Storia di una fotografia, ovvero quello che nessun libro di storia in Italia vi racconterà mai. Siamo a Meskoff, Russia, settembre 2019. Meskoff fu la tomba del 3° Reggimento Bersaglieri della 3a Divisione Celere; il Reggimento è famoso per essere stato comandato dall'altrettanto famoso Colonnello Aminto Caretto. Ma questa volta non vi voglio raccontare di soldati italiani.
La signora nella fotografia era bambina all'epoca dei fatti, ma ricordava molto bene alcuni episodi avvenuti nel dicembre 1942. Meskoff era occupata dai tedeschi e durante le concitate fasi dell'offensiva sovietica che stava travolgendo l'intero fronte tenuto dai reparti della nostra 8a armata, dovette essere abbandonata dal grosso dei reparti germanici.
Ma non da tutti... alcuni soldati tedeschi dovevano rimanere sul posto, probabilmente per trattenere o rallentare le forze sovietiche.
Ecco cosa ci raccontò la signora presente ai fatti. "Alcuni soldati tedeschi dovettero rimanere nell'abitato, mentre i loro compagni iniziarono la ritirata... piangevano tutti, sapevano a cosa andavano incontro... piangevano tutti e ci mostravano a noi russi le fotografie dei loro bambini che tenevano nei portafogli...".
Dal 2011 camminiamo in Russia e ci regaliamo emozioni
Trekking ed escursioni in Russia sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale
Danilo Dolcini - Phone 349.6472823 - Email danilo.dolcini@gmail.com - FB Un italiano in Russia
venerdì 8 maggio 2020
venerdì 1 maggio 2020
Il sergente nella neve 12
Da "Il sergente nella neve"... Di Rino, rimasto ferito durante il primo attacco, non sono riuscito a sapere più nulla di preciso. Sua madre è viva solo per aspettarlo. La vedo tutti i giorni quando passo davanti alla sua porta. I suoi occhi si sono consumati. Ogni volta che mi vede, quasi piange per salutarmi e io quasi non ho il coraggio di parlarle. Anche Raul mi ha lasciato quel giorno. Raul, il primo amico della vita militare. Era su un carro armato e nel saltar giù per andare ancora avanti, verso baita ancora un poco, prese una raffica e morì sulla neve. Raul, che alla sera prima di dormire cantava sempre: "Buona notte mio amore". E che una volta, al corso sciatori, mi fece quasi piangere leggendomi "Il lamento della Madonna" di Jacopone da Todi. E anche Giuanin è morto portandomi le munizioni per la pesante quando ero giù al paese e sparavo. E' morto sulla neve anche lui che nel ricovero stava sempre nella nicchia vicino alla stufa e aveva sempre freddo. Anche il cappellano del battaglione è morto: "Buon Natale, ragazzi, e pace". E' morto per andar a prendere un ferito mentre sparavano. "State sereni e scrivete a casa". "Buon Natale, cappellano". E anche il capitano è morto. Il contrabbandiere di Valstagna. Aveva il petto passato da parte a parte. I conducenti, quella sera, lo misero su una slitta e lo portarono fuori dalla sacca. Morì all'ospedale di Carkof. Sono andato a casa sua, quando ritornai in primavera. Ho camminato attraverso i boschi e le valli: "Pronto? Qui Valstagna, parla Beppo. Come va paese?". E la sua casa era vecchia e rustica e pulita come la tana del tenente Cenci. E i soldati del mio plotone e del mio caposaldo, quanti ne sono morti quel giorno? Dobbiamo restare sempre uniti, ragazzi, anche ora. Il tenente Moscioni si ebbe bucata una spalla e poi in Italia la ferita non poteva chiudersi. Ora è guarito della ferita ma non delle altre cose. Oh no, non si può guarire. E anche il generale Martinat è morto quel giorno. Lo ricordo quando in Albania lo accompagnavo per le nostre linee. Io camminavo in fretta davanti a lui perchè conoscevo la strada e mi guardavo indietro per vedere se mi seguiva. "Cammina, cammina pure in fretta caporale, ho le gambe buone io". E anche il colonnello Calbo che era così bravo con i suoi artiglieri della diciannove e della venti. E anche il sergente Minelli era ferito lì nella neve: "El me s'cec" - diceva e piangeva - "el me s'cec", Giuanin, troppi pochi siamo arrivati a baita, dopo tutto. Nemmeno Moreschi è ritornato. "Possibile una capra di sette quintali? Porca la mula sempre Macedonia". E neanche Pintossi, il vecchio cacciatore, è arrivato a baita a cacciare i cotorni. E sarà morto pure il suo vecchio cane, ora. E tanti e tanti altri dormono nei campi di grano e di papaveri tra le erbe fiorite della steppa assieme ai vecchi delle leggende di Gogol e di Gorky. E quei pochi che siamo rimasti dove siamo ora?
