domenica 28 marzo 2021

L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 15

L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), quindicesima parte.

COMPORTAMENTO TEDESCO DURANTE LA BATTAGLIA.

Sul quadro d'insieme del sacrificio cui furono votate le nostre truppe in Russia, e che si è cercato di tracciare, un'ombra fosca si proietta ancora a renderne più triste, ma più realistica la visione. Essa promana dal contegno di qualche comando tedesco e dei militari germanici in generale verso gli «infelici alleati». Il soldato tedesco ha in questa campagna compiuto invero atti di soperchieria ed ha dato sfogo a manifestazioni di violenza a nostro danno che superano la naturale tendenza alla sopraffazione insita nel temperamento germanico! Ricordiamo che, all'inizio della battaglia, una divisione tedesca (la 298a) faceva parte del XXXV C.A. italiano ed un reggimento tedesco (il 318°) dipendeva dalla «Cosseria». Per contro erano alle dipendenze di un comando tedesco (il XXIX C.A.) le nostre tre divisioni «Torino», «Celere» e «Sforzesca».

Ma la reciprocità è soltanto apparente perché: mentre la dipendenza delle nostre unità dall'autorità tedesca è integrale ed assoluta (abbiamo visto la D. «Torino» contrattaccare il 18 dicembre per rioccupare delle posizioni mentre tutte le altre divisioni già ripiegavano; e la D. «Sforzesca» far ritorno sullo Tschir in ottemperanza ad un ordine del comando germanico) l'altra, la dipendenza delle unità germaniche dai comandi italiani, è soltanto nominale ed apparente. Le unità tedesche e non soltanto la divisione, ma i reggimenti, i battaglioni e i gruppi autonomi, quando non crederanno di dare esecuzione ad un ordine ricevuto dall'autorità italiana dalla quale dipendono, chiederanno ed attenderanno la conferma del comando Gruppo Armate e cioè di una autorità germanica superiore alla più alta autorità italiana in terra di Russia!

Ciò incoraggerà la costante tendenza dei nostri alleati ad «accorrere» senza fretta, quando il loro concorso è invece urgente; a pretendere che i nostri reparti resistano «in posto» anche quando per essi è evidente la maggiore convenienza di ripiegare, per salvare qualche cosa. E tutto questo per avere lavoro più facile e per continuare a sfruttare al massimo i mezzi altrui, senza troppo preoccuparsi dell'alleato (non è questa una esclusività del comando in Russia. Nella pubblicazione «The Eight Army» preparata dal Ministero delle Informazioni britannico per il Ministero della Guerra, sulle operazioni nell'Africa Settentrionale, si legge: «Più tardi il generale Montgomery disse che Rommel era un buon generale, ma che aveva tendenza a ripetersi. E' in questo momento che egli iniziò la tattica, di poi costantemente ripetuta quando trovava in situazioni imbarazzanti, di salvare i propri soldati tedeschi a spese degli infelici alleati»).

E che dire del disagio di un'azione di comando da parte italiana in tutto soggetta della parte germanica la quale neppur sempre comunica il quadro complessivo della situazione operativa, e che, disponendo dei trasporti ferroviari e delle assegnazioni di carburante, finisce, in sostanza, per controllarla completamente mettendola in condizioni di assoluta dipendenza? Il disagio si traduce assai di sovente in uno stato di vera impotenza. Né vogliamo soffermarci sulla presunzione germanica di mantenere elevato lo spirito combattivo delle proprie truppe attribuendo agli altri le cause dei rovesci: l'esito vittorioso dell'offensiva sarebbe da imputarsi ad una insufficiente resistenza da parte delle unità alleate in linea! Solo ci limitiamo a riportare alcuni tipici episodi che rivestono particolare importanza per le ripercussioni sfavorevoli ch'essi ebbero sullo sviluppo delle operazioni e che rivelano fino a qual punto i comandanti germanici abbiano abusato del «vincoli d'impiego» delle unità tedesche messe alle dipendenze - per così dire - di comandi italiani:

Nella giornata del 16 dicembre, inizio dell'attacco generale del nemico sul fronte dell'8a Armata: Il comando del XXXV C.A. ordina alla 298a D. germ. di dislocare immediatamente a Galijewka una batteria del L gruppo italiano da 149/28, precedentemente posto alle sue dipendenze, per battere d'infilata alcune vallette a nord di Krassnogorowka, dove si stavano ammassando notevoli forze nemiche. Il comando della 298a D., pur trattandosi di artiglieria italiana e pur non essendo la divisione impegnata, ritarda con pretesti vari l'esecuzione dell'ordine e comunica, infine, che avrebbe messo a disposizione un solo pezzo. Soltanto in seguito ad ulteriori insistenze l'ordine venne integralmente eseguito. Il ritardo frapposto nell'intervento della batteria fa perdere all'azione di fuoco gran parte della sua efficacia.

