Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... steppa ed isbe di Postojalyi; qui per primo il battaglione Verona della Tridentina effettuò l'attacco per occupare la località e riprendere poi la lunga ritirata. E' il 19 gennaio 1943.
Dal 2011 camminiamo in Russia e ci regaliamo emozioni
Trekking ed escursioni in Russia sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale
Danilo Dolcini - Phone 349.6472823 - Email danilo.dolcini@gmail.com - FB Un italiano in Russia
domenica 21 febbraio 2021
sabato 20 febbraio 2021
Bruno e Mario Carloni, parte 2
Legate alle vicende belliche ci sono e ci saranno sempre "belle" storie da raccontare; storie di uomini e di eroismi, di paure e di coraggio. Ve n'è una che ho scoperto per intero da poche settimane, ed è quella di un figlio ed un padre, entrambi combattenti in Russia, entrambi combattenti nel 6° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere. Il secondo di cui parlerò è il padre, Mario Carloni.
Mario nasce a Napoli il 27 dicembre 1894; il 31 dicembre 1912 si arruola come soldato volontario nel Regio Esercito, assegnato al 5° Reggimento Bersaglieri. Allievo ufficiale di complemento, fu nominato sottotenente per il servizio di prima nomina presso il 7° Reggimento bersaglieri con Regio Decreto 29 aprile 1915; durante il corso della prima guerra mondiale rimase ferito in combattimento due volte, e fu promosso tenente per merito di guerra il 2 dicembre 1915, poi capitano il 10 aprile 1917. Aiutante di campo presso la 2a Brigata Bersaglieri dal 31 dicembre 1917, passò poi in servizio presso il deposito Cecoslovacco in forza al 33° Reggimento mobilitato il 16 maggio 1918, e prestò servizio al Quartier generale del comando del Corpo Cecoslovacco dal 4 novembre 1918 al 10 giugno 1919. Dopo l'entrata in guerra del Regno d'Italia, avvenuta il 10 giugno 1940, il 19 settembre dello stesso anno si imbarcò per l'Albania, dove a partire dal 28 ottobre prese parte alle operazioni belliche contro la Grecia alla testa del 31° Reggimento fanteria "Siena". Trasferito a Creta, il 4 ottobre 1942 chiese il trasferimento per combattere sul fronte russo al comando del 6° Reggimento bersaglieri di Bologna, rimanendovi fino al 23 marzo 1943.
Il Colonnello Carloni chiese espressamente di poter servire nello stesso Reggimento Bersaglieri nel quale il figlio Bruno era caduto durante la Campagna di Russia; così scrisse Mario nel suo bel libro "La campagna di Russia", edito nel 1971, oggi non di facile reperibilità: "Nei primi giorni di settembre del 1942 mi trovavo a Creta, comandante del 31° fanteria e del settore italo-tedesco di Heraclion (Candia) nella parte centrale dell’isola (Creta), alle dirette dipendenze del comandante superiore tedesco dell’isola. A Neapolis mi giunse dal comando superiore di Rodi un telegramma che annunziava la morte di mio figlio Bruno, sottotenente del 6° bersaglieri, avvenuta il 13 agosto in Russia, sul Don, in combattimento a Baskowskij. [...] Dal principe ereditario, ispettore della fanteria, ottenni la promessa che mi sarebbe stato affidato il comando del 6°. A Creta, infatti, mi raggiunse l’ordine che mi trasferiva al comando del 6° bersaglieri. Potevo così continuare, nel suo stesso reggimento, l’opera del mio caro figliuolo, che guadagnò in un solo mese di guerra tre ricompense al valore, fra cui la medaglia d’oro".
Le vicende del Colonnello Carloni e del 6° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere sono narrate nel libro sopra indicato; restano da ricordare le ben 4 Medaglie d'Argento al Valor Militare guadagnate dallo stesso, una nella Grande Guerra e tre durante la Seconda Guerra Mondiale.
Medaglia d'argento al valor militare: «Lanciava la propria truppa all’assalto, incitandola con nobili parole all’avanzata. Caduto ferito e impossibilitato a tenere il Comando continuava ad animare i dipendenti e al comandante del Battaglione che gli era accorso vicino per confortarlo rivolgeva le seguenti parole: ‘Non pensare a me, pensa al battaglione portalo avanti. Viva l'Italia, Viva l'Italia”. Flondar, 5-giugno-1917.»
Medaglia d'argento al valor militare: «Comandante di Reggimento di rara perizia, in cento giorni di lotta aspra ed accanita, dava luminose prove di ardimento e di valore contro un nemico, di gran lunga superiore di forza e di mezzi ed in condizioni di terreno e di clima oltremodo difficile, sempre primo tra i suoi fanti, si prodigava infaticabilmente oltre ogni limite, creando del suo reggimento un magnifico organismo di lotta e di vittoria. Fulgido esempio di alta virtù militare, di costante sprezzo del pericolo, di profonda dedizione al dovere. Albania, 28 ottobre 1940 - 10 febbraio 1941.»
Medaglia d'argento al valor militare: «Comandante di reggimento di elevate qualità militari, già distintosi in precedenti fatti d’armi sul fronte greco e più volte decorato al valore in successivi giorni di operazioni belliche dava ripetute prove di slancio, capacità, dedizione al dovere. Rimasto con qualche centinaia di bersaglieri del suo reggimento contro preponderanti forze nemiche che Io attaccavano ripetutamente minacciandolo di aggiramento, riusciva a impedire per due giorni ogni progresso. Attaccato violentemente ancora una volta riusciva a contenere sino al sopraggiungere della notte la posizione avversaria, ripiegando solo dietro esplicito ordine superiore. Magnifica figura di comandante valoroso capace e animatore. Valle Tichaja (fronte russo), 17-19 dicembre 1942.»
Medaglia d'argento al valor militare: «Comandante di un reggimento Bersaglieri motorizzato, in una particolare critica situazione, con ammirevole serenità, coraggio, energia, e capacità operativa, dava anima a una tenace resistenza esponendosi ove maggiore era il pericolo. Minacciato d’accerchiamento da elementi corazzati nemici, si apriva arditamente un varco raggiungendo lo schieramento arretrato di truppe amiche. Successivamente proteggeva per più giorni il ripiegamento di unità alleate accerchiate da forze corazzate e da fanterie nemiche riuscendo a rintuzzare sempre vittoriosamente ogni tentativo dell’avversario. Fronte Russo 21 dicembre 1942–3 gennaio 1943.»
Mario nasce a Napoli il 27 dicembre 1894; il 31 dicembre 1912 si arruola come soldato volontario nel Regio Esercito, assegnato al 5° Reggimento Bersaglieri. Allievo ufficiale di complemento, fu nominato sottotenente per il servizio di prima nomina presso il 7° Reggimento bersaglieri con Regio Decreto 29 aprile 1915; durante il corso della prima guerra mondiale rimase ferito in combattimento due volte, e fu promosso tenente per merito di guerra il 2 dicembre 1915, poi capitano il 10 aprile 1917. Aiutante di campo presso la 2a Brigata Bersaglieri dal 31 dicembre 1917, passò poi in servizio presso il deposito Cecoslovacco in forza al 33° Reggimento mobilitato il 16 maggio 1918, e prestò servizio al Quartier generale del comando del Corpo Cecoslovacco dal 4 novembre 1918 al 10 giugno 1919. Dopo l'entrata in guerra del Regno d'Italia, avvenuta il 10 giugno 1940, il 19 settembre dello stesso anno si imbarcò per l'Albania, dove a partire dal 28 ottobre prese parte alle operazioni belliche contro la Grecia alla testa del 31° Reggimento fanteria "Siena". Trasferito a Creta, il 4 ottobre 1942 chiese il trasferimento per combattere sul fronte russo al comando del 6° Reggimento bersaglieri di Bologna, rimanendovi fino al 23 marzo 1943.
