martedì 28 settembre 2021

Il processo D'Onofrio, parte 17

Il processo D'Onofrio, diciassettesima ed ultima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA TRENTESIMA UDIENZA.

20 luglio 1949. - Avv. Mastino Del Rio: 'Questo non è il processo all'antifascismo, ma è soltanto il processo contro Edoardo D'Onofrio, perché - ed è necessario stabilire questo punto fermo - D'Onofrio non aveva nessun diritto di svolgere propaganda nei campi di concentramento di Russia, propaganda la più avvilente e la più bruta perché esercitata su degli uomini non liberi. Non doveva, nello stesso modo che non é consentito al carceriere far propaganda nei confronti dei carcerati'.

Questo ha detto l'avv. on. Mastino Del Rio, iniziando la sua arringa in difesa degli imputati, dopo aver rassicurato il Tribunale sulla brevità del suo discorso. Ed ha proseguito affermando che l'attuale querelante non aveva alcun diritto di umiliare dei vinti e che se lo ha fatto è stato solo per preparare i quadri che avrebbero dovuto diffondere il comunismo in Italia: uno scopo tutt'altro che nobile.

Avv. Mastino Del Rio: 'Le ragioni della difesa - che sono poi le stesse sostanziali ragioni della giustizia - sono state già ampiamente tratteggiate. Non devo fare proseliti, qui, e perciò non farò propaganda anche perché, non ho da riparare a nessuna sconfitta politica ed ho troppo rispetto per la maestà della Giustizia per abbandonarmi all’impressionismo, al colorismo o al terrorismo politico che è affiorato nell'arringa del secondo patrono di Parte Civile'.

La questione è semplice e lineare. È chiaro che qui non si tratta di fare il processo al fascismo o all'antifascismo, né all'ARMIR, né alla resistenza, né alla Russia. Ma si tratta di vedere se le accuse mosse a D'Onofrio dagli imputati sono esatte o no. Perché il sen. D'Onofrio a dato querela? Si è chiesto a questo punto l'oratore. E la risposta è venuta subito dopo quando egli ha detto che la data di presentazione dell’atto di querela è il 16 aprile 1948, cioè a dire due giorni prima delle elezioni politiche. Ma le querele sono armi pericolose e questa volta la bomba è scoppiata nelle mani di chi l'aveva preparata.

Avv. Mastino Del Rio: 'Nel numero unico incriminato si parlava anche di Palmiro Togliatti, ma Togliatti non si è unito alla querela, dimostrandosi così ben più furbo. E di tutti gli altri che nel numero unico furono nominati, e certo non per ricevere lodi e ringraziamenti dai reduci, nessuno s’è fatto vivo: né Roncato, né Fiammenghi, né la signora Torre, né Rizzoli, né Robotti. E nessuno di loro s’è mosso per dare una mano al querelante. Ed ora l’arma puntata verso gli altri si è ritorta sul D'Onofrio stesso il quale finisce per essere il vero imputato di questo processo. Il fatto è che tutti quegli altri hanno avuto paura di presentarsi perché temevano di dover rendere conto delle loro azioni'.

Rievocata la terribile odissea dei nostri prigionieri in terra di Russia, l'avv. Del Rio ha affermato che la verità non giova alla propaganda comunista. Per questo non sono più tornati il cap. Magnani, il ten. Ioli e gli altri: perché, se essi fossero tornati, avrebbero detto certamente la verità sulle loro tristi vicende. Per questo è necessario far credere che le molte decine di migliaia di soldati dell'ARMIR sono morti tutti nella sacca del Don e non di fame, di sete, di tubercolosi nell’orrendo carnaio dei campi di concentramento.

Avv. Mastino Del Rio: 'E poi ci si accusa di speculazione e ci dicono che noi abbiamo suscitato la polemica alla vigilia delle elezioni politiche. Vi ricordate cosa dicevano i 'falsi reduci' in quei giorni di lotta elettorale: 'Mamme d'Italia se volete che i vostri figli tornino dalla Russia votate per il Fronte Popolare?'.

