mercoledì 3 marzo 2021

Il processo D'Onofrio, parte 1

Il processo D'Onofrio, prima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono narrati. Qualsiasi commento inopportuno verrà immediatamente cancellato; chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

Il "processo D'Onofrio" fu intentato proprio dal D'Onofrio, uno dei maggiori dirigenti del partito comunista italiano, nei confronti di alcuni reduci dell'ARM.I.R. - Armata Italiana in Russia, per il numero unico 'Russia', pubblicato dagli stessi, nel quale il D'Onofrio veniva accusato pubblicamente di "aver interrogato, maltrattato, minacciato i nostri soldati prigionieri in Unione Sovietica, oltre ogni legittimo ed umano comportamento".

CHI ERA EDOARDO D'ONOFRIO.

Edoardo D'Onofrio nacque a Roma il 10 febbraio 1901 da Pietro e da Giulia Di Manno. All'età di dodici anni il D'Onofrio si iscrisse alla federazione giovanile socialista militando in vari circoli della capitale. Nel 1917 venne arrestato per la prima volta nel corso di una manifestazione per la pace e alla fine dell'anno entrò a far parte del comitato centrale della federazione giovanile socialista, schierandosi con la corrente di sinistra che si ispirava alla rivoluzione russa. L'anno successivo entrò nel partito socialista e venne arrestato per la seconda volta per aver distribuito volantini antimilitaristi.

Nel 1921 fu al congresso di Livorno e partecipò alla fondazione del partito comunista d'Italia e assunse compiti di direzione della Federazione giovanile comunista. Nel 1922 si recò a Mosca al IV congresso dell'Internazionale. Al rientro in Italia venne subito arrestato e trascorse sei mesi in carcere. Una volta liberato partì clandestinamente per Mosca, ma fu richiamato in Italia nel 1925 per organizzare la federazione giovanile comunista. Arrestato nel 1928, venne condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a 12 anni e 6 mesi di reclusione e a tre anni di libertà vigilata.

Liberato in seguito all'amnistia del 1934, riuscì ad espatriare illegalmente nel giugno 1935 e si rifugiò in Francia. Dopo aver partecipato alla guerra civile spagnola, raggiunge l'Unione Sovietica nel 1939. Qui, nel 1943, venne incaricato della direzione del lavoro politico tra i prigionieri italiani, assunse la direzione de "L'Alba" periodico diffuso nei campi di prigionia e s'impegnò personalmente nelle "attività" che gli verranno addebitate da quei pochissimi nostri prigionieri rientrati in Italia, dopo anni di durissima prigionia. Nel 1945 si trasferì a Roma dove venne eletto segretario delle federazione provinciale romana e successivamente anche segretario regionale per il Lazio e per l'Abruzzo. Ricoprì diversi incarichi di partito e morì a Roma il 14 agosto 1973.

I REDUCI ED IL NUMERO UNICO "RUSSIA".

D'Onofrio durante la sua permanenza nei campi di concentramento di Oranki e di Skit:

1) assistito dal Fiammenghi e alla presenza di un Ufficiale dell'N.K.V.D. ha sottoposto ad estenuanti interrogatori dei prigionieri italiani detenuti in quei campi;

2) non si trattava di semplici conversazioni politiche, come ipocritamente il D'Onofrio vorrebbe far credere, ma di veri e propri interrogatori di carattere politico che spesso duravano delle ore e durante i quali veniva messo a verbale quanto il prigioniero rispondeva;

3) immediatamente dopo la visita di D'Onofrio in quei campi alcuni dei prigionieri italiani che in quei giorni erano stati sottoposti ad interrogatorio furono allontanati e rinchiusi in campi di punizione e ancora oggi alcuni sono trattenuti nei campi di concentramento di Kiev;

4) simili procedimenti avevano il duplice scopo di far crollare prima con lusinghe e poi con esplicite minacce (non ritornerete a casa; lei non conosce la Siberia? allusioni alla famiglia, carcere e simili) la resistenza fisica e morale di questi uomini ridotti dalla fame, dalle malattie, dai maltrattamenti a cadaveri viventi e guadagnare l’adesione degli altri prigionieri intimoriti dall’esempio della sorte toccata a questi.

Nessun commento:

Posta un commento