Il Colonnello Carloni chiese espressamente di poter servire nello stesso Reggimento Bersaglieri nel quale il figlio Bruno era caduto durante la Campagna di Russia; così scrisse Mario nel suo bel libro "La campagna di Russia", edito nel 1971, oggi non di facile reperibilità: "Nei primi giorni di settembre del 1942 mi trovavo a Creta, comandante del 31° fanteria e del settore italo-tedesco di Heraclion (Candia) nella parte centrale dell’isola (Creta), alle dirette dipendenze del comandante superiore tedesco dell’isola. A Neapolis mi giunse dal comando superiore di Rodi un telegramma che annunziava la morte di mio figlio Bruno, sottotenente del 6° bersaglieri, avvenuta il 13 agosto in Russia, sul Don, in combattimento a Baskowskij. [...] Dal principe ereditario, ispettore della fanteria, ottenni la promessa che mi sarebbe stato affidato il comando del 6°. A Creta, infatti, mi raggiunse l’ordine che mi trasferiva al comando del 6° bersaglieri. Potevo così continuare, nel suo stesso reggimento, l’opera del mio caro figliuolo, che guadagnò in un solo mese di guerra tre ricompense al valore, fra cui la medaglia d’oro".
Le vicende del Colonnello Carloni e del 6° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere sono narrate nel libro sopra indicato; restano da ricordare le ben 4 Medaglie d'Argento al Valor Militare guadagnate dallo stesso, una nella Grande Guerra e tre durante la Seconda Guerra Mondiale.
Medaglia d'argento al valor militare: «Lanciava la propria truppa all’assalto, incitandola con nobili parole all’avanzata. Caduto ferito e impossibilitato a tenere il Comando continuava ad animare i dipendenti e al comandante del Battaglione che gli era accorso vicino per confortarlo rivolgeva le seguenti parole: ‘Non pensare a me, pensa al battaglione portalo avanti. Viva l'Italia, Viva l'Italia”. Flondar, 5-giugno-1917.»
Medaglia d'argento al valor militare: «Comandante di Reggimento di rara perizia, in cento giorni di lotta aspra ed accanita, dava luminose prove di ardimento e di valore contro un nemico, di gran lunga superiore di forza e di mezzi ed in condizioni di terreno e di clima oltremodo difficile, sempre primo tra i suoi fanti, si prodigava infaticabilmente oltre ogni limite, creando del suo reggimento un magnifico organismo di lotta e di vittoria. Fulgido esempio di alta virtù militare, di costante sprezzo del pericolo, di profonda dedizione al dovere. Albania, 28 ottobre 1940 - 10 febbraio 1941.»
Medaglia d'argento al valor militare: «Comandante di reggimento di elevate qualità militari, già distintosi in precedenti fatti d’armi sul fronte greco e più volte decorato al valore in successivi giorni di operazioni belliche dava ripetute prove di slancio, capacità, dedizione al dovere. Rimasto con qualche centinaia di bersaglieri del suo reggimento contro preponderanti forze nemiche che Io attaccavano ripetutamente minacciandolo di aggiramento, riusciva a impedire per due giorni ogni progresso. Attaccato violentemente ancora una volta riusciva a contenere sino al sopraggiungere della notte la posizione avversaria, ripiegando solo dietro esplicito ordine superiore. Magnifica figura di comandante valoroso capace e animatore. Valle Tichaja (fronte russo), 17-19 dicembre 1942.»
Medaglia d'argento al valor militare: «Comandante di un reggimento Bersaglieri motorizzato, in una particolare critica situazione, con ammirevole serenità, coraggio, energia, e capacità operativa, dava anima a una tenace resistenza esponendosi ove maggiore era il pericolo. Minacciato d’accerchiamento da elementi corazzati nemici, si apriva arditamente un varco raggiungendo lo schieramento arretrato di truppe amiche. Successivamente proteggeva per più giorni il ripiegamento di unità alleate accerchiate da forze corazzate e da fanterie nemiche riuscendo a rintuzzare sempre vittoriosamente ogni tentativo dell’avversario. Fronte Russo 21 dicembre 1942–3 gennaio 1943.»
Una tragedia annunciata, parte 3
Riporto la terza parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.
L'impressione che il sottoscritto ha riportato dell'ambiente attuale dell'8a Armata può riassumersi nei seguenti termini: pletorica negli elementi di retrovia, e con andamento in tono minore in tutti i comandi, andamento non perfettamente consono allo spirito di un ordigno di guerra che dovrebbe rappresentare l'Italia migliore in terra straniera. La nota predominante apparente è stata quella della paura da parte di tutti i comandi - maggiori o minori - di provocare incidenti con la Wehrmacht: quindi acquiescenza e, questa, piena e completa con forse appena deboli, formali e per questo sterili, reazioni. Cosi, sarebbe stato l'Alto Comando tedesco ad ordinare uno schieramento in linea di tutte le Unità della nostra ARM.I.R., come delle altre armate, senza preoccuparsi di lasciare almeno qualche aliquota di esse a protezione delle truppe avanzate. Con la sembra indiscussa accettazione da parte nostra di tale ordine è avvenuto quindi che quello che, altrimenti, avrebbe potuto essere solo un episodio della guerra probabilmente superabile, sia finito in un rovescio di proporzioni ancora non calcolabili, ma certo serio, più che tutto per la perdita di materiali preziosissimi ed insostituibili.
Il soldato di prima linea ha, come meglio ha potuto, assolto in genere il suo dovere: si può dire che si è generosamente battuto fin oltre ai limiti del sacrificio. L'attuale equipaggiamento invernale è più che buono (un documento del Comando Supremo in data 13 ottobre 1941 segnalava l'avvenuta distribuzione a ciascun militare del Corpo di Spedizione "di un berrettone di pelliccia, un paraorecchi di tipo romeno, un paio di guanti foderati di pelliccia, un cappotto foderato di pelliccia. Alle truppe in servizio di guardia o addette a servizi speciali - continuava il promemoria - saranno dati anche il sacco a pelo, un giubbotto di pelliccia di tipo transilvano ed un paio di calzari con suola in legno") e, tenuto conto delle circostanze, anche il vitto è soddisfacente. Ma le nostre truppe in un settore della guerra dove la meccanizzazione raggiunge altissimo grado sono in quanto ad armamento in condizioni assolutamente inadeguate al loro compito; ai carri armati pesanti e pesantissimi di cui i russi sono e continuano ad essere abbondantemente provvisti, sia per propria produzione, sia per rifornimento dall'estero (enorme fu il contributo dell'industria statunitense e britannica allo sforzo bellico sovietico, specialmente per quanto concerneva la fornitura di mezzi moto-meccanizzati: 9.214 carri armati fra leggeri M3 e medi M3 ed M4 (americani) e Churchill, Matilda II, Valentine Mk 3 e 4, Tetrarch Mk VII forniti dal Commonwealth britannico, oltre a ben 520.000 altri veicoli militari, alcuni dei quali blindati) esse non possono opporre che poche anche se e qualitativamente non disprezzabili artiglierie, già d'altra parte anche usate e logorate da un servizio prestato su altri fronti, un discreto numero di mitragliatrici nelle stesse condizioni, il fucile 1891 (cioè di un modello datato di oltre cinquant'anni...) e la volontà di combattere (mentre anche i sovietici erano dotati di un fucile M1891 cal. 7,62 - il nostro era di calibro inferiore, 6,5 mm; in più i sovietici disponevano, su scala ridotta, anche id un modello di fucile semiautomatico, il Tokarev. Come arma automatica individuale, i loro reparti scelti erano armati col moschetto automatico PPSh41 cal. 7,62, mentre ai nostri si stava gradualmente distribuendo, proprio dall'estate 1942 e con precedenza ai reparti speciali, il moschetto mitra Beretta 38-A con caricatore da 40 colpi, calibro 9 parabellum).
