giovedì 24 dicembre 2020

La battaglia di Natale 1941, parte 1

Associare il periodo di Natale alla Russia porta inevitabilmente a pensare e ricordare l'anno 1942, quando tutto l'ARMIR era schierato sul Don e gran parte delle divisioni erano fortemente impegnate dalle forze sovietiche, ma... quello non fu l'unico Natale per le nostre truppe in Russia; nel 1941 parte dello CSIR, la Divisione Celere e la Legione Tagliamento, furono impegnate nella famosa Battaglia di Natale. Lasciamo che sia il cappellano della Tagliamento, Don Biasutti, a ricordare i tragici fatti di quei giorni.

La battaglia di Natale.

La vigilia del Natale, a Crestowka, dove aveva sede il Comando della Legione, ci si mise a fare un po' di pulizia in uno stanzone buio e pidocchioso, per la Messa di mezzanotte, mentre il cappellano in un angolo attendeva a quell'altra pulizia, confessando. Si preparò un modesto altarino, vennero confezionati sei lumi a nafta con sei scatolette da carne e si scovò persino un «harmonium» per accompagnare con qualche motivo musicale la cerimonia sacra. I nostri legionari, i nostri fanti mortaisti e cannonieri e gli artiglieri delle batterie aggregate affollammo, nell'ora sacra al mistero di Betlem, l'umile stanza che somigliava molto alla stalla in cui nacque Gesù.

Davanti all'altare, come Saul che di tutta la testa si ergeva sul suo esercito, circondato da tutti gli ufficiali, c'era l'alta figura del Comandante la Legione. La luce fumosa delle sei scatolette schiariva soltanto la bandiera tricolore, messa a fondo dell'altare, e, sul bianco di essa, la Croce ed uno di quei piccoli presepi-cartolina, che s'aprono ad armonica, arrivato dall'Italia con la posta del giorno prima. Distribuii la S. Comunione a quasi tutti i presenti e rivolsi alla fine del rito alcune parole d'augurio al Comandante ed a tutti i nostri combattenti. La Messa riuscì tanto altamente suggestiva che ne rimanemmo commossi. «É stata la Messa più bella a cui abbia mai assistito in vita mia - mi dissero molti - meglio che in una cattedrale!».

Noi ci aspettavamo che i russi avrebbero approfittato della notte del Natale, sacra alla nostra fede, per attaccarci. Ed infatti, alle 0,30 del 25 una formazione russa attaccò il caposaldo di Malo Orlowka, ma venne decisamente respinta. Nove prigionieri diranno che, per l'errore di un ufficiale, le truppe destinale alla grande offensiva non s'erano incontrate all'ora prevista, e cioè alla mezzanotte del 24. L'attacco in forze fu quindi rinviato alle prime luci del 23. M'ero gettato, vestito, sulla brandina da campo, quando alle 6 del 25 le artiglierie di Crestowka cominciarono a tuonare. Seppi che Malo era investita da un furioso assalto. Mi precipitai lassù ed assistetti all'ultima fase del combattimento.

Mentre correvo di postazione in postazione per controllare se ci fossero dei feriti e per dire una parola di fede, i legionari volgendo il capo per vedere chi passasse, mi lanciavano un gioioso «Buon Natale, signor Cappellano», e si riconcentravano subito sulle armi. Il ten. Pregelio, ardito e scanzonato, mi invitava a vedere come tirava con l'alzo a zero sul boschetto Tre Croci, coi suoi cannoni anticarro. Verso le 9 parve che dinanzi alle postazioni fosse ormai silenzio. Ed io ottenni dal cent. Mutti di uscire a raccogliere i feriti russi rimasti sul terreno. Ma dal boschetto una raffica di mitra mi costrinse a rientrare. Il fuoco riprese e cessò del tutto verso le 10. Il prigioniero Simeon Sacko dirà: «Ho visto cadere almeno una settantina di miei compagni, tra cui parecchi sottufficiali». Ed altri sei prigionieri dichiareranno che il 50 od il 60 per cento degli attaccanti era stato messo fuori combattimento. Noi a Malo avemmo solo alcuni feriti, di cui l'unico grave il caro Siro Cisilino, che morirà giorni dopo all'ospedale da campo 837. Verso la sera del 25 un russo, rimasto tutto il giorno nella neve, riuscì a trascinarsi presso ad una nostra postazione ed a lanciarvi una bomba a mano che ferì - non gravemente - una delle nostre più vecchie ghirbe, già pratico di guerra. Anche il russo ebbe una gamba spezzata da una raffica di mitragliatore. Mentre il medico gli curava la ferita, io gli mondavo la imboccatura delle maniche, che erano un blocco di ghiaccio, e sfregandogli con la neve le mani congelate, lo rimproveravo dolcemente perché non si fosse arreso prima: «Noi siamo italiani - gli dicevo - e gli italiani sono buoni. Vedi come ti trattiamo».

