione Sociale dell'O.N.U.; intervennero le delegazioni di 10 Paesi: Australia - Belgio - Danimarca - Francia - Germania - Giappone - Gran Bretagna - Italia - Lussemburgo e Stati Uniti. In linea di massima le dichiarazioni - con le quali si fece il punto della situazione dei prigionieri di guerra e dei dispersi dei singoli stati interessati - risultarono concordi nel chiedere la prosecuzione dei lavori per pervenire ad una soluzione del problema. Senza alcuna riserva si espressero favorevolmente le delegazioni del Giappone e della Germania, specie quest'ultima che attribuì all'azione della Commissione il rimpatrio di circa 600 prigionieri tedeschi, avvenuto nel corso dell'anno 1952. La delegazione italiana, pure solidale alla richiesta, formulò la proposta di informare con un rapporto l'Assemblea Generale dell'O.N.U. sui lavori e sui risultati conseguiti dalla Commissione nelle tre sessioni.

La proposta della delegazione italiana venne accolta ed alla chiusura della IIIa Sessione, la Commissione Speciale dell'O.N.U. determinò la stesura di un particolareggiato rapporto da presentare all'Assemblea dell'O.N.U. in una delle sue riunioni. Questa la dichiarazione ufficiale del delegato On. Meda: "Signor Presidente, Io sono incaricato dal mio Governo di ringraziare vivamente Voi e gli altri membri della Commissione Speciale per il lavoro già compiuto. La Delegazione Italiana ancora qui per sottoporVi di nuovo il problema dei soldati italiani dispersi in territorio sovietico con lo stesso spirito e con gli stessi termini espressi nelle sedute pubbliche e private della sessione precedente. Noi ci riferiamo ugualmente alla documentazione già in Vs. possesso, ma noi abbiamo qualche elemento che rinforza le prove dell'esistenza di un certo numero di Italiani trattenuti nell'Unione Sovietica. Ci dispiace che l'Unione Sovietica non abbia sentito il dovere di inviare un delegato ai lavori di questa terza Sessione, noi, sempre attaccati a quello spirito di obiettività che abbiamo adottato come linea di condotta nel passato, ci permettiamo di attirare ancora una volta l'attenzione della Commissione e dell'opinione pubblica sui seguenti fatti: l'Armata italiana che ha operato sul fronte russo durante la guerra si elevava a 230.000 uomini: 11.000 sono deceduti in combattimento e circa 73.000 sono risultati dispersi.

Noi non abbiamo potuto conoscere esattamente il numero dei soldati italiani caduti in prigionia e diretti verso i campi sovietici. Le sole indicazioni che abbiamo sono le liste dei nomi che la radio sovietica ha diffuso immediatamente dopo le operazioni militari del 1942-1943 e i nomi di un certo numero di prigionieri trattenuti dal Governo sovietico sotto il pretesto che essi erano dei criminali di guerra; inoltre qualche testimonianza e più recentemente delle lettere - in verità poco numerose - che qualche prigioniero ha potuto far pervenire in Italia. A tutto questo bisogna aggiungere gli atti di decesso - di un centinaio - che sono pervenuti alle autorità italiane per le cure di un servizio diplomatico sovietico. Tenendo conto che circa 10.000 prigionieri catturati sul fronte russo sono stati rimpatriati nel corso degli anni 1945-46, resta ancora da chiarire la sorte di circa 63 mila Italiani che facevano parte dell'ARMIR.

Che cosa abbiamo domandato e che cosa domandiamo ancora oggi al Governo sovietico? Semplicemente questo: 1. Che ci faccia sapere il numero dei prigionieri italiani che sono arrivati nei campi sovietici; 2. Che ci faccia pervenire una lista di questi campi; 3. Che ci dia un esemplare dei registri di questi campi con i nomi dei prigionieri e l'indicazione della loro sorte; vale a dire se essi sono morti o rimpatriati; 4. Che ci informi della eventuale perdita della nazionalità italiana, per legge o per loro volontà, dei prigionieri. In questo caso che ci dia la lista di queste persone d'origine italiana; 5. Che ci dia una lista dei cimiteri dove sono sepolti i soldati deceduti in prigionia indicandoci eventualmente, per ciascun cimitero, il numero e la lista dei nomi dei soldati che vi sono seppelliti; 6. Che permetta il rimpatrio degli italiani ancora trattenuti nell'URSS sia come pretesi criminali di guerra sia sotto altro titolo. Attendendo che ci comunichi il nome di tutti questi, e, per i pretesi criminali, le colpe delle quali essi sono accusati e la durata dell'eventuale pena, si incarichi di rimpatriare i soldati di cui l'esistenza in territorio sovietico è stata provata da lettere di data recente inviate ai loro famigliari in Italia; 7. Che studi la possibilità di permettere l'accesso in territorio sovietico di una commissione italiana sotto gli auspici della Commissione Speciale o del Comitato Internazionale della Croce Rossa, al fine di fare delle ricerche dei nostri concittadini viventi in territorio sovietico.



Racconti di Russia, Buck

Questo racconto è tratto dal libro: "NIKOLAJEWKA: C'ERO ANCH'IO" di Giulio Bedeschi e narra la vicenda di un cane, mascotte del Gruppo Conegliano, che insieme ai suoi compagni alpini affrontò i giorni della ritirata. Tenente veterinario Carlo Dodi, Gruppo Conegliano, 3° Reggimento Artiglieria Alpina.

Si chiamava Buck, gli artiglieri se l'erano portato da Gorizia in Russia come mascotte, era un bellissimo cane pastore tedesco che si era particolarmente affezionato a me. Quando, a metà dicembre '42, per lo sfondamento del fronte avvenuto a sud, la Julia venne improvvisamente trasferita su quel fronte, dovemmo lasciare Buck al reparto munizioni e viveri a Popowka, ed io non seppi più nulla del cane per un mese esatto allorché, giungendo in ritirata a Popowka, mentre già ci eravamo incolonnati per ripartire, venni aggredito dalla frenesia di Buck che mi aveva ritrovato, e a salti e balzi e con gioioso abbaiare mi aggrediva letteralmente sulla neve.

Eravamo reduci da un'ininterrotta marcia di due giorni, e ormai in preda a una stanchezza mortale; ma non so descrivere la contentezza e addirittura l'aiuto morale che me ne venne, nel constatare che anche in quei frangenti c'era un cane che dava importanza alla mia presenza: mi sentii stimolato a resistere. Già i russi attaccavano sparando dalla parte di Rossosch, cadde una gragnuola di colpi di mortaio ma Buck mi rimase vicino, innervosito, mi strisciava il capo contro il ginocchio e mi restò vicino, strisciando contro il grigioverde del mio cappotto sembrava volermi rincuorare con la sua presenza.

Fece le prime marce sempre restando ad un passo da me; l'ho perso di vista soltanto durante il successivo feroce combattimento con il grande scompiglio che ne derivò, anch'egli come il mio attendente rimase sperduto nella tragedia. Io non so se ha aspettato me, certo io sono sicuro che non è scappato. Ed era solo un cane, il mio cane Buck.

RICCARDO