Ma esiste veramente nel soldato tale volontà? In quanto ho potuto osservare, sarei portato a rispondere negativamente. La guerra sul fronte russo non è sentita sia dal soldato, sia disgraziatamente dall'elemento ufficiali, segnatamente da quelli inferiori. Ma a tale proposito mi corre l'obbligo di constatare la mancanza di idealità e comprensione da parte della grande maggioranza dei giovani ufficiali addetti alle truppe e che di queste dovrebbero essere i diretti educatori ed ammaestratori: unica preoccupazione di costoro pare essere quella dei godimenti materiali od altrimenti dei vantaggi che dalla campagna di Russia possono loro derivare. La mensa, i conforti annessi alla mensa, i piccoli affari che possono combinare sul posto, la loro sola preoccupazione. L'esempio degli ufficiali non può quindi che esercitare in molteplici casi la sua non sana influenza sullo spirito della truppa. Né gli Alti Comandi e i troppi Uffici e Servizi di cui le retrovie pullulano sono esenti da questa tara: in molti casi la sola e costante attività è rivolta a speculare sui campi e a procacciarsi con qualsiasi mezzo generi alimentari, materiali di recupero, rottami e suppellettili da mandare comunque a casa, molto verosimilmente per farne oggetto di commercio più che per necessità diretta.
Chi scrive potrebbe citare il caso di ufficiali anche superiori i quali, giornalmente, inviano in Italia vari pacchi di generi vari che, prelevati per uso locale, non vengono usati dagli aventi diritto ma sottratti al loro legittimo consumo per essere [destinati] ad altri meno chiari scopi. Sono esempi isolati, ma indici di una situazione anche troppo generalizzata. Esiste poi disgraziatamente, soprattutto fra i più giovani ufficiali alle truppe la persuasione che in caso di cattura da parte dei russi, essi vengano seviziati o trucidati. Non so sino a che punto ciò essere esatto, ma debbo notare come tale persuasione profondamente radicata non costituisca certo un coefficiente atto ad aumentare la combattività di coloro che sono destinati a condurre reparti al fuoco e incidere profondamente sul loro morale. A qualunque costo bisognerebbe evitare che tali idee persistessero, ma d'altra parte come raggiungere tale scopo con - oltre tutto - degli armamenti tanto impari alla lotta?".
L'estensore accenna poi alla stanchezza ed al logorio delle truppe germaniche ed all'evidente indebolimento delle loro armate corazzate dopo Stalingrado, ricordando di aver osservato, nel viaggio di ritorno attraverso la ferrovia sud, solo "un movimento normale di uomini - non inquadrati - come non ho potuto vedere se non qualche treno di materiali: in tutto non più di 150 carri armati diretti verso le prime linee". E conclude riferendo che al fronte è diffusa la convinzione che l'Armata Rossa sia ben lontana dal crollo, specie grazie ai consistenti aiuti dei suoi "alleati" ed allo spirito di adattamento del suo popolo, evidente anche da quanto si ha modo di constatare nei territori occupati dalle truppe dell'Asse.
L'impressione che il sottoscritto ha riportato dell'ambiente attuale dell'8a Armata può riassumersi nei seguenti termini: pletorica negli elementi di retrovia, e con andamento in tono minore in tutti i comandi, andamento non perfettamente consono allo spirito di un ordigno di guerra che dovrebbe rappresentare l'Italia migliore in terra straniera. La nota predominante apparente è stata quella della paura da parte di tutti i comandi - maggiori o minori - di provocare incidenti con la Wehrmacht: quindi acquiescenza e, questa, piena e completa con forse appena deboli, formali e per questo sterili, reazioni. Cosi, sarebbe stato l'Alto Comando tedesco ad ordinare uno schieramento in linea di tutte le Unità della nostra ARM.I.R., come delle altre armate, senza preoccuparsi di lasciare almeno qualche aliquota di esse a protezione delle truppe avanzate. Con la sembra indiscussa accettazione da parte nostra di tale ordine è avvenuto quindi che quello che, altrimenti, avrebbe potuto essere solo un episodio della guerra probabilmente superabile, sia finito in un rovescio di proporzioni ancora non calcolabili, ma certo serio, più che tutto per la perdita di materiali preziosissimi ed insostituibili.
Il soldato di prima linea ha, come meglio ha potuto, assolto in genere il suo dovere: si può dire che si è generosamente battuto fin oltre ai limiti del sacrificio. L'attuale equipaggiamento invernale è più che buono (un documento del Comando Supremo in data 13 ottobre 1941 segnalava l'avvenuta distribuzione a ciascun militare del Corpo di Spedizione "di un berrettone di pelliccia, un paraorecchi di tipo romeno, un paio di guanti foderati di pelliccia, un cappotto foderato di pelliccia. Alle truppe in servizio di guardia o addette a servizi speciali - continuava il promemoria - saranno dati anche il sacco a pelo, un giubbotto di pelliccia di tipo transilvano ed un paio di calzari con suola in legno") e, tenuto conto delle circostanze, anche il vitto è soddisfacente. Ma le nostre truppe in un settore della guerra dove la meccanizzazione raggiunge altissimo grado sono in quanto ad armamento in condizioni assolutamente inadeguate al loro compito; ai carri armati pesanti e pesantissimi di cui i russi sono e continuano ad essere abbondantemente provvisti, sia per propria produzione, sia per rifornimento dall'estero (enorme fu il contributo dell'industria statunitense e britannica allo sforzo bellico sovietico, specialmente per quanto concerneva la fornitura di mezzi moto-meccanizzati: 9.214 carri armati fra leggeri M3 e medi M3 ed M4 (americani) e Churchill, Matilda II, Valentine Mk 3 e 4, Tetrarch Mk VII forniti dal Commonwealth britannico, oltre a ben 520.000 altri veicoli militari, alcuni dei quali blindati) esse non possono opporre che poche anche se e qualitativamente non disprezzabili artiglierie, già d'altra parte anche usate e logorate da un servizio prestato su altri fronti, un discreto numero di mitragliatrici nelle stesse condizioni, il fucile 1891 (cioè di un modello datato di oltre cinquant'anni...) e la volontà di combattere (mentre anche i sovietici erano dotati di un fucile M1891 cal. 7,62 - il nostro era di calibro inferiore, 6,5 mm; in più i sovietici disponevano, su scala ridotta, anche id un modello di fucile semiautomatico, il Tokarev. Come arma automatica individuale, i loro reparti scelti erano armati col moschetto automatico PPSh41 cal. 7,62, mentre ai nostri si stava gradualmente distribuendo, proprio dall'estate 1942 e con precedenza ai reparti speciali, il moschetto mitra Beretta 38-A con caricatore da 40 colpi, calibro 9 parabellum).