Mi rispose: «Jesli ja ransce snall» (Se l'avessi saputo prima!). E poco dopo, al ten. Pappalepore, che si avvicinava a vedere come stava, diceva con calore: «Tovarish doctor, spassiba!» (Compagno dottore, grazie!). L'attacco russo del Natale, che investi tutto il settore della Celere, mirava a penetrare a cuneo per la vallata di Alexeievo Orlowo. Bisognava, perciò, scardinare soprattutto i capisaldi di prima linea di Novaja, tenuto dalla 2a Cp. del 79° Btg. con due plotoni di mortaisti e di cannonieri del 63° AA., e di Ivanovka, tenuto dal 18° Btg. del 3° Rgt. Bersaglieri. A Ivanovka i bersaglieri combatterono a lungo eroicamente, ripiegando poi su Michailowka. Lasciarono nelle isbe una trentina di feriti, che trovammo tutti uccisi il giorno 28, quando riconquistammo quel caposaldo. Ne benedirò io il Cimitero il (5 gennaio, sotto la neve; ed il col. Carretto chiamerà ad uno ad uno i nomi dei suoi Caduti con la voce rotta dalla commozione.

A Novaja Orlowka noi avevamo meno di 200 uomini, tra camicie nere e soldati delle Armi Accompagnamento. Li comandavano il cent. Mengoli, i Cm. Tonolini, Codeluppi, Monelli e Barale ed i sottoten. Micale e Zangrande. L'attacco cominciò alle 6 del mattino. I russi erano certi che ne avrebbero avuto ragione d'impeto, o con poca fatica. Il ten. russo Michael Ilia Semionovic, che catturammo il 28 a Woroscilova e che mi si affezionò nelle due notti che passammo assieme, confidava: «Sapevamo che a Novaia eravate pochi; ma ci accorgemmo subito che dovevate aver ricevuto rinforzi, perché la resistenza fu assai maggiore di quanto ci aspettassimo e spezzò l'impeto dei nostri, compromettendo tutti i nostri piani». Di rinforzi, invece, non ce n'erano stati affatto. Circa 900 uomini della 962a Divisione di Fanteria russa irruppero contro il nostro caposaldo e l'avvolsero anche alle spalle. Alle 8 le comunicazioni telefoniche erano già tagliate. Il cent. Mengoli aveva fatto appena a tempo a telefonare: «I russi sono moltissimi. Intensificare il tiro delle artiglierie. Noi ci difenderemo fino all'ultimo».

Poco dopo doveva gettarsi fuori dalla casa, dove aveva sede il Comando, per ricacciare a bombe a mano i russi, che in quel punto riuscivano già ad infiltrarsi. Poi corse, insieme col suo portaordini, ad ordinare lo spostamento di un'arma pesante per tamponare quella falla dello schieramento. Ma nel ritorno rimaneva colpito da una fucilata al petto e cadeva al suolo sui margini della strada. Il fedele portaordini si chinò subito su di lui per soccorrerlo, ma il centurione gli disse: «Non preoccupatevi di me. Per me è finita. Corri dal Cm. Tonolini e digli che si assuma il comando. E di agli ufficiali che resistano fino all'ultimo». Il portaordini andò a portare l'estrema comunicazione del comandante e poi si mosse per ritornare in suo soccorso. Ma intorno a lui che giaceva ferito al suolo c'era già un nucleo di russi. Allora i nostri, ritirandosi dalle case più avanzate, fecero quadrato verso est una prima ed una seconda volta, e continuarono a contendere il passo al nemico casa per casa. Fu una lotta terribile e tragica.

Quando, verso le 11, essendo esaurite le munizioni, venne dato l'ordine di dirigersi verso Michailowka o Ivanovka, ed i superstiti sotto il tiro dei mortai e delle mitragliatrici russe, nel freddo e nella bufera, iniziarono quella che doveva restare famosa come la «via crucis» del dì di Natale, nell'ultima casa rimase a proteggere il ripiegamento il capomanipolo Tonolini Vittorio con alcuni pochi. Il sottotenente Zangrande Girolamo, intanto, s'affannava a portare in salvo i suoi feriti, e per quel pietoso indugio restava preso nella morsa. Dalla casetta si scaricavano sul nemico le ultime cartucce. Poi si fece, d'improvviso, un eloquente silenzio. E qui cedo la parola ad una donna russa che affermò d'aver visto la scena di persona.

