lunedì 10 maggio 2021

Il processo D'Onofrio, parte 6

Il processo D'Onofrio, sesta parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

L'OTTAVA UDIENZA.

31 maggio 1949 - Quattro ore è durata la deposizione del grande invalido di guerra Danilo Ferretti, unico testimone ascoltato oggi dal Tribunale. Danilo Ferretti ha cominciato con il raccontare tutta la storia della sua conversione politica: partecipò alla guerra civile di Spagna a fianco dei falangisti, poi, finita la guerra spagnola, tornò in Italia dove si interessò attivamente della vita dei sindacati fascisti e finalmente si arruolò in un battaglione di camicie nere con il grado di capo manipolo. Fu dopo la sua cattura sul fronte russo che si verifica in lui la crisi di coscienza che lo portò al comunismo.

Siccome il teste continua a dilungarsi nelle sue divagazioni sulle varie operazioni belliche alle quali prese parte, il Presidente lo invita ad entrare in argomento.

Avv. Paone: 'I soldati italiani erano attrezzati per una campagna in Russia?'.

Ferretti: 'Assolutamente no. Invece arrivati nel campo di Oranki, trovammo buone accoglienze: ci furono disinfettati gli indumenti, facemmo il bagno, i malati furono immediatamente trasferiti al lazzaretto, ci furono distribuite razioni alimentari che ci consentirono di vivere. E soprattutto ci fu di grande conforto sentire dai commilitoni catturati prima di noi che in quel campo si stava discretamente bene e che lì ci saremmo rimessi in salute.

Fui fatto prigioniero nel dicembre del 1942 e condotto nell'interno della Russia con una lunga marcia, durante la quale fummo costretti a trovarci il cibo perché nessuno ce ne dava. Solo dopo quattro giorni di cammino ci fu distribuito un pezzo di pane nero. Appena mangiata la mia razione fui colto da atroci dolori al ventre e mi gettai in terra. M'abbandonarono al mio destino. Ripresa conoscenza dopo qualche ora chiesi ospitalità ad alcuni civili.

Venni accolto cortesemente in una casa e rifocillato. Furono così gentili che lasciai loro in segno di riconoscenza la mia fede d'oro. Ma non sempre era la stessa cosa. Una volta, ad esempio, trovammo rifugio in cinque in un sotterraneo. Poco dopo però fummo costretti a sloggiare. Altra volta fui aggredito da un individuo che a forza mi tolse la pelliccia che avevo indosso. Soltanto il primo gennaio del 1943 arrivai ad una stazione ferroviaria dove trovai un treno pronto che conduceva prigionieri in un campo di concentramento. Molti di noi giunsero a destinazione colpiti da dissenteria'.

Avv. Paone: 'La malattia fu provocata dalla quantità di neve che i soldati ingerirono in mancanza di acqua?'.

Ferretti: 'Certamente sì'.

I primi contatti con i fuorusciti italiani, il teste li ebbe una quindicina di giorni dopo l'arrivo ad Oranki. Il fuoruscito o istruttore politico, promise agli internati tutto l'aiuto possibile nel più breve tempo e si rivolse loro con parole di incoraggiamento. Poi invitò i prigionieri a gruppetti nel suo ufficio. Il capomanipolo Ferretti fu chiamalo insieme al sottotenente Martelli e il fuoruscito - che nessuno sapeva come si chiamasse - chiese loro quali fossero le idee politiche che professavano. Il teste afferma che dichiarò di essere fascista convinto e di desiderare vivamente la vittoria delle armi italiane.

Il teste ha narrato poi come, colpito da tifo petecchiale, venisse ricoverato immediatamente al lazzaretto; come nel frattempo le condizioni del campo fossero notevolmente migliorate con l'arrivo degli aiuti americani e come i prigionieri, sottoposti ad una accurata visita medica, fossero divisi in tre categorie a seconda delle condizioni di salute. Egli fu trasferito al campo di Skit dove trovò il trattamento alimentare ancora migliore. La sola cosa che lasciasse molto a desiderare erano le condizioni igieniche del campo. Ma il fatto che si mangiasse discretamente ebbe naturalmente influenza sul morale dei prigionieri i quali presero ad interessarsi vivamente degli avvenimenti politici. A Skit il teste conobbe Fiammenghi e, successivamente, il D'Onofrio.

Ferretti: 'Di lui riportammo ottima impressione: il discorso che ci tenne fu applaudito da tutti specialmente perché esso era improntato a vivi sentimenti di italianità, dimostrando nell'oratore una certa tolleranza per l'ideologia e per l’organizzazione dello Stato Fascista e, conseguentemente, per quella che era la fede politica di tutti. D'Onofrio chiese allora al capitano quale fosse la nostra opinione sulla situazione italiana in generale e particolarmente sulla situazione bellica. Ma a questa domanda il cap. Magnani si limitò a rispondere che la nostra qualità di ufficiali ci impediva di fare delle affermazioni di carattere politico: i prigionieri dovevano mantenersi apolitici in attesa dello sviluppo degli eventi.