Ma esiste veramente nel soldato tale volontà? In quanto ho potuto osservare, sarei portato a rispondere negativamente. La guerra sul fronte russo non è sentita sia dal soldato, sia disgraziatamente dall'elemento ufficiali, segnatamente da quelli inferiori. Ma a tale proposito mi corre l'obbligo di constatare la mancanza di idealità e comprensione da parte della grande maggioranza dei giovani ufficiali addetti alle truppe e che di queste dovrebbero essere i diretti educatori ed ammaestratori: unica preoccupazione di costoro pare essere quella dei godimenti materiali od altrimenti dei vantaggi che dalla campagna di Russia possono loro derivare. La mensa, i conforti annessi alla mensa, i piccoli affari che possono combinare sul posto, la loro sola preoccupazione. L'esempio degli ufficiali non può quindi che esercitare in molteplici casi la sua non sana influenza sullo spirito della truppa. Né gli Alti Comandi e i troppi Uffici e Servizi di cui le retrovie pullulano sono esenti da questa tara: in molti casi la sola e costante attività è rivolta a speculare sui campi e a procacciarsi con qualsiasi mezzo generi alimentari, materiali di recupero, rottami e suppellettili da mandare comunque a casa, molto verosimilmente per farne oggetto di commercio più che per necessità diretta.
Chi scrive potrebbe citare il caso di ufficiali anche superiori i quali, giornalmente, inviano in Italia vari pacchi di generi vari che, prelevati per uso locale, non vengono usati dagli aventi diritto ma sottratti al loro legittimo consumo per essere [destinati] ad altri meno chiari scopi. Sono esempi isolati, ma indici di una situazione anche troppo generalizzata. Esiste poi disgraziatamente, soprattutto fra i più giovani ufficiali alle truppe la persuasione che in caso di cattura da parte dei russi, essi vengano seviziati o trucidati. Non so sino a che punto ciò essere esatto, ma debbo notare come tale persuasione profondamente radicata non costituisca certo un coefficiente atto ad aumentare la combattività di coloro che sono destinati a condurre reparti al fuoco e incidere profondamente sul loro morale. A qualunque costo bisognerebbe evitare che tali idee persistessero, ma d'altra parte come raggiungere tale scopo con - oltre tutto - degli armamenti tanto impari alla lotta?".
L'estensore accenna poi alla stanchezza ed al logorio delle truppe germaniche ed all'evidente indebolimento delle loro armate corazzate dopo Stalingrado, ricordando di aver osservato, nel viaggio di ritorno attraverso la ferrovia sud, solo "un movimento normale di uomini - non inquadrati - come non ho potuto vedere se non qualche treno di materiali: in tutto non più di 150 carri armati diretti verso le prime linee". E conclude riferendo che al fronte è diffusa la convinzione che l'Armata Rossa sia ben lontana dal crollo, specie grazie ai consistenti aiuti dei suoi "alleati" ed allo spirito di adattamento del suo popolo, evidente anche da quanto si ha modo di constatare nei territori occupati dalle truppe dell'Asse.
venerdì 19 febbraio 2021
L'Italia entra in guerra
Se avete la pazienza di ascoltare per oltre 2 ore e mezza, vi consiglio vivamente di seguire questa conferenza webinar realizzata e trasmessa dall'Ufficio Storico dello SME dal titolo "L'ingresso dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale - Una riflessione a ottant'anni di distanza"; con l'intervento del Gen. B. Fulvio Poli, Ufficio Generale Promozione Pubblicistica e Storia dello Stato Maggiore dell’Esercito: "Aspetti militari e diplomatici all’atto dell’ingresso dell’Italia in guerra, preparazione e ritardi"; di Antonio Varsori, Professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali Università degli Studi di Padova: "Le conseguenze dell’ingresso in guerra: le politiche britannica e statunitense verso l’Italia sino all’armistizio dell’8 settembre"; di Eugenio Di Rienzo, Professore ordinario di Storia moderna Sapienza, Università di Roma: "La politica estera dell’Italia fascista dalla crisi etiopica al 10 giugno 1940"; di Giuseppe Parlato, Professore ordinario di Storia contemporanea Università degli Studi Internazionali di Roma (Unint). "La guerra rivoluzionaria. Caratterizzazione ideologica di una guerra “breve”.
Il viaggio del 2011, intorno ad Opit
Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... le strade ghiacciate intorno ad Opit; si seppur su strada sono i miei primi passi sul fronte russo e vedo finalmente la steppa.
Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 8
Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - La manovra di Petrikowka (28-30 settembre 1941).
giovedì 18 febbraio 2021
L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 11
L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), undicesima parte.
LA RICOSTITUZIONE Dl UNA DIFESA ARRETRATA CONTINUA. SOSTA NELLE OPERAZIONI.
Il 23 dicembre, mentre le D. «Pasubio», «Torino», «Celere», «Sforzesca» ed il comando del XXXV C.A. sono in via di ripiegamento verso sud, ed il II C.A. ritirato dal fronte è in corso di riorganizzazione nelle zone di Woroschilowgrad e di Rossosch, il comando superiore germanico assegna un nuovo settore al comando 8a Armata, limitato al tratto Belogorje (sul Don) - Michailo Alexandrowskij (sulla ferrovia Millerowo - Rossosch). Unità alle dipendenze per le operazioni sono: il C.A. alpino, (D. «Tridentina», «Vicenza», «Cuneense»); il XXIV C.A. (D. «Julia», 385a D. germ., 387a D. germ., Gruppo Cr. Fegelein, presidi di Gartmjschewka e Tschertkowo); la 19a D. cr. germ. che sta per affluire nella zona di Starobolosk - Belowodsk - Nowo Markowka. Con le truppe in posto (C.A. alpino e XXIV C.A.) una difesa continua è in atto tra Belogorje e Golaja.
E' da costituire invece una linea continua a sud del parallelo di Golaja. A ciò il comando 8a Armata provvede: estendendo lo schieramento del XXIV C.A. fino a Wyssotschinoff, facendo occupare dalla 19a D. cr., con una sistemazione nucleare, la linea del Derkul fra il limite sud dell'Armata e Nowo-Markowka e, in seguito ad ordine del Gruppo Armate, svincolando la 27a D. Cr. dalla linea tenuta nel settore del XXIV C.A. per chiudere il vuoto fra le ali del XXIV C.A. e della 19a D. Il comando 8a Armata, il 30 dicembre, sposta inoltre la D. «Cosseria» dalla zona di Rossosch a quella di Rovenko per controllare indirettamente la zona non occupata. Lo schieramento delle unità italo-tedesche sul fronte dell'8a Armata alla data del 21 dicembre ed i successivi spostamenti per la ricostituzione di una difesa arretrata continua risultano dallo schizzo 12.
Il comando dell'Armata non ha alla mano alcuna riserva; lo schieramento è particolarmente debole in corrispondenza dell'ala destra del XXIV C.A. (27a D. cr.) e della 19a D. cr. Il periodo 22 dicembre - 8 gennaio fu caratterizzato da una relativa sosta nelle operazioni. Si svolsero tuttavia combattimenti ed attività da ambo le parti. La difesa del fronte tra Belogorje e Golaja non presentò particolari difficoltà per il C. A. alpino, il quale non ebbe a sostenere attacchi di qualche consistenza tranne uno, effettuato il giorno 24, da un btg. nemico nel settore della D. «Cuneense». Più duro fu invece il compito sul fronte del XXIV C.A. dove l'avversario cercò incessantemente di logorare lo schieramento e di allontanare la nostra difesa dalla valle del Bogutschar. Nei combattimenti che si sostennero quasi giornalmente si distinsero particolarmente la D. «Julia» ed il btg. «Monte Cervino» che furono citati anche sul bollettino tedesco.