L’avv. Mastino Del Rio ritornando alla situazione dei prigionieri italiani ha osservato che sì, è vero, che il trattamento venne migliorato, ma l'ordine, partito da Stalin, fu dato solo in omaggio all’arrivo nei campi di concentramento di una delegazione della Croce Rossa Internazionale che, come è stato detto qui in udienza, fuggì via inorridita per le impossibili condizioni in cui versavano gli internati.

Avv. Mastino Del Rio: 'L’arrivo degli emigrati politici distrusse la concordia e la fratellanza fra i prigionieri. È proprio in questo momento che sulla scena appare il D'Onofrio. Io mi inchino al passato politico di questo combattente dell’antifascismo, ma debbo aggiungere che vi è un profondo abisso fra il D'Onofrio esule dalla Patria e perseguitato e il D'Onofrio commissario politico, persecutore dei suoi fratelli prigionieri, accecato dall’odio di parte.

Come potevano i soldati italiani non pensare che si trovassero di fronte a dei veri e propri nemici? Cosa fecero gli emigrati perché i loro fratelli non pensassero questo? Nulla fecero: essi si presentarono ai prigionieri come giudici ansiosi di fare il processo alla guerra sui vinti, a coloro i quali si erano battuti per obbedire alle leggi dell’onor militare, essi tacciarono i prigionieri di ladri e di rapinatori, li umiliarono, li minacciarono, li derisero'.

Il difensore, polemizzando con l'avv. Sotgiu, ha quindi affermato, documenti alla mano, che in Russia la Chiesa Cattolica è considerata alla stregua di una organizzazione spionistica alle dipendenze del Vaticano e i preti, naturalmente, delle spie pagate dal Vaticano. Non è vero che in Russia ci sia libertà di culto.

L'avv. Sotgiu aveva letto, nel corso della interminabile arringa, brani tolti da un libro di un cappellano militare, padre Bonadeo, il quale descrive, con accenti di profondo misticismo, una messa che egli aveva celebrato nel campo di Oranki. Il patrono di Parte Civile ne aveva tratto motivo per esclamare, rivolto al Tribunale: 'Ecco l'asserita avversione dei sovietici alla religione' e ciò doveva dimostrare, secondo lui, la falsità dei reduci i quali avevano detto essere proibita laggiù ogni forma di culto esterno. Ma l'on. Mastino Del Rio ha ripreso quella lettura, e l'ha ripresa proprio dal punto dove il prof. Sotgiu l'aveva lasciata. Il sacerdote racconta nel libro che il giorno dopo aver celebrato la Messa fa chiamato a rapporto dal comandante del campo ed accusato di tradimento e di spionaggio e diffidato dal ricadere nello stesso reato.

Anzi nei due reati. I quali, come ebbe a spiegargli lo stesso comandante, consistevano nell’aver celebralo la Messa e nell’aver invitato i prigionieri, che avevano assistito al rito, a pregare. Don Bonadeo fu minacciato di gravi sanzioni se avesse celebrato ancora la Messa. L'on. Mastino Del Rio ha poi ribattuto a lungo le dichiarazioni fatte dai testi di Parte Civile. Di alcuni di essi ha voluto mettere in evidenza il loro passato di fascisti e di volontari di guerra.

Avv. Mastino Del Rio: 'Vorrei dire con Angelo Musco, a questi signori: amico, ogni uomo ha il diritto di essere un buffone, ma tu esageri. Anche questi uomini possono essere giustificati. Diciotto dei venticinque testi d'accusa, in Russia, erano tutti gravemente malati ed avevano urgente necessità di cure e di un miglior trattamento. Per questo essi si piegarono alla propaganda di D'Onofrio, perché erano costretti a mendicare i medicinali. Chi resisteva alla propaganda, infatti, anche se in condizioni di salute pietose, come Padre Turla, veniva scacciato dagli ospedali o dai convalescenziari'.

LA TRENTUNESIMA UDIENZA.

