martedì 23 marzo 2021

L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 14

L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), quattordicesima parte.

VISIONE VICINA DEL RIPIEGAMENTO. Sin qui la visione panoramica che si ha della battaglia dall'alto di un virtuale osservatorio militare. Scendiamo, ora, al piano e guardiamo da vicino lo sterminato campo della tragica vicenda durante il ripiegamento. La steppa si presenta sotto l'aspetto più triste di desolazione e di morte. La temperatura tra i 35° ed i 40° sotto zero. Frammista a reparti, che pur mantengono una certa consistenza organica, una immensa fiumana di militari di tutte le armi e corpi, estenuata dal freddo e dalla fame procede verso ovest e verso sud-ovest attraverso campi, boschi coperti di neve, su strade ingorgate da carreggio, slitte, automezzi; premuta, attaccata, accerchiata, frazionata e deviata da carri armati, da elementi motorizzati, da cavalieri nemici. Sono uomini al limite di ogni umana resistenza, che una miracolosa forza sostiene e camminano, camminano come automi in colonne che sempre più si assottigliano avendo tre nemici mortali da combattere: il carro armato, il partigiano, il freddo. Contro i primi due, i più animosi si battono; di fronte al terzo, i più deboli soccombono.

Nella notte gelida, resa più tormentosa dall'implacabile bufera di neve molti cadono stremati di forze, si rialzano, fanno ancora pochi passi poi si fermano. Alcuni sono raccolti, altri si inginocchiano, pregano poi reclinano la testa: non occorre più raccoglierli. Suicidi e casi di pazzia completano il triste quadro. Le slitte sono stracariche di feriti e congelati, i quadrupedi si abbattono vinti dalla fatica; alpini, fanti, artiglieri si sostituiscono ad essi nel traino, ma ogni tanto qualche slitta deve fermarsi per non più muovere. E la fiumana si assottiglia, ma pur sempre imponente, procede nella sua marcia, inondando i villaggi dove le isbe rigurgitano di militari. Italiani, tedeschi, ungheresi, romeni si contendono a mano armata un posto al coperto per riposare e scaldarsi. Non di rado, nel trambusto violento, l'isba si incendia carbonizzando quelli che vi hanno cercato rifugio, impossibilitati ormai dall'intasamento a mettersi in salvo.

Man mano che si allontanano dalla pressione nemica i soldati perdono ogni parvenza militare. Molti si liberano delle armi, delle munizioni, delle bombe a mano per rendere meno faticosa la marcia. E qualche bomba esplode al passaggio di questo formicolaio umano: quasi non bastasse, nuove vittime vanno ad aggiungersi a quelle prodotte dal nemico, dal freddo, dall'esaurimento. Copricapi, giubbe della popolazione ucraina sostituiscono le uniformi lacere; stivaloni di feltro prendono il posto di scarpe a brandelli. Nelle soste, altri soldati, liberatisi dalla prigionia, senza cappotti, senza giubbe, e non pochi senza scarpe, tolto loro dal nemico per impedirne la fuga, con i piedi fasciati di paglia, raggiungono la marea umana e con essa tentano di proseguire la marcia. Passano così di casa in casa, di villaggio in villaggio ove la popolazione ucraina - per pietà, simpatia o per ordine ricevuto dalle autorità russe - è sollecita nell'alleviar sofferenze, offre da mangiare, vestire e possibilità di riposo.

In questo ambiente, che prevale nel quadro generale del grande rovescio militare nel quale fu travolta anche l'8a Armata italiana, ai reparti meno provati o ancora in pugno a comandanti energici toccò il duro compito di sostenere aspri combattimenti per aprire successivi varchi nei continui sbarramenti avversari, che i russi, informati dall'aviazione della direzione di marcia delle colonne e ben sapendo che le condizioni climatologiche imponevano di trascorrere la notte in paesi, si avvalevano di reparti motorizzati per precederle nell'occupazione degli abitati; ivi imponevano il combattimento mentre altre forze le attaccavano, più spesso sui fianchi che in coda, per spezzarle in tronconi che venivano poi sopraffatti o per lo meno scompaginati. Seguiamo le vicissitudini di un reparto come sono narrate in un rapporto: tutti si somigliano un po', quanto meno nel tormento.

