venerdì 17 settembre 2021

Woroschilowa, parte 1

Woroschilowa: un buco senza speranza, di Giulio Ricchezza - prima parte.

"Son passati tanti anni da allora, ed entrar adesso nei particolari è abbastanza difficile: comunque la sostanza dei fatti è grosso modo questa: dopo la famosa battaglia di Natale, la Celere, e in particolare il 3° Reggimento bersaglieri, era davvero ridotta a quattro gatti...". È il racconto di un reduce, una lunga narrazione che abbiamo registrato su nastro e poi trascritta sintetizzandola; è la cronaca minuta di un'amara sconfitta, di una battaglia che ha nome Woroschilowa, combattuta e persa il 25 gennaio 1942...

"Davanti a noi" si ode dal magnetofono - il nastro continua a girare, la voce del reduce racconta piana, pacata, come se quei ricordi si fossero, nel frattempo, decantati "... davanti a noi c’era quota 331, quota Trucchi, così chiamata dal nome di un valoroso che vi si era imolato; essa si elevava, a circa tre o quattro chilometri di distanza, in linea d'aria intendo; ma era una quota per modo di dire; era insomma un semplice rilievo del terreno che faceva contrasto con il piatto del paesaggio circostante: una cosa ridicola, in altre parole: eppure serviva ai reparti tedeschi per dominare la zona antistante, per poter controllare ciò che avveniva nella piana. Starvi sopra era praticamente impossibile, però; infatti, era sottoposta a un fuoco continuo da parte avversaria e non offriva nessun appiglio: non c'era un ricovero, un rudere, che so, una pianta: niente di niente.

Eppure i Tedeschi, cocciuti come sempre, volevano tenerla ad ogni costo; da lì avevano intenzione di dilagare ai lati creando insomma una specie di baluardo che proteggesse il retro del fronte. Ma questo fronte non era un fronte: voglio dire che si combatteva dappertutto e che dovunque, in qualunque settore dello schieramento, o anche nelle sue retrovie, poteva sorgere, all'improvviso, il combattimento: potevano essere dei partigiani, o degli irregolari, potevano essere perfino gli stessi contadini, o le milizie locali inquadrate dai Tedeschi, che mostravano ad un tratto il loro vero volto, che brandivano le armi contro di noi o contro i nostri alleati del momento. Ecco, io quello che ricordo soprattutto della Russia è questo: il senso di panico, l'incertezza quotidiana che prendeva noi che si era in linea...".

Non erano solo loro, i bersaglieri, ad essere in linea, evidentemente; tutti quei luoghi all'intorno avevano visto impegnati a turno l'uno o l'altro dei reparti del CSIR e proprio lì, nella zona, c'erano i legionari della Tagliamento. Adesso, tanto per avere un quadro della situazione, provate a immaginare questa piana brulla di cui parla il reduce; laggiù, alle spalle, il villaggio di Michailowka con le case disposte lungo una sorta di tratturo che si diparte, al centro del paese, in tre tronconi: uno di questi, poco più di un sentierino, corre dritto verso nord salendo fino a quota 331 e scendendo poi, mantenendosi più o meno in linea retta, verso una balka. Al fondo di questa le case di Woroschilowa. Sulla sinistra, a ovest insomma, il villaggio di Nowo Orlowo; sulla destra, invece, un secondo villaggio, un poco più grosso del precedente, che ha nome Orlowo lwanowka; lontano, una quindicina e più di chilometri, Petropawlowka, e la linea ferroviaria serpeggiante, sempre verso nord, in direzione di Nikitino.

Gli avvallamenti del terreno non superano mai i trecento metri sul livello del mare; è quindi una vera e propria pianura appena appena ondulata, con qualche lieve depressione (le cosiddette balke). Ecco, qui, il paesaggio. Adesso, però, prima di affrontare la compiuta narrazione dei fatti, vediamo un po' il panorama degli avvenimenti; ma così, in generale, per sommi capi. Con l'arrivo del nuovo anno si era cercato di pompare linfa nuova nel CSIR; quest'ultimo era fortemente ridotto a causa delle perdite subite nei lunghi mesi del 1941.

Era stato perciò deciso di dare maggiore mobilità ai reparti e agli uomini, costituendo dei gruppi tattici più agili e manovrieri. Rimaneva naturalmente il solito problema di fondo, e cioè la cronica mancanza di armi e di equipaggiamenti sufficienti, aggravato per di più da tre grossi nodi rimasti ancora insoluti. Il primo era quello della sistemazione invernale, ancora da completare. Il secondo era l'impossibilità di ricostituire le dotazioni delle unità maggiormente provate; il terzo, infine, quello dell'avvicendamento dei reparti che erano in linea da troppo tempo.