21 luglio 1949. - L’avv. Mastino Del Rio non è riuscito a mantenere la promessa fatta al Tribunale come premessa all’arringa. E del resto non è facile essere brevi quando gli argomenti da esaminare sono tanti e di tanta importanza. Così neppure all'ultimo difensore sono state sufficienti due udienze per concludere. L'on. Del Rio ha spiegato al Tribunale il programma, la struttura, l' essenza e soprattutto gli scopi che la propaganda di D'Onofrio nei campi di concentramento si prefiggeva di raggiungere, ha detto quale dovizia di mezzi fosse stata messa a sua disposizione per dimostrare come su quella propaganda fossero puntate molte grandi speranze.

Avv. Mastino Del Rio: 'D'Onofrio disponeva di un giornale, di una tipografia, di una attrezzata redazione, della energia elettrica e di molto denaro. L'obiettivo era chiaro: diffondere al massimo l'idea comunista fra i prigionieri per creare agenti specializzati da inviare in Italia. La maggior parte di coloro che aderivano lo facevano per porre un rimedio alle miserevoli condizioni di vita e non perché spinti dalla convinzione nella ideologia predicata. Le promesse di vitto, il miraggio di miglioramenti, le minacce, alternate, alle lusinghe erano un ottimo mezzo per attirare i prigionieri, stremati dalla fame. La parola d'ordine era: convertire al comunismo il maggior numero di internati italiani. I mezzi non contavano e chi si opponeva ne subiva le conseguenze come Magnani, Ioli, Don Brevi e tanti altri. Ricordate che Padre Turla ha detto in udienza che l’attuale querelante voleva costringerlo a firmare quello stesso ordine del giorno che il cap. Magnani si rifiutò di sottoscrivere'.

D'Onofrio: 'Non è vero. Io non ho mai costretto nessuno a firmare niente. E poi Padre Turla io non l'ho mai visto... Non stia a raccontar storie...'.

Presidente: 'Lei, egregio senatore, non può e non deve intervenire mentre un avvocato sta parlando. La prego di far silenzio e di non interrompere più la discussione'.

Avv. Mastino Del Rio: 'La ringrazio, signor Presidente, ma mi permetta di chiedere al sen. D'Onofrio che mi spieghi allora per quale ragione i nostri testimoni avrebbero mentito e perché non si debba dar credito alle loro deposizioni. Si tratta, lo sappiamo tutti, di oneste persone da Padre Turla a Don Franzoni, dai col. Russo e Zingales, via via fino agli imputati, tutti valorosi ufficiali.

Piuttosto perché non ci spiega D'Onofrio con maggiore chiarezza di quanto non ha fatto le ragioni per cui voleva sapere tante cose dai nostri prigionieri? La spiegazione posso darla io'.

E qui l'avvocato legge un brano del libro di Kravchenko: 'Tu sei comunista e devi portare a conoscenza della direzione del partito tutto ciò che può interessare la direzione del partito stesso, ti piaccia o no'. D'Onofrio non ha potuto sottrarsi a questo imperativo. Ha fatto il suo dovere di comunista.

Avv. Mastino Del Rio: 'D’altro canto lo stesso D'Onofrio ha dichiarato l’obiettivo preciso della propaganda da lui svolta quando, durante la polemica giornalistica, scrisse, nel compiacersi del fatto che molti ex prigionieri erano andati ad ingrossare le file del P.C.I., che tale fenomeno stava a significare che lui e i suoi compagni avevano seminato bene. Ma chi semina vento raccoglie tempesta. E l'attuale querelante la tempesta l'ha raccolta in questa aula di tribunale.

Ma poiché siete stati smascherati nel tentativo di dissimulare i vostri scopi, ora voi volete ripagarvi gettando il discredito su questi ragazzi e non solo su questi ma su tutti i reduci i quali non hanno voluto piegarsi alla vostra volontà e li tacciate di fascisti e di nostalgici, non si sa poi di che'.

E l'on. Mastino Del Rio, esibendo documenti, ha fornito le prove irrefutabili della attività partigiana degli imputati.

Avv. Mastino Del Rio: 'Il teste d'accusa Fidia Gambetti, prima fascista ora comunista, fece delle insinuazioni, in udienza, sulle decorazioni di questi reduci e su quella dell’avv. Taddei, disse che le decorazioni non contano. Ma forse non si ricordava che nel settimanale 'L'Alba', di cui pure egli era attivo collaboratore, campeggiava una grande fotografia di un Primo Maresciallo con il petto coperto di medaglie.

