venerdì 19 marzo 2021

Caro Abbondio...

In questa pagina racconto storie di uomini, storie ormai lontane, storie di soldati inghiottiti in quel buco nero che fu la Campagna di Russia; ho sempre avuto un rispetto assoluto per chi ha vestito una divisa, da qualunque parte è stato; ma in particolare per i nostri soldati impegnati in Russia. Ricordarli mi fa sentire bene... Ma non ci sono solo loro in tutta questa storia, anzi. Ci sono anche le persone che li hanno visti partire, li hanno aspettati per mesi o anni e, purtroppo in tanti casi non li hanno visti tornare.

La mia famiglia, in questo senso, è stata fortunata; non è stata toccata da questa tragedia. Ma ho conosciuto diverse persone in questi anni che al contrario hanno vissuto sulla loro pelle tutto questo; volevo da tempo dare spazio anche a questo aspetto che nei diversi viaggi è sempre emerso parlando con le persone che venivano con me... perché tutto questo in qualche modo me lo hanno sempre trasmesso e me lo sento sempre addosso. Lascio pertanto la parola a chi saprà meglio di me raccontare questa parte della storia...

Raccontare la storia della mia famiglia senza la presenza di Abbondio è come aver vissuto la nostra vita a metà, incompleta di gesti, di parole e di affetto. Oggi che in famiglia rimango solo io a testimoniare cosa significhi vivere con “un disperso” vi posso dire che non è un morto qualsiasi ma un’anima che non ha mai trovato pace tra i nostri pensieri nonostante il tempo ci abbia sedotto con il pensiero della morte come unico sollievo. Mi chiamo Silvia Ostinelli e sono la nipote di Abbondio Ostinelli, alpino comasco della Tridentina inquadrato nel glorioso Battaglione Morbegno e dato disperso il 26 gennaio 1943. Da quella data mia nonna vedova con tre figli sulle spalle cominciò a cercare notizie del figlio scomparso nonostante le difficoltà di quel momento.

La storia...

Nel dicembre 1941 mia nonno muore. Lo zio di stanza a Merano fa ritorno a casa per i funerali del padre. E’ l’ultima volta che vedrà la famiglia e la sua terra. Mio padre mi raccontò anni fa alcuni aneddoti di quel momento:

“Abbondio prima di ritornare in caserma, volle che lo accompagnassi sulle nostre montagne, quelle che si affacciano sul lago come faceva spesso quando era a casa. Mi disse: 'Questa terra sarà per me motivo di forza e speranza in Russia'.

Il 22 luglio 43 partì da Avigliana con il 5° Alpini per raggiungere le zone di guerra in Russia lasciando l’Italia per sempre senza voler rivedere nessuno di noi. - Il distacco sarebbe troppo doloroso per te cara mamma ed io non lo sopporterei- scrisse in una lettera.

Per i primi mesi e fino alla fine del 1942 arrivarono a casa le sue lettere in cui non si dilungava troppo nel raccontarci particolari ma ci rassicurava e ci spiegava che tutto il Battaglione Morbegno era sul Don aspettando che venisse buona. Dal gennaio del 1943 cessarono di arrivare notizie. Mia madre preoccupata non smise mai di sperare anche contro ogni evidenza di vederlo tornare e nella vecchiaia sperò con tutte le sue forze che di quel figlio tornassero almeno i resti o una parte di essi per poter sfogare il suo dolore su qualcosa. Credo che la cosa peggiore per lei fosse proprio questa: non avere una tomba su cui piangere il figlio.

Ricordo che per tanti anni continuò a recarsi a Como all’Associazione dei Dispersi per cercare di trovare almeno qualche indizio anche minimo che potesse far luce sulla sua fine. Già la sua fine… Ormai era chiaro che nostro fratello era morto ma poter ripercorrere i suoi ultimi giorni, anche sommariamente, sarebbe stato un sollievo per lei, un modo di essergli vicino ancora.”

Anche i fratelli risentirono in modo profondo la perdita di Abbondio. Il loro legame si era indebolito, qualcosa si era spezzato inesorabilmente, si erano persi tra di loro quando avevano udito circa la possibile fine del fratello, ossia la prigionia. Difficile da far capire a chi non ha provato sulla pelle i resoconti di guerra e di prigionia subiti da un figlio o fratello. Se non trovi una valida motivazione che giustifichi la fine, è facile perdere la testa. Ecco che allora la sua morte diventa il sacrificio, un simbolo che da valore a tutto il tormento con il quale abbiamo convissuto da sempre.

Mia nonna si spense con gli anni, la sua mente non accettava più la realtà, e lentamente perse la memoria per il troppo dolore, la perse per il quotidiano vivere ma non per Abbondio. In qualche modo aveva trovato la maniera per convivere con il suo ricordo. Per tutti gli anni che rimase viva scrisse ovunque per raccogliere informazioni sulla sorte dello zio ma tra tutte le lettere me ne resta in testa una in particolare che mandò al Comando Raccolta prigionieri italiani a Odessa che mi ha colpito per la gentilezza delle parole usate per descrivere un atroce dolore. Ne riporto uno stralcio.

“Spettabile Comando, oso presentarmi a Voi come una madre piena di ansia e di affetto verso il proprio figlio con questa mia supplica che chiede di dare al cuore di questa madre qualche vostro cenno di risposta…. Di Mio figlio, Abbondio Ostinelli, già alpino del 5° rgt alpini, battaglione Morbegno, 45° compagnia, Tridentina non ho avuto più notizie dal gennaio 1943. Le ricerche intraprese sono state vane. Spero però nella vostra bontà nell’intraprenderne altre e nel darci comunicazioni, che portino a noi, parenti ansiosi, un poco di quella serenità perché sfiniti e angosciati. Mentre attendo vostre, spero e credo che attraverso la vostra gentilezza di cuore, possa anch’io un giorno sentire il nome del mio caro figlio sano e salvo in una terra grande e ospitale”...

Si dice che il dolore provato dai genitori si iscriva sul DNA dei figli come memoria perenne dei vissuti, tramandata attraverso le generazioni. Ecco io penso di aver ereditato questo dolore, quello di mia nonna in particolare perché averla vista disperata un’intera vita, ha condizionato la mia, rendendomi poi consapevole in età adulta di quello che sarebbe stato il mio destino: ripercorrere la storia dello zio, andare in Russia e capire quello che gli era successo. Insomma ho sempre voluto dare una risposta alla nonna. E l’ho fatto, insieme a quel desiderio delirante e perenne di riportare a casa lo zio.

Quando torno a Como passando per l’autostrada laghi, godo sempre dello spettacolo straordinario che ogni volta la mia terra mi propone, il lago con le sue montagne e io lo ammiro con gli occhi dello zio, con il suo stesso stupore e la gioia che avrebbe avuto nel ritornare a casa. Per me vuol dire sentirlo accanto.

Abbondio, muore molto probabilmente in un lager del Pahta Aral nel odierno Kazakhstan come tanti altri suoi commilitoni. Ogni volta che lo immagino morente in piena solitudine pensando a noi, riesco a vedere i suoi occhi. E simbolicamente mi sdraio vicino a lui e gli tengo la mano. Lui non è morto ma vive attraverso di me.

Silvia Ostinelli
Como



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