domenica 29 agosto 2021

Rapporto sui prigionieri, parte 2

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

I CADUTI ED I DISPERSI.

La tabella della pagina precedente è intitolata "Caduti e Dispersi", ma occorre dare un significato più preciso alle cifre cui è stata attribuita tale intestazione: è necessario analizzarne le possibili componenti. A grandi linee, la sorte di chi non ha fatto ritorno nel 1943, può essere attribuita ai seguenti tre gruppi di cause: a) - Caduti in combattimento nella fase di rottura del fronte o in seguito, nella ritirata; b) - Morti nella ritirata per il logoramento fisico dovuto alla fatica, al freddo, alla mancanza di riposo notturno, ad alimentazione insufficiente. Morti per ferite non potute Curare. Morti per crollo psicologico; c) - Catturati dal nemico.

a) - Caduti in combattimento.

La relazione ufficiale dello Stato Maggiore indica come prima causa dell'elevato numero di perdite "... la resistenza sul posto che impose il sacrificio totale di capisaldi, di reparti, di intere Unità...". Questa considerazione può valere, semmai, solo per alcune Divisioni come la "Cosseria", la "Ravenna", la "Celere" e la "Julia", perché le altre non furono investite dall'offensiva russa, al massimo subirono azioni di alleggerimento e lasciarono il fronte pressoché a ranghi completi. Non si hanno dati certi sui Caduti in combattimento nella fase di resistenza della "Cosseria", della "Ravenna" e della "Celere". Per la "Julia". che tra il 17 dicembre 1942 ed il 17 gennaio 1943, sostenne asprissimi combattimenti per contenere la continua pressione dei russi, tanto da meritare la citazione sul bollettino di guerra tedesco, si hanno dati sicuri. Ebbe circa 500 Caduti, un centinaio di Dispersi e più di mille feriti. Anche ammettendo la diversa virulenza dell'offensiva russa contro le prime tre Divisioni, si deve convenire che le loro perdite per la breve resistenza in posto (circa 4 giorni) non devono esser state molto superiori a quelle subite dalla "Julia" durante un intero mese. Si deve concludere, dunque, che i combattimenti per arginare la rottura del fronte non furono la causa principale del grande numero di perdite.

I Caduti nei combattimenti che si sono svolti nel corso della ritirata sono, di sicuro, di gran lunga superiori a quelli di cui si è detto, ma anche in tal caso, vi sono differenze notevoli da reparto a reparto. L'entità dei Caduti nei reiterati scontri affrontati aprirsi la via della ritirata, a prescindere dal numero e dalla potenzialità del nemico che si può considerare identica per tutte le colonne, è dipesa da vari fattori:
- se la ritirata sia iniziata in buon ordine, cioè se si è trattato di sganciamento dal nemico o invece, di Unità la quale investita dall'offensiva ha dovuto abbandonare il fronte a ranghi ridotti, priva di molti ufficiali, per forza di cose disorganizzata e moralmente scossa.
- se l'Unità, aveva la disponibilità di carburante o di salmerie e, di conseguenza, poteva o meno portarsi al seguito artiglieria, munizioni e viveri.
- secondo la lunghezza del percorso che l'Unità ha dovuto coprire, prima di potersi ritenere in salvo.
- se la ritirata è stata fatta in compagnia di reparti tedeschi ancora efficienti e muniti di pezzi anticarro.
- in relazione all'energia ed intraprendenza dei comandanti ed alla loro presenza o meno alla guida dei reparti.

In definitiva, se l'Unità piccola o grande che fosse, aveva non solo la volontà, ma soprattutto la possibilità di combattere. La Divisione "Tridentina" lasciò la riva del Don in perfetto ordine e con le sue artiglierie someggiate fece la ritirata accompagnata dai resti del 29° Corpo Corazzato tedesco e, malgrado le durissime battaglie, poté conservare molti giorni la sua aggressività, ma questo le costò perdite enormi.

