giovedì 31 dicembre 2020

Il generale Messe

La figura del generale Messe è certamente una delle più apprezzate, se non la più apprezzata, fra i comandanti italiani delle Seconda guerra mondiale, in particolare per la sua ottima attività sul fronte russo. Messe era un soldato che la guerra l'aveva davvero fatta: durante la Grande Guerra combatté nel 57° Battaglione "Abruzzi" e con diversi reparti di arditi, fra cui il IX Reparto d'assalto, che comandò sul Monte Grappa, distinguendosi nella conquista del Col Moschin e rimanendo ferito due volte. In Russia è spessissimo ricordata la sua tenace opposizione, forse l'unica, alla PESSIMA (per non dir di peggio) idea di Mussolini di aumentare le forze italiane presenti, trasformando lo CSIR nell'ARMIR e passando così da circa 62.000 a circa 230.000 uomini. Ma è spesso ricordato ERRONEAMENTE un altro aspetto: sento ancora oggi affermare per iscritto e a voce che Messe fu sollevato dal suo incarico da Mussolini, proprio per la sua opposizione alla creazione dell'ARMIR. Nulla di più FALSO, ed è proprio il generale Messe a scriverlo nel suo bel libro "La guerra al fronte russo" che qui riproduco nei passaggi fondamentali.

Ho già avuto occasione di parlare della mia irriducibile opposizione all'idea di aumentare l'entità della nostra partecipazione alla guerra sul fronte orientale. Opposizione che si manifestò una prima volta già nel luglio del 1941, quando era balenata l'idea di inviare un secondo corpo d'armata, e si rinnovò lungo tutto l'inverno, attraverso le molte relazioni e proposte al comando supremo, tutte intonate al concerto di potenziare adeguatamente quanto era già in Russia e di escludere ogni allargamento del nostro contributo. Tale atteggiamento non era dovuto a prevenzioni, e tanto meno a piccole considerazioni di ordine personale. Esso scaturiva, come conseguenza logica, da quella somma di esperienze e di convinzioni che io intendevo far prevalere nell'esclusivo interesse del mio Paese (pag.210).

Ho già accennato sinteticamente alla genesi dell'invio di un'armata in Russia. È bene sottolineare che esso fu voluto esclusivamente da Mussolini, che le trattative con i tedeschi furono condotte da Ciano, e che l'idea fu perseguita fino alla sua realizzazione nonostante il parere contrario del nostro comando supremo, parere documentato in modo chiaro in un appunto del 23 ottobre 1941 che riporto integralmente. «Avendo il Duce espresso l'orientamento di inviare nuove unità sul fronte russo per la primavera 1942, il Capo di S. M. G. ha esaminato la questione e, al rapporto del 22 ottobre, ha espresso al Duce le seguenti considerazioni proposte: l'invio di unità è subordinato: - al completamento del programma di potenziamento dell'esercito previsto per la primavera 1942; - ad una situazione di tranquillità sia nei Balcani, sia alla frontiera occidentale; ammessa quest'ultima ipotesi, noi potremmo rendere disponibili 6 divisioni al massimo, sottraendole alle unità della frontiera occidentale ed a quelle della riserva centrale; queste unità potrebbero essere fornite con organici al completo di uomini e di mezzi. Esse però: - non riceverebbero l'aliquota aggiuntiva di armi controcarro e contraerei fornite alle unità già inviate sul fronte russo; - non riceverebbero automezzi per il loro autotrasporto: a tali automezzi dovrebbero pensare le autorità germaniche» (pag.212).

Deciso a non tralasciare alcun tentativo per evitare, o quanto meno limitare, quella che io ritenevo una vera iattura, il 20 maggio, approfittando di un periodo di calma assoluta nel settore italiano e sapendo che la nuova grande offensiva, con la nostra partecipazione, avrebbe avuto inizio soltanto in luglio, chiesi e ottenni di venire in Italia per alcuni giorni. Il comando supremo mi convocò a Roma per il giorno 30, e al mio arrivo il generale Magli, addetto al comando supremo stesso, mi comunicò che mi avrebbe accompagnato a Palazzo Venezia perché il capo del governo voleva vedermi ed era in attesa di conoscere il giorno e l'ora del colloquio (pag.213).