Voi avete aggiunto al danno lo scherno quando avete pensato di farvi forti della lettera che il cap. Magnani riuscì a far pervenire alla propria famiglia e avreste voluto inchiodarlo ad una frase di quella missiva: 'Non ho fatto nulla di cui debba vergognarmi davanti a te e ai miei figli'. Voi avete preso questa occasione per dire che, dunque, Magnani era stato trattenuto chissà per quali colpe misteriose e non per responsabilità di D'Onofrio. E ammesso che sia stato così, perché non ci dite la ragione per la quale il D'Onofrio si rifiutò di dire una sola parola per il Magnani come per tutti gli altri ufficiali trattenuti in Russia? Eppure avrebbe potuto farlo. Si è detto ancora, dalla parte civile, che il D'Onofrio fece pervenire alla famiglia del cap. Magnani un radio messaggio di saluto. Ma quando il messaggio di cui si dice fu radiotrasmesso D'Onofrio e Magnani ancora non si conoscevano, basta confrontare le date'.

Via via che l'arringa si addentra a sviscerare prove, motivi, accuse, episodi, essa si fa più serrata, più demolitrice. Ora l'avv. Mastino Del Rio è tornato a parlare degli interrogatori. La parie civile li ha giustificati adducendo la necessità di raccogliere dati anagrafici dei prigionieri e tutte le notizie, inerenti alla loro posizione sociale, all'educazione, al titolo di studio.

Avv. Mastino Del Rio: 'Sciocchezze! Ipocrisie! Menzogne! Non esistevano già tutti questi dati nei campi di concentramento? E quale necessità c’era che D'Onofrio fosse accompagnato da un ufficiale della polizia di Stato Sovietica per rilevare dei dati anagrafici? E poi perché quei dati seguivano i prigionieri nei vari trasferimenti da un campo all’altro? E che ciò fosse avvenuto è indiscutibile perché ad alcuni prigionieri furono contestate parole dette in sede di interrogatorio in un altro campo alcuni mesi prima. Come vorreste chiamarli questi se non interrogatori di polizia? Se non vere e proprie investigazioni? Non certo 'conversazioni' come sostiene la Parte Civile'.

LA TRENTADUESIMA UDIENZA.

22 luglio 1949. - L’aula non poteva assolutamente contenere più gente di quanta ne contenesse all’inizio dell’udienza, l'ultima di questo, si può ben dire, strepitoso processo, che ha polarizzato la attenzione dell’opinione pubblica di tutta la nazione. Decine e decine di persone sono state costrette a rimanere fuori nei corridoi nell'attesa che il Tribunale pronunciasse la sua sentenza: attesa silenziosa, tranquilla, sicura; la giustizia non poteva fallire. La verità sarebbe finalmente apparsa nella sua luce sfolgorante.

L'avv. Mastino Del Rio ha concluso rapidamente la propria arringa. Egli ha discusso con chiara oratoria la pura questione di diritto della causa prendendo in esame le asserzioni apparse nel numero unico incriminato ed ha sostenuto che è emersa, nel corso della istruttoria dibattimentale, la prova più completa dei fatti attribuiti al sen. D'Onofrio. E cosi ha proseguito polemizzando con l'avv. Sotgiu.

Avv. Mastino Del Rio: 'Non so se quello che ha affermato il mio illustre contraddittore risponda a verità. Non so se sia vero che, come lui ha detto, l’Unione Nazionale Reduci dalla Russia ha avuto la sovvenzione di un milione dal Ministero dell'Assistenza Post-bellica. Ma mi auguro che sia così perché quel denaro sarà servito ad alleviare le sofferenze di questi sventurati i quali sono rimpatriati nudi e ammalati, perché quel denaro avrà forse potuto sollevare quelle madri e quelle vedove lasciate nella più squallida miseria'.

L'accenno fatto dall’oratore al fatto che tali informazioni furono fornite dai numerosi agit-prop, che si annidano in tutti i ministeri violando i segreti d'ufficio, ha suscitato l'ennesimo e ultimo incidente di questo processo. L'avv. Paone è saltato su eccitatissimo gridando frasi sconclusionate e senza senso: deve aver perduto la testa nell’imminenza della sconfitta.

