mercoledì 22 settembre 2021

Con la morte sul berretto

Artigliere alpino Bruno Rizzi, Reparto Munizioni e Viveri, Gruppo Vicenza, 2° Reggimento Artiglieria Alpina

[...] Il giorno il 30 gennaio si camminava su una pista in lunga salita, avevo i piedi gravemente congelati, la stanchezza mortale fece sì che a un dato momento io cadessi sulla neve, l'ufficiale di coda tenente Michele Milesi mi invita a rialzarmi, è pericoloso fermarsi qui mi dice, ma io non mi mossi, e il reparto proseguì la sua strada.

Rimasi sulla neve lungo disteso, come morto, tutta la colonna mi sorpassò senza che nessuno si degnasse di uno sguardo tanto erano frequenti questi ritardi sulla direzione di marcia, io non pensavo altro che a riposare, ero rassegnato a tutto, del resto non potevo più camminare, e così piano piano la morsa del gelo mi pervase, sentivo uno strano torpore di benessere invadere tutto il corpo, e nel frattempo sopraggiunse la notte, quasi per istinto tenevo a fatica gli occhi aperti, le ore passavano, rimasi completamente solo sulla immensa distesa nevosa...

Si avvicinava la morte bianca! Poi due alpini isolati, vestiti di bianco, ed essi pure congelati passarono lentamente accanto a me. "Paisà, guarda come si fa a morire...". Io devo la vita a questi sconosciuti alpini bresciani, perché quella frase che sapeva di morte mi risvegliò alla vita.

Quella notte stessa tra il 30 e il 31 gennaio una sezione di carristi tedeschi della divisione corazzata Das Reich operante nella zona, mi raggiunse nella notte fonda in un'isba dove mi ero rifugiato assolutamente immobilizzato; cercavano un luogo adatto per stabilire il comando di sezione e lo trovarono proprio alla maniera tedesca; con un calcio si spalancò la porta della mia isba. Ma devo anche riconoscere di essere stato fortunato, perché evidentemente per questo lavoro avevano incaricato l'ufficiale medico del reparto; appena mi vide mi illuminò con la potente lampada, e nel medesimo istante mi puntò la rivoltella, forse nel timore di trovare un soldato russo armato, poi cautamente si avvicinò a me, e disse: "Da... italiano...".

Volle sapere le mie generalità, e a quale reparto io appartenevo. In quel momento, confesso, mi batteva il cuore, cosa avrebbe fatto il tedesco vedendomi immobilizzato? Era risaputa da tutti noi la crudeltà del SS tedesche... Invece, con grande mia meraviglia, il tono della sua voce si fece più tranquillo, forse per il rispetto che avevano nella zona per gli appartenenti alle truppe alpine. Come era possibile che un ufficiale tedesco si interessasse a fondo per un soldato italiano in una zona dove scorrazzavano ancora i carri armati T 34?

Quando ero solo nella mia isba non sentivo forse il cannone tuonare continuamente come un avvertimento alla estrema pericolosità della situazione? O forse una madre pregava per me da molto lontano? Io devo la vita anche a questo ufficiale tedesco vestito di nero, con la morte sul berretto, allo stesso modo come qualche tempo prima la voce stanca del due alpini bresciani risvegliò in me il senso della conservazione. Questo ufficiale ebbe per me parole di conforto, mi medicò in modo energico, ed infine mi fece caricare su un treno che, appena carico, parti immediatamente.

Si concludeva così in modo miracoloso la mia personale avventura, non senza però aver lasciato sul mio corpo i segni indelebili delle basse temperature, a perenne ricordo della campagna di Russia.

RICCARDO

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