venerdì 18 agosto 2023

Italiani brava gente, parte 6

PREMESSA.

Questo nuovo studio che ho voluto intraprendere e successivamente pubblicare, non vuole gettare discredito sui nostri soldati (e 7 anni di pubblicazioni a ricordo e in loro onore ne sono la prova), ma esclusivamente raccontare una pagina di storia che li riguarda e che, penso volutamente, è stata in parte accantonata. Se questa è la verità, qualsiasi essa sia deve essere raccontata. Erano uomini e come tali soggetti anche ad azioni che oggi riteniamo riprovevoli, ma che vissute direttamente e sulla propria pelle, hanno un senso diverso e come tali vanno prese e non giudicate senza minimamente avere vissuto analoghe e così drammatiche esperienze. Anche tutto questo è raccontare la loro storia e le sofferenze provate.

Estratti dal libro "Invasori, non vittime - La campagna italiana di Russia 1941-1943" di Thomas Schlemmer; libro che invito a leggere per intero per inquadrare al meglio il tema affrontato, anche considerando l'ampia referenza di archivi consultati e citati per intero nella trattazione.

La volontà di combattere i partigiani non venne meno neanche dopo i drammatici avvenimenti dell'inverno del 1942-43, anzi, in alcuni casi la sete di vendetta spinse gli italiani a intensificare le operazioni antipartigiane. Il 20 gennaio 1943 il diario storico del 38° Reggimento fanteria della Divisione "Ravenna", che dopo la ritirata del II Corpo d'Armata dal Don era stata chiamata sul Donets, riferiva che in due località si erano verificate azioni di partigiani, alcuni dei quali erano stati catturati e immediatamente fucilati. (fonte AUSSME, DS II 1330, DS 38° Reggimento di fanteria, gennaio-febbraio 1943, nota del 20/1/1943).

Tra gennaio e febbraio del 1943 il gruppo di combattimento del colonnello Mario Carloni, comandante del 6° Reggimento Bersaglieri, si distinse per la sua brutalità. Carloni era stato nominato comandante delle truppe alleate nella città di Pavlograd a est di Dnepropetrovsk, dove all'avvicinarsi dell'Armata Rossa si verificò una vera e propria insurrezione, partita non da ultimo dalla polizia ucraina e da altri ausiliari locali presenti negli uffici tedeschi. Gli scontri si svolsero soprattutto all'interno di una fabbrica che fu poi circondata e incendiata. Carloni prosegue nella sua relazione sui combattimenti: "Italiani e tedeschi penetrano nell'interno della fabbrica ed incomincia il lavoro di sterminio degli insorti; alcuni, approfittando della notte, cercano di fuggire ma sono passati per le armi dopo una lotta serrata nei sotterranei della fabbrica. Soltanto nell'interno delle mura di cinta vengono contati 47 cadaveri, quasi tutti vestiti con uniforme tedesca ed appartenenti alle varie stazioni polizia ausiliaria dell'organizzazione agricola. Tra i morti vi è anche il capo dei partigiani di Pavlograd - ex tenente dell'esercito sovietico ed in atto comandante polizia ausiliaria della città. [...] Allo scopo di completare l'efficacia dell'esempio dato viene decisa l'esecuzione capitale di 5 fra gli arrestati nella fabbrica, eseguita per impiccagione il giorno successivo nella piana principale della città. (fonte AuSSME, L 14/87-1, Comando 6° Reggimento Bersaglieri (f.to Mario Carloni): Relazione sul ciclo operativo 22/1-22/2/1943).

Sulla base di queste accuse, già nell'ottobre del 1944 il governo sovietico aveva chiesto all'Italia l'estradizione di vari ufficiali, ma senza alcun successo. Il rappresentante sovietico a Roma, Michail Kostylev, aveva consegnato una lista di 12 nomi all'alto commissario per le sanzioni contro il fascismo, il conte Carlo Sforza. Erano incriminati per i saccheggi e le devastazioni nella città di Rykovo il generale Roberto Lerici, comandante della "Torino", il capitano Luigi Grappelli, capo dell'Ufficio Affari Civili della stessa Divisione e il tenente colonnello Bernardo Giannetti, ufficiale responsabile per il servizio sanità della "Torino". Il generale di Brigata Paolo Tarnassi e un non meglio identificato colonnello Fransi Piliz furono accusati di aver ordinato la fucilazione di civili nella zona di Kantemirovka. Cinque ufficiali furono accusati di aver giustiziato civili e prigionieri di guerra nella zona di Bogucar e di aver arrestato, seviziato e trasferito nei campi di concentramento un numero imprecisato di cittadini russi. Erano il capitano Mariano Piazza (comandante dei Carabinieri della "Cosseria"), il maggiore Luigi Giovanni Biasotti (ufficiale nel Comando del 38° Reggimento fanteria della Divisione "Ravenna" e comandante della piazza di Bogucar), il maggiore Romolo Romagnoli (comandante del 3° Battaglione mortai della "Ravenna" e comandante della piazza di Filonovo), il tenente Renato Barile (capo della compagnia Comando del 3° Battaglione mortai e addetto all'Ufficio Affari Civili nel Comando di Filonovo) e un certo capitano Plass, che forse corrisponde a Mariano Piazza. Inoltre il tenente colonnello Raffaele Marconi (responsabile per l'Ufficio Affari Civili nel Comando di Rossos) e il capitano Dante Iovino (comandante dei Carabinieri della Divisione alpina "Cuneense" e nel novembre-dicembre del 1942 sostituto comandante dei Carabinieri del Corpo d'Armata alpino) furono accusati della fucilazione di 31 prigionieri nella prigione comunale di Rossos. (fonte ASD, Rapp. Dip. - Russia 1861-1950, 320/3, Giorgio Liuzzi (Ufficio Informazioni, stato maggiore Regio Esercito - n° 97364/3/7 di prot.) al ministero degli Esteri (Direzione Generale Affari Politici) del 11/5/1946 - "Oggetto: Criminali di guerra italiani secondo i russi").