Avv. Paone: 'Anche i peculati sono segreti d'ufficio?'.

Ma il Presidente è intervenuto con energia e tutto è finito lì. La conclusione dell’on. Mastino Del Rio ha vivamente commosso i presenti.

Avv. Mastino Del Rio: 'Io sento nel mio spirito una calma divina. Sento di aver compiuto fino in fondo il mio dovere. Se nei miei ventisette anni di professione nulla avessi fatto, nessun’altra causa avessi discusso, sarei ugualmente soddisfatto per la mia opera. Oggi il mio sguardo va lontano, oltre i confini della Patria, in uno squallido campo dove vedo tremolare ventisette fiammelle di vita'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Signori, voi avete una delicata causa da risolvere, una causa grondante di sangue e di dolore. Se voi condannerete questi giovani, essi usciranno da quest'aula a fronte alta, da soldati quali sono stati e quali sono. Se voi condannerete questi giovani, condannerete a morte i ventisette ufficiali che non hanno fatto ritorno, spegnerete quelle ventisette fiammelle che ancora brillano e sperano. Se voi invece assolverete, non spezzerete quest’ultimo filo di speranza e Iddio e la Patria vi benediranno. Perché la vostra sentenza deve dire a quella Nazione che è preferibile, per gli stessi interessi della sua propaganda, che rimandi i figli alle madri, gli sposi alle mogli'.

In silenzio i giudici si sono alzati e si sono ritirati in camera di consiglio. Sono le 9,45. Il Tribunale rientra nell’aula alle 14,40. Nel più profondo silenzio il presidente dott. Carpanzano si alza e legge il dispositivo della sentenza.

Visti gli articoli 479 e 482 del C. P. P. il Tribunale assolve gli imputati Luigi Avalli, Domenico Dal Toso, Ivo Emett, Giorgio Pittaluga, Ugo Graioni dal reato di diffamazione loro ascritto in ordine ai fatti specificati nei numeri 1 e 2 dell’opuscolo 'Russia' essendo provata la verità dei fatti stessi, e dalle diffamazioni relative ai fatti specificati dai numeri 3 e 4 e dall'ultima pagina dell’opuscolo perché il fatto non costituisce reato. Condanna inoltre il querelante sen. Edoardo D'Onofrio al pagamento delle spese processuali.

A titolo di curiosità ci piace qui ricordare che, durante la sospensione dell’udienza e mentre i giudici erano riuniti in Camera di Consiglio, D'Onofrio si è avvicinato all'avv. Taddei e gli ha detto con una certa vivacità: 'Avete, fatto male ad insistere sulla mia condanna. Se sarò condannato, non staranno meglio quelli che sono rimasti in Russia'. Chi ha riferito la breve ma significativa frase ha forse capito male? Ce lo auguriamo vivamente. Perché, tra l'altro, è buona regola che chi gioca deve essere pronto a perdere e soprattutto a saper perdere con dignità. Sono i serpi che mordono il piede che ha loro pestato la coda...

Il pubblico ha accolto la sentenza nella più grande compostezza e soltanto quando il Tribunale si è definitivamente ritirato e il sipario è finalmente calato su questa dolorosa vicenda, si sono avute le prime reazioni. I reduci sono completamente assediati da parenti e da amici. Fuori, nei corridoi, la folla si è moltiplicata e quando gli avv. Taddei e Mastino Del Rio escono insieme con i loro 'ragazzi' la folla li circonda, li benedice, vuole toccarli, vuole dir loro tutta la devozione, tutto il ringraziamento. Molte donne piangono di commozione e negli occhi dei giovani brillano le lacrime.

Ma nella gioia di tutti non sono stati dimenticati i compagni lontani, coloro che languono ancora nei campi di Russia. I 'ragazzi' hanno chiesto che il totale di lire 3.256.840 cui assommano le spese processuali venga devoluto al Ministero della Difesa perché lo destini a favore delle famiglie dei militari italiani, non criminali di guerra, tuttora trattenuti come prigionieri dal governo sovietico.

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