Anche le Divisioni "Torino", "Pasubio" e "Sforzesca" lasciarono la linea pressoché intatte, ma dopo qualche giorno furono costrette ad abbandonare le artiglierie e gli automezzi per mancanza di carburante. D'altra parte, anche i pochi automezzi che ancora camminavano furono il primo bersaglio dei carri e dell'artiglieria dei sovietici. Anche le armi di accompagnamento si rivelarono presto inutilizzabili: mortai e mitragliatrici divorano munizioni e dopo uno o due combattimenti queste si esauriscono se non vengono rinnovate, ma ogni rifornimento dai magazzini e dai depositi delle retrovie era cessato o sconvolto. La ritirata di queste Divisioni, pertanto, si era trasformata in colonne di soldati con le sole armi individuali che ben presto divennero inutili una volta esaurite le poche scorte delle giberne. La loro combattività era ridotta a zero, esse si trovarono completamente impotenti di fronte all'aggressione dei mezzi corazzati e delle fanterie russe che, giorno dopo giorno, tagliavano loro la strada.

Non è il caso di recriminare se, in queste condizioni, molti soldati, pur di sopravvivere, alzarono le mani e se i comandanti, considerando inutile il sacrificio dei loro uomini non si opposero alla resa. Naturalmente vi furono fulgidi esempi di eroismo e comportamenti di estremo coraggio sia individuali che di reparto, ma la sproporzione di forze tra noi ed i russi era enorme, la loro padronanza del terreno totale, la loro iniziativa continua, martellante. Cadere prigionieri non fu una scelta.

Sorte pressoché identica subì la "Cuneense" che, staccatasi dalla linea senza aver subito alcuna perdita, si trovò subito in grave crisi di trasporti perché la maggior parte delle sue salmerie era stata acquartierata nelle lontane retrovie. Dopo i primi due combattimenti, la sua potenzialità di offesa divenne nulla. Per quanto riguarda le Divisioni "Cosseria" e "Ravenna", esse ebbero effettivamente la maggior parte delle perdite durante la lunga fase di logoramento e di preparazione dell'offensiva russa. Ma la "Cosseria" - che in questa fase ebbe la perdita di 2.400 uomini - non ne ebbe poi praticamente nessun altra nella brevissima ritirata che la portò, in un paio di giorni, a ripararsi dietro il Corpo d'Armata Alpino.

Si devono considerare caduti in combattimento, anche se l'accezione combattimento è impropria, i soldati praticamente inermi, delle colonne in ritirata che venivano falciati dai cannoni e dalle mitragliatrici dei carri russi; i feriti a bordo delle slitte che venivano travolte e schiacciate quando i carri armati percorrevano le piste intasate, scompigliandole, rovesciando automezzi e carriaggi; i soldati che furono uccisi dai partigiani mentre dormivano nelle isbe; quelli che perirono nel rogo di qualche capannone stipato all'inverosimile; quelli spezzonati e mitragliati dagli aerei. Il Ministero della Difesa - Albo d'Oro ha la documentazione, rilasciata da testimoni oculari, della morte in combattimento nel periodo considerato (11 dicembre 1942 - 30 aprile 1943) di 3.865 uomini. E' l'unico dato certo disponibile, ma è evidente che la cifra è ben lontana dai 25 mila che risultano oggi dal bilancio delle perdite.

b) - Caduti per crollo fisico.

Il freddo, l'equipaggiamento inadatto, la fame, la spossatezza sono stati la causa di molte morti durante la ritirata. Sono fattori che hanno avuto peso, ma decisamente molto minore di quello che di solito viene loro attribuito da commentatori interessati o poco informati. Vediamo il freddo. Nel primo inverno (1941-42) lo CSIR era equipaggiato peggio di come lo fossero i soldati dell'ARMlR. Quell'inverno russo fu eccezionalmente rigido, tanto vero che i tedeschi istituirono una speciale medaglia per i combattenti del fronte di quel periodo (medaglia della quale poterono fregiarsi anche i soldati dello CSIR). Ebbene il nostro Corpo di Spedizione (62 mila uomini) ebbe in quell'inverno 3.400 congelati, dei quali solo 1.400 rimpatriati. Da tener conto che nessuna delle sue Divisioni erano a reclutamento alpino.