Più a sud, risultò laborioso il tentativo di creare una linea continua a mezzogiorno di Golaja, mentre urgente si palesava la necessità di sbloccare, sia pure soltanto per il tempo necessario a rifornirlo di viveri e munizioni, il caposaldo di Tscherkowo, nel quale erano affluiti, il 26 dicembre, i resti delle divisioni «Pasubio», «Torino» e 298a, elevando la consistenza del presidio a 16.000 uomini in gran parte invalidi (feriti e congelati) da sgomberare. La 19a D. effettuò, il 29, un'azione verso Tscherkowo; riuscì a raggiungere la valle Kamyschnaja, ma non a proseguire oltre, malgrado la puntata fatta dal presidio di Tscherkowo verso ovest. Non fu così possibile effettuare il ripiegamento delle forze assediate ed il previsto sgombero dei feriti e congelati. Il caposaldo di Gartmjschewka, anch'esso assediato, venne stretto sempre più.
LA RICOSTITUZIONE Dl UNA DIFESA ARRETRATA CONTINUA. SOSTA NELLE OPERAZIONI.
Il 23 dicembre, mentre le D. «Pasubio», «Torino», «Celere», «Sforzesca» ed il comando del XXXV C.A. sono in via di ripiegamento verso sud, ed il II C.A. ritirato dal fronte è in corso di riorganizzazione nelle zone di Woroschilowgrad e di Rossosch, il comando superiore germanico assegna un nuovo settore al comando 8a Armata, limitato al tratto Belogorje (sul Don) - Michailo Alexandrowskij (sulla ferrovia Millerowo - Rossosch). Unità alle dipendenze per le operazioni sono: il C.A. alpino, (D. «Tridentina», «Vicenza», «Cuneense»); il XXIV C.A. (D. «Julia», 385a D. germ., 387a D. germ., Gruppo Cr. Fegelein, presidi di Gartmjschewka e Tschertkowo); la 19a D. cr. germ. che sta per affluire nella zona di Starobolosk - Belowodsk - Nowo Markowka. Con le truppe in posto (C.A. alpino e XXIV C.A.) una difesa continua è in atto tra Belogorje e Golaja.
E' da costituire invece una linea continua a sud del parallelo di Golaja. A ciò il comando 8a Armata provvede: estendendo lo schieramento del XXIV C.A. fino a Wyssotschinoff, facendo occupare dalla 19a D. cr., con una sistemazione nucleare, la linea del Derkul fra il limite sud dell'Armata e Nowo-Markowka e, in seguito ad ordine del Gruppo Armate, svincolando la 27a D. Cr. dalla linea tenuta nel settore del XXIV C.A. per chiudere il vuoto fra le ali del XXIV C.A. e della 19a D. Il comando 8a Armata, il 30 dicembre, sposta inoltre la D. «Cosseria» dalla zona di Rossosch a quella di Rovenko per controllare indirettamente la zona non occupata. Lo schieramento delle unità italo-tedesche sul fronte dell'8a Armata alla data del 21 dicembre ed i successivi spostamenti per la ricostituzione di una difesa arretrata continua risultano dallo schizzo 12.
Il comando dell'Armata non ha alla mano alcuna riserva; lo schieramento è particolarmente debole in corrispondenza dell'ala destra del XXIV C.A. (27a D. cr.) e della 19a D. cr. Il periodo 22 dicembre - 8 gennaio fu caratterizzato da una relativa sosta nelle operazioni. Si svolsero tuttavia combattimenti ed attività da ambo le parti. La difesa del fronte tra Belogorje e Golaja non presentò particolari difficoltà per il C. A. alpino, il quale non ebbe a sostenere attacchi di qualche consistenza tranne uno, effettuato il giorno 24, da un btg. nemico nel settore della D. «Cuneense». Più duro fu invece il compito sul fronte del XXIV C.A. dove l'avversario cercò incessantemente di logorare lo schieramento e di allontanare la nostra difesa dalla valle del Bogutschar. Nei combattimenti che si sostennero quasi giornalmente si distinsero particolarmente la D. «Julia» ed il btg. «Monte Cervino» che furono citati anche sul bollettino tedesco.
Più a sud, risultò laborioso il tentativo di creare una linea continua a mezzogiorno di Golaja, mentre urgente si palesava la necessità di sbloccare, sia pure soltanto per il tempo necessario a rifornirlo di viveri e munizioni, il caposaldo di Tscherkowo, nel quale erano affluiti, il 26 dicembre, i resti delle divisioni «Pasubio», «Torino» e 298a, elevando la consistenza del presidio a 16.000 uomini in gran parte invalidi (feriti e congelati) da sgomberare. La 19a D. effettuò, il 29, un'azione verso Tscherkowo; riuscì a raggiungere la valle Kamyschnaja, ma non a proseguire oltre, malgrado la puntata fatta dal presidio di Tscherkowo verso ovest. Non fu così possibile effettuare il ripiegamento delle forze assediate ed il previsto sgombero dei feriti e congelati. Il caposaldo di Gartmjschewka, anch'esso assediato, venne stretto sempre più.
mercoledì 17 febbraio 2021
Bruno e Mario Carloni, parte 1
Legate alle vicende belliche ci sono e ci saranno sempre "belle" storie da raccontare; storie di uomini e di eroismi, di paure e di coraggio. Ve n'è una che ho scoperto per intero da poche settimane, ed è quella di un figlio ed un padre, entrambi combattenti in Russia, entrambi combattenti nel 6° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere. Il primo di cui parlerò è il figlio, Bruno Carloni, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.
Bruno è "figlio d'arte" se così si può dire; il padre Mario partì come soldato volontario nel 5° Reggimento Bersaglieri, scalando la gerarchia militare fino a diventare ufficiale di complemento, con il grado di Sottotenente, nel 7° Bersaglieri. Partecipò al primo conflitto mondiale, distinguendosi per valore e per capacità di comando, venendo decorato al Valor Militare e passando al servizio effettivo, terminando il conflitto con il grado di Capitano: è seguendo il suo esempio di soldato che il giovane Bruno, nato nel 1920 a Isola del Liri, in provincia di Frosinone, decise di indossare il piumetto dei Bersaglieri. Arruolatosi volontario come ufficiale entrando all’Accademia di Modena nel 1940, lo stesso anno della dichiarazione di guerra alla Francia e alla Gran Bretagna, due anni più tardi uscì dall’istituto militare con il grado di Sottotenente, venendo assegnato al 6° Reggimento Bersaglieri. Raggiunto il reparto in Russia, dove era stato già precedentemente dislocato, la durezza del conflitto in corso catapultò fin da subito il giovane ufficiale nella dura realtà della guerra, fatta di assalti, agguati e imboscate, fino ad allora studiate e apprese sui libri dell’Accademia.
