lunedì 27 settembre 2021

Woroschilowa, parte 2

Woroschilowa: un buco senza speranza, di Giulio Ricchezza - seconda parte.

Il giorno 2 gennaio, dunque, un vento fortissimo investe tutto il settore del CSIR; la faccia più brutta del già duro inverno russo ha fatto la sua apparizione. "Avevamo tutti la barba, ma di ghiaccio", dice un testimone; "era sufficiente uscir fuori dell’isba e subito il fiato si rapprendeva al volto in minuti cristalli che si solidificavano aumentando il volume, fino a creare una vera e propria frangia che dalle nari scendeva oltre il mento; se muovere la bocca diveniva impossibile, perfino il respirare si faceva difficile". Il 6 dello stesso mese il generale Dupont, già comandante dell'artiglieria italiana, assume il comando della divisione Torino sostituendo così il generale Manzi che è stato colto da un improvviso crollo nervoso ed è stato quindi rimpatriato d'urgenza. C'è da osservare che i nervi non saltano solo a lui, ma anche a molti dei soldati.

Il 13 gennaio, in un maldestro tentativo di venire incontro alle richieste del generale Messe, parte da Aosta un battaglione sciatori, il Monte Cervino, per dare ai provati uomini del CSIR quell'aiuto che essi richiedono con voce angosciata. I Tedeschi, dal canto loro, e l'abbiamo già visto attraverso le parole del reduce, sembrano unicamente occupati del mantenimento delle posizioni conquistate; paiono in particolare preoccupati dalla cosiddetta quota 331; essa, infatti, può - grosso modo - venir considerata come una sorta di cerniera per l'intero schieramento difensivo delle truppe italiane. Ed è per questo che in pratica ordinano al CSIR la resistenza ad oltranza.

Abbiamo già parlato, in altre occasioni, delle diversissime concezioni strategiche che regnavano rispettivamente in campo tedesco e in quello italiano. Rammentiamo qui, di sfuggita, che i Tedeschi erano per una difesa mobile e disseminata su ampio fronte (il che era loro permesso dal numero di mezzi corazzati e di autotrasporti a loro disposizione), mentre gli Italiani combattevano in quei giorni con la medesima tecnica e gli stessi criteri operativi già esperimentati alla fine del secondo conflitto mondiale. Resistere ad oltranza significava per loro quindi solo una cosa: rimanere sul posto (con le poche, o nessuna, mitragliatrici pesanti, qualche mortaio, una protezione di artiglieria che era meglio non vi fosse, considerati gli effetti), e prendersi sul capo tutte le gragnuole di colpi che i Russi spedivano regolarmente con un impressionante dispendio di proiettili.

È proprio, dunque, su quota 331 e nel villaggio di Woroschilowa che il modo di combattere italiano vien messo duramente in crisi: "Woroschilowa è una delle cose più tristi e tragiche; perché era già nata sotto una cattiva stella, con il presagio indefinibile che dovesse andar male per forza, perché c'erano le condizioni - oggettivamente parlando - più contrarie possibili e perché il nostro morale era a terra ...". Questa Woroschilowa altro non è se non un gruppetto di isbe che solamente qualche mese prima nessuno avrebbe degnato di uno sguardo; c'è voluta tutta la cocciutaggine del LIX Corpo tedesco per farne un caposaldo di primaria importanza. Il villaggetto è annidato nel fondo della balka, come abbiamo detto; orbene, dato il tipico andamento di questi canaloni che tagliano all'improvviso la steppa e non risultano visibili se non a due passi di distanza (si fa per dire), di lontano non si scorge nulla: di Woroschilowa, delle sue isbe, pare non vi sia nemmeno traccia.

Proprio in mezzo a queste case i legionari della Tagliamento, al comando del console Nicchiarelli, hanno imbastito delle fragili difese, talmente fragili che vanno in pezzi alla prima scarica di obici e granate che piove da parte russa; non è colpa loro, beninteso; è che il villaggio - proprio a causa della sua posizione - è facilmente convertito in una trappola per topi: sono sufficienti delle artiglierie e dei mortai ben piazzati e il gioco è fatto; per gli Italiani non vi è via di scampo. Le Camicie Nere della 63a Legione, già messe a dura prova, logorate, tragicamente ridotte dai combattimenti precedenti trovano qui un ben mesto e triste epilogo.