All'inizio del secondo inverno (ottobre 1942), l'equipaggiamento invernale non era ancora stato distribuito alla truppa ed a dicembre molti reparti ne erano ancora privi però a questa imperdonabile disorganizzazione della nostra Intendenza, i soldati avevano fatto fronte con eccellenti indumenti di lana casalinghi, mandati dalle famiglie nei pacchi. La carenza più importante era data dalle calzature, assolutamente inadatte alla neve ed al clima russo; dunque molti congelamenti ai piedi, ma in definitiva non generalizzati se circa 130 mila uomini hanno potuto percorrere centinaia di chilometri di ritirata ed uscire dall'accerchiamento.

In quanto ai cedimenti per fatica, si tenga presente che quegli stessi uomini, l'estate precedente - certo in condizioni fisiche, psicologiche e climatiche ben differenti - hanno percorso distanze tre o quattro volte superiori a quelle della ritirata. Per affaticamento soccombevano specialmente i soldati e gli ufficiali non preparati agli sforzi e non allenati alle temperature polari. Chi era stato rintanato e seduto al caldo nei comandi delle retrovie. nelle furerie, nei centralini, nei magazzini. negli ospedali oppure gli autisti, che non avevano mai fatto un passo a piedi, non furono certo in grado di marciare decine di ore al giorno nella neve e tormenta. Ma questa gente costituiva una esigua minoranza.

Ci sono stati anche cedimenti morali, psicologici: suicidi, forme di pazzia, di alienazione, abbandoni, non giustificati da crollo fisico, ma da disperazione. Tali episodi hanno colpito emotivamente chi ne fu testimone e riferendone ha ampliato la portata. La fame e la sete sono le più remote tra le cause che aver fatto morire i nostri soldati nella ritirata. Per convincersi di quale resistenza abbia l'organismo umano alla mancanza di alimentazione, si vedano più avanti i capitoli riguardanti la prigionia.

c) - Catturati dal nemico.

Con poche eccezioni (Divisione "Tridentina", aliquote della Divisione "Celere" e Divisione "Sforzesca") quasi tutti i reparti, dopo tre o quattro giorni di ritirata, si sono trovati nella condizione, a causa della perdita delle artiglierie ed alla mancanza di munizionamento delle altre armi, di affrontare i russi a mani nude. Non vi è combattimento se uno dei contendenti è disarmato. In molti casi i Comandanti - sia delle grandi che delle piccole Unità - non hanno saputo o potuto tenere in mano i propri reparti che rapidamente si sono sbandati, smembrati, mescolati con altri in una massa amorfa, priva di qualsiasi combattività.

Pertanto i russi ebbero buon gioco contro un nemico inerme, spesso abbandonato a se stesso, avvilito e sfiduciato. I loro mobilissimi reparti non trovarono difficoltà a sbocconcellare le colonne in ritirata; aggirandole, isolandole ed a catturarne tutti i componenti. Nella valutazione degli ufficiali ed a maggior ragione dei militari isolati e sbandati, la resa era la soluzione che avrebbe salvato migliaia di vite. Valutazione che, purtroppo, si rivelò del tutto sbagliata.

Quanto si è detto non permette certo, di quantificare le componenti della voce: "Caduti e Dispersi". Sono solo considerazioni che possono, tutt'al più, suggerire delle proporzioni. Si ha però la disponibilità di una ricerca, suffragata da documentazione nominativa, che conferma come il numero dei catturati sia stato superiore a quello dei morti in combattimento o per cedimento durante la ritirala. La ricerca è stata effettuata per tutti gli ufficiali che non risultavano tornati in Italia alla fine del marzo 1943. I risultati sono evidenziati nella tabella della pagina seguente. Dalla medesima si può rilevare, innanzitutto, che gli ufficiali assenti erano 3.541 ossia molti di più dei 3.010 comunicati dall'Ufficio Storico nel 1946. Erano così ripartiti: 541 - 15% morti nella ritirata; 1.193 - 34% catturati e morti in prigionia; 681 - 19% catturati e rimpatriati; 1.126 - 32% non si conosce la sorte (morti nella ritirata o in prigionia).

E' evidente che la percentuale dei morti nel corso della ritirata riguarda solo quelli accertati ed è di gran lunga inferiore alla realtà, però altrettanto si può dire per i morti in prigionia. I dati riguardano solo gli ufficiali, cioè, un aliquota ben modesta di soggetti, ma completa ed omogenea e non ci sono elementi per escludere che le stesse proporzioni valgano anche per la massa dei soldati.

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