«La colonna riprende la marcia. Dopo breve cammino l'avversario ci accoglie col fuoco di armi automatiche. La 2a e la 3a cp. si spiegano rapidamente e vanno decise all'attacco; i russi cedono terreno; ma appaiono presto i primi carri armati. in principio due carri leggeri che velocemente risalgono la rotabile in senso inverso al nostro movimento. I pezzi delle cp. cannoni prendono posizione sul lato sinistro della strada ed aprono il fuoco. Battoni i carri a brevissima distanza: li centrano, dalla torretta di essi si sprigiona, improvvisa e violenta, una fiammata che, simile ad una torcia, arderà a lungo illuminando di rossi bagliori fanti e cannonieri. La 2a e la 3a cp. guadagnano intanto terreno sebbene il crepitare delle mitragliatrici russe si vada facendo sempre più fitto e rabbioso. Nella notte buia la linea tenuta dal nemico è facilmente individuabile: le fiammelle delle sue armi ne punteggiano lo sviluppo; è evidente il tentativo di circondarci... Ben presto entrano in azione nuovi carri e questa volta si tratta di macchine imponenti per mole e armate di più mitragliatrici e provviste di cannone. A notevole velocità esse percorrono in su e in giù le strade e le piste provenienti da sud e mitragliano e cannoneggiano.

«La cp. cannoni, che ha seguito il movimento delle cp. fucilieri, prodiga il suo tiro. Si vedono i proiettili dei nostri 47/32 cogliere la corazzatura dei carri e rimbalzare arroventati in alto, verso il cielo, simili a razzi. Due carri vengono tuttavia immobilizzati, ma continuano a fare fuoco con le armi di bordo... La comparsa dei carri pesanti segna un momento d'arresto nell'azione; i nostri avanzano, ma sempre più penosamente e sempre più lentamente. Gli elementi di fanteria russa cedono terreno sfruttando abilmente ogni casa e ogni ostacolo per sbarrarci il cammino; il tempo passa veloce e lo slancio dei fanti tende ad appesantirsi; i cannonieri sono scorati; capi pezzi e puntatori si mordono le mani e piangono di fronte all'inutilità del loro fuoco. Ad aggravare la situazione ben presto la nostra prima linea urta contro una serie di carri pesanti fermi, appostati presso le case che falciano col tiro delle loro armi le nostre file: sono veri fortini contro i quali le armi di fanteria nulla valgono; tra carro e carro le mitragliatrici russe sgranano i loro colpi; di tratto in tratto, improvvisamente, un carro irrompe lungo la strada e le piste.

«A rendere la scena ancora più impressionante i carri con pallottole incendiarie appiccano metodicamente il fuoco ai tetti di paglia deve isbe, gli incendi illuminano a giorno il teatro del combattimento; ogni movimento dei nostri è visto e provoca violenta reazione di fuoco... I feriti, i caduti sono molti. Il combattimento tende a stabilizzarsi a tutto nostro danno. Sono manifesti i segni di scoramento e di sgomento. Le prime luci dell'alba stentatamente si fanno strada fra il fiammeggiare degli incendi che materializzano come torce giganti il cerchio che ci stringe da ogni parte. Se ogni ulteriore indugio può essere fatale un disperato tentativo di rompere la cerchia del nemico ha possibilità di riuscita? L'incertezza dura poco. All'ultimo "Avanti" il combattimento si riaccende violento; i russi sparano dalle case, dai carri e da ogni anfrattuosità del terreno; davanti a sui nostri fianchi crepitano le mitragliatrici, le pallottole frustano l'aria in ogni senso; chi può dire quanto sia durata questa corsa in avanti sorretta solo dalla volontà di sfuggire al nemico?

«Finalmente ci troviamo al di là dello schieramento avversario. Avanti il più rapidamente possibile verso sud-ovest evitando le strade. Si inizia, così, il nostro camminare alla bussola attraverso la steppa, fuori strada, sulla neve che talvolta ci sommerge fino al ginocchio, con temperature che oscillano fra 40° e 50° sotto zero, sorretti dalla disperata volontà di riprendere il nostro posto accanto ai nostri. Nevica e il vento gelido ci penetra fin nelle ossa. Siamo sfiniti, la sete che invano tentiamo sopire ingollando manciate di neve ci serra la gola! I più si muovono come automi ubbriachi, qualcuno si è buttato a terra supplicando di morire in pace. E' assolutamente indispensabile concedere qualche ora di riposo! ma dove? Nella steppa non c'è una casa, una pianta, un riparo pur che sia. Troviamo, infine, una balka piena di neve e ci sembra provvidenziale: se non altro saremo al riparo dal vento. All'"Alt", di schianto, gli uomini si buttano a terra nella neve e dormono; ma una vedetta veglia per tutti. La bufera che turbina sopra di noi, ci preservi da ogni sorpresa! E' la vigilia di Natale.

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