Assegnato alla 2a Compagnia del VI Battaglione, il 13 luglio 1942, a Wladimorowka, durante un assalto condotto alla testa dei suoi uomini, primo ad uscire allo scoperto, si guadagnò sul campo la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: "Comandante di un plotone d’una compagnia bersaglieri distaccata presso altra unità, si lanciava per primo all’assalto d’una munitissima trincea protetta da profondo reticolato, che superava strisciando per giungere più presto sul nemico che assaliva a bombe a mano, nonostante il vivace fuoco delle mitragliatrici avversarie. Visto cadere gravemente ferito il proprio capitano, assumeva il comando della Compagnia e, dopo aspra, accanita, lotta, conquistava la posizione, catturando armi e prigionieri. Wladimorowka, 12 luglio 1942". Il giovane Bersagliere, seguendo le orme del padre nella Prima Guerra Mondiale, dimostrò tutto il suo valore nella nuova guerra che l’Italia fu chiamata a combattere. Pochi giorni dopo la battaglia di Wladimorowka, il 6° Reggimento Bersaglieri venne dislocato in un altro settore del Don, lungo la testa di ponte che da Satonskij giungeva fino a Bobrowskij, fino ad allora tenuto da un piccolo reparto tedesco.
Inevitabile lo scontro. In pieno giorno, infatti, mentre il 3° Bersaglieri muoveva verso le sue posizioni lungo l’ansa del Don, i soldati dell’Armata Rossa scatenarono una prima, violenta offensiva, appoggiata anche da una quarantina di carri armati: l’attacco investì in pieno sia i tedeschi che i bersaglieri del Sottotenente Bruno Carloni. Un primo assalto venne bloccato e i russi non riuscirono a oltrepassare il fiume: restava a questo punto soltanto una cosa da fare, ovvero prendere l’iniziativa e pensare subito ad un contrattacco. Il 2 agosto 1942 iniziò l’attacco verso i villaggi di Baskovskij e di Bobrowskij, raggiunti entrambi e superati a costo di perdite che andavano aumentando sempre di più. Dopo i villaggi rimaneva il bosco vicino, che si apriva e degradava verso il fiume: il nuovo obiettivo divenne la quota 210, affidata agli uomini di due compagnie, tra cui quella di Bruno. Gli scontri furono duri con pesanti perdite: ferito ad un braccio, il giovane bersagliere restò in mezzo alla battaglia, là dove maggiore era il fuoco sovietico. Non smetteva di incitare i suoi uomini a proseguire nell’azione fino a quando una raffica di mitragliatrice, colpendolo in pieno petto, non lo faceva cadere a terra, esanime. L’offensiva, che non fruttò alcun risultato alle forze italo-tedesche, venne interrotta il giorno 8 agosto, dopo che entrambi le parti avevano subito pesanti perdite.
Inutili furono i tentativi dei medici di salvarlo: si spense tra le braccia dei suoi uomini, riservando le ultime parole per suo padre e per i Bersaglieri, che tanto fedelmente aveva giurato di servire. Alla sua memoria verrà concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria con la seguente motivazione: "Giovanissimo Ufficiale entusiasta e valoroso, già decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare sul campo. Durante l’accanito e sanguinoso combattimento, quando il nemico era riuscito a penetrare nelle linee, minacciando il fianco di un nostro battaglione, alla testa dei suoi si lanciava al contrassalto. Ferito ad un braccio, rifiutava ogni soccorso e fasciatosi sommariamente, continuava con immutato slancio, ricacciando l’avversario all’arma bianca. Mentre, ritto innanzi a tutti, difendeva a bombe a mano la posizione da rinnovati più furiosi assalti, una raffica di mitragliatrice lo abbatteva. Ai Bersaglieri accorsi in suo aiuto rispondeva in un supremo sforzo sollevando in alto il piumetto: me l’ha donato mio padre, ditegli che l’ho portato con onore! Magnifica figura di soldato, che nella luce del sacrificio consacra ed esalta il fascino della più pura passione bersaglieresca. Fronte russo, Bobrowskij, 3 agosto 1942".
Bruno fu sepolto al cimitero militare campale di Fomichinskij, un piccolo paese della regione di Serafimovic; la salma fu riesumata nel 1991 e riportata in Italia con solenne cerimonia al Sacrario Militare di Redipuglia.
Bruno è "figlio d'arte" se così si può dire; il padre Mario partì come soldato volontario nel 5° Reggimento Bersaglieri, scalando la gerarchia militare fino a diventare ufficiale di complemento, con il grado di Sottotenente, nel 7° Bersaglieri. Partecipò al primo conflitto mondiale, distinguendosi per valore e per capacità di comando, venendo decorato al Valor Militare e passando al servizio effettivo, terminando il conflitto con il grado di Capitano: è seguendo il suo esempio di soldato che il giovane Bruno, nato nel 1920 a Isola del Liri, in provincia di Frosinone, decise di indossare il piumetto dei Bersaglieri. Arruolatosi volontario come ufficiale entrando all’Accademia di Modena nel 1940, lo stesso anno della dichiarazione di guerra alla Francia e alla Gran Bretagna, due anni più tardi uscì dall’istituto militare con il grado di Sottotenente, venendo assegnato al 6° Reggimento Bersaglieri. Raggiunto il reparto in Russia, dove era stato già precedentemente dislocato, la durezza del conflitto in corso catapultò fin da subito il giovane ufficiale nella dura realtà della guerra, fatta di assalti, agguati e imboscate, fino ad allora studiate e apprese sui libri dell’Accademia.
Assegnato alla 2a Compagnia del VI Battaglione, il 13 luglio 1942, a Wladimorowka, durante un assalto condotto alla testa dei suoi uomini, primo ad uscire allo scoperto, si guadagnò sul campo la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: "Comandante di un plotone d’una compagnia bersaglieri distaccata presso altra unità, si lanciava per primo all’assalto d’una munitissima trincea protetta da profondo reticolato, che superava strisciando per giungere più presto sul nemico che assaliva a bombe a mano, nonostante il vivace fuoco delle mitragliatrici avversarie. Visto cadere gravemente ferito il proprio capitano, assumeva il comando della Compagnia e, dopo aspra, accanita, lotta, conquistava la posizione, catturando armi e prigionieri. Wladimorowka, 12 luglio 1942". Il giovane Bersagliere, seguendo le orme del padre nella Prima Guerra Mondiale, dimostrò tutto il suo valore nella nuova guerra che l’Italia fu chiamata a combattere. Pochi giorni dopo la battaglia di Wladimorowka, il 6° Reggimento Bersaglieri venne dislocato in un altro settore del Don, lungo la testa di ponte che da Satonskij giungeva fino a Bobrowskij, fino ad allora tenuto da un piccolo reparto tedesco.
Inevitabile lo scontro. In pieno giorno, infatti, mentre il 3° Bersaglieri muoveva verso le sue posizioni lungo l’ansa del Don, i soldati dell’Armata Rossa scatenarono una prima, violenta offensiva, appoggiata anche da una quarantina di carri armati: l’attacco investì in pieno sia i tedeschi che i bersaglieri del Sottotenente Bruno Carloni. Un primo assalto venne bloccato e i russi non riuscirono a oltrepassare il fiume: restava a questo punto soltanto una cosa da fare, ovvero prendere l’iniziativa e pensare subito ad un contrattacco. Il 2 agosto 1942 iniziò l’attacco verso i villaggi di Baskovskij e di Bobrowskij, raggiunti entrambi e superati a costo di perdite che andavano aumentando sempre di più. Dopo i villaggi rimaneva il bosco vicino, che si apriva e degradava verso il fiume: il nuovo obiettivo divenne la quota 210, affidata agli uomini di due compagnie, tra cui quella di Bruno. Gli scontri furono duri con pesanti perdite: ferito ad un braccio, il giovane bersagliere restò in mezzo alla battaglia, là dove maggiore era il fuoco sovietico. Non smetteva di incitare i suoi uomini a proseguire nell’azione fino a quando una raffica di mitragliatrice, colpendolo in pieno petto, non lo faceva cadere a terra, esanime. L’offensiva, che non fruttò alcun risultato alle forze italo-tedesche, venne interrotta il giorno 8 agosto, dopo che entrambi le parti avevano subito pesanti perdite.