Il sergente nella neve 11
Da "Il sergente nella neve"... Si era in attesa del treno che ci doveva portare in Italia; eravamo nella Russia Bianca nei dintorni di Gomel. La nostra compagnia, pochi ormai, era in un villaggio vicino alla foresta. [...] Lo starosta del villaggio ci disse che doveva metterci uno o due per famiglia per non gravare sulla popolazione. L'isba dove mi accettarono era spaziosa e pulita, e abitata da una famiglia di gente giovane e semplice. [...] Passai sdraiato su un po' di paglia tutto il tempo che rimasi in quella capanna; sempre lì, sdraiato per ore e ore a guardare il soffitto. [...] La ragazza si sedeva lì vicino, e per tutto il pomeriggio filava la canapa con il mulinello a pedale. Io guardavo il soffitto e il rumore del mulinello riempiva il mio essere come il rumore di una cascata gigantesca.
Il sergente nella neve 10
Da "Il sergente nella neve"... Camminai ancora un altro giorno con il passo del vecchio viandante appoggiandomi al bastone. Per delle ore mi sorprendevo a ripetere: "Adesso e nell'ora della nostra morte", e questo pensiero mi ritmava il passo, Lungo la pista s'incontravano spesso delle carogne di mulo. Un giorno stavo tagliandomi un pezzo di carne da una carogna quando mi sentii chiamare. Era un caporalmaggiore del battaglione Verona che avevo avuto per allievo a un corso rocciatori nel Piemonte. Mi chiama e vedo che è contento d'incontrarmi. "Vuoi che camminiamo insieme?" dice. "Per me. Andiamo." dico.
giovedì 16 aprile 2020
Il sergente nella neve 9
Da "Il sergente nella neve"... Si riprende a camminare. I reparti si confondono fra loro. Si alza un forte vento freddo. Siamo tutti bianchi. Il vento sibila tra l'erba secca, la neve punge il viso. Ci attacchiamo l'uno all'altro. I muli degli artiglieri sprofondano sino alla pancia, ragliano e non vogliono andare avanti. Bestemmie, richiami, urli nella tormenta.
sabato 11 aprile 2020
Il sergente nella neve 8
Da "Il sergente nella neve"... Il sole nel cielo limpido ci riscalda le membra indolenzite e si continua a camminare. Che giorno è oggi? E dove siamo? Non esistono né date né nomi. Solo noi che si cammina. Passando per un villaggio vediamo dei cadaveri davanti agli uscii delle isbe. Sono donne e ragazzi. Forse sorpresi così nel sonno perché sono in camicia. Le gambe e le braccia nude sono più bianche della neve, sembrano gigli su un altare. Una donna è nuda sulla neve, più bianca della neve e vicino la neve è rossa. Non voglio guardare, ma loro ci sono anche se io non guardo. Una giovane è con le braccia aperte, e ha sul viso un lino bianco. Ma perché questo? Chi è stato? E si continua a camminare.
