sabato 15 maggio 2021

Il processo D'Onofrio, parte 7

Il processo D'Onofrio, settima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA DECIMA UDIENZA.

6 giugno 1949. - Ancora quattro testi d’accusa, tra oggi e domani, e poi sarà la volta del secondo gruppo di quelli a discarico e le accuse cominceranno a piovere nuovamente sul capo del querelante. La tempesta, dopo una settimana di bel tempo, commentava il pubblico in attesa che il tribunale facesse il suo ingresso nell’aula. Il primo a deporre è un ex sergente maggiore di fanteria, Orlando Galli, catturato nel 1942 e portato nel campo di Tamboff. La prima persona che sentisse parlare, in quei luoghi, in lingua italiana fu la signora Torre la quale rivolse parole di incoraggiamento e si adoperò, in seguito, a che il rancio venisse distribuito regolarmente e con la massima puntualità. Il teste narra poi dell'epidemia di tifo petecchiale scoppiata nel campo a causa del traffico di pane organizzalo da alcuni prigionieri con i malati ricoverati nel lazzaretto. L’epidemia mieté molte vittime e lo stesso teste ne fu contagiato. Appena guarito chiese di essere iscritto alla scuola di antifascismo di Juge.

Presidente: 'Da chi era diretta quella scuola?'.

Galli: 'Da un ufficiale russo. Come istruttori però c'erano alcuni fuorusciti italiani, ad esempio, il Robotti. Il corso durò tre mesi durante i quali fu illustrata agli allievi la costituzione russa e abbondantemente spiegato il perché il fascismo non avrebbe mai potuto vincere la guerra. I licenziati dal corso dovevano, per gli altri prigionieri, costituire un esempio e pertanto furono destinati a svolgere la loro attività nei vari campi. Dovevano anche spiegare ai russi che popolo italiano e fascismo erano due cose completamente diverse.

Io fui destinato al campo 165 dove incontrai spesso il Fiammenghi. Un giorno Fiammenghi, riuniti i prigionieri, fece un discorso e, parlando contro Mussolini ebbe a definirlo un 'traditore venduto ai tedeschi'. A queste parole la camicia nera Salvatore Fichera, gridò rivolto al Fiammenghi: 'Ma voi siete i traditori, siete voi, gli emigrati, i fuorusciti!'. Il Fichera fu immediatamente allontanato dalla riunione ma non mi risulta che contro di lui sia stato preso alcun provvedimento. D'Onofrio, che conobbi nel marzo 1944, si interessò moltissimo alle nostre condizioni, non ci parlò solo di politica ma anche dei nostri bisogni. D'Onofrio era stimato e benvoluto da tutti noi, tanto che quando partì fu organizzata in suo onore una grande festa alla quale presero parte tutti i prigionieri'.

Il sottotenente di fanteria Vincenzo Vitello, altro teste ascoltato, fu ben lieto di aderire alle idee che venivano propagandate nei campi di concentramento. Fu tra i primi collaboratori de 'L'Alba' e al campo 27 discusse con gli altri scrittori l'indirizzo da dare al settimanale a carattere informativo e democratico.

Vitello: 'Fu una tribuna democratica dalla quale espressero le loro opinioni anche alcuni democristiani'.

Avv. Taddei: 'Ma se quel partito ancora doveva nascere...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Allora su quel foglio si potevano scrivere articoli anche di intonazione antimarxista...'.

Vitello: 'Sì. Certamente'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Bene. Allora si metta a verbale. Voglio leggerli, io, quegli articoli...'.

A questo punto il Presidente ha voluto sapere se il teste avesse mai scritto a casa.

Vitello: 'Sì. Quattro o cinque volte in tutto'.

Presidente: 'E quante di queste lettere sono giunte alla sua famiglia?'.

Vitello: 'Una sola. Ma quando tornai in Patria seppi che i miei avevano ricevuto notizie direttamente da D'Onofrio'.

Avv. Mastino Del Rio: 'E dai suoi ha mai ricevuto posta?'.

Vitello: 'Mai'.

Avv. Taddei: 'È vero che il maggiore russo Terescenko elogiò il contegno delle truppe italiane sul fronte russo dicendo che era stato quello più umano?'.

Vitello: 'No. Non mi risulta'.

D'Onofrio: 'Sì. La circostanza è esatta. Il maggiore Terescenko parlando del comportamento degli italiani che combattevano al fronte russo disse appunto che la condotta di quelle truppe era stata la più umana'.

Ripresa la sua deposizione, il teste anch’egli allievo della scuola di antifascismo, parla a lungo dell’indirizzo che a quei corsi veniva dato, niente affatto 'marxista'. Il programma comprendeva: storia d'Italia, storia del movimento democratico mondiale, elementi di economia politica, politica sovietica, notizie sui danni che il fascismo aveva provocato in Italia. Il teste fu 'assistente' al corso e si dice ora 'lieto' di aver dato la sua opera allo scopo di contribuire 'a sviluppare nei prigionieri i concetti e le idee antifasciste'..

Avv. Taddei: 'Vuol dirci quali erano i libri di testo usati in questa scuola?'.