Inutili furono i tentativi dei medici di salvarlo: si spense tra le braccia dei suoi uomini, riservando le ultime parole per suo padre e per i Bersaglieri, che tanto fedelmente aveva giurato di servire. Alla sua memoria verrà concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria con la seguente motivazione: "Giovanissimo Ufficiale entusiasta e valoroso, già decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare sul campo. Durante l’accanito e sanguinoso combattimento, quando il nemico era riuscito a penetrare nelle linee, minacciando il fianco di un nostro battaglione, alla testa dei suoi si lanciava al contrassalto. Ferito ad un braccio, rifiutava ogni soccorso e fasciatosi sommariamente, continuava con immutato slancio, ricacciando l’avversario all’arma bianca. Mentre, ritto innanzi a tutti, difendeva a bombe a mano la posizione da rinnovati più furiosi assalti, una raffica di mitragliatrice lo abbatteva. Ai Bersaglieri accorsi in suo aiuto rispondeva in un supremo sforzo sollevando in alto il piumetto: me l’ha donato mio padre, ditegli che l’ho portato con onore! Magnifica figura di soldato, che nella luce del sacrificio consacra ed esalta il fascino della più pura passione bersaglieresca. Fronte russo, Bobrowskij, 3 agosto 1942".
Bruno fu sepolto al cimitero militare campale di Fomichinskij, un piccolo paese della regione di Serafimovic; la salma fu riesumata nel 1991 e riportata in Italia con solenne cerimonia al Sacrario Militare di Redipuglia.
martedì 16 febbraio 2021
Il viaggio del 2011, il T-34 ad Opit
Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... il T-34 presente alla sommità della tristemente famosa salita verso Opit, con il monumento dedicato ai caduti sovietici.
Una tragedia annunciata, parte 2
Riporto la seconda parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.
UNA SITUAZIONE SENZA RIMEDIO.
Esaminiamo l'Appunto, interessante, come si è detto, non tanto per la sommaria ricostruzione degli avvenimenti, che di certo non ci svela nulla di nuovo, ma per le circostanze e per i puntuali rilievi che la caratterizzano. L'estensore dichiara di essere "[...] partito dal fronte orientale il 23 dicembre 1942, in pieno svolgimento, cioè, delle operazioni offensive da parte russa oggi in corso. Non posso quindi se non riferire quanto è di mia conoscenza fino al giorno 22, peraltro conoscenza frammentaria derivante in parte da osservazioni personali e in parte da quanto ho potuto apprendere da fonti dirette. Lo sfondamento nelle nostre linee sarebbe avvenuto esattamente nella zona di Bogushar (sic. Bagutschar) tenuta da una nostra divisione (Ravenna) ed in parte dal 309° Reggimento di fanteria germanica (sic. 318° r.f.). Già dai giorni precedenti la pressione russa su tale settore si era venuta intensificando; dopo avvenuta la rottura sul fronte rumeno (situato più a destra del fronte dell'ARM.I.R.) essa aveva assunto carattere di estrema violenza in gran parte del nostro settore.
Dopo un rapido ma efficace bombardamento aereo i russi iniziarono la loro manovra di rottura nel tratto di fronte tenuto dal 309° e su buona parte del nostro fronte, manovra che fu nel punto principale effettuata relativamente con pochi - circa una trentina - appoggiati da altri mezzi di offesa psicologicamente formidabili (verosimilmente lanciarazzi multipli. Come riporta B.H. Liddel Hart, nel suo "Storia militare della seconda guerra mondiale" - Milano, Mondadori, 1970, rist. 2003 Vol. II, p.682 - le carenze in fatto di artiglieria manifestatesi nel 1942 avevano portato alla produzione su vasta scala di razzi e lanciarazzi, di più agevole fabbricazione rispetto ai tradizionali pezzi di artiglieria e di grande efficienza). Il 309° Reggimento Germanico fu prestissimo preda al panico; si sbandò completamente ripiegando in disordine, riversandosi sulle retrovie e seminando il panico non già ai reparti - nostri - che erano in linea, bensì alle retrovie. I carri armati russi, approfittando della breccia lasciata dai tedeschi in fuga, si erano intanto infiltrati nelle retrovie con manovra di insaccamento.
Le loro puntate rapide e numerose non fecero che aumentare la confusione sul terreno che già avevano perso i tedeschi in fuga. Successe cosi, a differenza di quanto si potrebbe supporre; per i nostri reparti il panico si propagò non dalla prima linea alle retrovie (ove poi l'elemento uomo, non combattente aveva minore stamina morale), ma dalle retrovie alla prima linea, tanto è vero che vari reparti isolati più solidi che non caddero preda del panico resistettero valorosamente senza abbandonare le loro posizioni ed in molti casi dovettero essere riforniti per aereo. Fu cosi una fuga quasi generale: la Ravenna che col reggimento germanico aveva subito la prima impressione dell'urto russo, si disfece del tutto; quasi identica sorte avvenne per la Cosseria; successivamente, in misura maggiore o minore, tutte le altre nostre unità furono travolte: nell'ordine la Celere, la Sforzesca, la Torino e la Pasubio. Uniche truppe a resistere con i limitati mezzi di cui disponevano sulle linee furono le alpine e le CC.NN. dell'Armata.
Vi furono anzi, e non pochi, episodi di autentico valore da parte di reparti isolati, ma, in linea generale, lo sfaldamento fu completo. Posso riferire che, fino alla sera del 22 dicembre u.s., al Comando di tappa di Voroscilovgrad erano stati recuperati o si tentava di recuperare 18.000 sbandati, prevalentemente della Ravenna, Cosseria e Celere. I fuggiaschi provocavano una penosa impressione. Molti degli ufficiali soprattutto inferiori si erano strappati i distintivi di grado ed i fregi dei reparti per rendersi indistinguibili: tutti portavano tracce, più che di sofferenza, di terrore. Pare che scene selvagge si siano verificate nell'abbordaggio dei mezzi di trasporto (autocarri) da parte dei fuggiaschi per sottrarsi a quella che essi ritenevano fosse la completa rottura dell'intero fronte: parecchie persone perirono, schiacciate dagli automezzi, in tale "si salvi chi può". Non immuni da tale ondata di panico andarono, come ho detto, i reparti germanici, non solo di prima linea, ma anche delle retrovie. Chi scrive, ricorda la piazza Lenin di Voroscilovgrad (in quella località si trovava il comando dell'8a Armata) letteralmente gremita di automezzi tedeschi di ogni specie, tutti ripiegati più o meno in disordine dalla zona in cui era avvenuta la rottura; in parte anche una certa aliquota di truppe rumene di retrovia subì lo stesso contagio.
