mercoledì 31 marzo 2021

L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 16

L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), sedicesima e ultima parte.

PERDITE.

Durante le operazioni svolte nel ciclo operativo 11 dicembre-31 gennaio, l'Armata subì gravi perdite di personale, quadrupedi, armi e materiali di ogni genere, specie per le unità che risultarono soggette ad accerchiamenti da parte delle masse nemiche. Cause determinanti: la resistenza in posto che impose il sacrificio, talvolta totale, di capisaldi, di reparti, di intere unità; la violenza e la durata della battaglia, nonché la prevalenza delle forze avversarie; la deficienza per non dire la mancanza di adeguate armi anticarro; le dure condizioni climatiche; la mancanza di carburante che determinò l'abbandono di gran parte delle artiglierie (tutte motorizzate) degli automezzi e dei materiali delle grandi unità; la mancanza di riserve. Complessivamente i caduti e i dispersi furono 85.000 circa, pari pressoché ad 1/3 della forza iniziale dell'Armata; la massa è costituita dalla fanteria e sue specialità. I feriti e congelati furono quasi 30.000.

La sorpresa causata dalla notizia che a soli circa 20.000 ammontano i prigionieri dei campi di concentramento della Russia non si attenua molto alla luce delle cifre sopraindicate anche se ai fini statistici, si osserva che, per giudicare dell'ordine di grandezza di quella che avrebbe potuto essere, nella migliore ipotesi, la cifra dei sopravvissuti fra i disseminati nella steppa, il numero dei prigionieri segnalati in Russia va messo in rapporto, non già, col totale delle perdite (115.000) e, neppure, col totale dei caduti e dispersi (85.000), bensì con quest'ultima cifra diminuita delle perdite, in caduti, subite dall'Armata nella battaglia di logoramento (II C.A. e D. «Pasubio»); nella battaglia di rottura e nei contemporanei attacchi di agganciamento (II C.A., D. «Pasubio», D. «Celere»); e nei combattimenti per rompere l'accerchiamento, prima, sull'ala destra (D. «Torino», D. «Pasubio», D. «Celere», D. «Sforzesca») e, poi, sull'ala sinistra (C.A. alpino).

Non si hanno notizie particolareggiate su queste perdite, salvo per il XXXV C.A. che, in linea approssimativa, indica in 1800 i morti e i dispersi e in i feriti e congelati della D. «Pasubio»; in 370 i morti e i dispersi ed in 980 i feriti e congelati del raggruppamento «3 gennaio»; in 1020 i morti e dispersi ed in 1510 i feriti e congelati delle truppe e servizi del C.A. fino al 19 dicembre. Si rammenta, però, che per la «Cosseria» in conseguenza delle perdite subite nei primi giorni di combattimento, era stata disposta la sostituzione in linea, alla data del 15 dicembre. D'altra parte, la «Torino», che fu solo parzialmente e poco impiegata in combattimento durante la battaglia di logoramento e dl rottura, dopo l'assedio di Tschertkowo raggiunse Starobolosk con soli 1200 uomini sugli 11.000 che la componevano quando era schierata sul Don (comandante della divisione e comandante della fanteria divisionale: congelati; comandanti dei tre reggimenti: due morti, uno ferito; comandanti dei battaglioni e dei gruppi: non uno presente, tutti morti o feriti o dispersi; comandanti di compagnia e di batteria: tre o quattro presenti). Ci asteniamo, perciò, dal trarre non facili illazioni.

Anche le perdite dei materiali risultano dagli allegati sopra citati. Esse ammontano a 3/4-4/5 della consistenza totale per i mezzi di trasporto; a gran parte delle armi di reparto (fuc. mitr., mitr., mortai, pezzi c.c., ecc.); alla quasi totalità delle artiglierie, dei materiali delle unità e loro scorte ad immediata portata; a gran parte delle dotazioni dei centri logistici avanzati (Rossosch, Kantemirowka, Maltschewskaja, Millerowo) e un'aliquota di quelle dei centri arretrati (Woroschilowgrad. Kupiansk, Kharkow). Nonostante le perdite, il materiale d'intendenza salvato rappresenta una percentuale notevole di quello inizialmente presso l'Armata. Ed invero i rapporti dell'intendenza con le autorità tedesche per l'assegnazione dei mezzi di trasporto e di carburante, come già ricordato, rischiarono più volte di superare il limite di rottura.

CONCLUSIONE.

Queste, in rapida visione le vicende dolorose, ma certo non ingloriose, dell'Armata italiana in Russia. I superstiti sono tornati alle loro case e tornano i prigionieri. E', fra di essi, chi racconta, ma i più rifuggono dal rinnovare, pur anche nel pensiero, il loro tormento. Il tempo attenuerà il ricordò delle atrocità sofferte o viste. Alcuni troveranno forse attenuanti anche per i disumani misfatti nelle supreme esigenze della guerra. Ma i figli dei figli, tutti, ricorderanno pur sempre lo sdegno dell'avo per l'altezzoso contegno di chi gli era, suo malgrado, compagno d'armi. Ricorderanno che amaro conforto per il superstite avvilito sulla via del ritorno, nelle desolate steppe dell'oriente, era stata la visione della sconfitta tedesca terrorizzato come egli era dal pensiero di dover «dividere» (!) la Vittoria con un tal «condomino» sulla soglia di casa.

Per un peccato veniale, molti anni or sono, un grande uomo di Stato, che contribuì a promuovere la soluzione pacifica dei conflitti internazionali - e non esitava, quando riteneva che il suo paese fosse nel torto, a dirlo - William Gladstone, dall'alto del suo scanno in Parlamento, rivolgeva un fiero monito al popolo britannico: «Viaggi un inglese dove vuole come privato cittadino. Sarà ritenuto in generale integro, magnanimo, coraggioso, liberale e sincero; ma con tutto ciò gli stranieri sentiranno troppo di sovente qualche cosa di repulsivo in sua presenza; ed io mi rendo conto che ciò avviene perché egli ha una spiccata tendenza a presumere di sè e troppo poca disposizione a considerare i sentimenti, le abitudini e le idee degli altri... «Da parte mia sono d'avviso che l'Inghilterra sarà privata di gran parte della sua gloria e della sua dignità se verrà a mancarle l'appoggio morale che scaturisce dal fermo generale consenso del genere umano; se giorno verrà in cui essa pur continuando a destare la meraviglia ed il timore delle altre nazioni non avrà parte alcuna nella loro affezione e nella loro stima».

Per un peccato oltre ogni dire «mortale», a nome di milioni di colpiti negli affetti più cari, il tormentoso dopoguerra infligge, oggi, un duro insegnamento al popolo germanico perché bandisca dal suo linguaggio le parole «popolo eletto» e da ogni suo programma ed azione la politica che a tale formula si ispira. Sono esse bandite altresì, e decisamente, in ogni altra lingua e nazione? L'umanità se lo augura perché sono parole maledette!



Nessun commento:

Posta un commento