«Poiché dalla casa degli italiani non tiravano più, un ufficiale sovietico si avanzò da quest'altra verso di essa, attraverso l'orto, e d'albero in albero. Nessuno sparò. Quando fu a pochi passi si apri la soglia e ne uscì il vostro ufficiale, un giovane alto, senza cappello e con le mani aperte, come per dire che non aveva più "patrone" (cartucce). Allora l'ufficiale russo gli si avvicinò, gli batté la destra sulla spalla in segno di ammirazione e, presolo a braccetto, se n'andò via con lui». Cosi si chiudeva, col riconoscimento dello stesso nemico, l'eroica resistenza di Novaia Orlowka, di cui la Legione «Tagliamento» si coprì di gloria come di un fatto d'armi sublime, anche se sfortunato. Quel giovane senza cappello, era il mio carissimo amico c.man. Tonolini, un «mugugnatore» di temperamento, con cui avevo stretto cordialissimi rapporti nelle sabbie del Dnieper.

I pochi superstiti di quella eroica avventura narrano di lui: «Egli era dappertutto; alle mitragliatrici e tra i feriti; dava ordini agli ufficiali, incoraggiava i combattenti, organizzava due volte il quadrato difensivo, faceva innalzare barricate, spostava le squadre secondo il bisogno, scagliava bombe a mano; aveva perduto l'elmetto e correva da un punto all'altro a capo scoperto, calmo, terribile, invulnerabile». Era suo attendente un vecchio combattente mantovano, di nome Ghiselli, che aveva fatto da ordinanza anche a me, dal 18 al 23, allorché ero stato a Novaia per l'anticipato Natale. Ferito anche lui, nella prima ora di combattimento, sarebbe voluto restare, ma il Tonolini volle che partisse verso Michailowka; tuttavia prima di lasciarlo lo baciò affettuosamente.

Quando più tardi il buon Ghiselli viene a sapere che il suo ufficiale non è rientrato, si leva dalla paglia e dice: « Voglio andar a morire col mio tenente». E brancola verso l'uscita. I camerati accorrono per fermarlo, ma lui è già caduto a terra. Lo portano di nuovo sul suo giaciglio di paglia. E li si mette a piangere come un bambino. «Chissà dov'è il mio tenente! Non lo dovevo lasciare. Dovevo morire con lui». Il Tonolini mori tre anni dopo, in prigionia; nel campo n° 74, colpito a sua volta dal tifo petecchiale, dopo essersi prodigato nell'assistenza dei prigionieri ammalati prima di lui. Cosi mi raccontò don Carlo Caneva, cappellano della «Julia» e fondatore del Tempio dei Caduti in Russia a Cargnacco. Ed una delle cose più dolci della mia povera vita è la testimonianza di don Caneva, che Tonolini mi ricordò a lui in quel triste luogo con memore, cordiale amicizia.

Due o tre chilometri alle spalle di Ivanowka e di Novaia Orlowka, nel fondo della valle, c'era - come ho detto - il caposaldo di seconda linea di Mikailowka, dove c'era il resto del 79° Btg. al comando del 1° sen. Patroncini, il gruppo d'artiglieria del maggiore Borghini ed il Comando di settore. I russi cominciarono a piovere da tutte le parti: dalla balka tra Scevcenko e Novaia, dalla balka di Ivanovka e dalle balze ad est. Mikailowka doveva essere espugnata ed espugnata subito, perché era la posizione chiave di tutta la valle. Ma non venne presa mai. Legionari, fanti ed artiglieri - i quali, quando non poterono più usare dei cannoni, si mescolarono agli altri nelle postazioni - formarono una barriera invalicabile.

Di quella gloriosa resistenza io ricorderò solamente l'episodio della morte del cent. Mario Gentile, comandante della Compagnia mitraglieri di Cuneo, cosi come me lo raccontò il nostro indimenticabile «Peder», cioè il medico del 79°, dott. Pietro Azzolini, trucidato poi a Vetto nel 1945. Il Gentile era corso a disinceppare personalmente una delle sue mitragliatrici e fu ferito mentre stava orientandone il tiro quasi allo scoperto, per poter meglio arrestare i russi che dilagavano giù dalle quote verso Mikailowka. Appena colpito, non si preoccupa di sé, ma ai suoi mitraglieri che accorrono sgomenti dice: - State tranquilli, ragazzi, e resistete sempre. È portato al posto di medicazione. E non ha un lamento. Sorride anzi. Dopo due mesi riesumandone la salma per una migliore sepoltura, ritroverò quel sorriso intatto come se fosse qualcosa d'incorruttibile ed eterno, e mi fermerò stupefatto a contemplarlo.