Vitello: 'Pochi testi italiani' risponde deciso, dopo un momentaneo imbarazzo.

Avv. Taddei: 'Per esempio?'.

Vitello: 'Per esempio 'I Promessi Sposi'...'.

Avv. Taddei: 'Già, 'I Promessi Sposi» visti da un marxista!'...'.

Vitello: 'Ringrazio ancora il fuoruscito Robotti perché mi aiutò ad acquistare coscienza antifascista'.

Avv. Taddei: 'Lei vuoi ringraziare troppa gente. Lasci andare...'.

Ultimo teste Giovanni Melchionda, sottotenente di fanteria. Al momento della cattura i sovietici gli trovarono nelle tasche alcune cartoline di propaganda antisovietica nelle quali il soldato russo veniva raffigurato come un orso dai lunghi artigli. Un ufficiale russo si impadronì delle cartoline e gli chiese se avesse notato qualche differenza fisica fra loro russi e gli italiani. Il teste rispose negativamente.

Melchionda: 'Espressi a quell'ufficiale la mia paura di essere fucilato, ma quello mi rassicurò dicendo che i russi non odiavano i soldati italiani perché sapevano bene che erano venuti a combattere soltanto per ordine di Mussolini. Chiesi allora se saremmo stati mandati in Siberia e l’ufficiale mi rispose che in fondo la Siberia non era poi quell'inferno che si diceva e che la propaganda ci dipingeva...'.

Avv. Taddei: 'È una questione di punti di vista'.

Melchionda: 'Al campo di Oranki, trovammo le baracche riscaldate...'.

Avv. Taddei: 'Ma davvero?...'.

Melchionda: 'Sì. Riscaldate. Eravamo vicino alle cucine'.

La deposizione si chiude con l'arrivo qualche giorno prima del 25 luglio del solito D'Onofrio e del famigerato Fiammenghi.

L'UNDICESIMA UDIENZA.

7 giugno 1949 - A metà dell’udienza, quando già era stato ascoltato l'ultimo teste d’accusa, e prima che si presentasse ai giudici il primo della seconda serie di quelli a discarico, si è scatenato un grosso ennesimo incidente. L'avv. Taddei ha annunciato al Tribunale che, allo scopo di vagliare l'attendibilità di certi testimoni, aveva intenzione di esibire una lettera pervenutagli. La parte civile, sempre in preallarme per le uscite improvvise della difesa, si è opposta alla lettura invocando la irregolarità della procedura, ma il P. M. ha dato lo stesso lettura dello scritto che ci piace riprodurre integralmente.

P.M.: 'Avendo appreso dai giornali la deposizione fatta nel processo D'Onofrio dal sergente maggiore Giovanni Troia, dichiaro che il Troia nel periodo delle elezioni del 2 giugno fece una offerta di L. 10.000 a mia madre se gli cedeva il certificato elettorale di mio fratello Vito Buccellato, disperso in Russia, come era a conoscenza del Troia. La lettera è firmata da Nicoletta Buccellato abitante in Roma, viale delle Provinole, 2'.

C'è mancato poco che la baruffa verbale si trasformasse in un pugilato. L'avv. Paone, rosso di collera, è scattato in piedi e ha fatto atto di lanciarsi contro l'avv. Taddei, gridando che questa non era altro che una mossa politica per tentare di ristabilire l'equilibrio spezzato dalla presentazione, da parte dell’accusa, di una circolare che l’Unione dei Reduci dalla Russia inviò, a suo tempo, ai suoi iscritti per raccogliere deposizioni. L’avv. Taddei ha gridato qualche cosa che, nella confusione sfugge alle orecchie degli ascoltatori, ma deve essere bene inteso dal suo avversario che prontamente lo ha rimbeccato.

Avv. Paone: 'Sei un fascista. Tu cerchi così di rifarti una verginità. Tu fai il gioco dei democristiani...'.

Avv. Taddei: 'Ma stai zitto! Voialtri avete fatto votare anche i morti!...'.

Avv. Paone: 'Smettetela. Questo non è un giuoco leale...'.

P.M.: 'Ora basta, avv. Paone'.

Avv. Paone: 'Ma io sono stato provocato'.

Il Presidente tronca l'incidente sospendendo la seduta. Paone e Taddei si allontanano insieme dall'aula per rifare la pace davanti ad una tazzina di caffè. Quale ultimo teste d’accusa, depone il sottotenente di fanteria Esterino Montanari.

Montanari: 'La marcia dal luogo della cattura al campo di concentramento fu estenuante, ma arrivati a destinazione le condizioni di vita migliorarono. Il vitto sarebbe stato sufficiente se la salute dei prigionieri fosse stata buona. Scoppiò una epidemia di tifo petecchiale e l'assistenza medica non fu delle migliori tanto che quasi tutti i malati morirono'.

A domanda dell’avv. Mastino del Rio circa l'assistenza medica, il Presidente chiede se nel campo c'erano ufficiali medici italiani.