A metà agosto del 1942 un Bersagliere del 6° Reggimento, dove ovviamente si trovavano degli accaniti bolscevichi, descrisse quanto accadde a due prigionieri catturati dopo un duro scontro dalla sua compagnia: "Il nervosismo del giorno trascorso e dei precedenti che aveva dato luogo anche a qualche incidente era passato. Tutti sorridevano. Prendemmo il rancio con soddisfazione. Dei due prigionieri non si sapeva cosa farne. Uno disse di ucciderli. Assieme a molti altri protestai e mi offersi di accompagnarli al comando come avevo fatto ancora con altri. La nostra opinione non fu accettata. I nostri sono inferociti perché i russi martoriano i nostri prigionieri. I due furono condotti a 10 metri nel prato e si udi un colpo secco di moschetto. Uno cadde senza lamento. Un altro colpo. Il secondo non colpito bene prese ad urlare da far pietà. Un terzo colpo e tutto ritornò al silenzio primitivo. Rimasi disgustato". (fonte AUSSME, L13/161, diario di Quinto Ascione, nota del 13/8/1942). Questo nuovo studio che ho voluto intraprendere e successivamente pubblicare, non vuole gettare discredito sui nostri soldati (e 7 anni di pubblicazioni a ricordo e in loro onore ne sono la prova), ma esclusivamente raccontare una pagina di storia che li riguarda e che, penso volutamente, è stata in parte accantonata. Se questa è la verità, qualsiasi essa sia deve essere raccontata. Erano uomini e come tali soggetti anche ad azioni che oggi riteniamo riprovevoli, ma che vissute direttamente e sulla propria pelle, hanno un senso diverso e come tali vanno prese e non giudicate senza minimamente avere vissuto analoghe e così drammatiche esperienze. Anche tutto questo è raccontare la loro storia e le sofferenze provate.

Estratti dal libro "Invasori, non vittime - La campagna italiana di Russia 1941-1943" di Thomas Schlemmer; libro che invito a leggere per intero per inquadrare al meglio il tema affrontato, anche considerando l'ampia referenza di archivi consultati e citati per intero nella trattazione.

Nell'estate del 1942 la situazione non era cambiata sostanzialmente e continuava a regnare una forte diffidenza. Cosi scriveva il generale Zanghieri in una circolare del 13 luglio 1942 alle unità del suo II Corpo d'Armata: "Continuo a notare che molte donne, ragazze e ragazzi ucraini circolano nelle adiacenze degli accantonamenti ed accampamenti; alcuni si introducono perfino tra i reparti e familiarizzano con i militari. Ciò che apparentemente sembra innocuo ai nostri militari invece molto pericoloso, in quanto i borghesi hanno costituito e costituiscono tuttora una fonte attiva di informazioni per le spie russe di cui le retrovie del fronte pullulano. Pertanto ordino che abbia cessare tale stato di cose; nessun borghese, uomo o donna, adulto o minorenne che sia, deve avvicinarsi agli accampamenti" (fonte AUSSME, DS II 785, DS II Corpo d'Armata, luglio-agosto 1942, Comando II Corpo d'Armata, Ufficio I (n° 512/04 di prot. - f.to Giovanni Zanghieri), ai reparti sottoposti del 13/7/1942).

Il generale Barbò ordinò ai Reggimenti del suo Raggruppamento a cavallo di non essere troppo indulgenti con il nemico durante i rastrellamenti nella zona di Orlovo Ivanovka: "Il raggruppamento ha il compito di liberare la zona dai partigiani e da soldati sbandati nemici. E' indispensabile quindi agire con la maggiore energia e senza false pietà" (fonte AUSSME, DS II 882, DS Raggruppamento artiglieria a cavallo, luglio-agosto 1942, allegato: Comando Raggruppamento truppe a cavallo (n° 405/Op. di prot. - f.to Guglielmo Barbò) ai Reggimenti "Savoia Cavalleria" e "Lancieri di Novara" nonché al II gruppo del Reggimento d'artiglieria a cavallo del 15/7/1942".

