mercoledì 23 dicembre 2020

Relazione del Tenente Boldoni, parte 2

Relazione sui Carabinieri della Divisione Torino del Generale Attilio Boldoni nel 1942 Sottotenente Comandante della 66a Sezione Carabinieri sul fronte russo, seconda parte.

Alle ore 9,20 il generale Lerici espone al comandante del XXIX C. d'A. - via filo - la grave situazione in cui si trova la divisione. Unità corazzate russe sono in procinto di accerchiare la divisione. La strada dell'«avvicendamento» Karascew-Kranzow-Mankowo è tagliata. Il comandante del Corpo d'Armata tedesco dal quale la divisione dipendeva, generale von Obstfelder, risponde «È chiaro che occorre resistere». Alle ore 11 la Pasubio comunica che i russi sparano su Getreide e si trovano a Nowa Bjt Nord. Alle ore 11,10 un ufficiale del comando, inviato in ricognizione, riferisce che vi sono forti infiltrazioni tra Meschoff e Kalmikow. Si ode distintamente il cannoneggiare, il cielo è rosso per gli incendi.

Alle ore 13,30 dopo una telefonata drammatica con il comando del XXIX C. d'A. vengono diramati gli ordini di ripiegamento lungo la linea Kalmikow-Meschoff. Alle ore 16,00 giunge il Comandante del XXXV C.A. Gen. Zingales. Sorge la speranza che si fermi. Invece prosegue. Vuol raggiungere i suoi reparti. Alle ore 21,30 il XXIX C. d'A., modifica la direzione di marcia: sud-ovest, per un possibile ripiegamento. Alle ore 24,00 si interrompe l'ultimo collegamento telefonico. Alle insistenze di un ultimo definitivo ordine di ripiegamento il Gen. Von Obstfelder non risponde... È chiaro che il comando tedesco mira a protrarre la resistenza della Torino per completare il ripiegamento dei suoi reparti.

Da questo momento la Torino perde il collegamento con il proprio C. d'A. anche perché l'unica radio in grado di collegarsi con esso era stata distrutta dal Ten. Bômm, capo nucleo collegamento. Tale atto produrrà gravi ripercussioni sullo svolgimento delle successive operazioni. Alle ore 1,00 del 20, d'accordo con il gruppo Panzer, maggiore Hoffman, la Torino assume il gravoso compito di retroguardia di tutta la colonna. Viene subito disposta la riduzione del numero degli automezzi per dare maggiore autonomia a quelli che rimangono. In colonna, nel massimo ordine, i reparti si muovono. I reggimenti con le loro bandiere, con accanto i carabinieri. Sembra una normale esercitazione...

Già nella ritirata napoleonica le truppe italiane furono le sole Che riportarono le loro insegne in patria. Il Generale Lulli nel 1848, ancora con il cuore fremente per quei ricordi, consegnava, con nobile lettera, quelle insegne a Carlo Alberto. Ma questa volta verranno distrutte col fuoco... Sulla piana di Popowka giungono reparti della 298a tedesca, della Pasubio, della Ravenna e della Celere e servizi di C. d'A. Numerosi gli sbandati. File interminabili di automezzi e di carriaggi. L'81° fanteria, al comando del Col. Santini, giunge contemporaneamente a numerosi soldati di altri reparti. Il primo contatto è agghiacciante. Su una piana sterminata, interrotta da qualche piccola collina, i reparti sostano. Si deve proseguire a sud-est. Un colonnello d'artiglieria, quasi maestoso, in quadrato, dà l'ordine di rendere inservibili i 149/40 di cui l'esercito italiano disponeva solo due gruppi: uno in Russia e l'altro in Africa.

La sua voce trema, i suoi ordini sono precisi. Poi improvvisamente, sbucati dal nulla, carri armati russi T 34 attaccano. Contemporaneamente, piovono colpi di artiglieria e di mortai da 120. Sorpresa, seguita dalla ferma decisione di reagire come si può. Il comandante della 66a sezione con il Capo di S.M., maggiore Turrini, si porta verso l'inizio della colonna, superando difficoltà di ogni genere. Qualcuno si disorienta, piovono colpi di mortaio e granate... Si muore dappertutto. Viva l'Italia!!! si sente gridare. Un brigadiere agita una bandiera tricolore, grida, incita e anche lui muore. È un momento paradossale. Tutti sono decisi a combattere ed a proseguire, ma gli ordini non arrivano. Il generale non si trova perché è con la retroguardia. Finalmente l'incontro, un abbraccio, una lacrima e quindi ordini precisi e di nuovo si passa. La batteria del 52° artiglieria era comandata dal capitano Giorgio Bacchelli, fratello del famoso scrittore.

A Popowka è solo, spara sul nemico; un colonnello gli chiede: «Bacchelli? Siete quello de Il mulino del Po?» «No - risponde - Sono quello del mulo del Don!». Per mancanza di carburante non aveva più alcun trattore... Alzo zero, ordina Bacchelli. Già scorge le facce dei desantij (truppe d'assalto sovietiche) che tra le filacce di nebbia scompaiono sfracellate dalle sue granate. Spara fino all'ultimo pezzo che ricarica e spara. Nel guardare la colonna che sfila, si piega. La sua fronte si è spaccata. Poi da Popowka verso Posnjakow. Tutti gli ufficiali del comando si prodigano, con la pistola in pugno, a superare ogni ostacolo.