Si tenta di affrontare i rigori dell'inverno trasformando le isbe superstiti dei villaggi in minuscoli ricoveri, sorta di microscopiche e sparpagliate caserme; i comunicati "ufficiali" definiscono questo provvedimento "appoggio di tutti i nuclei operativi e dei raggruppamenti tattici a villaggi"; frase alquanto tortuosa come si vede; non certo chiara. La sostanza è molto più modesta: non esiste niente in Russia, in quella piatta Ucraina, se non il villaggio, l'agglomerato di case lungo il sentiero o lo stradone in terra battuta coperto ora di neve ghiacciata. Qui è l'unico punto in cui si possa stare; lontani di lì si muore: di freddo, di stenti, di fame perfino; perché il gelo rende il pane duro come sasso, e anche la carne in gelatina, dell'immancabile scatoletta, è come pietrificata.

Per il secondo punto, quello delle dotazioni, Messe, il comandante del CSIR, ha già parlato con i Tedeschi: ha detto loro chiaro e tondo che il coraggio individuale non serve a niente, anzi a meno di niente quando mancano i viveri e le munizioni. Pensare di sostituire gli uomini rimasti per sempre in terra ucraina, falciati dal nemico, è un'impresa ardua se si considera che ci vuole un mese per far giungere dall'Italia altri soldati. Il viaggio dalla madrepatria, per di più, a causa dell’intasamento delle scarse linee ferroviarie e della mancanza di trasporti, si svolge in condizioni così precarie che il 90% degli uomini arriva al fronte russo stanco e segnato dalle fatiche.

Neppure sette giorni dopo, congedatosi bruscamente dai Tedeschi, Messe scrive al Comando Supremo queste parole secche secche: "... mancata sostituzione 3a Celere, veramente logora, stremata energie, condizioni igieniche et menomazione efficienza materiale, rende precaria capacità resistenza ulteriori attacchi in forze". La Celere rimane uno dei principali cardini del CSIR, la cui costituzione, all'inizio del 1942, è la seguente: il comando si trova sempre a Jassinowataja; la divisione Pasubio è schierata in un settore alquanto ampio, che arriva sino al fiume Bulawin (è sufficiente dare un'occhiata anche di sfuggita a una qualunque carta della zona per sincerarsene); la divisione Torino (quella rimasta celebre per aver percorso millecinquecento chilometri a piedi da Falticeni al Don, quella che in altre parole passerà alla storia per aver attraversato tutta l'Ucraina sul cavallo di San Francesco - Falticeni è in Romania) la divisione Torino, dicevamo, se ne sta dalle parti di Rikowo; la nostra divisione Celere - i cui uomini sono i protagonisti dell'episodio che dobbiamo narrarvi - si trova come punto base in quel di Rassipnaja. Rimane la Tagliamento: i legionari si trovano a Woroschilowa.

Potremmo anche far punto qui e passare alla cronaca dei fatti, ma vogliamo aggiungere due piccole precisazioni; le parole di Messe che abbiamo testé citato acquistano un significato di monito e, vorremmo dire, anche di presagio se si pensa alla dispersione delle forze italiane su un fronte troppo ampio. La seconda è questa: lo stato maggiore tedesco ha insegnato al mondo in guerra che tutto quello che è stato fino a quel momento detto nelle scuole di applicazione d'arma va, più o meno, gettato nella spazzatura; la seconda guerra mondiale non si combatte con l'ausilio delle carte illustranti le battaglie della prima. Le puntate offensive - dice la nuova scuola di guerra tedesca - vanno effettuale coi corazzati appoggiati dall'aviazione.

Dietro i carri deve però venire la fanteria con il compito di demolire le ultime resistenze e ripulire le sacche create dalla penetrazione delle colonne corazzate. I Russi hanno subito imparato la lezione; hanno creato i cosiddetti desantji cioè unità composte da carri armati che trasportano, appollaiati dietro le torrette, soldati armati di parabellum. Al momento dell'impatto con il nemico i fanti balzano dai carri e impegnano i difensori in un serrato combattimento individuale, mentre i carri provvedono a demolire le postazioni d'artiglieria e i nidi di mitragliatrice. Proprio i desantji avranno ragione del fronte creato dagli Italiani in Russia, sfondandolo sulla linea del Don; questo avverrà beninteso più tardi, circa un anno dopo il fatto che adesso è giunto, davvero, il momento di raccontare.

Nessun commento:

Posta un commento