Io affermai, dal mio canto, di ritenere ormai perduta la guerra, ma che, ciononostante, desideravo lo stesso che le opere del fascismo non andassero distrutte. Il solo a rispondere in tono risentito fu il ten. Sandali. Fu allora che D'Onofrio gli spiegò che con quelle idee non si sarebbe trovato troppo bene al suo ritorno in Italia, perché, certamente, al nostro rientro, noi prigionieri avremmo trovato una situazione assolutamente diversa da quella che avevamo lasciata'.

Presidente: 'Prendeva appunti D'Onofrio?'.

Ferretti: 'No. Non ho mai visto che prendesse appunti'.

Il famoso ordine del giorno da inviare a Badoglio fu discusso poco dopo il 25 luglio. Il cap. Magnani si oppose dicendo che come ufficiali i prigionieri erano a disposizione del governo e che quindi non potevano intervenire in alcun modo. D'Onofrio fece rilevare il significato dell'ordine del giorno con il quale in sostanza si approvava l'operato del governo e del Re e disse agli ufficiali di riflettere. Dal canto suo era convinto che la loro adesione non fosse affatto contraria ai loro doveri.

Su cento ufficiali presenti una trentina aderirono. I consensi alla politica del sig. D'Onofrio non erano dunque così unanimi come poco prima lo stesso teste voleva lasciar credere se le adesioni si ridussero al trenta per cento.

Avv. Taddei: 'Lei fu tra quelli che aderirono all'ordine del giorno?'.

Ferretti: 'No. Io ero ancora troppo legato sentimentalmente al mio passato politico per poterlo fare'.

Avv. Taddei: 'È vero che il cap. Magnani fu trasferito in un campo di punizione?'.

Ferretti: 'Sì. Seppi di questo trasferimento ma non ne conosco le ragioni. Non mi risulta però che gli siano state usate delle violenze da parte russa. E del resto escludo che violenze siano state commesse ai danni degli ufficiali prigionieri. Il trattamento era, in genere, discreto, e le condizioni generali dei prigionieri buone tanto che si arrivò ad organizzare perfino delle squadre di calcio.

Frequentai una scuola di antifascismo, precisamente quella di Krasnokowsk. Non potei però ultimare il corso perché, colto da una grave infiltrazione polmonare, dovetti essere trasferito in un sanatorio dove rimasi fino al gennaio del 1946, data nella quale fui rimpatriato. I più zelanti del corso erano quelli che lavoravano di più e che studiavano con più impegno, senza conseguire speciali vantaggi materiali'.

Avv. Mastino Del Rio: '... e mangiavano di meno...'.

Il capo manipolo Ferretti ha poi affermato, contrariamente a quanto aveva deposto il caporale di fanteria Luigi Leggeri, l'apologeta della vittoria delle armi russe, che ai partecipanti ai corsi veniva imposto al termine delle lezioni un giuramento di fedeltà.

Esaurita la testimonianza il Presidente licenzia il teste, ma questi prima di allontanarsi vuoi esprimere la sua viva riconoscenza ai fuorusciti italiani che, in terra di Russia, seppero formarlo in maniera da avvicinarlo, almeno spiritualmente, agli italiani che in quel momento combattevano per il loro Paese.

LA NONA UDIENZA.

1 giugno 1949 - Il protagonista della seduta odierna è stato un ex collaboratore del settimanale 'L'Alba', stampato in Russia per i prigionieri italiani, il cap. Emilio Lombardo, ufficiale in servizio permanente effettivo, attualmente collocato a disposizione, il quale depone subito dopo il sergente maggiore del 52 reggimento artiglieria della Divisione Torino, Giovanni Troia, che in sostanza ha riaffermato quanto già avevano detto i precedenti testimoni.

Troia: 'Subito dopo il 25 luglio 1943 fu costituita una scuola di antifascismo che chiesi di frequentare, unitamente ad altri 150 prigionieri italiani'.

Presidente: 'Chi era il comandante della scuola?'.

Troia: 'Un ufficiale russo, ma vi erano anche istruttori italiani come Robotti e Vella che noi chiamavamo compagni'.

Avv. Taddei: 'Che uniforme indossava il Vella?'.

Troia: 'Quella russa. Ci illustravano che cosa fosse veramente il fascismo in contrapposizione con l’idea antifascista. Al termine del corso venne D'Onofrio, il quale si trattenne alcuni giorni e parlò ai prigionieri con parole ispirate ad alto sentimento di italianità. Giurai fedeltà al popolo italiano e alla causa antifascista. Personalmente finito quel corso chiesi di passare ad un’altra scuola'.