Il 18 gennaio, infatti, i Russi premono in forze contro quelle case; intendono spazzar via l'improvvisata resistenza italiana. Nicchiarelli e i suoi riescono però a tener duro, anche se la balka è piuttosto stretta, offre ben scarso campo di tiro ed è soggetta - come intuibile - alle offese provenienti dai costoni dominanti. Le considerazioni strategiche che hanno fatto di quel villaggio il cardine della difesa Nowo Orlowo-Timofiewski non banno preso in considerazione un piccolo particolare: con uomini mal ridotti come quelli di Nicchiarelli e in quelle particolari circostanze resistere non è la cosa più agevole. Ma torniamo alla testimonianza diretta, al ricordo di chi può dire "io c’ero": "La difesa, rammento, era appoggiata proprio al gruppetto di case, in quella sorta di canalone che si snodava a circa cinque o forse sei chilometri dalla quota. Le case di Woroschilowa, insomma, avevano almeno il vantaggio di dare una parvenza se non altro di ricovero, di sicurezza; ma, intendiamoci, era un fatto puramente psicologico. Quei poveri diavoli della Tagliamento, come vivevano? È una cosa impossibile a dirsi: stavano sotto un muricciolo, vicino a uno spuntone di isba rimasto ancora in piedi, all'addiaccio, senza un riparo. Nicchiarelli viveva in una sorta di buca in cemento, uno di quei pozzi in cui i Russi cacciano il materiale, le provviste invernali (dev'essere in cemento o qualcosa di simile, altrimenti i topi fan fuori tutto).

Mi ricordo che quando sono andato a trovarlo - quattro o cinque giorni prima del 25 (eravamo andati a stabilire una sorta di contatto per sapere come avremmo dovuto sistemarci noi, in previsione di un loro rientro; essi erano, infatti, allo stremo) - quando, dunque, mi sono recato da lui, se ne stava tutto chino dentro quel buchetto di due o tre metri quadrati. Si doveva scendere qualche gradino, si andava sotto: là, almeno, c'era un certo qual effettivo riparo; e lui, curvo sulla carta a studiare la situazione. Ma i colpi di artiglieria russa arrivavano fin lì; un vero inferno. In quelle poche ore che son stato lì, devo aver fumato due o tre sigarette; non per altro, ma perché era appena stato scatenato dai Russi uno di quei bombardamenti da far paura; non c'era niente da fare; solo si doveva aspettare di crepare; la cosa poteva avvenire da un momento all'altro. Io, dunque, mi ero messo a fumare, cosa che non era nelle mie abitudini; e fuma una sigaretta, poi accendine un'altra, mentre quegli scoppi facevano tremare ogni cosa; sembrava che il suolo dovesse sollevarsi, ondeggiare, spaccarsi in due. Era come un modo di far testamento, di riflettere attraverso il fumo azzurrognolo sulla propria situazione; allora non avevo ancora moglie; ero un tenente giovane, come si diceva allora, 'di belle speranze': ma mi chiedevo come avessero fatto a starsene lì, quelli della Tagliamento, tutti quei giorni, in quell'anticamera della morte".

Nicchiarelli, dal canto suo, sfinito anche lui come tutti i suoi uomini, fa pietà a vedersi: "Poveretto: si grattava la testa in continuazione: aveva il collo pieno di pidocchi; il suo volto era tirato, gli occhi arrossati, segnati dalla fatica, dalla veglia". Non ci si lava, non si può dormire, è già molto se si ha il modo di mettere una frolla galletta immersa un attimo nell’acqua calda (un po’ di neve fatta sciogliere nella scatoletta vuota della carne della sera prima) e di cacciarsi quella in bocca masticando meccanicamente senza badare al sapore nauseabondo. Davanti al villaggio, sulla steppa gelata, insepolte, giacciono molte Camicie Nere. Accanto a quel gruppo di macerie, c'è un numero impressionante di morti. E le perdite aumentavano di giorno in giorno senza che si potesse arrestare in una maniera o nell'altra quella continua emorragia. Nicchiarelli decide infine di abbandonare quel buco senza speranza. È una soluzione perfettamente accettabile, anche da un punto di vista puramente tecnico; è vero che su Woroschilowa si basa tutta la difesa di quota 331 - altrimenti intenibile, come si è già detto - ma è altresì vero che non ha senso resistere in quel modo; tanto vale uccidersi con la propria arma.

Così il 23, a sostituire quelli della Tagliamento che abbandonano il posto, si muovono i bersaglieri del XVIII Battaglione; ma non fanno in tempo ad andare avanti che un concerto d'artiglieria russo seguito da un violentissimo attacco li arresta e li obbliga, in seguito, a ripiegare. I Tedeschi sono furibondi: impongono agli Italiani di "lavar subito l'onta", di rioccupare al più presto quel buco dissanguatore. E Nigra, il tenente colonnello Nigra che è arrivato fresco fresco dall'Italia per sostituire temporaneamente il maggiore Ercolani (ammalato) e che adesso comanda il XVIII, dice di sì e si mette sull'attenti. Agli ordini si obbedisce senza giudicare.

Fotografia dell'archivio storico della Legione Tagliamento: Camicie Nere nella steppa intorno a Woroschilowa.

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