Il generale Malaguti, capo di stato maggiore dell'ARMIR, comunicò al gruppo di Armate B che tra il 1° agosto e il 7 settembre era stato ucciso in uno scontro un partigiano ed erano stati arrestati 27 tra partigiani e spie, di cui 14 erano già stati fucilati o attendevano l'esecuzione. Il 18 settembre il Comando d'Armata informò il gruppo di Armate di aver catturato 30 "banditi", 4 spie e una paracadutista, 13 dei quali erano già stati giustiziati. Dieci giorni più tardi arrivò la comunicazione che tra il 16 e il 25 settembre erano stati uccisi 27 "banditi" e catturati altri 114; inoltre durante i rastrellamenti le truppe italiane avevano arrestato e trasferito nei campi di concentramento 200 persone sospette (fonte I documenti qui citati sono pubblicati in Gentile, Alle spalle, pp. 170 sgg.). In linea di massima possiamo affermare che le azioni dei tedeschi e degli italiani contro i partigiani "erano potenzialmente dirette contro l'intera popolazione civile (fonte Klinkhammer, Partisanenkrieg, p.818) e più gli occupanti si sentivano minacciati, più questo aspetto diventava evidente.

Ad esempio nel novembre del 1941 vennero lanciate alcune molotov contro gli alloggiamenti delle truppe della "Pasubio" e il comandante della Divisione, il generale Vittorio Giovanelli, ordinò di catturare e fucilare i responsabili (fonte AUSSME DS II 628, DS Divisione "Pasubio", novembre-dicembre 1941, allegato 108: Comando Divisione "Pasubio" (n° 7082 di prot. op. - f.to Vittorio Giovannelli) ai reparti sottoposti del 22/11/1941) per evitare che simili attentati si ripetessero in futuro.

[...] come mostra una relazione sull'attività svolta dai Carabinieri della 3a Divisione celere per l'anno 1941-42. Stando a questo questo documento, furono arrestati e trasferiti nei campi di concentrarnento 874 civili sospetti; 74 persone vennero consegnate alla GFP, 180 alle SS. Nel corso di tre operazioni contro i partigiani, i Carabinieri avevano arrestato 29 persone di cui due furono fucilate immediatamente, 6 trasferite in campi di lavoro e 13 consegnate alla GFP; quattro "propagandisti comunisti" consegnati alla GFP furono fucilati immediatamente. (fonte AUSSME, DS II 877, 3a Divisione celere - Comando dei Carabinieri (n° 5/3 di prot. R.P.) del 20/9/1942: Relazione sull'attività svolta per il periodo da luglio 1941 a luglio 1942).

Secondo una relazione del Comando dei Carabinieri Reali dell'8a Armata, dei più di 5.300 civili arrestati tra luglio e settembre del 1942 solo nel settore della 3a Divisione celere, otto furono subito fucilati come partigiani o spie e cinque vennero consegnati al proprio servizio di controspionaggio; 1.576 furono trasferiti nei campi di concentramento e 254 consegnati ai colleghi tedeschi della GFP. (fonte AUSSME, L 14/85-5, Comando dei Carabinieri Reali dell'8a Armata: Relazione sull'attività svolta per il periodo 10/5-30/9/1942).

Oltre ai pattugliamenti e ai rastrellamenti per individuare partigiani, spie e sabotatori, i Comandi italiani davano grande importanza all'attività di spionaggio e controspionaggio svolta soprattutto dagli Uffici Informazioni negli stati maggiori delle grandi unità e dai reparti controspionaggio. Come mostra la relazione del sottotenente Leonardo d'Aloia, comandante del 6° reparto controspionaggio impiegato nel settore del II Corpo d'Armata, questa attività si rivelò molto efficace e diede non pochi problemi ai russi. Tra agosto e settembre del 1942 vennero scoperti e fucilati 21 informatori dei servizi segreti sovietici, grazie anche alla collaborazione degli uffici controspionaggio tedeschi; inoltre furono individuati, dispersi o scacciati gruppi di partigiani nelle zone di Kantemirovka, Mitrofanovka e Bogucar. Il reparto controspionaggio arrestò in totale 73 persone, 58 delle quali vennero fucilate. Inoltre, stando al apporto, nella zona di Mitrofanovka furono "arrestate molte note personalità russe che erano sfuggite all'arresto e numerosi propagandisti comunisti" che avevano cercato "di incitare alla rivolta i prigionieri di guerra russi che si trovavano" nei kolchozy. Tutti furono consegnati all'SD tedesco a Millerovo. (fonte BA-MA, RH 31 IX/35, ff. 138-146, traduzione di una relazione sull'attività di controspionaggio presso i Comandi italiani tra agosto e dicembre 1942).

Nessun commento:

Posta un commento