Il comando del XXXV C.A. ordina che il I/526a germ., dislocato in riserva, passi a disposizione della « Pasubio » per effettuare in unione ad altri reparti, un immediato contrattacco allo scopo di ristabilire la situazione fra Ogolew e Abrassomova. Il comandante del btg. germanico dichiara di non potersi muovere se non dietro ordine del comando Gruppo Armate. In tale atteggiamento il reparto viene appoggiato dal comando della 298a D. germ. Il comando artiglieria del XXXV C.A. chiede all'artiglieria della 298a D. di intervenire a protezione di Krassnogorowka battendo d'infilata le forze nemiche attraversanti il Don per attaccare l'abitato. La 298a D. oppone un netto rifiuto affermando, contrariamente al vero, di essere impegnata sul fronte.

Il 18 dicembre, il comando del XXXV C.A., in conseguenza di disposizioni del comando Armata, ordina alla 298a di sostituire in linea il 79° rgt ftr. ridotto a circa 600 uomini. Gli ufficiali di collegamento germanici preso la «Pasubio» segnalano che due cp. tedesche inviate per sostituire il III/79° non avevano trovato in posto il battaglione. Immediati accertamenti precisano che i reparti non si erano portati sulle previste posizioni, ma si erano dislocati su un costone retrostante alle posizioni sulle quali il btg. italiano aveva, nel frattempo, respinto un altro attacco. I due ufficiali tedeschi di collegamento, invitati a recarsi sul per constatare l'inesattezza della loro comunicazione, opponevano un rifiuto motivato con il solito vincolo della preventiva autorizzazione del comando Gruppo Armate.

Il 19 dicembre, la 298a germ., in seguito a comunicazione del comando XXIX C.A. (tedesco) inizia il ripiegamento non ordinato dal comando XXXV C.A. (italiano) da cui dipende, senza avvertire nè provocare ordini del comando stesso. Alle rimostranze di questo dichiara di essere passata alle dipendenze del comando XXIX C.A. L'episodio (per la rottura dei collegamenti l'episodio è conosciuto dall'Armata soltanto ai primi di gennaio a ripiegamento effettuato) è connesso ad altra contemporanea arbitraria modifica da parte del XXIX C.A. degli ordini impartiti dall'Armata il giorno 19 per il ripiegamento dal Don dei C.A. XXXV e XXIX. Cambiamento di disposizioni che, sottraendo la 298a D. tedesca al XXXV C.A. e passandola alle dipendenze del XXIX (comando tedesco), portò, fra l'altro, all'anormale situazione di un C.A. (XXXV) inserito tra le unità di un altro (XXIX) ed a frammischiamenti e intasamenti sull'unica via di deflusso, con evidenti ripercussioni negative sulle operazioni.

Alla sera del 19, il comando XXIX C.A. ordina, improvvisamente e d'iniziativa, alla «Celere» ed alla «Sforzesca» di abbandonare la linea Meschkoff-Tsdhir (sulla quale secondo disposizioni impartite lo stesso giorno dal comando Armata si doveva condurre la difesa) e di ripiegare in direzione di Kaschary. Il Gruppo Armate dà direttamente, senza interpellare l'Armata, immediato contrordine. Le conseguenze dell'ordine e del contrordine sono gravi: l'iniziale arretramento consente a forti aliquote corazzate nemiche di infiltrarsi sulla strada di Djogtewo; il successivo ritorno verso lo Tschir, compiuto soltanto dalla «Sforzesca», meno premuta dal nemico, mentre disperde energie e sacrifica uomini, mezzi e tempo preziosi, non porta alcun beneficio alla condotta della difesa. Nel campo logistico e dei trasporti in particolare, la soggezione assoluta, i vincoli artatamente creati dal comando germanico si appalesano nel più tormentoso. Basterebbe ricordare che, all'atto del ripiegamento, la 298a D. tedesca disponeva della sua piena dotazione di carburante mentre le nostre unità erano costrette ad abbandonare, fin dal primo giorno, le artiglierie e via via sugli ultimi automezzi che, peraltro, in parte riforniti di carburante dai tedeschi, venivano da questi utilizzati per loro esclusivo uso e consumo. Ma più che dettagliata delle richieste avanzate e delle concessioni avute in fatto di treni, carburante, mano d'opera, prigionieri, sfruttamento di risorse locali etc., a render meglio l'idea delle condizioni di disagio in cui furono messi i nostri servizi, si riporta, in stralcio, il grido di protesta lanciato dall'intendente al superesercito, l'8 gennaio, durante la battaglia del Don, quando già l'ala destra dell'Armata era stata costretta a ripiegare e si delineava l'avvolgimento del C.A. alpino.