Alle ore 7 del 21, violento scontro a Posnjakow per superare uno sbarramento. Carri armati fanno carosello intorno alla colonna, ma vengono tenuti a debita distanza dal gruppo controcarro germanico e dai pezzi anticarro della divisione. Alla balza di Ssmirnowsky nuovo e violento scontro durato un'ora e mezza. Mentre si combatte alla testa, la coda della colonna è nuovamente assalita da fanteria e carri russi. Finalmente alle ore 20 si giunge ad Arbusow. Ma la strada verso sud-ovest è sbarrata. Miriadi di traccianti, come gran festa, coprono il cielo facendo sentire più vicina la presenza di Dio. Si fa il censimento delle artiglierie: solo 3 pezzi da 75/27. Tutto il resto è rimasto sulla strada...

AD ARBUSOW «LA VALLE DELLA MORTE».

Il vero calvario della Torino è iniziato bruscamente col trasferimento da Popowka ad Arbusow, durante il quale anche le sezioni 66a e 56a dei carabinieri devono impegnarsi a fondo, e assai duramente per contenere il nemico, sempre più imbaldanzito e dilagante. L'aspro combattimento di retroguardia, sostenuto da reparti scelti della divisione, si svolge sulle alture della riva sinistra del Tichaja ed impone ai difensori gravissime perdite ma consente al grosso della colonna di sfilare protetto. La disparità delle forze è spaventosa, schiacciante. I carabinieri sono fermamente decisi ad affrontare qualsiasi pericolo, ed accettare in silenzio qualunque sacrificio, con imperturbato e disciplinato fervore. Cadono cosi, nel vortice della battaglia e della tormenta i più puri e silenziosi eroi del dovere e anche molti di quelli che sopravvivono all'offesa delle armi nemiche sono ben presto ghermiti dalla stretta graduale, ma inesorabile, dell'assideramento e della fame. Il gelido candore d'una sterminata coltre di neve ricopre rapidamente numero imprecisabile di corpi umani abbattuti, di carogne di quadrupedi, di armi e di materiali d'ogni genere, sommergendo e cancellando ogni traccia di guerra, di movimento, di vita...

Intanto, alla sera dello stesso giorno 21 dicembre, la colonna principale - anch'essa ormai decimata e stremata - di quella che già fu l'invitta Divisione Torino riesce a trascinarsi fino alla conca di Arbusow, «la valle della morte». Quivi già stazionavano alcuni elementi germanici dello stesso XXIX Corpo d'Armata i quali, sebbene in perfette condizioni di efficienza - perché regolarmente vettovagliati con rancio caldo avevano avuto il compito, assai meno gravoso, di aprire la marcia alla colonna. Mentre sopraggiungono gli ultimi superstiti delle durissime azioni ritardatrici affidate al fior fiore della Torino, la posizione viene ad un tratto investita dal nemico e serrata, in breve evolvere di tempo, in una micidiale morsa di ferro e di fuoco. A far fronte alla tremenda minaccia essenzialmente devono provvedere, ancora una volta, i nostri combattenti, i quali, benché già spossati dalle vicende della giornata affamati e ormai sprovvisti di munizioni, ritrovano ancora la forza di resistere agli attacchi, ora più vigorosi e soverchianti, dei russi che sembrano proprio decisi a fare di quella sciagurata conca la tomba di quanti osino continuare ad opporsi ai travolgenti sviluppi della loro marcia inesorabile.

Per due intere giornate la colonna rimane assediata nella conca di Arbusow, subendo sempre più dappresso l'attacco di agguerrite unità nemiche, le quali, senza posa, tentano d'annientarla. Fin dal mattino del 22 dicembre, la situazione si fa tanto insostenibile che il comando della Torino, d'intesa col comando tedesco, decide di tentare un ultimo disperato sforzo per allargare il cerchio, cosi da ridare un po' di respiro alla difesa. Dovrebbe essere un contrattacco generale delle truppe italo-germaniche, irradiantesi nelle varie direzioni più redditizie, dal centro, dove saranno riunite per l'accompagnamento dell'azione, le armi pesanti ancora utilizzabili (cannoni, mortai e mitragliatrici).

Per questa prova suprema, i superstiti della Torino vengono suddivisi in piccoli gruppi al comando dei pochi ufficiali, sottufficiali e graduati più validi, cosi da poter tentare l'estremo assalto in diverse direzioni convergendo, subito dopo, verso quella dove si fosse, verificato un principio di cedimento avversario, onde sfruttarlo senza perdere tempo. Ma i reparti germanici sembrano tutt'altro che disposti ad impegnarsi a fondo, ed è tale lo sfinimento di quasi tutti gli italiani e la disparità delle forze che il tentativo appare agli stessi suoi organizzatori e comandanti, ineluttabilmente condannato all'insuccesso. Arbusow è una località situata al centro di alture che erano dominate dai russi. Questa località, verrà indicata come «Alcazar degli italiani» per i loro atti di eroismo.

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