P.M.: 'Già una specie di università, dopo la scuola media...'.

Troia: 'Rimasi in questo campo fino al maggio del 1945 e successivamente fui trasferito a quello di Taskent di dove venni rimpatriato. Rividi D'Onofrio nel secondo campo-scuola che frequentai'.

Avv. Taddei: 'Come spiega il teste il fatto di aver veduto il D'Onofrio nel 1945 se l’attuale querelante aveva fatto ritorno in Italia fino dal 1944?'.

Teste: 'Può darsi che abbia fatto confusione nelle date. Certo è però che io parlai con il D'Onofrio al secondo corso che frequentai. Anzi, siccome il corso era anche per gli ufficiali, ebbi modo di parlare del D'Onofrio con molti di essi i quali mi dimostrarono apertamente i loro sentimenti di affettuosità e di simpatia verso di lui'.

L'ingresso del cap. Emilio Lombardo è salutato dai mormorii del pubblico e da un immediato attacco dell’avv. Taddei il quale rivolgendosi al Presidente chiede che, prima che il teste sia inteso, gli si domandi se gli risulti di essere sotto inchiesta per delazione e per vessazione dei suoi compagni di prigionia. La richiesta della difesa è stata prontamente rimbeccata dagli avvocati di parte civile.

Non si può dire certamente che la deposizione del teste sia stata di quelle tranquille; anzi si è svolta sotto un intenso fuoco di fila di interruzioni e di battibecchi e punteggiata dai sorrisi ironici degli imputati. Il teste esordisce affermando come al momento della resa, nel dicembre del 1942, abbia seriamente pensato al suicidio per non cadere in mano dei russi, che gli erano stati dipinti come soldati feroci e crudeli. Ma la realtà era molto diversa. I sovietici non fucilavano i prigionieri e i comandanti russi stringevano la mano ai nostri ufficiali superiori cordialmente.

Avv. Taddei: '... E per caso rimase loro in mano un orologio...'.

L'interruzione provoca addirittura un finimondo. Per qualche minuto è un incrociarsi di vivaci invettive fra gli avvocati delle due parti, fra il rumoreggiare del pubblico e a stento si riesce a ristabilire la calma nell’aula, ove, l'atmosfera è veramente arroventata. Il pubblico e il collegio di difesa ridono clamorosamente. La parte civile interviene per deplorare il contegno degli imputati, che sorridono mentre ad essi è vietato commentare in alcun modo le deposizioni dei testi d'accusa.

Avv. Paone: 'Voi venite qui ben pasciuti ad insultare quelli che vi hanno salvato la vita!...'.

La frase è accolta da un lungo mormorio del pubblico, mentre uno degli imputati grida: 'Lo conosciamo bene, noi, il capitano Lombardo!...'.

Lombardo: 'Durante la lunga, snervante marcia a piedi verso il campo di concentramento di Tamboff, i soldati - qualche migliaio - a differenza degli ufficiali, non furono subito perquisiti e disarmati. Qualcuno, colto da improvvisa pazzia, per la spossatezza, si dette a lanciare bombe a mano, una notte, contro i partigiani sovietici che scortavano la colonna. I russi reagirono immediatamente e perquisirono tutti: coloro che furono trovati in possesso di rivoltelle o di bombe a mano furono fucilati sul posto. Poi il viaggio nella steppa riprese, finché un congelamento ai piedi, durante il cammino, mi costrinse ad una lunga permanenza in un lazzaretto.

A Tamboff, subito dopo l'arrivo di uno scaglione di ufficiali alpini catturati, si manifestò una grave epidemia di tifo petecchiale. Il comando del campo provvide immediatamente ad isolare tutte le baracche da quella dove erano stati alloggiati i nuovi arrivati, ma qualche contatto rimase colla baracca degli ufficiali contagiati per barattare del pane bianco. Si creò così un veicolo di infezione'.

Avv. Taddei: 'Quanti furono i morti?'.

Lombardo: 'Molti, moltissimi anzi. La mortalità toccò una percentuale del 60 per cento nonostante il buon trattamento che ci veniva fatto dai russi, i quali subito dopo aver provveduto all'isolamento dei malati, inviarono nel campo sanitari e infermiere, una delle quali, contagiata, morì nel campo'.

Presidente: 'Dove ha conosciuto D'Onofrio?'.

Lombardo: 'Lo vidi per la prima volta al campo di Oranki. Egli mi mandò a chiamare insieme al cap. Angelozzi. Non si trattava però di un interrogatorio: egli mi rivolse alcune domande per sapere cosa ne pensassi dell'andamento del conflitto, subito soggiungendo che, se non volevo, potevo anche rifiutarmi di rispondere'.