Sono motivi ricorrenti nei cifrati dell'intendenza, ma questo che riportiamo sintetizza più efficacemente la situazione: «Autorità tedesca cerca tutti controllare et dove possibile impadronirsi nostra organizzazione et limitare mia libertà azione modo et forma intollerabili et inconciliabili nostro prestigio alt In particolare tende ad impadronirsi direttamente mezzi trasporto alt Nessuna ragione salvo proprio egoistico interesse giustifica interventi che specie nel campo dei trasporti minacciano con impiego antieconomico compromettere nostra efficienza già gravemente scossa recenti avvenimenti... Nelle attuali condizioni massime esasperanti et risorgenti difficoltà sono rappresentate non da ambiente clima distanza etc. ma da rapporti con tedeschi. «Chiedo sia detto chiaramente at che nostri uomini li comandiamo noi et nostri mezzi li comandiamo noi pronti capisce a dare sempre concorso come sempre si è dato anche se est illusorio come esperienza abbondantemente dimostra sperare in una qualsiasi contropartita alt.».

Ispirandomi alla linea di condotta dei loro comandi, i militari tedeschi durante il ripiegamento hanno tenuto il più deplorevole contegno verso l'alleato che aveva sacrificato il 70% delle sue fanterie per tener testa ad un avversario superiore di mezzi e di uomini e aveva dato loro la possibilità di ritirare tutto il materiale e di ripiegare agevolmente. Così si son visti svaligiare magazzeni per i quali erano stati negati i mezzi di trasporto, facendo sorgere il fondato dubbio che il diniego fosse stato inspirato dall'intenzione di appropriarsi dei viveri e dei materiali; laddove, incontrando sezioni di sussistenza tedesche provviste di viveri, compreso il pane, ai nostri soldati non veniva dato nulla; solo, a volte, un po' di miglio e tre patate crude. Dalle isbe, a mano armata, venivano cacciati i nostri soldati per far posto a quelli tedeschi; nostri autieri, a mano armata, venivano obbligati a cedere l'automezzo; dai nostri autocarri venivano fatti discendere nostri soldati, anche feriti, per far posto a soldati tedeschi; dai treni carichi di feriti venivano sganciate le locomotive per essere agganciate a convogli tedeschi; feriti e congelati italiani venivano caricati sui pianali dove alcuni per il freddo morivano durante il tragitto, mentre, nelle vetture coperte, prendevano posto militari tedeschi, non feriti, che, avio-riforniti, mangiavano e fumavano allegramente quando i nostri soldati erano digiuni da parecchi giorni.

Durante il ripiegamento, i tedeschi, su autocarri o su treni schernivano, deridevano e dispregiavano i nostri soldati che si trascinavano a piedi nelle misere condizioni che abbiamo descritte e, quando qualcuno tentava di salire sugli autocarri o sui treni, speso semivuoti, veniva inesorabilmente colpito col calcio del fucile e costretto a rimanere a terra. Né, data la diversa efficienza dei singoli e dei reparti, potevano sempre bastare, a raffrenare la tracotanza germanica, le sporadiche reazioni, anche violente, di comandanti e gregari, né l'ordine dato dall'Armata agli autisti di opporsi, con le armi, ad ogni tentativo di privarli dell'automezzo. «Nella conca di Arbusowka molti, moltissimi, da parte nostra sono i morti ed i feriti, che per mancanza di locali chiusi vengono depositati all'aperto, vicino al posto di medicazione. Il comando tedesco, cui per mezzo dell'interprete ci si era rivolti per avere qualche ambiente da adibire a ricovero di feriti, non aderisce alla richiesta, giustificando tale rifiuto con l'asserzione che tutte le case sono occupate da comandi tedeschi. E' solo dopo vive insistenze che si riesce ad avere una piccola isba, assai piccola, e naturalmente insufficiente per le necessità delle centinaia e centinaia di feriti che di ora in ora vanno accumulandosi. Nevica e la neve li ricopre».

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