venerdì 6 settembre 2019

Diario di viaggio, giorno 5

5 SETTEMBRE - Giornata dedicata ad Arbusowka, la "valle della morte: dal libro “L’aurora a occidente” di Mario Bellini si evinco particolari geografici che ci consentono di capire meglio cosa davvero si verificò ad Arbusovka: “Risalii le file stanche e disarticolate della colonna. I bagliori degli enormi falò che bruciavano nell'abitato di Arbusow, nel nero metallico della notte, coloravano di rosa e di arancione la neve compatta di un vasto pianoro, nel quale come un estuario, si immetteva la strada che stavamo percorrendo. Bruciavano le isbe di un agglomerato di case, mentre era in corso uno scontro fra reparti tedeschi che avevano preso posizione sulla sinistra e forze russe già appostate sulla destra. Dalle traiettorie delle traccianti e dalle parabole dei bengala che partivano dalle contrapposte posizioni riuscii a capire che ci trovavamo in una valletta stesa fra due linee di colline”.

“Mentre il fuoco incrociato delle mitragliatrici continuava, piovvero tra le isbe i proiettili dei mortai. Il fragore delle esplosioni si accompagnava al bagliore accecante delle vampe seguito dalle nuvole di fumo acre color antracite. Cominciò la grande mattanza che andò avanti per due giorni. Ogni volta quelle esplosioni facevano volare come stracci i corpi dei colpiti, uccidendoli o martirizzandoli”. “I feriti, con le membra spezzate e mutilate, venivano trascinati via e affidati ai medici che, senza attrezzatura e con scarsissimi materiali, iniziarono, su questa banchina glaciale, un prodigioso impegno che sarebbe andato avanti fino alla notte del 24 dicembre e che alcuni di loro avrebbero proseguito in prigionia, restando a fianco dei loro sventurati pazienti. Tutti i feriti, da quella sera, iniziarono un vero calvario. I più fortunati furono stivati in fredde isbe. La maggior parte rimase all'addiaccio. Venivano addossati alle pareti esterne delle case o ai pagliai, avvolti in coperte. Molti sarebbero morti assiderati”.

“Il mio cervello lavorava febbrilmente mentre osservavo gli elmetti a campana dei russi che dalla collina alla mia destra stavano scendendo verso di noi. Tutta la valle era piena di vampe, di scoppi e di fumo; ciò rendeva difficile scambiare qualche parola. Molti erano già stati afferrati dal panico che, purtroppo, si stava diffondendo”. “In quel momento, soffocato da una massa di gente terrorizzata e pronta a essere macellata, conobbi la paura. Fui afferrato da una specie di ipnosi. Mi spoglia interiormente di ogni cosa, orgoglio, ideali. Mi sentii incapace di ogni scelta, perfino della libertà di movimento. Ero inerte, più che rassegnato; pronto a essere catturato”. “Senza badare al pericolo, percorremmo lo scenario degli innumerevoli scontri di quel giorno. Ci avviammo lentamente lungo il pendio in leggera salita che da Arbusow bassa porta ad Arbusow alta, l’ultima propaggine della quale era in mano al nemico che da qualche centinaio di metri ci osservava senza difficoltà”.

“Arrivammo alle ultime case del primo agglomerato di Arbusow alta. Cominciava a quel punto il tratto di strada che era terra di nessuno. Più avanti si notavano le chiazze bianche delle isbe occupate dai russi. Là era piazzata la mitragliatrice che continuava a lanciare traccianti le cui traiettorie dividevano a metà la vallata”. “Mano a mano che quella notte terribile aveva scandito il suo tempo malvagio, si erano affievoliti i lamenti dei feriti e dei congelati che, non avendo trovato posto al coperto, erano stati collocati in giacigli di paglia addossati alle pareti esterne delle isbe. Quasi tutti erano morti”. “Ero certo che i tedeschi si erano già concentrati nella direzione sud - sud ovest a immediato contatto con il nemico. Non ne vedevo più nessuno sulle strade del paese. Noi italiani avevamo ancora dei reparti della Torino e di camicie nere efficienti a presidio di qualche caposaldo”.

“Verso le 9 si diffuse l’ordine del comando italiano di concentrarsi nella balca Mensinchina, una valletta defilata che si apriva nel pianoro all'inizio del paese di Arbusow. Ci avviammo in quella direzione con la speranza di sfuggire al massacro. Ci allontanavamo, però, dalla linea di contatto con il nemico, dove la colonna sarebbe dovuta penetrare se si fosse aperto un varco”. “Mi ero avviato lungo una balca parallela: era una fenditura incassata con pareti profonde circa 2-3 metri. Vi erano gruppi di soldati seduti in terra, immobili e silenziosi. Chiesi loro se più avanti vi fossero reparti italiani. Mi risposero che c’erano i tedeschi. Avanzai ancora per qualche centinaio di metri e raggiunsi un incrocio nel quale confluiva una fenditura trasversale che proveniva dall’abitato di Arbusow. La balca da me percorsa proseguiva oltre l’incrocio”.

Queste le testimonianze di alcuni dei protagonisti; ma la tragedia che vissero i nostri soldati nella “valle della morte” la si evince in tutta la sua drammaticità dalle cifre: durante gli scontri che si verificarono nella località dal 21 al 25 dicembre 1942 su circa 25.000 italiani, ben 20.500 furono i morti, i prigionieri ed i feriti; solo 4.500 uomini, oltre ad un certo numero di tedeschi della 298° Divisione di Fanteria germanica, riuscirono a sfondare verso la successiva località di Tscherkowo.

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