In questa fase andarono perduti oltre che moltissimo materiale - specialmente d'artiglieria (qualche reparto rimase assolutamente serva cannoni) - la quasi totalità dei magazzini avanzati dell'Intendenza dell'8a Armata, magazzini che erano inspiegabilmente stati portati a troppa diretta vicinanza della prima linea. Molti furono incendiati dai nostri, molti caddero in mano nemica. Debbo a questo proposito notare come la grandissima maggioranza dei fuggiaschi giunti a Voroscilovgrad non portavano più le armi. Le avevano abbandonate per via. In più di un caso esse furono adoperate i nostri stessi soldati in fuga da elementi civili russi. Chi scrive ebbe un solo colloquio con il comandante dell'8a Armata e pertanto non può esprimere su di lui un preciso giudizio personale. II comandante l'8a Armata comunque, anziché intrattenerlo di quegli argomenti che avrebbero potuto fornire una base della sua missione in Russia, non gli parlò che di un'organizzazione, da lui iniziata, di reparti cosacchi composti di prigionieri e disertori da impiegarsi nella lotta contro i partigiani e in genere come elemento di propaganda in senso zarista. A parte ogni considerazione di opportunità, il sottoscritto non intende neppure discutere l'iniziativa, che nelle attuali condizioni, più facilmente potrebbe rivolgersi [sic] in un'arma di propaganda in favore degli stessi sovietici che non nel senso voluto.
UNA SITUAZIONE SENZA RIMEDIO.
Esaminiamo l'Appunto, interessante, come si è detto, non tanto per la sommaria ricostruzione degli avvenimenti, che di certo non ci svela nulla di nuovo, ma per le circostanze e per i puntuali rilievi che la caratterizzano. L'estensore dichiara di essere "[...] partito dal fronte orientale il 23 dicembre 1942, in pieno svolgimento, cioè, delle operazioni offensive da parte russa oggi in corso. Non posso quindi se non riferire quanto è di mia conoscenza fino al giorno 22, peraltro conoscenza frammentaria derivante in parte da osservazioni personali e in parte da quanto ho potuto apprendere da fonti dirette. Lo sfondamento nelle nostre linee sarebbe avvenuto esattamente nella zona di Bogushar (sic. Bagutschar) tenuta da una nostra divisione (Ravenna) ed in parte dal 309° Reggimento di fanteria germanica (sic. 318° r.f.). Già dai giorni precedenti la pressione russa su tale settore si era venuta intensificando; dopo avvenuta la rottura sul fronte rumeno (situato più a destra del fronte dell'ARM.I.R.) essa aveva assunto carattere di estrema violenza in gran parte del nostro settore.
Dopo un rapido ma efficace bombardamento aereo i russi iniziarono la loro manovra di rottura nel tratto di fronte tenuto dal 309° e su buona parte del nostro fronte, manovra che fu nel punto principale effettuata relativamente con pochi - circa una trentina - appoggiati da altri mezzi di offesa psicologicamente formidabili (verosimilmente lanciarazzi multipli. Come riporta B.H. Liddel Hart, nel suo "Storia militare della seconda guerra mondiale" - Milano, Mondadori, 1970, rist. 2003 Vol. II, p.682 - le carenze in fatto di artiglieria manifestatesi nel 1942 avevano portato alla produzione su vasta scala di razzi e lanciarazzi, di più agevole fabbricazione rispetto ai tradizionali pezzi di artiglieria e di grande efficienza). Il 309° Reggimento Germanico fu prestissimo preda al panico; si sbandò completamente ripiegando in disordine, riversandosi sulle retrovie e seminando il panico non già ai reparti - nostri - che erano in linea, bensì alle retrovie. I carri armati russi, approfittando della breccia lasciata dai tedeschi in fuga, si erano intanto infiltrati nelle retrovie con manovra di insaccamento.
Le loro puntate rapide e numerose non fecero che aumentare la confusione sul terreno che già avevano perso i tedeschi in fuga. Successe cosi, a differenza di quanto si potrebbe supporre; per i nostri reparti il panico si propagò non dalla prima linea alle retrovie (ove poi l'elemento uomo, non combattente aveva minore stamina morale), ma dalle retrovie alla prima linea, tanto è vero che vari reparti isolati più solidi che non caddero preda del panico resistettero valorosamente senza abbandonare le loro posizioni ed in molti casi dovettero essere riforniti per aereo. Fu cosi una fuga quasi generale: la Ravenna che col reggimento germanico aveva subito la prima impressione dell'urto russo, si disfece del tutto; quasi identica sorte avvenne per la Cosseria; successivamente, in misura maggiore o minore, tutte le altre nostre unità furono travolte: nell'ordine la Celere, la Sforzesca, la Torino e la Pasubio. Uniche truppe a resistere con i limitati mezzi di cui disponevano sulle linee furono le alpine e le CC.NN. dell'Armata.
Vi furono anzi, e non pochi, episodi di autentico valore da parte di reparti isolati, ma, in linea generale, lo sfaldamento fu completo. Posso riferire che, fino alla sera del 22 dicembre u.s., al Comando di tappa di Voroscilovgrad erano stati recuperati o si tentava di recuperare 18.000 sbandati, prevalentemente della Ravenna, Cosseria e Celere. I fuggiaschi provocavano una penosa impressione. Molti degli ufficiali soprattutto inferiori si erano strappati i distintivi di grado ed i fregi dei reparti per rendersi indistinguibili: tutti portavano tracce, più che di sofferenza, di terrore. Pare che scene selvagge si siano verificate nell'abbordaggio dei mezzi di trasporto (autocarri) da parte dei fuggiaschi per sottrarsi a quella che essi ritenevano fosse la completa rottura dell'intero fronte: parecchie persone perirono, schiacciate dagli automezzi, in tale "si salvi chi può". Non immuni da tale ondata di panico andarono, come ho detto, i reparti germanici, non solo di prima linea, ma anche delle retrovie. Chi scrive, ricorda la piazza Lenin di Voroscilovgrad (in quella località si trovava il comando dell'8a Armata) letteralmente gremita di automezzi tedeschi di ogni specie, tutti ripiegati più o meno in disordine dalla zona in cui era avvenuta la rottura; in parte anche una certa aliquota di truppe rumene di retrovia subì lo stesso contagio.
In questa fase andarono perduti oltre che moltissimo materiale - specialmente d'artiglieria (qualche reparto rimase assolutamente serva cannoni) - la quasi totalità dei magazzini avanzati dell'Intendenza dell'8a Armata, magazzini che erano inspiegabilmente stati portati a troppa diretta vicinanza della prima linea. Molti furono incendiati dai nostri, molti caddero in mano nemica. Debbo a questo proposito notare come la grandissima maggioranza dei fuggiaschi giunti a Voroscilovgrad non portavano più le armi. Le avevano abbandonate per via. In più di un caso esse furono adoperate i nostri stessi soldati in fuga da elementi civili russi. Chi scrive ebbe un solo colloquio con il comandante dell'8a Armata e pertanto non può esprimere su di lui un preciso giudizio personale. II comandante l'8a Armata comunque, anziché intrattenerlo di quegli argomenti che avrebbero potuto fornire una base della sua missione in Russia, non gli parlò che di un'organizzazione, da lui iniziata, di reparti cosacchi composti di prigionieri e disertori da impiegarsi nella lotta contro i partigiani e in genere come elemento di propaganda in senso zarista. A parte ogni considerazione di opportunità, il sottoscritto non intende neppure discutere l'iniziativa, che nelle attuali condizioni, più facilmente potrebbe rivolgersi [sic] in un'arma di propaganda in favore degli stessi sovietici che non nel senso voluto.
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