venerdì 10 aprile 2020
Il sergente nella neve 7
Da "Il sergente nella neve"... Fuori feci in tempo a vedere le ultime cannonate che si scambiavano i carri russi e tedeschi. Mentre ero nell'isba non avevo sentito niente. Le ragazze mi avevano fatto dimenticare la guerra per un attimo. Seppi più tardi che il cavaliere passato poc'anzi gridando aveva avvisato i carri tedeschi che si erano appostati fuori dal paese. E i carri russi, ora, bruciavano tutti, e sulla neve si vedevano i segni del breve combattimento: solchi di improvvise virate, di giri viziosi, di fermate brusche, e chiazze nere di olio e di altro. Un carro era stato colpito nei cingoli e i cingoli segnavano la neve come due strisce nere tracciate su un foglio bianco: tristi come moncherini di una cosa già viva. Cadaveri bruciavano vicino ai carri. Dei soldati russi che scesero da un carro caddero subito nella neve.
giovedì 9 aprile 2020
Il sergente nella neve 6
Da "Il sergente nella neve"... Non so quanto ho abbiamo camminato; ogni passo pareva un chilometro e ogni attimo un'ora; non si arrivava mai e non finiva mai. Finalmente ci fermiamo a delle isbe isolate. Sistemo il mio plotone in un edificio in muratura: saranno state le scuole o la casa dello starosta. Vi troviamo anche dei soldati dell'autocentro. Questi sono come i pidocchi: s'annidano dappertutto. E c'è un fuoco, e c'è caldo e persino paglia sul pavimento. Ah! com'è bello buttarsi giù e cavarsi l'elmetto e mettere lo zaino sotto la testa stretti al caldo uno vicino all'altro. Finalmente possiamo chiudere gli occhi e dormire. Ma chi è che mi chiama lì fuori? Andate al diavolo, lasciatemi dormire. Uno apre la porta e fa il mio nome: - Va' dal capitano, ti vuole -.
lunedì 6 aprile 2020
Il sergente nella neve 5
Da "Il sergente nella neve"... Udii la voce di uno che incitava parlando forte in russo. Capii qualche parola: patria, Russia, Stalin, lavoratori. Mandai subito una vedetta per le tane a fare uscire gli uomini con tutte le armi. Uscivano in fretta imprecando; con gli occhi pieni di sonno, socchiusi alla luce del sole. Odoravano di fumo. Dissi: - Non sparate se prima non vi do l'ordine; tenetevi pronti -. Era ritornato il silenzio; di là la voce si era taciuta; di qua tutti erano pronti con le armi puntate. Erano cessati i brontolii, i passi affrettati, i rumori degli otturatori. I russi sorsero in piedi sull'orlo del bosco, vennero sulla scarpata e tutto era ancora tranquillo. Non un colpo di fucile, non un grido. Erano stupiti di quel silenzio. Forse ci credevano già partiti? Si sedettero sulla neve e scivolarono sulla riva del fiume. Ma quando i primi furono ai piedi della scarpata: - Spara! - gridai all'alpino che vicino a me imbracciava il mitragliatore. Una breve raffica, poi improvvisamente tutte le armi spararono, i quattro mitragliatori, la pesante, i trenta fucili, i quattro mortai di Moreschi, i due di Baroni.
domenica 5 aprile 2020
Il sergente nella neve 4
Da "Il sergente nella neve"... Durante l'attacco, quando i russi erano giunti sotto i reticolati, avevo gettato quasi una cassa di bombe a mano. Ma poche scoppiavano; sprofondavano nella neve senza rumore. Allora pensai che forse sarebbero scoppiate levando tutte e due le sicurezze prima di lanciarle e feci così sebbene fosse pericoloso. Ritornò il silenzio. Tra noi e Cenci si sentiva qualche breve raffica di mitra. Sul fiume gelato vi erano dei feriti che si trascinavano gemendo. Sentivamo uno che rantolava e chiamava: - Mama! Mama! Dalla voce sembrava un ragazzo. Si muoveva un poco sulla neve e piangeva. - Proprio come uno di noi, - disse un alpino, - chiama mamma. La luna correva fra le nubi; non c'erano più le cose, non c'erano più gli uomini, ma solo il lamento degli uomini. - Mama! Mama! - chiamava il ragazzo sul fiume e si trascinava lentamente, sempre più lentamente, sulla neve.
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