Montanari: 'Nei primi tempi dell’epidemia non fu dato ai malati alcun medicinale, poi, in seguito, vennero distribuite delle pasticche di permanganato. Quanto ai medici italiani, nel campo ce ne erano sei ma erano tutti contagiati. Funzionava una infermeria dove prestavano servizio un infermiere croato e una infermiera russa.

Fui poi trasferito in un campo degli Urali dove trovai condizioni di vita ancora migliori. I prigionieri erano trattati così bene che non appena giunsero fecero fare loro un bagno di disinfezione. Trasferito nel campo di Susdal, conobbi il fuoruscito Roncato e seppi da lui che era stata costituita una scuola di antifascismo nel vicino campo n. 2; chiesi di frequentarla e fui ammesso ai corsi. Istruttori erano due italiani: Robotti e Carato. Qui feci la conoscenza con il D'Onofrio, il quale venne per l'inaugurazione del corso e lasciò in tutti una favorevole impressione: era riuscito a guadagnarsi le simpatie di tutti.

D'Onofrio tornò poi al campo-scuola e prima di partire per l'Italia, ci chiese l'indirizzo delle nostre famiglie per poter far loro giungere nostre notizie. Noi continuammo il corso al quale potevano partecipare tutti coloro che professassero idee antifasciste. È assolutamente falso che dalla scuola si uscisse comunisti; tanto è vero che la frequentavano anche antifascisti cattolici...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Infatti, si trattava di un seminario dove si insegnava il dogma cattolico...'.

Montanari: 'Io, ad esempio, sono uscito dalla scuola con idee socialiste'.

Ma il teste non specifica se si tratti di idee socialdemocratiche o socialfusioniste. Una nuova battuta dell’avv. Mastino del Rio provoca il primo violento battibecco fra i patroni delle due parti.

Avv. Mastino Del Rio: 'Ieri ci avete detto che si studiavano 'I Promessi Sposi', oggi ci dite quasi che si studiava il dogma cattolico. Ma insomma tutto ciò è perlomeno umoristico: cercate di salvare il pudore'.

È stata questa la frase che ha fatto andare su tutte le furie l'avv. Paone il quale, rivoltosi eccitatissimo al collegio di difesa, ha pronunciato violenti parole dalle quali è nato il tumulto.

Avv. Mastino Del Rio: 'Voi vi vergognate di dire che era tutta propaganda comunista; nient'altro che propaganda comunista!'.

Ristabilita la calma, il teste ha voluto ribadire al Tribunale come D'Onofrio si fosse vivamente interessato perché ai suoi familiari giungessero notizie del congiunto prigioniero.

Montanari: 'I miei, infatti, ricevettero una lettera, credo del D'Onofrio, in cui si davano notizie della mia salute'.

Avv. Taddei: 'La conosco. Era una circolare ciclostilata. Anche i miei la ricevettero'.

È evidente che anche i testi a carico non riescono a celare la tremenda tragedia dei prigionieri italiani, malgrado gli sperticati elogi e i non richiesti ringraziamenti per D'Onofrio. Salvatore Pontieri, tenente dei bersaglieri in servizio permanente, ha aperto la seconda sfilata dei testi a discarico.

Pontieri: 'Al campo di Tamboff, dove trascorsi i primi tempi della prigionia, conobbi la signora Torre. Molti internati si rivolgevano a lei per avere qualche indumento pesante che li riparasse dal freddo intensissimo di quella zona. Ma la fuoruscita ad ogni richiesta del genere rispondeva invariabilmente: 'Avete battuto tanto le mani fino a ieri, ora abituatevi a battere i piedi'.

Questo lo spirito satanico delle donne italiane in Russia, se pur il nome di donne e di italiane si conviene a queste male femmine comuniste. Nel luglio 1943 il querelante tenne due conferenze al campo di Skit.

Presidente: 'Venne mai interrogato, lei, dal D'Onofrio?'.

Pontieri: 'Sì. Fu la sera stessa della seconda conferenza. Appena entrato nel suo ufficio, mi chiese per quale ragione non mi fossi iscritto alla scuola antifascista e aggiunse, senza aspettare risposta, che era stata proprio la mentalità come la mia a spingere i soldati italiani a venire a far la guerra contro la Russia. Io risposi che avevo fatto soltanto il mio dovere di ufficiale, al che D'Onofrio replicò: 'Altro che dovere. Voi siete venuti in Russia per rubare e per commettere delle atrocità e state attenti perché il vostro atteggiamento può portare a gravi conseguenze'. Le stesse minacce il querelante rivolse al cap. Magnani e al ten. Ioli, i quali due giorni dopo furono trasferiti in un campo di punizione'.

A proposito del Magnani il teste, su richiesta del tribunale, ha detto che era una bella figura di ufficiale, di cui tutti avevano la massima stima. Dopo l'interrogatorio del capitano, il teste ha poi dichiarato di aver inteso il D'Onofrio che diceva: 'A Magnani ci penso io'.

Presidente: 'Ma lei è sicuro che fosse proprio D'Onofrio?'.

Pontieri: 'Sicurissimo: ne riconobbi la voce. E del resto quando lo rividi, Magnani mi disse che la responsabilità del suo trasferimento era tutta di D'Onofrio'.

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