Con maggiore slancio che al mattino, Mussolini mi ripeté l'elogio del CSIR aggiungendo: «Voi, poi, vi siete fatto rispettare dai tedeschi ed essi vi stimano. Anche per questo si era pensato di lasciarvi al comando dell'8a armata. Mi sembrava la soluzione più logica, dopo le prove che avete già dato. Ma poi non si è potuto». Mi spiegò che si era «dovuto» impiegare il generale Gariboldi, da tempo disponibile per un comando d'armata. Non ritenni opportuno entrare in tale argomento personale accennando invece alla mia sorpresa per essere stato tenuto all'oscuro sull'approntamento della nuova unità per la Russia. Colsi un suo gesto di meraviglia per questo particolare, ma completai il mio pensiero: «Mi permetto di ripetere a Voi quello che ho già detto al Capo di S. M. Generale: "È un grave errore mandare un'intera armata al fronte russo. Se fossi stato interpellato lo avrei sconsigliato, come già lo scorso anno sconsigliai l'invio di un secondo corpo d'armata"» (pag.215).

E, dopo una breve pausa, ritenendo evidentemente esaurito l'argomento chiese: «Ditemi piuttosto: che cosa farete ora? Tornerà in Russia?». «Perché non dovrei tornarvi? Un Vostro ordine mi ha destinato laggiù, un Vostro ordine mi potrà richiamare. D'altra parte, non mi sentirei di lasciare cosi improvvisamente i miei soldati. Inoltre conosco Gariboldi fin dall'altra guerra e sono certo che andremo perfettamente d'accordo.» «Sono molto contento di questa vostra decisione. La vostra collaborazione, per l'esperienza fatta al fronte russo, riuscirà preziosa per il nuovo comandante, che sono sicuro si servirà molto dell'opera vostra.» Mussolini era evidentemente compiaciuto. Egli riteneva forse, come del resto altri, che io, contrariato, potessi richiedere il rimpatrio «sbattendo la porta», come suol dirsi (pag.217).

Mentre stavano per completarsi tutti questi movimenti, giunse da Roma l'ordine del mio rimpatrio, e quasi contemporaneamente arrivava sul posto il generale Zingales, destinato a sostituirmi. D'accordo con il comando d'armata fu stabilito che il cambio fra i due comandanti sarebbe avvenuto il giorno in cui il XXXV corpo avesse assunto la responsabilità del nuovo settore. Ciò ebbe luogo il 10 novembre. [...] Il mio rimpatrio avvenne in seguito a mia domanda, presentata dopo lungo travaglio interno, a conclusione di uno stato di disaccordo spirituale, gradualmente sempre più profondo, intervenuto tra me ed il comandante dell'8a armata. Questo disaccordo, manifestatosi in forma acuta in occasione della prima battaglia del Don, era affiorato fin dal primo giungere dell'armata in Russia. Ero andato incontro al mio nuovo comandante, completamente ignaro del fronte orientale, con il fermo proposito di mettere a sua disposizione la mia non breve e non ristretta esperienza perché più agevole gli risultasse fin dall'inizio l'azione di comando, più proficuo l'impiego delle truppe, minore il sacrificio degli uomini, ma mi ero trovato subito di fronte a un'inaspettata freddezza e a una strana diffidenza che mi sorpresero (pag.277).

Fu questo insanabile contrasto sui più importanti e delicati problemi della guerra al fronte orientale e la constatata impossibilità di continuare a fornire al comandante d'armata quella convinta collaborazione, spirituale oltre che di opere, che è indispensabile al fine di ottenere nell'azione il massimo risultato, che m'indussero, dopo maturo esame e con sincero rammarico, ad inviare, il 23 settembre, al comandante dell'8a armata la seguente lettera: «Parecchi giorni or sono ebbi a pregarVi di prendere in esame la mia sostituzione nel comando del XXXV corpo d'armata e il mio rimpatrio. E Ve ne dissi anche le ragioni. Tale preghiera io debbo oggi rinnovarVi, tanto più che gli ultimi avvenimenti mi hanno maggiormente convinto come non sia possibile una collaborazione efficace tra gerarchie molto elevate, quando nelle relazioni reciproche non si realizza spontaneamente un'atmosfera di perfetta intesa su tutti i problemi essenziali e, quindi, di reciproca fiduciosa cordialità. Le mie convinzioni su tali problemi, basate su oltre un anno di fortunata esperienza in questo scacchiere, sono in me troppo radicate perché io possa rinunciarvi senza un grave intimo disagio, pur nello spirito di una leale disciplina delle intelligenze. D'altronde nulla è più lontano dal mio pensiero che il creare difficoltà e imbarazzi a Voi, Eccellenza, che di fronte al paese e di fronte agli alleati siete il solo responsabile della vita e dell'operato dell'8a armata». La mia domanda seguì il suo corso e, come si è visto, il 1 novembre lasciavo il mio corpo d'armata (pag.286).

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