Io non ero presente alla sua morte, poiché mi trovavo a Malo Orlowka. Fu il medico che, con grande senso cristiano, gli suggerì parole di fede. Ed il buon centurione, sollevando lentamente la mano, si fece un ampio segno di croce. (Cinque giorni prima me n'andavo a celebrare la S. Messa in una casa russa, ove erano di stanza alcuni legionari. - Dove vai, cappellano? - mi chiese. Gli dissi dove. E lui: - Aspettami. Vengo anch'io. Venne infatti. E li, fra le camicie nere, assistette devotamente a quella che doveva essere la sua ultima Messa). La ferita era gravissima, tanto che il centurione cadde presto in quello stato di assopimento che poco più morte. Ma se ne risvegliò due volte. La prima fu per invocare i suoi due bambini, e fare loro, da tanto lungi, l'ultima più soave esortazione: - Diddy!... Pucci!... - disse - Buoni'... Buoni!... E mentre parlava cosi, muoveva le mani a carezzare, come se fossero li, come se sentisse al contatto delle dita le due testine care. La seconda volta, si riscosse per dire: - Mitraglieri. Poi tacque per sempre. Il medico rievoca quell'istante con queste eloquenti parole: - Mi parve trasfigurato e luminoso come un santo d'altare!

Un racconto a parte meriterebbe l'azione compiuta il giorno del Natale della 2a Cp. del 63°, di stanza nel villaggio di Scevcenko Ftoroi, dedicato alla memoria del grande poeta ucraino. Quella Compagnia era comandata da una delle più tipiche figure della Legione, il cent. De Appollonia, «mugugnatore» ed antiretorico per eccellenza ed insieme di un singolare e freddo senso del dovere. Quel che fece coi suoi uomini è forse un po' lasciato in ombra, proprio per la sua natura, schiva di esibizionismi. Ma fu, a mio parere, un'azione intelligente ed efficacissima. Ricevuto l'ordine di accorrere in soccorso della 2a Cp. del 79° a Novaja, il De Appollonia vi si mosse con la sua Compagnia. Ma i russi riempivano la balca tra lui e Novaja. Egli allora andò controllando e disturbando i movimenti russi dall'alto, con una insistenza ed una audacia che costò delle sensibili perdite, anche per il mitragliamento e lo spezzonamento degli aeroplani russi. Infine, con una manovra perfetta arrivò nei pressi di Crestowka e protesse la ritirata del Comando della Legione.

Ma forse il più efficace rapporto di quella azione traspare dal diario del mitragliere caduto, che si trovava appunto con quella Compagnia. «25 Dicembre - Montato di guardia ore 21,30. Ore 1,30 alla mitraglia. Dormito un po' vestito. Ore 7 dobbiamo spostarci. Mitragliati e spezzonati due volte. Visto aggiramento 79° Btg.; 200 tra morti, feriti, dispersi, fra i quali Dormi e Gatti. Due Divisioni russe... Nevica e non si può stare riparati causa pericolo di accerchiamento. Seguitato tutto il giorno a fare spostamenti. Legione tutta ritirata. Noi invece ancora al paese (intende a Crestowka), a causa 4 camion. Dobbiamo proteggere ritirata. Siamo un 30 uomini. Venuti i russi fin davanti la mitraglia. Fatto prigioniero allungando la mano. Venuta pattuglia russa. Ripiegamento tutta fretta. Sono tutto sfinito e bagnato. Ho due dita nere... Ore 22: andati di nuovo in postazione. Attaccato».

A Crestowka tutto il presidio del comando - legionari, fanti ed artiglieri - combatterono fino al pomeriggio. Verso le 2 o 3 si ritirarono ordinatamente a nord, nel caposaldo di Malo, rimasto intatto. Ricordo che c'era una nebbia insidiosa. Io uscii da Malo e mi arrampicai su uno dei pali di controllo dei lavori agricoli per vedere se i nostri avevano la via libera. Grazie a Dio, tutto procedette bene. E la sera del Natale il Comando Legione era al riparo nell'indomato caposaldo di Malo Orlowka. In quell'azione morirono Pregnolato Luigi e Ronutti Giovanni e rimase ferito gravemente Mauro Vittorio che spirava giorni dopo a Rikowo.



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