mercoledì 8 dicembre 2021

Rapporto sui prigionieri, parte 8

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

I CAMPI DI SMISTAMENTO.

Finiti i trasporti in treno, i sopravvissuti si illusero che il peggio fosse passato. Nella mente dei prigionieri, campo di concentramento voleva dire baracche, dormire finalmente al caldo, mangiare regolarmente, potersi finalmente lavare e sbarbare. Li attendeva una tremenda, tragica realtà. I dieci, quindici giorni di treno non li avevano portati molto lontano: furono scaricati nella provincia di Voronesc - non più di 200 km a nord di quello che era stato il fronte dell'ARMIR - in lager che rimarranno nella storia della prigionia in Russia, una ignominia incancellabile. Erano quelli di Khrinovoje, di Tambov e di Miciurinsk.

Khrinovoje o Krinovaja come è stata ricordata da tutti quelli che vi sono stati, era una vecchia, cadente caserma della cavalleria cosacca zarista. I prigionieri vennero ammassati nelle scuderie, senza porte né vetri alle finestre, costretti a dormire sul nudo pavimento. Il lager di Tambov si trovava in un bosco diviso in più sezioni; i prigionieri erano sistemati in rudimentali ricoveri interrati che avevano all'interno delle incastellature per dormire fatte di radi rami contorti, naturalmente non esistevano pagliericci e coperte. A Miciurinsk - veramente il campo si trovava a Uciostoje, una trentina di km a nord di detta città - il campo era ugualmente situato in un bosco, con ricoveri interrati che all'interno non avevano assolutamente nulla; i prigionieri dormivano sulla terra gelata. Nei suddetti campi non esisteva nessuna organizzazione materiale, anche la più logica ed indispensabile. La distribuzione del vitto era fatta a casaccio ogni tre o quattro giorni ed in misura assolutamente insufficiente.

Le rare distribuzioni consistevano in una fetta di pessimo pane ed un mestolo di brodaglia senza nessuna sostanza. Moltissimi che erano riusciti a sopportare i disagi ed i digiuni delle marce e dei trasporti in treno, erano arrivati al limite della loro resistenza fisica ed il cedimento avvenne improvviso: a centinaia ogni giorno si spegnevano per inedia. Inoltre, l'inesistenza di qualsiasi assistenza medica, rendeva letali congelamenti di primo grado, ferite non gravi, enteriti ricuperabili. Infine, l'assoluta mancanza d'igiene - in quei campi non esistevano latrine, non c'era acqua per potersi lavare, si dissetavano con neve sporca, gli uomini indossavano indumenti luridi, pieni di pidocchi - fu il naturale focolaio dell'epidemia di tipo petecchiale che sarebbe esplosa qualche settimana più tardi e che, su individui indeboliti e denutriti, avrebbe avuto effetti devastanti.

La vita in quei campi fu resa ancora più difficile dalla mancanza di solidarietà, anzi, dal manifestarsi sempre più violento dell'egoismo e della lotta per la sopravvivenza. Procurarsi da mangiare era diventato un imperativo e tutti i mezzi erano buoni: la frode, l'astuzia, la violenza, financo il delitto. Per molti si aggiunse la pazzia, perché solo lo smarrimento totale può portare l'individuo a cibarsi della carne di cadavere. Qualsiasi altra nota su questi campi non riuscirebbe a descrivere quello che vi avvenne...

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