Presidente: 'Lei faceva già parte del gruppo antifascista?'.

Lombardo: 'Sì. Assistetti anche alle conferenze di D'Onofrio. Quanto al famoso ordine del giorno proposto dal querelante dopo il 25 luglio 1943 esso fu prima esaminato dal gruppo antifascista e poi approvato da tutti perché era molto moderato. Passai successivamente al campo di Skit'.

Presidente: 'Secondo lei, che cosa si proponeva D'Onofrio?'.

Lombardo: 'Secondo me voleva sapere se gli italiani intendevano continuare o no a combattere a fianco dei tedeschi. E infatti fu costituita nel campo una formazione garibaldina alla quale aderirono anche due degli attuali imputati...'.

Avv. Taddei: 'Ciò avvenne prima o dopo l’8 settembre?'. Lombardo: 'Dopo l’8 settembre'.

Avv. Taddei: 'Già. Come si vede è tutt’altra cosa. Anche il cap. Lombardo fu allievo della scuola di antifascismo che sorse nei pressi di Mosca. In essa, ha dichiarato il teste, si tenevano lezioni su problemi sociali, economici e filosofici nonché sulla organizzazione della nazione sovietica. Nella scuola vi era ampia facoltà di critica'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Ma davvero?!?!...'.

Lombardo: 'Certamente. Il giuramento che si pronunciava alla fine del corso non era affatto quello riferito dal teste indotto dalla difesa, ma con esso si giurava soltanto 'fedeltà al popolo e al proletariato italiano'. Un ufficiale non poteva trovare nulla in contrario a firmarlo'.

Avv. Taddei: 'Il teste sa se prima della sua cattura siano stati distribuiti nelle file dell’esercito italiano manifesti russi?'.

Lombardo: 'Sì. Effettivamente alcuni aeroplani gettarono sul nostro fronte volantini nei quali si assicurava che i prigionieri italiani erano trattati con la massima cura. I volantini erano firmati anche dall’imputato Avalli che era stato già catturato a quell'epoca. Fui anche nel campo di Susdal, per qualche tempo. Lì ogni domenica si celebrava la messa e i sovietici non facevano alcuna difficoltà. Nella ricorrenza del Natale, anzi, fu allestito un presepe artistico dai prigionieri e fu celebrata anche una solenne messa cantata. Il comandante russo del campo e parecchie autorità e funzionari sovietici vennero a vedere il presepe'.

Avv. Taddei: 'È vero che un funzionario sovietico, vedendo il presepe esclamò: 'Napoli bella...'?'.

La domanda rimane senza alcuna risposta, ma in compenso, a questo punto, siamo quasi alla fine dell’udienza, si scatena l'ennesimo incidente della giornata.

Avv. Taddei: 'Sa spiegarci lei, perché al rientro dalla prigionia, appena varcata la frontiera di Tarvisio, alcuni ufficiali furono schiaffeggiati da altri loro compagni di prigionia?'.

Lombardo: 'Fra gli aggrediti ero anche io. Fummo malmenati perché avevamo fatto parte del gruppo antifascista...'.

Avv. Taddei: 'O non piuttosto perché il teste fece parte al campo di Sighet, in Romania, di una commissione la quale ordinò che 50 nostri prigionieri fossero trattenuti, come lo furono, ancora per un mese?'.

Lombardo: 'È assolutamente falso'.

Avv. Taddei: 'Il cap. Lombardo, può dire, in tutta lealtà, se egli è attualmente sottoposto a sanzioni disciplinari?'.

Avv. Sotgiu: 'Mi oppongo alla domanda!'.

Avv. Taddei: 'Allora faccio istanza formale, perché il Tribunale richieda al Ministero della Difesa l'elenco degli ufficiali sottoposti ad inchieste disciplinari per crimini commessi nella loro qualità di prigionieri di guerra. E ciò per vagliare la attendibilità di certi testimoni'.

Avv. Sotgiu: 'Ritengo infondata la richiesta della difesa. Essa non contribuirebbe a chiarire nessun elemento del processo'.

P.M.: 'Mi associo alla domanda dell’avv. Taddei purché tale elenco sia accompagnato da notizie riguardanti l'esito di tali inchieste'.

Avv. Sotgiu: 'Dichiaro fin d'ora che, se la domanda viene accolta, il processo dovrebbe essere sospeso finché non sia stato reso noto l'esito definitivo dell’inchiesta'.

Il Presidente toglie la seduta dopo che il Tribunale ha stabilito di prendere un provvedimento una volta escussi tutti i testi. E il seguito è rinviato a lunedì.

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