domenica 28 novembre 2021

Rapporto sui prigionieri, parte 7

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

I TRASPORTI FERROVIARI.

II modo nel quale i prigionieri vennero trasferiti in treno può dare la misura di come la Russia staliniana fosse lontana da quello che l'Occidente chiama civiltà. Anche perché, non solo ai prigionieri di guerra veniva usato tale trattamento, ma milioni di cittadini sovietici, uomini, donne. vecchi e bambini furono deportati con lo stesso sistema. Lo furono i "Kulak" all'epoca della collettivizzazione delle terre, i cittadini delle repubbliche baltiche quando i sovietici se le incamerarono, i tedeschi del Volga appena iniziata la guerra, la popolazione della Crimea a guerra finita, i soldati russi prigionieri dei tedeschi quando dai lager nazisti furono trasferiti in quelli della NKVD per la rieducazione socialista per far dimenticare loro cosa avevano visto.

I prigionieri vennero caricati su carri merci che all'interno non avevano nessuna atttrezzatura e, poiché vi immettevano dai settanta ai cento uomini, lo spazio disponibile permetteva a ciascuno di stare a malapena in piedi, pigiato ed immobile. Cosa sopportabile per una corsa in tram, ma non per i 15 o 20 giorni che in genere duravano i viaggi. Le percorrenze dei primi trasferimenti non furono lunghissimi - da Kalac a Khrinovoje ci sono 200 km.; da Kalac a Tambov 500 - ma le tradotte dei prigionieri sostavano giorni e giorni negli scali per poi viaggiare solo qualche ora. I vagoni erano bloccati dall'esterno ed in qualche caso, anche i piccoli sportelli, in alto vicino al tetto, erano sbarrati con tavole inchiodate. La sola luce che filtrava era quella delle fessure. I vagoni non venivano aperti con regolarità. Passavano anche due o più giorni prima che scorta si decidesse ad aprire, comunque non era ammesso scendere. E' evidente che in simili condizioni, i vagoni erano diventati dei letamai.

Di solito gli uomini, anche quando sono prigionieri, hanno bisogno di mangiare, ma i russi non davano nessunissima importanza a tale esigenza. Ci pensavano un giorno e poi per altri cinque nulla, poi un paio di distribuzioni e di nuovo giorni e giorni senza. Oltre alla ben nota disorganiualione russa in fatto di distribuzione dei viveri (non è cambiata granché nemmeno oggi) ed alla resistenza dei Comandi a concedere viveri ai "fascisti invasori", la scorta del treno faceva palesi intrallazzi con accaparratori civili. Il vitto, quando veniva distribuito, consisteva in galletta militare nerissima e da pesce conservato intero. Raramente era concessa la distribuzione di acqua. Il sistema era quello usato per dare il magime ai polli: il pane o il pesce veniva lancialo da terra, attraverso il portello aperto, all'interno del vagone. Nella lotta furibonda che seguiva, il cibo finiva sul pavimento, calpestato, sbriciolato, insozzato.

Come nelle marce, anche sul treno prosegui lo stillicidio dei morti, di coloro che pur avendo resistito fino allora, avevano ormai esaurita l'ultima riserva, ma anche la dissenteria, le ferite non curate, i congelamenti arrivati alla setticemia, le polmoniti, i cuori indeboliti, esigevano le loro vittime. La frequenza e la percentuale dei morti aumentava col passare dei giorni. I cadaveri rimanevano nei vagoni accanto ai vivi, finché i russi non decidevano di farli scaricare nelle scarpate o farli trasferire in appositi vagoni in coda al treno, non prima che i compagni li avessero completanlente spogliati per coprire meglio i sopravvissuti o farne fagotti per quelli rimasti senza scarpe. La mortalità durante i trasporti in treno fu elevatissima come è confermato dalle numerose testimonianze.

Questo sistema di far viaggiare i prigionieri fu quello adottato il grande esodo dal fronte fino ai primi campi di smistamento tra il dicembre del '42 ed il gennaio, febbraio 1943. Nello stesso periodo tradotte con feriti e congelati furono avviate verso gli ospedali delle lontanissime retrovie tra il Volga e gli Urali, tra gli Urali ed il Caspio - in condizioni meno disastrose, ma con tempi ben più lunghi, si parla di venti. venticinque giorni di viaggio, e di conseguenza con una mortalità analoga a quella dei trasporti citati prima.

Trasferimenti in treno continuarono ad essere effettuati durante tutti i quattro anni che durò la prigionia, perché i prigionieri venivano sovente spostati da un campo all'altro. Gli ufficiali cambiarono tre volte campo, ma i soldati italiani conobbero cinque o sei campi prima di essere mandati negli ultimi due anni nel Kazakistan. Questi viaggi successivi avvennero con carri bestiame aventi delle plance a mezz'aria in modo che la quarantina di occupanti potesse coricarsi, avevano una stufetta al centro anche se raramente era fornita di legna; la distribuzione del vitto avveniva con una certa regolarità. Molti prigionieri raccontano di aver viaggiato in carri cellulari insieme a deportati civili o a delinquenti comuni e vi sono stati casi di prigionieri isolati che hanno viaggiato scortati, sui treni ordinari in meno alla gente comune.

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